X
Durante
il banchetto, Brandbury aveva
intrattenuto la Regina raccontando della loro vita di poeti girovaghi.
Era sta inventata sul momento, e densa di avventure divertenti e
tragiche,
molte delle
quali erano un calco dei racconti di guerra e degli aneddoti di Ivory,
rivisitati in chiave romanzata e scevri dei particolari più
macabri e
sanguinolenti. La donna aveva trascorso la serata sorridendo
all’altro e spesso
la sua risata cristallina era risuonata nella sala dagli alti soffitti,
illuminando le sale vuote e silenziose.
Da
allora, Celeste continuava a ricercare la
compagnia di Brandbury, o come aveva scelto di chiamarsi, del cantore
Biancospino: la divertiva il modo in cui era capace di giocare con le
parole e
di costruire espressioni sagaci o evocative, sorprendendola con formule
innovative e ingegnose e incantandola con versi musicali e
delicati.
Biancospino
amava le parole, così come Celeste,
e quell’interesse in comune li avvicinò sempre di
più portandoli a scoprire che
condividevano tanto la passione per la poesia quanto per qualsiasi
altra forma
d’arte. Iniziarono a trascorrere i pomeriggi a discorrere di
poeti,
pittori, scultori e
menestrelli. La Regina Bianca era un’avida lettrice e non
avendo la possibilità
di altri svaghi in una terra per la maggior parte ghiacciata, aveva
letto una
quantità esorbitate di libri e si divertiva a confrontare le
sue letture-
decisamente più sconfinate e approfondite- con quelle
dell’altro, che si
limitava a piluccare qualche libro scovato in una biblioteca o
rileggeva sempre
lo stesso.
Facevano
lunghe passeggiate, e mentre l’uno le
narrava di una vita mirabolante e fittizia, l’altra confidava
la sua esistenza
monotona e noiosa, divisa tra i suoi doveri di Regina e lunghe ore
morte,
trascorse tra le pagine crepitanti di un libro di poesie. Le uniche
distrazioni
che le erano concesse erano le visite alla sorella e quelle poche che
aveva
l’onore di ricevere; ma anche questi minuti piaceri erano
minati dall’onere di
governare un regno e amministrare un territorio tanto vasto quanto
problematico, perennemente oppresso dalla neve e dal ghiaccio e che
fondava la
propria ricchezza sulle miniere, invidiate e desiderate da molti. Nei
momenti
di maggiore sconforto, iniziava ad elencarle le sue preoccupazioni, i
suoi
crucci e le sue ambasce, gli rivelava i grandi sacrifici che
aveva
compiuto in segreto, senza che il suo popolo lo sapesse. Durante quelle
lunghe
ore di conversazione si dimostrò una regina premurosa,
solerte e attenta, e una
sorella affettuosa e gentile, preoccupata per la salute
dell’altra. Confidò a
Biancospino di come fosse impensierita e angosciata per il carattere
volubile,
lunatico e irascibile della sorella, che era peggiorato dopo la morte
della
madre e si era inasprito con il passare degli anni, minando la sua
salute
fisica e mentale.
Brandbury
era sempre disponibile ad ascoltarla,
e la Regina trovò in lui un confidente e un amico fidato, al
quale
poter aprire il proprio cuore
e
affidare i suoi pensieri,
le sue pene e le sue aspirazioni. Quel ragazzo gentile e generoso,
avvenente e
colto, aveva fatto colpo sulla donna, stuzzicandola con le sue parole
accorte e
confortanti e i suoi versi dolci e leggiadri, e conquistandola con il
suo
fascino e il suo sguardo buono e luminoso, i lunghi capelli biondi
leggermente
ondulati e l’ombra di barba dorata che era spuntata dopo mesi
di viaggio senza
potersi radere, e che gli dava un’aria trasandata e vissuta,
perfettamente in
sintonia con il personaggio che aveva deciso di interpretare.
Al
ragazzo spiaceva ingannare in quel modo
quella fanciulla e temeva il giorno in cui sarebbe venuta a conoscenza
della
realtà; per il momento approfittava del favore che
riscuoteva presso di lei e
cercava di distrarla come poteva e accontentarla in tutto; il suo animo
caritatevole l’aveva spinto a cercare di rendere
più sopportabile
quell’esistenza tanto grigia e
travagliata.
Lentamente
aveva conquistato la sua simpatia e
la sua fiducia, e a poco a poco era penetrato nei recessi
più profondi della
sua mente e del suo cuore: la ragazza aveva aperto le porte invitandolo
ad
entrare e Brand non si era lasciato sfuggire un’occasione
simile, nella
speranza che nel tumultuoso mare di pensieri vorticosi e confessioni
mormorate
a mezza voce, le sfuggisse anche lo specchio, il suo potere e la sua
ubicazione.
Con
il passare del tempo, la complicità e
l’intesa divennero qualcosa di più intenso e
profondo di una semplice amicizia,
evolvendosi in modo inaspettato per entrambi: la Regina
scoprì di amare quel
misterioso cantore venuto dal mondo e di desiderare di vivere il
resto della
sua vita con lui; era convinta che con Biancospino al suo fianco,
l’esistenza
non sarebbe stata tanto penosa, e la sua solitudine sarebbe stata
allietata
dalla sua compagnia, dal suo supporto e dal calore dei suoi
baci.
Dal
canto suo, nemmeno Brandbury era rimasto
indifferente alla bellezza eterea e deliziosa della ragazza:
l’aria da eterna
bambina lo intrigava e lo attraeva, soprattutto perché era
associata ad una
mente sveglia e matura, scattante e curiosa, sempre pronta ad imparare
pur
parendo esperta in tutto.
Le
conversazioni con lei erano piacevoli e
stimolanti, il suo modo di pensare e la sua visione del mondo lo
intrigavano,
l’avrebbe ascoltata per ore. Amava il suono della sua voce,
soave e fresco come
un refolo di vento primaverile, e la sua risata argentina e i
grandi occhi
azzurri, perennemente persi in un punto che andava oltre quella
realtà. Più
volte aveva stretto tra le sue le mani di lei, tanto piccole, morbide e
fragili, e più di una volta l’aveva avvolta in un
abbraccio, nella speranza di
assorbire un poco delle sue pene.
All’inizio
aveva visto quella relazione solo
come un’opportunità per ottenere in maniera
più semplice e veloce delle
informazioni sullo specchio, ma il tanto tempo trascorso assieme, i
lunghi
discorsi e la fiducia cieca e speranzosa con cui si era completamente
affidata
a lui, l’avevano trasformata in qualcosa di più:
in una creatura da proteggere
e da sostenere, come lo era suo fratello Ivory, a cui si era accorto di
essersi
affezionato.
Fu in una fredda sera, riscaldata appena dal torpore del camino di marmo bianco e rosa, che la Regina ebbe il coraggio di esternare il proprio sentimento. Brand stava leggendo per lei e la donna pendeva dalle sue labbra, rannicchiata al suo fianco, i piedi scalzi sul pavimento di vetro e una leggera veste da camera rosa cipria a coprirne le forme acerbe. Lentamente avevano raggiunto un’intimità profonda, e il contatto tra i due era diventato spontaneo e quasi anelato. Quando la Regina Bianca si trovava con il cantore, svestiva i suoi panni di sovrana e diventava semplicemente Celeste, una ragazza profondamente innamorata.
Seguiva
i
movimenti delle labbra del giovane che si piegavano e si modellavano
sulle parole sussurrate appena al suo orecchio. Erano piene e sempre
piegate in un
sorriso trasognato, e davano l'impressione di essere calde e morbide,
come la voce di lui. Erano diventate la sua ossessione, e si sorprese a
domandarsi come sarebbe stato baciarle.
Con
cautela e paura si avvicinò a lui, il
profumo familiare della sua pelle l’avvolse in un abbraccio
inebriante, e fremendo
come una foglia d’autunno ai primi venti
dell’inverno, si allungò verso le sue
labbra. Il respiro di lui le solleticava la pelle e la faceva
rabbrividire.
Si gettò senza pensarci sull’orlo di quei cigli di
velluto rosa, e intrappolò
con un timido bacio, l’ultima parola della ballata.
Brandbury
si irrigidì, colto di sorpresa da quel
gesto così inaspettato, e dopo un primo momento di
confusione, rispose al bacio
tanto tenero e disperato assieme; avviluppò tra le sue
braccia il corpo gracile
e tremante di lei e accolse la morbidezza e il sapore dolceamaro di
quelle
labbra. La fece sussultare iniziando a esplorare con la lingua la sua
bocca,
all’inizio con cautela e delicatezza, poi con sempre maggiore
bramosia, avvinto
dal fuoco della passione che quel bacio aveva acceso in entrambi. Le
afferrò la
nuca e affondò la mano nella folta chioma color del
tramonto, trascinandola
verso di sé, e lei si lasciò condurre
docilmente, soggiogata dalla fiamma
che le ruggiva dentro. Celeste prese coraggio e gettò le
braccia al collo di
lui, aggrappandosi alla sua camicia per cercare di non precipitare in
quel
baratro di piacevoli sensazioni che l’avevano travolta,
invadendola con il loro
dolce calore.
Si
scostarono per riprendere fiato, e parve che
riemergessero da un’altra dimensione distante e
irraggiungibile: avevano entrambi
il respiro accelerato e le guance imporporate e sorridevano
come due
ebeti, senza riuscire a trovare qualcosa da dire per riempire il
silenzio
pesante e denso che era calato tra loro, rotto dai singhiozzi dei
ciocchi
brucianti.
«Non
rimarrò qui per sempre» mormorò
alla fine
Brand, triste. Non voleva illudere ulteriormente la donna, tutte le
bugie che
aveva già accumulato gli stringevano il cuore e gli
appesantivano l’animo,
macchiandolo in maniera nascosta ma indelebile e rendendo sempre
più difficile
continuare quella messinscena.
«Ma
ora sei qui, e nessuno ti impedisce di
rimanervi per sempre» sussurrò lei, la voce rotta
e tremante.
«Rododendro
scalpita per ripartire, rimanere in
uno stesso luogo troppo a lungo lo rende nervoso e
intrattabile»
«Lascialo
partire da solo» lo pregò lei, «Non
sei obbligato ad andare anche tu. Io ti amo, Biancospino, e non sopporterei di vederti
andare via, mi si
spezzerebbe il cuore e porteresti con te uno dei frammenti
più grandi»
Brand
accarezzò dolcemente il volto della
ragazza, innaturalmente bello e perfetto, assimilabile a quello delle
statue di
marmo, con lo stesso profilo scolpito dalla mano sapiente
dell’artista e reso
privo di imperfezioni. Sfiorò con le labbra
ciascuna delle
lentiggini che ricoprivano il naso e le guance di lei, e si
fermò con più
fervore, dolcezza e amarezza sulla sua fronte alta e bianca.
«Anche io ti amo» confessò e solo quando udì quelle parole lasciare la sua bocca, si accorse della verità racchiusa in esse: l’amava profondamente, ma non come un’amante o una moglie, quanto come una sorella minore da difendere e accudire; proprio per questo non voleva farla soffrire e preferiva troncare sul nascere una relazione che mai avrebbe avuto un futuro. Lui apparteneva ad Actardion, al suo negozio di erborista, ai suoi libri e al suo piccolo orticello di piante medicinali, di cui iniziava a sentire la mancanza e a cui sperava di riuscire a tornare, un giorno.
Per
un momento, prese
seriamente
in considerazione l’idea di abbandonare tutto e vivere per
sempre in quel
castello di cristallo, ma non vi era alcuna possibilità: una
volta preso lo
specchio la Regina avrebbe scoperto l’inganno e il tradimento
l’avrebbe
spezzata e distrutta più di questo; inoltre Brand non si
sentiva pronto a
vivere in quell’enorme prigione di cristallo, dove la
primavera era un
artificio e il tempo trascorreva sempre uguale a sé stesso,
rinchiuso tra le
stesse mura che a poco a poco avrebbe iniziato ad odiare.
«Io
appartengo al mondo» sussurrò alla
fanciulla, giocando con i suoi capelli, «E per
troppo tempo ho vissuto
senza legami veri e senza vincoli, non riuscirei a rimanere qui: mi
sentirei
incatenato e il mio affetto verrebbe corrotto dal fastidio per le
catene, non
sarebbe mai un amore pieno e completo, perché aspirerei
sempre a quel mondo
che ho abbandonato a malincuore.»
Quelle
parole avevano reso Celeste triste e
cupa, il suo volto si era spento e come tramutato in pietra, fissava
sconsolata
le loro mani intrecciate, e calde lacrime iniziarono a bagnarle il
volto.
«Non
piangere» la consolò luì,
catturando
con il pollice quelle stille salate, gli dispiaceva immensamente farla
soffrire, ma preferiva amareggiarla in quel modo piuttosto che in
uno più
doloroso e turpe, come il tradimento. Continuava ad ingannarla,
cercando di
salvare sé stesso e l’immagine che lei aveva di
lui: aveva scelto di farle
credere che l’avrebbe abbandonata, come un cantore volubile,
e
non che sarebbe
fuggito come un subdolo traditore. Così facendo,
l’avrebbe
preservata da una
sofferenza più grande e imperdonabile.
La
Regina sospirò e asciugò le guance con il
dorso delle mani.
«Mi
sto comportando come una bambina» si scusò
con un sorriso appena accennato.
«Ti
stai comportando come un essere umano» replicò
lui rispondendo al sorriso con un altro non meno mesto.
«Posso
chiederti un favore?» domandò con voce
sommessa la donna, Brand annuì.
«Finché
non deciderai di partire, non
abbandonarmi. Ho bisogno di te: sei il mio conforto, il mio sostegno e
il mio
sole, che illumina questa vita altrimenti fredda e spenta. Senza di te
sarei
perduta. Mi hai trovato nel labirinto tetro della mia esistenza e mi
hai
condotto fuori, verso un prato fiorito invaso dalla luce del sole, e
voglio
godere di questo sole e di questo prato finché ne
avrò la possibilità,
assorbendo tutta l’energia vitale che può
donarmi, in modo che rimanga
qualche scintilla per quando non ci sarai
più.»
«Te
lo prometto» rispose lui, guardandola con
intensità negli occhi, «E tu promettimi che
cercherai di vivere ogni momento in
cui rimarrò qui come se fosse
l’ultimo.»
Celeste annuì e i due suggellarono il loro patto con un bacio straziante e dolcissimo.