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Autore: Miss Simple    28/06/2017    1 recensioni
Avrebbe perso le ali.
Avrebbe vissuto una vita da umano.
Avrebbe lottato per ciò che gli era più caro.
Avrebbe ricordato in un modo o nell'altro?
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lay, Lay, Suho, Suho
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Fallen for love 3.
 
Ampi occhi si aprirono alla realtà, il respiro accelerato come fosse rimasto in apnea per un tempo inimmaginabile, gocce di sudore gocciolavano lungo il suo volto. Una sensazione di angoscia gli si attanagliava al petto, sentiva che mancava qualcosa.
Si guardò attorno, ma tutto era come lo aveva lasciato.
Pc aperto su una pagina word con scritto semplicemente qualche riga per il lavoro che lo aveva portato su quell’isola. Qualche vecchio libro, portato con sé, dove vi erano narrate storie che esaltavano l’amore, erano ancora sparsi sul tavolo.
Joonmyeon si era appisolato qualche minuto, o così credeva. Ricorda di aver deciso di mettersi subito a scrivere, pensò di accorciare i tempi per poi godersi anche dei momenti di relax in quei giorni che avrebbe trascorso a Jeju. Ma a quanto pare la stanchezza del viaggio lo colse mandando a monte i suoi piani.
Ma questo era l’ultimo dei suoi pensieri. L’orrenda sensazione che lo destò dal suo pisolino lo lasciò sconvolto, non era certo di cosa si trattasse. Era sicuro che non aveva sognato, quindi non si poteva trattare di un sogno ma sentiva che si trattava di qualcosa di più profondo, importante, non un semplice sogno.
Non riusciva a darsi una spiegazione, arrivò alla conclusione che era inutile pensarci non sarebbe arrivato a nessuna conclusione, non sapeva a cosa era dovuto quel risveglio così caotico.
“Ma che diavolo…?!” sospirò, passandosi una mano sui capelli, appoggiandosi allo schienale della sedia.
Volse lo sguardo verso la finestra alla sua sinistra, guardò il panorama mentre ormai il sole lasciava l’orizzonte salutando la lunga giornata appena trascorsa, perdendosi per un attimo in quel cielo violaceo che pian piano si oscurava di grigie nuvole.
Tuoni e qualche lampo accompagnati da una leggera pioggerellina presero il suo posto, man mano che il tempo passava la pioggerellina si fece sempre più vigorosa. La strana sensazione che sentiva al petto si trasformò in qualcosa a cui seppe dargli un nome, tristezza e angoscia.
Il cielo in quel momento raffigurava le madri della Syria che aveva visto piangere, durante la visione di un telegiornale, la perdita di un figlio. La disperazione nelle loro grida, nel loro pianto, era tutta rappresentata da quel cielo.
Joonmyeon non era mai stato meteoropatico, non si era mai fatto influenzare dalle giornate di sole o pioggia ma in quel momento, inconsapevolmente, una solitaria lacrima si lasciò cadere sulla sua candita guancia.
Qualcosa era andato storto, qualcosa di importante aveva cessato di vivere e Joonmyeon si sentiva soffocare l’anima, un nodo stretto alla gola non gli permetteva di respirare, la camera in cui alloggiava gli dava l’impressione di rimpicciolirsi sempre di più diventando un cunicolo e un senso di claustrofobia si fece sempre più vivo. Doveva uscire da lì, doveva andarsene, allontanarsi, non importava dove ma l’unica cosa giusta da fare era correre fuori da quella stanza, da quell’albergo.
Senza prendere con sé una giacca o un ombrello corse fuori.
“Signor Kim…” L’uomo alla reception chiamò ma lui continuò a correre.
Si imbatté nella pioggia, che sembrava non volesse cessare. Gli si infrangeva addosso come se volesse punirlo, come se avesse commesso il più grande peccato del secolo. Come se le madri della Syria lo avessero incolpato dell’atroce perdita dei loro figli.
Il cielo piangeva, ne era sicuro, la pioggia non era mai stata salata e adesso quelle grandi lacrime si mischiavano con le sue.
Non cessò di correre, voleva scappare da quella sensazione, voleva liberarsi di quel peccato che non aveva commesso. Era tutto così irreale che non capiva il motivo di tutto ciò.
Cosa aveva fatto di male?
Le gambe iniziarono a bruciare ma lui non si fermò, scansava la gente che intralciava la sua corsa. Non ne poteva più, voleva gridare al cielo di smetterla di farlo sentire in quel modo, che non aveva fatto nulla di male, che non era di certo colpa sua tutto quello che stava succedendo. Se fosse stato possibile avrebbe chiesto anche scusa per qualsiasi cosa fosse successo affinché quei sentimenti di angoscia cessassero e lo lasciassero respirare.
Ad un tratto la sua corsa venne intralciata, la sua spalla colpì quella di un’altra persona, quello che ne seguì fu tutto così confusionario. Quel semplice impatto lo portò a fermarsi, gli occhi si sgranarono e un brivido si estese in tutto il colpo.
 “N-non può essere…”
Una fitta alla testa si fece pressante, portò le mani ai suoi lati stringendo gli occhi e i denti dal dolore.
Le gambe cedettero facendolo cadere su sé stesso mentre il fastidio alla testa si fece sempre più pressante.

Il sole splendeva su un cielo azzurro, un venticello che soffiava qua e là per non soffocare nel caldo estivo.
La famiglia Kim, come ogni anno passava qualche settimana nella residenza estiva.
In quelle settimane si riuniva tutta la famiglia Kim, nonni, zii, e i piccoli ereditieri che presto cresciuti avrebbero preso posto all’interno dell’azienda.

Joonmyeon in quei giorni era sempre perso nei suoi pensieri, nel suo mondo, nel suo prezioso quaderno, non che avrebbe potuto far qualcosa di diverso.
Poi c’era Jongin che in quei giorni passava molto tempo con Jongdae, i due piccoli Kim erano pieni di vita, come del resto tutti i bambi di 6 anni, correvano qua e là, scherzando, giocando ed esplorando.
E poi c’era Taeyeon, un anno più grande di Joonmyeon, fin da piccoli vicini, ma crescendo gli interessi si fecero diversi, portandoli a diventare distanti. Joonmyeon si era sempre più estraniato nel suo mondo non facendo quasi più caso alla cugina quando si riunivano. Così, con grande dispiacere, Taeyeon si allontanò prendendo parte alle chiacchiere della madre e della zia.
Quel mattino i piccoli di casa Kim erano molto iperattivi, correvano da una stanza all’altra, su per le scale, intorno al soggiorno gridando e sghignazzando facendo quasi cadere la signora Hwang mentre serviva del thè freddo ai signori Kim.
“Jongin! Jongdae!” il signor Kim li richiamò.
Joonmyeon non riusciva mai a capire come fosse possibile che un bambino così calmo, come Jongin, cambiasse in presenza del cugino. Ma in fondo avevano pur sempre 6 anni, anche se aveva l’impressione che Jongdae sarebbe stato sempre più iperattivo rispetto al suo fratellino anche da grande.
“P-papà è stata colpa di Dae…”
“Ehi!!”
“Non mi importa di chi sia la colpa. Non accusare nessuno, non ti ho insegnato questo Jongin. Non vi siete fermati un attimo da quando avete aperto gli occhi, cosa sarebbe successo se la signora Hwang fosse caduta? Andate in camera vostra e non uscite prima di pranzo”
“Ma papà.”
“Ma zio…”
Protestando all’ unisono i due piccoli Kim, ma si bloccarono quando videro lo sguardo del più grande, non osando ribattere ancora.
“Zio” chiamò una dolce voce destando il signor Kim “li porterò fuori verso la scogliera così possono correre liberamente.”
Taeyeon aveva visto quello che era successo, il suo piccolo fratellino insieme a Jongin volevano solo divertirsi, era estate e rimanere chiusi in camera non era giusto. Aveva visto come gli occhi dei piccoli Kim si erano rattristiti e come fosse comparso quel piccolo broncio sul loro musino.
“No, Taeyeon. Devono andare in camera l-“
“Su via zio, porterò con me anche Joonmyeon” disse facendo un cenno verso la veranda dove Joonmyeon era seduto su una delle poltrone.
Il più vecchio non disse nulla dandogli un silenzioso consenso.
I piccoli Kim a quella notizia si rianimarono e cominciarono a correre verso l’uscita. Taeyeon andò a chiamare Joonmyeon che era immerso nel suo quaderno.
“Joon ti andrebbe di venire con me e quelle piccole pesti alla scogliera?” domandò senza ricevere risposta.
“Joon? Joonmyeon?” provò ancora a richiamare alla sua attenzione.
“Eh?” fece come destato da un sogno, si voltò alla voce “Oh! Taeyeon”
“Vieni con me a tener d’occhio Jongin e Jongdae alla scogliera? Sono iperattivi e non possono rimanere in casa”
Così i due insieme ai piccoli Kim andarono verso la scogliera che si estendeva davanti alla residenza Kim. Una lunga scogliera dove si poteva ammirare l’orizzonte della grande distesa d’acqua. Taeyeon e Joonmyeon si sedettero ammirando il paesaggio che si mostrava davanti a loro dando qualche occhiata a Jongin e Jongdae che si divertivano con l’aquilone che avevano portato con sé.
“State attenti e non avvicinatevi all’ estremità della scogliera” gridò Joonmyeon.
Il silenzio li circondò, Taeyeon e Joonmyeon non dissero nulla, l’unica cosa che si poteva sentire erano le grida gioiose.
“Joon, ho…ho fatto qualcosa?” domandò Taeyeon mettendo fine a quel silenzio
“Eh? N-no. Perché?”
“Eravamo abituati a parlare del più del meno ma sembra che adesso non vuoi neanche riconoscere la mia presenza. Sei mio cugino e ti voglio bene ma sembra che tu non me ne voglia. O almeno non più.”
A quella confessione Joonmyeon non sapeva cosa rispondere, la guardò sorpreso non pensava che Taeyeon si sentisse così triste al cambiamento del loro rapporto.
“Non hai fatto nulla” disse aggrottando un po’ la fronte “Come hai detto tu sono tuo cugino e tu sei mia cugina, come faccio a non volerti bene? Non hai fatto nulla e solo che”
“AAAAAAAAAAAAHHHH!”
Un grido si udii tagliando qualsiasi cosa che Joonmyeon stesse per dire. Quella voce la conosceva bene ed era quella di Jongin. Da lontano vedeva Jongdae disteso all’estremità della scogliera e Jongin non era visibile in nessun posto.
Un altro grido di paura fu sentito, i due cugini Kim realizzarono ciò che ra successo, furono colpiti dall’evidenza dei fatti.
“Non lasciare la mia mano Jongin” piangeva il piccolo Jongdae “AIUTOOO!!”
Joonmyeon corse verso loro e pian piano la situazione era sempre più chiara, fece un ultimo passo e vide Jongin in bilico tra il vuoto e la scogliera. Sotto le onde furiose si stagliavano contro gli scogli Si bloccò sui suoi passi, la paura si fece prepotente non sapeva cosa fare, il suo fratellino avrebbe rischiato si cadere se non avesse fatto qualcosa. Ma come poteva quando la sua più grande paura gli bloccò ogni arto. La sua stupida fobia per le altezze non lo stava facendo agire, in quel momento odiò così tanto se stesso e la sua acrofobia.
“Oddio!! Joon fai qualcosa…tieni duro Jongin. Vado a chiamare i nostri genitori” disse Taeyeon mentre correva verso casa.
Joonmyeon doveva darsi una mossa non poteva più aspettare, il piccolo Jongdae non avrebbe resistito molto, non sarebbe riuscito a trattenere suo fratello.
“Suho.” Una soave voce lo chiamò “Suho puoi farlo. Avanza un passo” la dolce voce bisbigliava al suo orecchio.
“Non posso” balbettò
“Si che puoi. Dai Suho, Jongin sta per cadere. Sono qui con te non aver paura, puoi farcela. Mi fido di te. VAI SUHO!!!”

Joonmyeon aprì gli occhi, ansimava con fervore e il petto gli faceva su e giù. Si guardò in torno, si rese conto che era nella sua camera d’albergo nel suo letto. Un forte mal di testa gli impedì di alzarsi, sospirando portò il braccio alla sua fronte e volse lo sguardo verso la finestra.
“Non può essere…Era tutto un sogno?”
 


NA: Colgo l'occasione per ringraziare ad Angelaproffi per la meravigliosa copertina.
Grazie di cuore <3
  
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