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Autore: lessi    27/06/2017    0 recensioni
Ciao, mi chiamo Stella ho 16 e vengo da un paese in provincia di Napoli...
Questa è la mia storia, la mia vita...
Il 28 Ottobre 2013 la parte piú importante e forte della mia vita è volata via in cielo: mia mamma.
Penso che perdere la propria madre a 16 anni sia inimmagginabile, è come se gran parte di te se ne vada via con lei...
io ero distrutta, morta dentro, ma tutto ció non bastava perchè al mio dolore si sommarono tutte le responsabilitá che ora toccavano a me: mi dovevo occupare di mio padre che si mostrava forte, ma io sapevo che non stava meglio di me e poi dovevo badare a mio fratello di appena 10 anni...
Dovevo mandare avanti la casa come una casalinga e in tutto ció dovevo anche andare a scuola...
"Percorsi il corridoio e stavo per arrivare in bagno quando andai a sbattere contro qualcuno.
dicemmo contemporaneamente.
Quando sentí la sua voce alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi, in quel momento vidi il suo sorriso sparire e diventare serio.
. Disse.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Se quel giorno non fossi andata a scuola tutto sarebbe andato diversamente e soprattutto non l’avrei mai conosciuto. Erano le 7:10, la sveglia suonava già da dieci minuti ed io non accennavo a volermi alzare quando mio padre, un uomo di quasi cinquant’anni, comparve sulla porta di camera mia. "Ehi, perché sei ancora a letto?" Non volevo alzarmi, il mio corpo non voleva muoversi ma con tutta la volontà che possedevo scostai il piumone e l’aria fredda del mattina mi colpì in pieno facendomi desiderare ancora di più di voler rimanere nel mio lettino caldo. "Ora mi preparo" Misi le pantofole e mi diressi in cucina dove una fumante tazza di tè mi stava aspettando. Mi sedetti e con entrambe le mani afferrai il tè . finì la mia misera colazione e velocemente mi preparai, per le 7:50 ero pronta. Uscì dall’androne del mio palazzo e il gelo mi travolse, mi strinsi nel mio giubbino per riscaldarmi. Presi coraggio e mi diressi in macchina, almeno lì c’erano i riscaldamenti. In cinque minuti ero già a scuola, mio padre mi lasciò fuori al cancello e ripartì. Mi avvicinai alle mie amiche che stavano chiacchierando. "Buongiorno, ragà" "We Stella! Come va? Ti vedo un po’ assonnata" Se ne è accorta anche lei che sono rimasta mentalmente a letto. "Non mi andava di venire stamattina. Ma poi l’ho vista come un’assenza inutile" "Ah cett’ cett’" disse la mia amica Valentina, quella mattina aveva molta voglia di scherzare. "Ridi, ridi tu. Intanto il mio letto mi sta ancora chiamando, urlando a squarciagola" "Ah è vero! Lo sento anch’io" sentì dire alle mie spalle, mi voltai e trovai Daniele, l’unico maschio della mia classe ed anche il più desiderato di tutto il mio indirizzo, il linguistico. Io sinceramente non lo trovavo così bello come lo definivano per me il vero bello era Alessandro, l’imprescindibile, Alessandro Berti. Biondo e con gli occhi verdi come smeraldi, che ipnotizzano, fisico da giocatore di football e dolce come pochi. "Ehi? Ti sei incantata?" Mi disse Daniele passando la mano davanti ai miei occhi. "Stavo pensando ad una bella cosa". Risposi divertita. "Allora pensavi a me?" "Non montarti la testa non sei il centro del mondo. Beh ma se vuoi saperlo … pensavo ad un ragazzo" "La nostra Soriano è innamorata" Urlò l’idiota. "No, ma è un bel vedere" "E chi sarebbe il fortunato?" "Non sono affari suoi signor Fergola" "Ah, allora …" Girò le spalle e se ne andò, senza nemmeno salutare. Il solito maleducato. Quando entrammo in classe il prof era già pronto seduto dietro la cattedra con il registro in mano. Ma perché doveva essere così antipatico? Non era nemmeno iniziata la giornata che lui progettava già a chi mettere il prossimo due in filosofia. Io ero ricercata dal prof da settimane, poiché ogni volta che c’era lui io mi assentavo perché non riuscivo mai a studiare ed anche quel giorno non era diverso dagli altri. Non ci riuscivo a studiare, la filosofia era incomprensibile per me, forse quando prendevo gli appunti qualcosa capivo ma se dovevo studiare dal libro, niente non mi entrava una singola virgola. Ma prima o poi avrei dovuto affrontare il prof. "Buongiorno signorina Soriano, finalmente! Credevo fosse morta" "Buongiorno, prof. Da come può vedere sono viva" risposi. Mi andai a sedere a mio posto e aprì il libro facendo finta di ripetere qualcosa. La classe man mano si riempì a parte qualche assente. "Ovviamente la priorità per l’interrogazione va a lei, signorina Soriano" “Ovviamente” pensai. "Prof è inutile non so niente. Mi metta il due" "È sicura? Poi non potrà dire che non l’ho chiamata, perché io l’ho fatto" "Certo, non si preoccupi" "Come vuole". Aprì il registro, cercò la pagina col mio nome e mise il due. Spesso a scuola ero strafottente, sembrava che non mi interessasse nulla delle insufficienze e quando un prof diceva qualcosa che a me dava fastidio io rispondevo anche se nei limiti dell’educazione. Ma come ho detto “sembrava” perché mi importava più di quello che credevano tutti, la mia vita girava intorno alla scuola e la cosa più brutta era leggere la delusione negli occhi di mio padre ogni volta che avevo un’insufficienza. Il suo volto mi comparve nella mente e avevo solo voglia di mandare a fan culo il prof e piangere, piangere fin ché non mi si fossero seccati i condotti lacrimali. Sentivo di non potermi trattenere allungo. "Posso uscire, prof?" "Sì, vada Soriano. Tanto che importa se non ascolta la spiegazione?" chiese ironico, ma feci finta di non aver sentito e uscì. Nemmeno il tempo di chiudere la porta che le mie guance erano già zuppe di lacrime. Non riuscivo a fregarmene come facevo credere. Percorsi il corridoio e stavo per arrivare al bagno quando andai a sbattere contro qualcuno. "Scusa" dicemmo contemporaneamente. Quando sentì la sua voce alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi, in quel momento vidi il sorriso sparire dal suo volto e diventare serio. "Ma tu stai piangendo". Disse "Che scoperta". Risposi acida, ero troppo arrabbiata per essere gentile. "Posso sapere perché?". Ma perché non la smette? Che vuole da me? Non sono dell’umore per chiacchierare, forse in un altro momento l’avrei fatto, è un bel ragazzo ora che ci faccio caso, ma fa troppe domande. "Non ci conosciamo nemmeno perché dovrei dirtelo?". Chiesi ironica, ero pronta ad allontanarmi da lui ma parlò prima che potessi farlo. "Appunto per questo! Non ci conosciamo e quindi potresti sfogarti, liberarti di un peso e poi non ci vedremo più. Tanto la scuola è grande, quante possibilità ci sono di incontrarci senza conoscere qual è la nostra classe?". "Hai ragione ma non mi va di raccontare i miei problemi ad uno sconosciuto". Feci di nuovo per andarmene però fui fermata dalla sua mano sul mio braccio. "Sfogati, non ci rivedremo, non ci sarà imbarazzo e posso assicurati che non dirò niente a nessuno". "Non è il caso" se insisteva ancora avrei confessato anche un omicidio. Senza lasciarmi il braccio rispose "Non ti lasciò fin ché non butti tutto fuori" Stavo per controbattere quando suonò la campanella dell’intervallo. "È anche suonato l’intervallo abbiamo tempo" Non era certamente uno che molla. Ma non conoscevo nemmeno il suo nome … volevo sfogarmi, buttare fuori tutta la rabbia. "Come ti chiami?" gli chiesi. "Sono Lorenzo. Tu?" "Stella, ora almeno non sei più uno sconosciuto. Vieni con me andiamo nel cortile". Mi lasciò il braccio, presi a camminare e lui mi seguì. Mi andai a sedere sulle scale di emergenza della scuola e lui fece lo stesso. “Stavo davvero per sfogarmi con uno sconosciuto?” pensai. "Da dove vuoi partire?" Disse incatenando i suoi occhi ai miei. "Ho preso un due in filosofia, l’ennesimo. E l’ironia di quello stronzo di un professore mi ha fatto scattare" "E piangi per questo? Scommetto che il tuo prof è Allocca, vero?". Annuì a testa bassa. "Lo sapevo. È uno stronzo. È anche il mio professore. Io nella sua materia ho un costante due ma alla fine dell’anno compare magicamente un sei" "Sì, ma il mio è un due perché mi rifiuto di andare all'interrogazione" "Perché non vai e ti prendi il due senza provarci?" "Perché non so niente, zero. E … perché … avvicinarmi alla cattedra mi fa andare in panico. Poi tutti credono che non me ne freghi niente perché sono strafottente, facendoglielo credere. Mi fa male sapere che nessuno mi conosce davvero". "Non hai mai studiato dall'inizio dell’anno? Non ci hai mai provato?" ""Non ho tempo" risposi telegrafica. "Cos'hai di così impegnativo ed importante da fare che non ti permette di studiare?". Mi disse con un sorrisino "Ho tutto da fare. Occuparmi della casa, di mio padre e di mio fratello" risposi in un sussurro. "Tua madre?". "Non c’è. Non c’è da tre mesi, se conti l’ospedale sono sette. Era malata di tumore". "Ah. Mi dispiace" disse abbassando la testa diventando cupo. Lo sapevo tutti si scusano quando viene fuori che mia mamma non c’è più, odio quando le persone lo fanno. Che hanno da scusarsi, mica l’hanno uccisa loro? È stata quella malattia del cazzo e questa terra tossica. Poi la sua voce mi destò dai miei pensieri "Io ho perso mio padre come te e ho dovuto prendere il suo posto" Oramai stavo piangendo di nuovo, però non sapevo più se per me o per lui. Forse per entrambi, sì, perché entrambi occupavamo posti non nostri, contro la nostra volontà e mentre eravamo troppo giovani. "La cosa peggiore sono quelli che cercano di capirti e ti dicono devi essere forte. Oppure chi dice ora devi essere tu la roccia della famiglia. Cavolo! Ho solo sedici anni! Non dovrei essere io la roccia" dissi singhiozzando. "Lo so come ti senti. Forse io non devo occuparmi della casa ma ora tocca a me lavorare e lo faccio già da più di un anno, in un pub, il ché significa attaccare alle 19 e finire verso le due di notte quasi tutti i giorni, per non parlare dei weekend estivi in cui si finisce anche alle cinque". "Allora come fai a studiare?" mi voltai verso di lui e mi accorsi che suoi i occhi erano verdi ed in quel momento lucidi, pensai che da un momento all’altro avesse pianto anche lui, ma non lo fece. "Studio poco e provo ad andare alle interrogazioni e anche se i miei voti vanno dal due al quattro poi compaiono tutti sei. Non voglio nemmeno lontanamente paragonarmi a te perché una madre è il centro di tutto ma dovresti, che so’ almeno fare un paragrafo. Così sanno che ci stai provando" "A che anno sei?" "Quarto. Ma non cambiare discorso" "Lo farei se volessi davvero" gli risposi senza rendermene conto.
  
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