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Autore: Stella Dark Star    24/06/2017    1 recensioni
Per Andrea Pazzi e Lucrezia Tornabuoni è amore a prima vista quando s’incontrano nella basilica di San Lorenzo durante il funerale di Giovanni de’ Medici. Il problema è che entrambi sono sposati e per di più le loro famiglie sono nemiche naturali. Ma questo non basterà a fermarli. Tra menzogne e segreti, l’esilio a Venezia cui lei prenderà parte e il ritorno in città della moglie e i figli di lui, sia Andrea che Lucrezia lotteranno con tutte le loro forze per cercare di tenere vivo il sentimento che li lega. Una lotta che riguarderà anche gli Albizzi, in particolar modo Ormanno il quale farà di tutto per dividerli a causa di una profonda gelosia, fino a quando un certo apprendista non entrerà nella sua vita e gli farà capire cos’è il vero amore.
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Delfina de' Pazzi - La neve nel cuore", un'intensa e tormentata storia d'amore tra la mia Delfina e Rinaldo degli Albizzi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo trenta
Visite gradite e non
 
Due splendidi occhi di un verde puro contornati da lunghe ciglia scure, naso sbarazzino, labbra sottili e rosee inarcate in un luminoso sorriso, pelle chiara che avrebbe potuto rivaleggiare con il latte, una folta chioma di capelli scuri e ondulati che richiamavano alle carezze. Tutto questo si poteva sintetizzare in due parole: Isabella Contarini.
Quando Rinaldo gli aveva parlato delle sue intenzioni di unire le famiglie in un’alleanza attraverso il matrimonio, Ormanno non ne era stato felice. Non aveva mai visto la fanciulla che il padre voleva dargli in moglie e dentro di sé credette già di sentire un’insopportabile sensazione di vuoto che temeva di non poter più colmare. Il giorno stesso in cui aveva appreso la notizia, per sfogare la frustrazione aveva dato a Tommaso una bella batosta durante uno degli allenamenti che continuavano a fare e poi si era lasciato andare alla depressione al pensiero che non avrebbe più potuto trovare la felicità. Questo fino a quando non aveva visto lei. Già al primo sguardo si era innamorato, l’aveva accolta con calore a Palazzo degli Albizzi e si era praticamente trasformato in un damerino che non la lasciava mai e pendeva dalle sue labbra. Nel ripensare ai tormenti che lo avevano colto prima di conoscerla, si sentiva un povero stupido. Fin dal giorno del suo arrivo a Firenze, assieme al padre Massimo e allo zio Ezio, lui le aveva parlato di sé, delle vittorie della propria vita, e poi le aveva porto decine di domande spinto dal desiderio di conoscerla fino in fondo all’anima. Era una fanciulla così aggraziata, così gentile, così sorridente che ogni minuto con lei era tempo ben speso. Odiava doverla salutare quando era il momento di ritirarsi per la notte, ma poi al mattino si faceva trovare nella sala da giorno già all’alba, dove lei aveva imparato a raggiungerlo prima ancora che i loro parenti si svegliassero. Per questo sotto i loro occhi cominciarono a formarsi delle ombre per la mancanza di sonno!
Ogni giorno, quasi per l’intera giornata, era compito di Tommaso far loro da chaperon, seguirli in ogni dove del palazzo ed essere costantemente nei paraggi a controllare che non si comportassero in modo ‘disdicevole’. Se in principio non aveva preso bene l’incarico,  ritenendolo noioso e poco virile, poi col passare dei giorni aveva imparato ad ascoltare ogni loro parola, ad osservare ogni loro sguardo ed imprimere tutto nella memoria per la sera, quando incontrava Stella per riferirle il tutto e insieme si facevano delle gran risate. Non aveva idea che sotto la corazza Ormanno potesse essere così tenero. Sembrava una persona completamente diversa dal ragazzo che pochi mesi prima voleva vedere morta Lucrezia de’ Medici solo per gelosia. E la cosa gli faceva davvero piacere.
Quel mattino andò a bussare alla sua porta e lo trovò di fronte allo specchio, intento a sistemarsi la folta chioma corvina. Non riuscì a trattenere una risata e a nulla servì chinare il capo e coprirsi le labbra col dorso della mano.
Ormanno però non si offese, guardò il suo riflesso sullo specchio: “Cosa c’è?”
Tommaso scosse il capo e trattenne il respiro alcuni secondi per placare le risate. Rialzando il capo, col viso arrossato e gli occhi che quasi lacrimavano, rispose: “Nulla. Solo che non vi avevo mai visto così attento al vostro aspetto esteriore.”
Ormanno gli lanciò un’occhiata complice, quindi passò a sistemare il colletto della vaporosa giacca di velluto: “Hai controllato che Isabella non sia già scesa?”
“Sì, la sala è ancora vuota.”
“Bene.” Finito di prepararsi, Ormanno abbandonò lo specchio. Tommaso, da buon servitore, gli aprì la porta e gli lasciò libero il passaggio. Visto che a quell’ora non vi era anima viva per i corridoi, affiancò il suo Signore e gli parlò con tono confidenziale: “E’ rimasto un angolo di palazzo che non le abbiate ancora mostrato, con tanto di spiegazioni e aneddoti?”
Ormanno lo guardò con sospetto: “Lo faccio solo per farla sentire a proprio agio nella dimora in cui vivrà per il resto della vita. O vuoi forse insinuare che sono pomposo?”
“Non lo dire mai, Ormanno. Anzi trovo che siate molto galante.” Ma poi si prodigò in una buffa imitazione di lui: “E questa, mia amata, è la Stanza della Latrina. La mia prediletta. Vengo qui almeno una volta al giorno a riflettere sull’esistenza umana. Ma non dimentico mai di porgere il mio pensiero anche a voi.”
In risposta si beccò una meritata gomitata sulle costole seguita da un’altra in pieno stomaco che per un momento gli tolse il respiro.
“Ti fai beffe di me, Apprendista?” Ormanno usò quell’appellativo per fargli capire che non era in collera e che lo scherzo tra loro continuava. Ma ugualmente Tommaso preferì ricomporsi e cambiare tono: “Lo faccio perché sono lieto di vedervi così felice. Sapevo che in voi c’era più di quanto lasciavate vedere. E trovo che il modo in cui state vivendo questo sentimento d’amore per damigella Contarini vi faccia onore.” Mosse lo sguardo giusto per deliziarsi del sorriso di apprezzamento di Ormanno  e solo allora riprese a scherzare: “A patto che non diventiate troppo sdolcinato!”
Ormanno spalancò la bocca, fingendosi offeso, ma scoppiò a ridere quasi subito: “Da quale pulpito! Temo che tu mi abbia già superato in romanticismo, amico mio. Non sei forse tu quello che ha fatto una proposta di matrimonio alla luce del tramonto?”
Vide Tommaso arrossire, perciò continuò con teatrale sentimento: “Tu, che le hai confessato il tuo amore e le hai donato un anello di incredibile bellezza. Tu, che hai chiesto il permesso a mia madre di portare via la tua amata per una romantica fuga d’amore tra le vie di Firenze fino al Ponte Vecchio. Tu, che hai supplicato mio padre che detesti affinché ti concedesse di prendere una bottiglia di buon vino dalla cantina. Tu, che…”
Tommaso lo interruppe: “Sì, va bene, siete stato esauriente.” Anche se le cose erano andate esattamente come aveva detto, si sentiva comunque imbarazzato nel sentirle elencare con dovizia di particolari. Per fortuna raggiunsero la sala e Isabella arrivò appena un paio di minuti dopo di loro.
*
“Dunque è deciso. La cena avrà luogo fra tre giorni nel mio palazzo.” Concluse Pazzi, alzandosi.
Rinaldo posò il calice sul tavolino accanto a sé e si alzò a sua volta: “Una serata piacevole è giusto ciò di cui abbiamo bisogno tutti noi.” E fece un cenno a sua moglie che ricambiò con un sorriso.
“E’ il minimo che io possa fare per omaggiare ospiti così illustri.” Aggiunse Pazzi, rivolgendosi ai Contarini.
Massimo chinò rispettosamente il capo: “Onorato, Messere.”
Terminati i convenevoli, Andrea porse la mano a Caterina per aiutarla a rialzarsi. Lei gli sorrise gentile, per poi lasciare la sua mano e andare a porgere i saluti a Madonna Alessandra. Andrea allora andò a stringere la mano al fratello di Massimo, Ezio, e poi a baciare la mano della deliziosa Isabella, quindi avvicinò Ormanno per sussurrargli all’orecchio: “I miei complimenti, è davvero incantevole.” Si scambiarono un’occhiata complice prima che lui tornasse dalla moglie.
Ormanno vagò con lo sguardo per la stanza, in cerca di Tommaso: “Ah eccoti. Accompagna Messer Pazzi e Madonna Caterina all’uscita.”
Lui fece un inchino: “Sì, mio Signore.” E fece strada alla coppia.
“Avete visto in che modo si guardano Ormanno e Isabella?” Civettò Caterina, una volta fuori dalla sala.
“E il padre di lei non ne sembra affatto contrariato, il che mi fa pensare che le nozze potrebbero avere luogo presto.”
“Sempre che il vostro amico Rinaldo non avanzi troppe pretese sulla dote e mandi tutto in fumo.” Disse lei stizzita.
Andrea le lanciò un’occhiata storta: “Vi pregherei di tenere queste opinioni per voi. Inoltre vi ricordo che non dovreste nemmeno essere a conoscenza di questo fatto. Non fatemi pentire di essermi confidato con voi.”
“Oh non ho detto nulla di diverso dal vero. Ma se questo vi offende, starò al mio posto.”
Tommaso, anche se aveva fatto finta di nulla, aveva ovviamente ascoltato quel dialogo tra i due coniugi. Ogni giorno che passava si sentiva sempre più fortunato ad essere nato comune cittadino e a non dover sottostare ad obblighi come il matrimonio combinato. Preferiva di gran lunga un matrimonio d’amore e poche risorse piuttosto di vivere nel lusso ed essere affiancato da una moglie di cui non gli importava nulla, come nel caso dei Pazzi.
Giunti all’ingresso, Tommaso aprì loro la doppia porta e si appostò fuori a capo chino.
Caterina lo ignorò completamente, Andrea invece fu più educato: “Grazie, ragazzo. E ancora i miei auguri per il tuo fidanzamento.”
Certo ricevere gli auguri non gli dispiaceva, ma a lungo andare si stava stancando di avere tutta quell’attenzione su di sé. Soprattutto per il fatto che gli Albizzi avevano fatto circolare la notizia come fosse l’evento dell’anno -come se un matrimonio tra servi potesse interessare a qualcuno- solo per distogliere l’attenzione dagli affari che stavano concludendo. Ma poi, che senso aveva tenere nascosto un accordo per il fidanzamento tra Isabella e Ormanno? Di cosa avevano timore?
Abbandonò i propri pensieri e rispettivi interrogativi e fece per rientrare, ma ecco che un uomo incappucciato, passando, gli fece cenno di seguirlo. Sulle prime Tommaso rimase immobile, ma poi la curiosità lo spinse a reagire. Accostò la doppia porta e, dopo aver sfiorato con le dita l’elsa della spada al fianco per infondersi coraggio, si recò allo stretto vicolo che costeggiava il palazzo, dove l’uomo aveva svoltato. Quando lo trovò ad attenderlo nella penombra, si fece più cauto e parlò con tono di voce fermo: “Chi siete?”
La figura si voltò e gli balzò addosso. Prima che lui potesse emettere qualunque suono, si ritrovò spalle al muro e con la gola stretta in una morsa. Con la mano libera, l’uomo si tirò indietro il cappuccio.
“Voi.” Ringhiò Tommaso, riconoscendolo.
Marco Bello sfoggiò un sorriso di scherno: “Vedo che non mi hai dimenticato! Purtroppo per te nemmeno io ho dimenticato il tuo bel faccino.”
“Che cosa volete da me?” Aveva iniziato quasi in un grido, ma poi la stretta alla gola gli spezzò il fiato e la voce.
Marco avvicinò ulteriormente il viso al suo e gli alitò in faccia ogni parola: “Mi sono informato su di te fin dal nostro primo incontro, ragazzino. Quando ho saputo che un tempo lavoravi per lo speziale, mi sono chiesto perché mai un ragazzo che ha perduto tutto si offrisse volontario per curare i malati di peste, riuniti da Cosimo nella Cattedrale, senza ricevere compenso alcuno. E poi ho scoperto che eri già stato preso come servo degli Albizzi. Strana coincidenza, non trovi?”
“Solo perché indosso lo stemma degli Albizzi non significa che io la pensi come loro.” Tentò di difendersi Tommaso, ma Marco lo obbligò a tacere e riprese la parola: “Pochi giorni dopo il mio Signore è stato fatto arrestare da Albizzi che poi lo ha fatto avvelenare in cella. Non un veleno mortale, no, ma comunque una dose sufficiente da non permettergli di difendersi al processo. Certo per creare un preparato così bisogna avere ottime conoscenze in materia. E guarda caso tu eri l’apprendista di uno speziale.”
Tommaso sfoggiò un sorriso di scherno: “Mi lusingate con le vostre allusioni!”
Marco a quel punto si fece più severo: “E ora ti trovo armato e con addosso una divisa da guardia. Davvero una carriera sorprendente per un una nullità come te. Ma…non sono qui per questo. I tuoi giochetti sporchi non mi interessano.”
“Che cosa volete, allora?” Chiese Tommaso, digrignando i denti.
Marco spalancò gli occhi sui suoi: “Voglio che tu mi dica dove è finito il Registro di bottega dello speziale. Mi serve con urgenza.”
Tommaso, suo malgrado, gli rise in faccia: “Avreste dovuto chiederlo a lui prima di ucciderlo!” Ma subito dopo la sua espressione mutò in rabbia: “L’avete pugnalato alle spalle, cane bastardo.”
Marco incassò il colpo, lasciarsi andare ad uno scatto d’ira non sarebbe servito a nulla: “Non l’ho ucciso io.”
“E invece sì. Lo avete minacciato e poi lo avete ucciso.”
“L’avevo minacciato, è vero, ma non l’avrei ucciso. Lui aveva informazioni che mi interessavano. Quella notte l’ho trovato morto con un pugnale conficcato nella schiena. Ho preso il pugnale e me ne sono andato.”
Nella mente di Tommaso si riaccese un ricordo, anzi una serie di fatti che prima sconnessi ora avevano un filo logico: “Il pugnale scomparso. La guardia di Lupo Corona. Lorenzo de’ Medici.” Il suo volto divenne esangue nel giungere alla conclusione finale: “E’ stato Lorenzo de’ Medici ad assassinare il mio Maestro. Quel figlio di…”
Marco lo interruppe appena in tempo: “Ti consiglio di tenere a freno la lingua, ragazzino, o dovrò tagliartela. Stai lavorando troppo di fantasia. E ora dimmi dove si trova il Registro.”
Lui distolse lo sguardo: “Probabilmente è stato sequestrato dagli uomini del Gonfaloniere come tutto il resto. Lo speziale non aveva famiglia, perciò nessuno ha reclamato i suoi averi.”
Marco buttò fuori l’aria dalle narici come una bestia, tanto era contrariato. Ormai l’unico modo di scoprire chi aveva ucciso Giovanni era impossessarsi di quel Registro. I soli indizi che aveva per le mani portavano alla colpevolezza di Lorenzo, ma come poteva credere che avesse ucciso il suo stesso padre? E per quale motivo poi? Aveva bisogno di certezze, ma senza Registro come fare?
“Va bene.” Marco lasciò andare Tommaso, ma prima che lui se ne andasse gli diede un avvertimento: “Chi ha ucciso lo speziale ha ucciso anche Giovanni de’ Medici. Visto che ora abbiamo un interesse in comune, ti consiglio di non dire niente ai tuoi padroni.”
Tommaso rimase alcuni istanti in silenzio, poi sentenziò: “D’accordo. Ma sappiate che io e voi non siamo dalla stessa parte. A me interessa solo avere giustizia per l’assassinio del mio Maestro.” Gli voltò le spalle e uscì dal vicolo. Non si accorse che all’angolo Pazzi aveva sentito buona parte della conversazione. Con mille interrogativi per la mente, Andrea lasciò la postazione e s’incamminò in direzione di casa. Trovò Caterina ad attenderlo sulla soglia: “Lo avete trovato?” Gli chiese ansiosa.
Andrea sgranò gli occhi ed emise un mugolio interrogativo.
“Il mio fazzoletto di seta!” Caterina s’illuminò nel vederlo tra le dita del marito. Se ne impossessò e gli diede un bacio a fior di labbra come ringraziamento, quindi rientrò contenta e sorridente. 
  
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