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Autore: Emmastory    25/06/2017    3 recensioni
La vita di Rain e del suo gruppo continua, ma purtroppo senza uno dei compagni di viaggio. Sono passati ben quattro anni da quando la povera Samira è morta da eroina sul campo di battaglia, tentando assieme agli amici di eliminare una minaccia ormai conosciuta, ovvero i Ladri. Ora come ora, con la calma che regna sovrana ad Ascantha, nessuno sa cosa sia successo davvero, se la guerra sia finita, o sei ai nostri eroi sia stata concessa una tregua. Sempre uniti e fiduciosi, sono decisi a combattere le loro battaglie, e sperare, con tutte le loro forze, in un nuovo e sereno domani. Come andrà a finire? Scopritelo unendovi di nuovo a loro, nell'ultimo capitolo della saga di Aveiron.
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-VII-mod
 
 
Capitolo VII

Trappola mentale

È ancora estate, e Alisia vive ancora a casa con me. Essendo sua sorella seppur non di sangue, faccio sempre del mio meglio per aiutarla, specialmente ora che mi ha confessato di avere dei vividi ricordi di Ashton. Negativi, certo, ma pur sempre ricordi. È tutto iniziato qualche giorno fa, durante una sua visita allo studio del dottor Patrick. Vi era entrata lamentando dolori alla testa e in ogni parte del corpo, e noi eravamo lì con lei per rassicurarla, aspettando in silenzio e tensione appena fuori dalla porta. Il suo colloquio con il dottore durò per ben venti minuti, e quando uscì da quella porta non parve cambiata di una virgola. Sempre tremante, spaventata e nervosa, perfino dolorante. Pur avendola visitata, il dottore non sapeva spiegarsi il perché del suo stato di salute, ma nonostante tutto, una speranza. Come tutti sapevamo, lui e sua moglie Janet lavoravano insieme, e in alcuni casi, si era ritrovato costretto a lasciare che fosse proprio lei ad accudire i pazienti qualora lui non ci riuscisse. Non gliel’avevo mai detto, ma ad essere sincera, ne ero felice. La dottoressa Janet era competente, ma era anche una donna, e proprio per questo possedeva l’intuito femminile che ero certa avesse potuto aiutare mia sorella. Così, la pregai di fare un tentativo, e appena un’ora più tardi, una seconda visita. Questa volta, l’entrata in studio fu permessa solo ad Ilmion, che era preoccupato, ma sorrideva debolmente. Evidentemente, aveva collegato ogni sintomo con una nuova e inaspettata gravidanza, e attendeva di ricevere la lieta novella diventando poi padre ancora una volta, ma pur non volendo smorzare il suo entusiasmo, ero sicura che quello non fosse il caso. Stefan era della mia stessa idea, ma anche lui taceva. Seduti in sala d’attesa, ingannavamo il tempo guardandoci e sperando che non fosse nulla di grave, e quando dopo dieci interminabili minuti vidi la dottoressa Janet lasciare il suo studio, scattai in piedi come una molla. “Dottoressa, la prego, mi dica che sta bene.” Le mie parole la travolsero come un fiume in piena, uscendo dalla mia bocca a velocità impressionante, ma quando non rispose, e il mio sguardo incrociò quello di Ilmion, il mio viso divenne scuro come la notte. Con fare sconsolato, tornai a sedermi, e solo allora, la dottoressa decise di parlare. “È grave, ragazzi. Mi dispiace.” Disse soltanto, omettendo tutti gli importanti dettagli che desideravamo conoscere. A quel punto, il silenzio cadde nella stanza rendendoci quasi sordi. Poi, però, e con nostra grande sorpresa, una voce sottile lo ruppe come vetro. Sforzandosi di camminare, la piccola Erin si alzò in piedi, e tirando leggermente il camice della dottoressa, la guardò con occhi lucidi di pianto.”La mia mamma non morirà, vero?” chiese, mentre la voce minacciava di spezzarsi e il mento le tremava a causa della tristezza. “Cosa? No, piccola, la mamma sta bene, fidati.” Rispose la dottoressa, sorridendo e regalandole una forse falsa speranza. “Allora che significa che è grave?” proruppe Cecilia, alzandosi anche lei in piedi e unendosi alla sorella. A quelle parole, nessuno rispose, e prendendole entrambe in braccio, Stefan ed io le portammo via da lì. Ci dispiaceva vederle soffrire in questo modo, così provammo a distrarle facendole giocare nello spazioso atrio, ma nulla parve funzionare. “Non posso, non mentre mamma sta male.” Dicevano entrambe, lasciando andare i loro pupazzi e rifiutandosi di usarli come erano solite fare, per poi rannicchiarsi a piangere in un angolo. “Erin, tesoro, alzati, la mamma sta bene, davvero.” Provai a dire, tendendo alla piccola una mano perché si rimettesse in piedi. “Non ci credo. Sei bugiarda, e non mi piacciono le bugie.” Rispose, quasi urlando e rifiutando la mia mano spingendola via da sé. Con il cuore stretto in una morsa, mi allontanai e provai a fare lo stesso con Cecilia, ma senza risultati. “Bugiarda.” Mi disse anche lei, arrabbiata per quanto era appena successo. Lentamente, il tempo continuò a trascorrere, e una volta a casa, mi sentii malissimo. Mi veniva da piangere anche se non volevo, e provavo quest’orribile sensazione stando alla quale il cuore mi venisse strappato dal petto. Come ben sapevo, il sangue non mi avrebbe mai unita ad Alisia, ma i sentimenti sì, ed era proprio questo il problema. I medici dicevano che non era in pericolo di vita, ed era un bene, ma ora eravamo tutti qui a soffrire per lei. La casa in sua assenza sembrava vuota, e perfino Ilmion non sapeva più che fare. Avrebbe voluto aiutarla, ma in che modo? Nessuno lo sapeva, e pregando, restavo ancorata a quell’unica certezza. Non sarebbe morta, ma in compenso, e dati i segreti che mi aveva confidato, sarebbe rimasta incastrata in una vera e propria trappola mentale.
   
 
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