VIII
Arandil
soffocò un
grido di sorpresa: Adam, l’inappuntabile, eccelso e
glorificato Dragoron che
veniva portato come vessillo di onore, lealtà e
onestà, in realtà era un
traditore! La scoperta era troppo assurda e inverosimile per essere
reale e
veritiera, l’elfo non riusciva a capacitarsene e temette di
star sognando: Adam
sarebbe stato davvero disposto a svelare quei segreti preziosissimi? In
cambio
di cosa?
«Non
appena avrò i
miei cuori di drago e ritorneremo dalle Kal Schelas, ti farò
assistere alla
creazione dei draghi, così tu stesso potrai avere il tuo
esercito personale,
marciare alla volta del Dente Spezzato e riconquistare il tuo nome e il
tuo
onore!»
L’elfo
non riusciva
a credere alle proprie orecchie: oltre che tradire il proprio Ordine
voleva
anche usare le proprie conoscenze per scopi personali, magari per
sovvertire
l’ordine e diventare il nuovo imperatore!
I
Dragoron
prestavano un giuramento proprio per evitare che la loro evidente
potenza
diventasse un mezzo per soddisfare i propri interessi e le proprie
brame, per
piegare altri al proprio volere e diventare dei sovrani incontrastati.
Erano un
Ordine al servizio della comunità, senza scopi di potenza o
dominio; chiunque
avesse mostrato segnali che andavano contro questo cardine veniva
immediatamente destituito dal suo incarico.
Adam
aveva recitato
bene in quegli anni, indossando la maschera del Dragoron perfetto e
sottomesso
ai principi per i quali aveva giurato, tramando in segreto per
sovvertirli
completamente, per abbindolare ed ingannare il Capitolo e farsi donare
quelle
preziose informazioni che avrebbe usato contro di loro!
Questa
volta Arandil
non riuscì a reprimere un singulto di sorpresa e fece
scoprire il suo nascondiglio,
Krugar e Adam si voltarono nella sua direzione e lo trovarono
accucciato dietro
lo schienale del divano, come un ratto acquattato nell’ombra.
«Guarda
un po’ chi
c’è!» esclamò
l’orco alzandosi lentamente e facendo scricchiolare e
sbuffare le
giunture della gamba meccanica, «Cosa ci fa qui un elfo?
Appostato dietro al
divano? Sta forse spiando?»
Arandil
retrocedette
verso la porta tenendo gli occhi puntati sui due: anche Adam si era
solo alzato
in piedi, ma l’orco aveva preso in mano una pistola, adagiata
sulla scrivania;
era una di quelle che portava Adam, con la canna d’argento e
il manico in
ciliegio, intarsiato a motivi floreali.
«Sai
cosa succede
alle spie?» domandò.
L’elfo
cercò
affannosamente la maniglia della porta, nella speranza di poter
fuggire, ben
sapendo che oltre ci sarebbe stata l’intera ciurma di Krugar
ad attenderlo. Ma
sarebbe stato più semplice sgusciare tra le loro gambe che
affrontare il
capitano: i primi sarebbero stati colti di sorpresa ed erano
più stupidi
dell’orco; Krugar, invece, era a pochi passi da lui, molto
più intelligente, furibondo
e con una pistola carica tra le mani.
«Lo scoprirai quando
le raggiungerai!» esclamò, facendo partire il
colpo. Il proiettile sfiorò le
dita di Arandil ma non lo ferì, facendo, invece saltare la
maniglia della
porta. L’unico modo per aprirla sarebbe stato buttandocisi
contro, ma si
trattava di una pesante porta in mogano, infissa con cerniere di ferro,
e
l’elfo non era abbastanza forte o prestante.
Arandil
si buttò di
lato e cozzò contro una rastrelliera, spade e fioretti
franarono su di lui
producendo un suono stridente; ne approfittò per armarsi,
sebbene una spada
potesse poco contro una pistola.
Ma l’orco aveva
gettato via l’arma da fuoco e si era procurato un lungo
spadone a due mani,
un’arma dall’aria pesante e letale ma che
l’orco riusciva a reggere con una
sola mano: Fernecar. Era un’arma portentosa, lunga quasi
quanto una gamba di Arandil,
la lama era curva come quella di una scimitarra e seghettata, alla
maniera
degli orchi; l’elsa aveva una guardia semplice, senza alcuna
decorazione, così
come il manico d’osso rivestito di cuoio. Era
un’arma totalmente priva di
fronzoli ma dall’aria letale.
L’elfo,
personalmente, la trovava piuttosto rozza, ma non avrebbe mai voluto
sentire il
bacio freddo di quel metallo cupo e opaco con cui era stata forgiata,
che
sembrava assorbire la luce, rendendola ancora più minacciosa
e tetra.
Con
un grido
inarticolato l’orco si gettò contro Arandil, ma
l’altro riuscì a sfuggirli
agilmente. Era nettamente più minuto e veloce di lui, e
sebbene l’orco si
muovesse con sicurezza e celerità, non era altrettanto
scattante.
«Ti schiaccerò,
mosca molesta» promise, tornando alla carica.
Arandil
parò il
fendente, ma la forza era tale che si ritrovò compresso dal
peso della
muscolatura dell’altro. Nel frattempo Adam era rimasto
impalato nel mezzo della
sala, senza sapere cosa fare: da un lato, se avesse aiutato
l’orco, avrebbe
confermato i sospetti di Arandil; ma se dall’altro avesse
aiutato l’elfo,
avrebbe fatto saltare il proprio piano e la propria copertura.
«Fa qualcosa!»
sbraitò l’orco all’indirizzo
dell’umano. Perché se ne stava immobile come uno
stoccafisso
messo a seccare e non lo aiutava? In fondo, per quanto anche quella
pulce fosse
un Dragoron, Adam aveva tradito il suo Ordine e non gli sarebbe
cambiato nulla
eliminare uno dei suoi membri.
L’uomo prese un
fioretto che si trovava su una rastrelliera vicina e assunse la
posizione di
guardia: avrebbe potuto fingere di dare una mano all’orco,
sena fare realmente
nulla; avrebbe finto qualche stoccata assolutamente innocua ma
spettacolare e
poi lasciarsi ferire dall’elfo. In questo modo avrebbe avuto
la scusa per non
essere riuscito a dare una mano a nessuno dei due, sebbene avrebbe
fatto la
figura dell’inetto con entrambi.
Arandil
sentiva i
muscoli delle braccia dolergli, stavano per cedere e la sua testa, ben
presto,
sarebbe stata aperta a metà come un cocomero maturo. Non ci
teneva
particolarmente a fare la fine di un cocomero.
Contro di lui sentì,
improvvisamente, lo spigolo della scrivania nella schiena: erano
retrocessi
fino a raggiungere di nuovo quel punto. La solidità e la
durezza del mobile,
avrebbero potuto essere la sua salvezza.
Si rifugiò sotto la
scrivania e l’orco, a causa dello slancio provocato dalla
tensione, andò a
schiantarsi contro il ripiano, spargendo fogli e mappe per la stanza.
La spada
andò a incastrarsi profondamente nel legno, diventando
inutilizzabile.
«Figlio di una cagna
merdosa!» imprecò l’orco cercando
freneticamente qualcosa per finirlo, «Ti
concerò al punto che stenterai a riconoscere te
stesso!»
L’elfo si era
rialzato, con un occhio puntato su Adam, ancora indeciso su come agire,
e uno
su Krugar, che aveva recuperato una nuova spada, dall’aspetto
meno minaccioso,
ma ugualmente mortifero.
Adam
attaccò e
l’elfo riuscì a parare per un soffio il suo
assalto, in realtà sembrava quasi
che l’altro gli avesse dato appositamente la
possibilità di contrastarlo. Il
Dragoron si era sempre distinto nella scherma, era lo spadaccino
migliore, che
superava in bravura persino alcuni maestri. Era da sempre rimasto
imbattuto nei
tornei, sia che gareggiasse contro i suoi compagni, sia contro allievi
più
grandi.
Un nuovo affondo, e
anche questo venne parato con facilità. Dall’altro
capo della stanza arrivò la
carica di Krugar, ma Arandil, con una mossa fulminea, schivò
l’attacco e si
portò alle spalle di Adam, minacciandolo con la lama puntata
contro la sua
gola.
«Fai un passo falso
e lo uccido» sibilò. L’orco non parve
essere spaventato dalla minaccia.
«Prego» rise, «Sai
quanto possa interessarmi di quell’umano.»
Adam, per tutta
risposta, tirò un calcio allo stinco dell’elfo che
si piegò su sé stesso prima
che la spada di Krugar tagliasse l’aria dove fino
all’attimo precedente stava
la sua testa.
Arandil
scattò, parò
un nuovo fendete di Adam e schivò un tentativo di
affondò di Krugar, con un
balzo si allontanò dai due, incespicò nella
poltrona e si ritrovò riverso sul
pavimento mentre sopra di lui fischiava l’aria lacerata da un
pugnale di Adam,
che andò a conficcarsi nello stipite.
Schiena a terra parò
un colpo dell’orco e rotolò su un fianco per
sfuggire ad un altro pugnale
lanciato da Adam che atterrò a pochi passi dal polpaccio
dell’elfo.
Arandil ne
approfittò, afferrò il pugnale e lo
scagliò indietro mentre Krugar incombeva su
di lui. Un grido di dolore, e una parata che fece stridere le due lame.
L’elfo
si trovava ad un soffio dal volto sfigurato dalla rabbia di Krugar: gli
occhi
grigi erano iniettati di sangue e la bocca era distorta in un ghigno
malefico
che metteva in mostra i denti aguzzi.
«Muori bastardo!»
sibilò.
«Non
questa volta»
replicò l’elfo e sferrò un calcio ai
genitali dell’orco. In realtà aveva
puntato all’addome, ma anche quel colpo sortì
l’effetto voluto: l’orco si piegò
in due e si afferrò la parte lesa, uggiolando di dolore.
Arandil tirò un
sospiro di sollievo, ma si era dimenticato dell’altro: Adam
piombò alle sue
spalle con un fendente laterale, che l’elfo riuscì
a parare all’ultimo. Il
braccio sinistro dell’umano era ferito: all’altezza
della spalla, dove il
pugnale l’aveva colpito, la camicia era lacera e sporca di
sangue.
Il Dragoron era
stato costretto a usare la mano destra, la sua mano meno forte dal
momento che
era mancino, e i suoi colpi erano meno poderosi e precisi, sebbene
ugualmente
letali.
«Lascialo
a me!»
ringhiò Krugar, ripresosi, almeno in parte, dal dolore
lancinante, «Voglio
strappargli le palle e fargliele ingoiare!»
Adam si fece da
parte, lasciando campo libero a Krugar e alla sua furia. Arandil gli
aveva
facilitato notevolmente il compito: umiliare e far arrabbiare
l’orco non era
stata una mossa molto assennata, ma quantomeno gli aveva fornito il
pretesto
per interrompere la sua farsa.
Il pirata attaccò,
accecato dalla sete di vendetta: infilò una serie di
poderosi fendenti che
l’elfo riuscì a parare per miracolo, i colpi
dell’orco si erano fatti serrati e
forti, segno che voleva concludere quello scontro.
Arandil si inciampò
nelle spade che aveva fatto cadere a terra e la lama
dell’orco squarciò la
pelle del petto e ne morse la carne. L’elfo urlò
di dolore, un bruciore
indicibile si irradiò dalla ferita. Arandil
rotolò via da un nuovo fendente
dell’orco, lasciando dietro di sé una scia
cremisi. Con un balzò si rimise in
piedi, ma le carni lesionate gridarono di dolore.
Doveva
trovare un
modo per fuggire da quella stanza, e pensò che la mole di
Krugar potesse
essergli d’aiuto.
Continuando a parare
gli attacchi dell’altro con sempre maggiore
difficoltà, riuscì a condurlo fino
alla porta. Krugar era accecato dalla furia e badava solo a menare
quanti più
colpi possibile, senza più fare caso alla direzione e alla
precisione. Arandil sfuggì
all’ennesimo assalto dell’altro, sgusciò
da sotto le sue braccia e riuscì a
parare un fendente al volo. Ora l’orco si trovava esattamente
dove l’elfo
desiderava.
Arandil si abbassò
sulle ginocchia con una mossa fulminea, ruotò su
sé stesso e spazzò il
pavimento sotto i piedi di Krugar, facendogli perdere
l’appoggio. Questi
barcollò e perse l’equilibrio, franando contro la
porta che cedette in un
tripudio di schegge. Arandil arrancò tra i resti, la vista
offuscata dal dolore
per la ferita: non era una lacerazione profonda ma aveva perso molto
sangue. Doveva
fuggire da lì al più presto. Scavalcò
l’orco che si dimenava come un forsennato
per liberarsi dalle macerie e si fiondò sul ponte.
«Prendetelo!»
sbraitò alla sua ciurma, rimasta imbambolata,
«Uccidetelo!»
I
pirati scattarono
e si gettarono contro l’elfo che sgusciava agilmente tra
loro. Gli uomini
provarono ad assalirlo tutti assieme, ma finirono per scontrarsi e
intralciarsi.
«Che branco di
deficienti!» esclamò Krugar, rialzandosi in piedi,
«Hanno la merda al posto del
cervello. LA MERDA!»
L’orco
appoggiò con
un ringhio, la gamba meccanica sopra un barile, stesa e puntata contro
l’elfo,
che nel frattempo aveva raggiunto il parapetto con
l’intenzione di buttarsi nel
mare e sfuggire ai pirati.
Se fosse fuggito a
piedi avrebbero potuto raggiungerlo, ma in acqua era più
difficile che lo
inseguissero. Da lì avrebbe potuto recuperare Krupfer e
fuggire, operazione che
sarebbe risultata alquanto complicata se nel frattempo fosse stato
impegnato
anche a seminare i propri inseguitori. Ciò che ignorava,
però, era il segreto
della gamba meccanica di Krugar, e che fosse nel mirino della stessa.
Prodigio
della
tecnologia più avanzata, quella gamba non era solo un arto,
ma anche un’arma:
premendo una levetta nascosta sul retro del ginocchio, l’orco
azionò un
meccanismo che aprì la bocca del fucile che costituiva la
gamba stessa. Mentre Arandil
si appestava a saltare, l’orco fece fuoco e un proiettile
fischiò fuori dalla
punta metallica della gamba e attraversò l’aria
per poi colpire l’elfo nel
momento stesso del salto.
L’elegante movimento
del cavaliere venne brutalmente troncato dal proiettile, che
lacerò la pelle
della caviglia in uno spruzzo vermiglio, tramutando il tuffo in un
disarticolato e sgraziato tonfo nell’acqua.
Krugar
abbassò la
gamba e si avvicinò al parapetto: dell’elfo non
c’era più traccia se non una
pozza rossa che andava diluendosi.
«Uno scocciatore in
meno» borbottò Krugar. Il proiettile doveva
avergli reciso qualche legamento
importante, rallentandolo di parecchio, se non addirittura facendolo
desistere
completamente dal suo proposito: era difficile dare la caccia ad un
pirata
quando non si riusciva a camminare e stare saldi sulle proprie gambe.
L’orco
si esibì in
uno dei suoi sorrisi grotteschi e poco amichevoli: doveva aver
definitivamente
eliminato il problema di quel Dragoron molesto.