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Autore: Ormhaxan    27/06/2017    20 recensioni
Gabrielle Nakovrar ha diciotto anni quando, seguendo le orme di suo padre e sua nonna prima di lei, entra a far parte della Bræthanir, la Fratellanza, gruppo di spietati e famigerati soldati al servizio dei sovrani di Yvjór, il regno della Primavera.
Ben presto, però, si renderà conto che dietro la gloriosa facciata fatta di palazzi maestosi, balli in maschera e sorrisi accondiscendenti si nasconde qualcosa di più profondo, oscuri segreti custoditi da secoli e la volontà di annientare coloro che dovrebbe essere protetti.
Nel regno a Nord di Ynjór, estremo baluardo che ancora resiste al dominio dei sovrani della Primavera, gli ultimi discendenti dei Sýrin, i mutaforma che un tempo popolavano ogni angolo dell'isola di Vøkandar, si stanno riunendo, insieme ad altri ribelli, sotto il comando di una combattente misteriosa che si fa chiamare Narmana.
E sarà proprio Narmana e il suo esercito che Gabrielle, adesso conosciuta con il nome di Nako, dovrà cercare di combattere quando la regina Lorhanna e il suo fratello bastardo, Lucien, ordineranno alla Fratellanza di marciare verso Nord in una missione che sembra essere un suicidio preannunciato.
Il vero nemico avrà realmente le sembianze di un lupo albino?
Genere: Angst, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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NAKOVRAR  — Vermiglio è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale












Yvjór, regno a Sud di Vøkandar — 312 della Seconda Era



 


Il lungo vestito di seta azzurra svolazzò nell’aria tiepida del tramonto.
Gabrielle scese lentamente dalla carrozza trainata da quattro cavalli dal bruno manto e osservò fugacemente il palazzo di Yvjóstafir, l’Eterna Primavera, risplendere davanti ai suoi occhi color dell’ambra.
La prima volta che aveva visitato il palazzo, quasi dieci anni prima, suo padre era stato al suo fianco e aveva sorriso nel vedere i suoi occhi sgranati riempirsi dei colori vivaci e dalla bellezza senza eguali della dimora dei sovrani del Sud; mai, prima di quel momento, la giovane aveva ammirato delle colonne color smeraldo rese talmente brillanti alla luce del sole o il luccicante oro intarsiato sui capitelli e sulle foglie di acanto e vite che risplendeva come fuoco ardente, quasi a dare vita all’intera architettura.
Vedendola, suo padre le aveva confessato che anche lui, molti e molti anni prima, era rimasto incantato esattamente come lei la prima volta che aveva visitato il palazzo senza tempo, le cui origini affondavano nella notte dei tempi, alla prima era in cui la magia scorreva ovunque in quelle terre e i signori di Yviór vivevano in pace con i regnanti delle terre vicine.
Ora, però, al suo fianco non vi era più il suo adorato padre e ogni piccolo dettaglio di quella città aveva perso per sempre il suo fascino.


«Non essere nervosa, Gabrielle. — le disse sua madre mentre salivano la scalinata che conduceva all’ingresso del palazzo — Questo è un momento importante per te: oggi compi diciotto anni, diventi a tutti gli effetti una orgogliosa cittadina di Yvjór e sarà la regina stessa a dichiarare il tuo ingresso ufficiale in società.»
Gabrielle rispose con un sorriso, continuando a camminare a passo lento, bene attenta a non inciampare in quel vestito troppo lungo per la sua altezza: sua madre aveva aspettato quel momento per anni, come sua unica figlia si aspettava grandi cosa da lei, cose straordinarie degne del nome che portava.
La sua famiglia era nota nella capitale, tutti conoscevano il nome Nakovrar e ciò che questo significava: prestigio, ammirazione, un posto speciale nella società, al servizio del sovrano.
Come sua nonna e suo padre prima di lei, anche Gabrielle si sarebbe unita alla Bræthanir, la Fratellanza, una fazione di soldati le cui regole erano avvolte nel mistero e il cui unico scopo era quello di servire il sovrano e compiere ogni suo desiderio.
Sin dalla tenera età aveva imparato che chi entrava nella Fratellanza lasciava la sua casa d’origine, per almeno cinque anni non aveva contatti con nessuno della famiglia; ogni suo componente era libero di tornare tra la propria gente solo per trovare moglie o marito, generare figli per portare avanti la stirpe, ma mai sposarsi con qualcuno non appartenente a un’altra casata legata alla fazione o alla nobiltà più alta.
Ogni componente della Fratellanza, in ogni caso, non viveva mai a lungo per vedere la propria progenie crescere e prendere il proprio posto; il padre e la nonna di Gabrielle non facevano eccezione alcuna.  


Due dei molti lacchè vestiti di tutto punto con la divisa color smeraldo e oro, colori della casata degli Yvjórstin, accolsero Gabrielle e sua madre non appena misero piede oltre nell’imponente ingresso del palazzo; senza dire nulla, raccolsero le loro pellicce e indicarono con gesti cortesi le scale a doppia rampa di marmo e cristallo che conducevano alla sala dei Fiori, la sala in cui si tenevano le celebrazioni più importati, al piano superiore.
I gradini e il corrimano, notò estasiata Gabrielle, era fatto di marmo rosa, una rarità in quelle zone, mentre i candelabri che si diramavano alle due estremità e al centro della scalinata come dei rami di uno Semprinfiore, erano fatti di marmo e cristallo purissimo, che faceva risplendere in tutta la sala le timide fiammelle che si andavano ad unire in un bacio invisibile alla luce esterna che filtrava obliquamente dal soffitto a cupola.
«È passato troppo tempo. — sussurrò flebilmente sua madre, aggiustandosi uno dei ricci color cioccolato che, dispettoso, era sfuggito dalla sua perfetta acconciatura — Finalmente, dopo la morte e il lutto, ci riprenderemo il posto che ci spetta in società.»
Gabrielle si morse la lingua: a lei quella vita non interessava, non le era mai interessata; lei era felice nella sua casa circondata dalla campagna, dai sempreverde e dagli alberi da frutto sempre in fiore, con i suoi animali e la servitù che le voleva bene e alla quale era affezionata. Non le era mai interessata la vita a corte, lo sfarzo, i vestiti pomposi e tutte quelle difficili regole da memorizzare.
Sapeva, però, che quello era il mondo di sua madre, lei che era nata e cresciuta non lontano da quel palazzo, che era una cugina di terzo grado della regina Lorhanna e che era stata abbastanza fortunata da essere scelta come sposa per l’erede dei Nakovrar, Christoph, e portare in grembo la nuova generazione di spietati sicari della corona.
«Sono certa che la regina Lorhanna sarà più che felice di rivederci.» disse infine, ben sapendo di compiacere sua madre con quelle parole prive di trasporto.

La sala dei Fiori era ancor più sfarzosa della facciata e dell’ingesso: candelabri di cristallo ricadevano dal soffitto a vetri attraverso il quale si poteva ammirare il tramonto e le prime stelle in cielo; volute e capitelli pensili ornavano gli angoli e le alte arcate che conducevano ad ampie terrazze semicircolari che si affacciavano sulla città e sul mare poco distante; decorazioni e intrecci di ogni tipo decoravano le pareti con i loro giochi di luci e ombre, tanto che focalizzarsi su di un singolo particolare era praticamente impossibile.

Quella, si disse Gabrielle, era quella la pura rappresentazione della potenza e del potere che la stirpe degli Yvjórstin aveva sul gran parte dell’isola e su tutti loro.


 
 


**
 


Era la prima volta che Gabrielle assaporava un vino speziato così buono.
Nota era la passione della regina per queste particolarità, ma le voci che ne decantavano la raffinatezza e il buon gusto non erano neanche lontanamente vicine al tripudio di sapori che in quel momento si stava sprigionando nel suo palato.

«Lasciatemi indovinare: prima volta che assaporate il vino speziato delle isole di Hafmàrr?»

Gabrielle si girò di scatto, trovandosi quasi faccia a faccia con un ragazzo molto più alto di lei, dalle spalle larghe e il fisico robusto. I suoi occhi non avevano il tipico colore dell’ametista o dello smeraldo che caratterizzava gli abitanti della Capitale, erano di un marrone così scuro da ricordare il tronco di un albero; i lunghi capelli erano neri come il carbone e il suo viso squadrato era contornato da una barba corta e molto curata.

«Perdonatemi, non volevo spaventarvi. — le disse, accorgendosi di averla leggermente turbata — Il mio nome è Bjørn Tsvorag, ma da queste parti mi chiamano Vor.»
«Io sono…»
«So perfettamente chi siete. – la interruppe bruscamente, maledicendosi per la seconda volta in pochi istanti per il suo essere così troppo schietto — Perdonatemi, ancora, è solo che la vostra famiglia è una leggenda e, lo ammetto, sapere che presto saremo fratelli mi rende piuttosto nervoso.»
«Duole rovinare il vostro sogno, ma a momento sono una diciottenne come tante. Non so quasi nulla della Fratellanza, nulla di più di un qualsiasi abitante della capitale e ai miei occhi il nome che porto è più un ostacolo che un privilegio.»
«Sono sicuro che, tra qualche anno, non sarete dello stesso avviso. – Bjørn le sorrise ammiccante — Io sono il primo della mia famiglia ad entrare nella Fratellanza: quando la nostra gloriosa sovrana mi ha fatto l’onore di questa posizione non potevo credere alle mie orecchie, pensavo di esser diventato pazzo, perché tutti sanno che la Fratellanza è una questione di sangue più di quanto la gente voglia ammettere, così…»


Uno squillo di trombe riecheggiò in ogni angolo della sala e un silenzio solenne lo seguì.
Le porte a Ovest si spalancarono e, in tutto il suo algido splendore, la regina Lorhanna fece il suo ingresso scortata da due Cappe di Giada, le guardie personali dei monarchi, e due uomini apparentemente vestiti come tutti gli altri appartenenti alla Bræthanir.
Camminava a testa alta tra le famiglie fondatrici o appartenenti alla Fratellanza accorse a palazzo in quella sera speciale, con passo talmente leggero che sembrava sfiorasse il marmoreo pavimento; indosso aveva un vestito dai colori della primavera, ricamato minuziosamente sulle spalle e sulla gonna rivestita di tulle color cipria con riproduzioni di fiori in boccio dai variopinti colori e piccole foglioline d’oro. I capelli scuri erano acconciati in trecce raccolte ai lati della testa in modo da ricordare una ghirlanda e sul capo portava una tiara di perle e diamanti, simbolo della sua regalità.
Tutti gli occhi erano per lei, ma i propri erano lontani, persi in chissà quali pensieri, tanto che pareva che fosse sola nella grande sala gremita di gente — solo lei, la Seconda Regina, come la chiamavano i suoi detrattori.
Lentamente prese posto sul grande scranno placcato d’oro e rivestito di velluto, le braccia delicatamente poggiate sui braccioli e le mani appena strette alle estremità decorate con le sembianze dello Heryan, il fiore raro che, si diceva, avesse grandi poteri magici, simbolo e stemma della casata degli Yvjórstin — lo stesso che era ricamato più e più volte sulla gonna di Lorhanna.

«Miei nobili sudditi di Yvjór, sono lieta di accogliervi in questo giorno così importante per noi tutti e per il nostro futuro. — Lorhanna accennò un sorriso, la sua voce era sottile ma dal tono sicuro e autorevole — Oggi, come ogni anno, accogliamo i giovani figli delle famiglie che da sempre si battono per la giustizia e per mantenere l’ordine nel nostro amato regno rischiando la loro vita in ogni momento; oggi, come ogni anno, mettiamo il nostro futuro nelle mani di chi è il futuro, di giovani uomini e donne che ci proteggeranno da coloro che, codardi, si muovono nell’ombra e cercano di rovesciare tutto ciò che i nostri padri hanno conquistato e costruito con il sangue.»

Un mormorio di assenso si levò tra i presenti, ognuno di loro ben consapevole di chi fossero le ombre di cui Lorhanna stava parlando: non era segreto ciò che stava accadendo nel regno di Ynjór, il regno della Neve e dell’Inverno del Nord; non era segreto che, ogni giorno di più, un esercito composto da mutaforma e da dominatori degli elementi stava cercando di rovesciare la monarchia, la regina, per portare il caos e la violenza nell’intera isola di Vøkandar.
Da tempo, oramai, la magia era stata bandita dal regno, estirpata come erba cattiva e anche se voci circolavano sul potere del monarchi di controllare l’elemento della Terra, di essere degli Ælothin, dei dominatori della terra, gli ultimi rimasti a Vøkandar, nessuno aveva mai osato prendere suddetti pettegolezzi seriamente.
Certo, ai tempi della prima era ogni sovrano di Yvjór era stato un Ælothin, un dominatore potente e temibile, ma con il passare del tempo quella magia si era spenta del tutto e i nuovi monarchi avevano dimenticato come parlare alla terra, agli animali, alla Natura.

«Miei cari ospiti, — stava continuando Lorhanna, la pelle di porcellana e gli occhi di ametista caratteristici della sua stirpe — prego non indugiate ancora e deliziatevi con i prelibati cibi che i cuochi reali hanno preparato con la maestria che li contraddistingue per voi tutti. Danzate, divertitevi, godetevi ogni secondo di questa serata. Presto, la cerimonia di iniziazione avrà inizio e potremo brindare alla salute dei nostri figli.»

Lo sguardo austero di Lorhanna si posò per la prima volta su Gabrielle: un sorriso compiaciuto si dipinse, solo per un istante, sul viso della sovrana e Gabrielle percepì immediatamente la sua gola farsi secca e un brivido freddo correrle su tutta la schiena.
In quel momento, in quel preciso istante congelato nel flusso del tempo, Gabrielle Nakovrar realizzò che la sua vita non sarebbe mai stata più la stessa.



 

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