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Autore: xzaynsmouthx    05/07/2017    0 recensioni
Una donna di mezza età rievoca alla memoria gli avvenimenti più importanti che accaddero nei suoi trent'anni. Una donna qualsiasi, innamorata dell'amore, che vive difficoltà qualsiasi tra lavoro, uomini e amiche. Una donna che ha tanta voglia di crescere e sembra non riuscirci mai. La storia di un'esasperante e divertente ricerca dell'amore, piena di contraddizioni, che la porterà a maturare e fare pace col passato, con l'adolescenza di cui è tanto nostalgica.
Dal testo:
Immaginate una donna di quasi trent'anni con un bicchiere di spumante in una mano, la pochette nell'altra, strizzata in un abito beige, che si guarda spasmodicamente intorno alla ricerca di qualche uomo della sua età di cui innamorarsi con un uccello viola in testa.
A chi, come la protagonista, è così importante da non rendersene conto.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO XV


Più si avvicinava la data della partenza più Liam sembrava ritornare ad essere straordinariamente di buon umore, finché il calendario non ci ricordò che fosse proprio il ventitré dicembre facendo raggiungere a Liam l’apice della contentezza. Pensai che fosse normale tutto sommato, chissà da quanto tempo non vedeva la propria famiglia e camminava instancabilmente per casa propria afferrando cose a caso e gettandole in valigia. Inutile dire che dovetti rifargliela io e dopo aver pensato anche alla mia avvisai Liam che era il momento di partire, lui mi prese per mano e correndo come un bambino per le scale rischiando di farci cadere molteplici volte riuscimmo chissà come ad uscire illesi dal palazzo e fermare un taxi affinché ci portasse alla London Victoria Station. – Non sei contenta? – mi chiese con fare bambinesco non appena ebbi finito di illustrare il percorso al conducente del taxi. – Si, certo. Ma che ti prende? – Sono solo felice, tutto qui. – scrollò le spalle tentando di ridimensionare invano il proprio entusiasmo. Nel treno si addormentò poggiando il capo sulla mia spalla, mi aveva detto di essere emozionato all’idea di rivedere la propria famiglia e chissà perché non riuscivo a percepire quell’emozione come normale. Stupida, non tutte le famiglie sono disfunzionali come la tua pensai ricordandomi improvvisamente di mia madre e mia nonna, che non sentivo da mesi e alle quali avrei dovuto fare gli auguri, tra l’altro non sapevo neanche la seconda che fine avesse potuto fare dovendo assecondare continuamente le follie di mia madre.

Svegliai Liam scuotendolo dolcemente e dicendogli in un sussurro che eravamo arrivati, al solo udire quelle parole lui si alzò prontamente e prendendo le nostre valige si diresse sveltamente all’uscita. Ad aspettarci alla stazione c’erano il fratello maggiore di Liam, Russell e sua madre, Joan. Non appena Joan vide me e suo figlio (che mi aveva presa per mano dando inizio a quella recita che sarebbe durata per una settimana circa) un sorriso stracarico di commozione si dipinse sul suo volto. Russell anche sembrava essere piacevolmente sorpreso dai miei capelli ramati e il corpo minuto secondo Liam, era come se fossero per la prima volta orgogliosi di una sua scelta. – William! – esclamò sua madre correndogli incontro e stringendolo fra le sue braccia, li guardai sorridente e partecipe di quel momento così dolciastro. – Mamma! – rispose felicemente Liam fra le sue braccia lasciandomi in balia del fratello che, continuando ad osservarmi attentamente, mi strinse la mano per poi dire: – Io sono Russell, tu devi essere Angela. Il piccolo Liam ci ha parlato molto bene di te e devo dire che sei la prima ragazza che conosciamo che sembra almeno avere sembianze dignitose. – Oh, lo prenderò come un complimento. – risposi titubante. – Russell, insomma! E’ modo questo di presentarsi? Io sono Joan, tesoro. – disse stringendomi la mano e sorridendomi dolcemente, un sorriso rassicurante, che sapeva di casa e che ricambiai prontamente. Russell prese la mia valigia e assieme ci dirigemmo alla macchina che avevano pargheggiato nei dintorni. – Cosa fai nella vita, Angie? – chiese Russell osservandomi nello specchietto retrovisore mentre sua madre mi chiedeva se avessi preferenze per quanto riguardava il cibo e la cena che ci sarebbe stata quella sera. Liam mi poggiò una mano sul ginocchio con una naturalezza tale che mi lasciò per un attimo interdetta, ma al contempo dovetti ammettere che stare al suo fianco in quel momento, in quella macchina, in quel contesto non era poi chissà quanto male. – Io sono laureata in ingegneria informatica, faccio la ricercatrice all’Università. – Bella e intelligente, dov’è che l’hai trovata, Ourkid? – ironizzò Russell. – Credi che non la meriti, fratellone? – Tutt’altro, Will. – s’intromise Joan. - Non saprei davvero cosa fare senza di te, tesoro. – lo guardai con un’espressione di complicità e Russell abbassò leggermente lo sguardo, il che fece illuminare gli occhi a Liam che, probabilmente d’impulso, mi attirò a sé facendo sfiorare le nostre labbra. Cazzo eravamo degli attori nati o solo dei gran coglioni che giocavano a marito e moglie e ci riuscivano fin troppo bene rischiando di mettere a repentaglio una fantastica amicizia? – Angie, non sarai mica vegetariana? – No, Signora. – dissi tentando di ridarmi un minimo di contegno e di nascondere il fatto che le mie gote si fossero tinte di un acceso color porpora. – Chiamami Joan. –. Lungo il tragitto ebbi modo di dare uno sguardo superficiale a Brighton, dove da piccola assieme a mio padre scappavo nei weekend d’estate o inizio autunno per fare il bagno, quando il West Pier esisteva ancora. Passarono i colori sgargianti di Blaker Street, la spiaggia ed il Palace Pier ed arrivammo in una strada dai toni grigi e marroncini con ai lati agglomerati di case uguali fra loro. Scendemmo dall’auto e Joan mi prese per il braccio esortandomi a camminare e lasciare la sua prole occuparsi delle valige. Entrai in casa subito dopo quella donnina dai capelli biondastri e un lieve torpore m’investì nonché un odore agrodolce di curry, sapeva d’accoglienza quella casa che, nonostante l’aspetto malandato, faceva una gran bella figura con tutti quegli addobbi e la cura con la quale erano stati disposti. – Ha una casa stupenda. – Grazie, Ang. – mi guidò in salotto dove mi abbandonò sparendo in cucina dopo avermi presentato velocemente Edith, la moglie di Russell, Lorie, Peggy e Sonny, i loro figli, Garrett e Arianna, il primogenito di Joan e sua moglie, Whitney, Rea e Patrick, i loro figli. La situazione era più delicata di quanto pensassi. Ero lì in veste di compagna di Liam, cognato, fratello e zio di quelle persone in quella stanza e mi pianse il cuore al solo pensiero di doverli illudere. Insomma, avevo pensato si trattasse semplicemente di prendersi gioco di qualche vecchia arpia non dei bimbi innocenti e i loro genitori, che mi guardavano studiando il modo più efficace per far amicizia. – Io sono Peggy. – squittì una bimba scostandosi i capelli color mogano dal viso. – Io sono Angie. – risposi sorridendole. – E’ un piacere conoscerti. – mi disse sua madre – Iniziavamo a pensare che Liam avesse intenzione di perdersi tutto questo. – continuò Garrett indicando i propri figli e nipoti. Feci un sorriso di circostanza tentando di allontanare dalla mia mente il pensiero: eccome se ce l’ha. – Papà, lei è la moglie di zio? – chiese Patrick con innocenza indicandomi. – No, tesoro lei ... – E che lavoro fai, Ang? – quello doveva essere Sonny – Io al matrimonio voglio fare la damigella, mamma! Una mia amica, Jenny l’ha fatta. – Whitney. – Zitta Whitney, nessuno si sta sposando! – Arianna. La famiglia di Liam era esattamente come l’avevo immaginata: incasinata e tremendamente spassosa. – Cosa pensate che faccia, bambini? – i loro genitori mi sorrisero grati del fatto che non avessi dato in escandescenza, del resto erano solo bambini, perché prendersela? Perché avevano voluto sapere i fatti miei? Ero un’estranea in casa loro, era normale che volessero sapere chi ero. Così decisi di reggere il loro gioco: – Allora? – incalzai guardando le loro espressioni interdette, chi si mordeva le labbra, chi si guardava intorno portandosi il pollice alla bocca. – La principessa? – Lorie, le principesse non esistono! – Rea, non essere aggressiva! – la ammonì la madre. – La maestra? – scossi il capo e Peggy mi guardò corrucciata. – La veterinaria? – L’astronauta? – Lavoro con i computer. – dissi scrollando le spalle e guardandoli come a dire: sapevo di deludervi, non è niente di divertente. – Tu hai inventato “Call of Duty”?! – chiesero all’unisono Patrick e Sonny con la voce che tradiva l’emozione. – No. – dissi scrollando le spalle e scusandomi tacitamente di averli illusi ulteriormente. Ma non prestarono molta attenzione alla risposta che diedi loro, poiché Liam era appena entrato in salotto al seguito di Russell. Guardarono lo zio per poi gettarsi tra le sue braccia e cominciando a raccontargli dell’ultima partita di calcio della squadra locale. – Facciamo schifo! – Di più. – continuava Liam facendoli ridere, anche le bambine sembravano emozionate alla vista dello zio, ma si avvicinarono solo quando la conversazione tra i tre fu terminata dopodiché fu il turno di Garrett di salutarlo e delle cognate. Ero imbarazzata, fuori luogo e cominciai a mordicchiarmi il labbro inferiore e Garrett sembrò notarlo perché disse ironicamente rivolto al fratello più piccolo: – Liam, perché una ragazza tanto bella e intelligente ha scelto te? – non sembrava serio o cattivo com’era sembrato Russell quando aveva detto più o meno la stessa cosa, Garrett voler davvero bene al fratellino, non che sembrasse che Russell non gliene volesse, soltanto che sembrava che nutrisse un sentimento paterno nei confronti di William e questa cosa mi scaldò il cuore. Questa volta, infatti, alla stessa domanda risposi ridacchiando un :– E’ stato davvero fortunato. – Liam rise con me. – Come vi siete conosciuti? – chiese Edith. – Beh, siamo vicini di casa. – Lei mi odiava! – Certo, e aveva ragione immagino. – commentò Garrett. – Ovviamente, e di certo non posso dire il perché davanti ai bambini. – Ma poi perché hai deciso di sorbirti OurKid? – chiese curiosamente Russell. – Perché siamo diventati amici e ... – guardai Liam negli occhi, ma non con complicità, quello era solito che accadesse, ma con dolcezza, ricordando il momento in cui avevo deciso che Liam dovesse far parte della mia vita. – ... non so perché o quando, ma ho deciso che sarebbe dovuto rimanere con me. – completai arrossendo, Liam mi cinse le spalle con un braccio e mi attirò a sé dandomi un bacio sulla guancia color porpora. – Dopo voglio sapere i dettagli. – mi sussurrò Arianna con fare malizioso passandomi di fianco per raggiungere la suocera in cucina. Anche Edith si alzò e pensai di lasciar soli i fratelli Harris e di seguire Arianna ed Edith in cucina. – Joan, hai bisogno di una mano? – chiesi alla donnina che stava ai fornelli. – Tranquilla cara, puoi apparecchiare assieme ad Edith se vuoi. – disse senza togliere lo sguardo dai fornelli. – Certo. – biascicai con imbarazzo, dovevo sembrare una bambina. Edith mi passò piatti, stoviglie e vino e mentre ci dirigevamo nuovamente in salotto esordì dicendo – Sai, sei proprio come ti immaginavo. Perfetta per OurKid. – quella lì non mi faceva impazzire ed ho il sospetto che neanche io facessi impazzire lei, ma fu gentile e continuò a chiedermi di raccontarle chi fossi e viceversa. Soltanto quando fu pronto e tutti ci sedemmo a tavola notai che non vi era alcun capofamiglia, alcun uomo da capelli bianchi che si sedesse a capotavola e guardasse la sua famiglia mangiare e conversare gioiosamente. A dire il vero me l’ero aspettato e non fu per nulla una sorpresa, ma avevo sperato non fosse realmente così, per Liam e per il fatto che avevo sempre con lui m’ero sempre lamentata di mio padre e della sua volontà di essere eccessivamente presente nella mia vita senza pensare minimente alla possibilità che lui un padre non l’avesse neppure. Liam mi poggiò la mano sulla coscia riportandomi alla realtà e distogliendomi da quei pensieri, durante quel pranzo si parlò del mio lavoro, della mia famiglia, del quartiere in cui ero cresciuta, di Brighton, della scuola dei bambini, del calcio, del braccio che Patrick s’era rotto mesi prima, del fatto che il capo di Arianna fosse uno stronzo e dei continui litigi di Russell e Liam. – Quando erano piccoli era anche peggio! Non potevo lasciarli da soli neppure un attimo! – disse Joan esasperata parlando del cattivo rapporto che avevano i due fratelli. – Ma adesso siamo degli uomini, mamma. – la canzonò Russell facendo ridacchiare tutti. – Vostro padre è uno stupido. – controbatté lei rivolgendosi ai figli di Russell. – Perché litigavamo tanto? – Chissà, Kid. – Scommetto che litigheremmo ancora. – borbottò Liam. Gli strinsi la mano che aveva poggiata sulla mia coscia come a dire taci, idiota. E funzionò perché il fratello fece finta di nulla e Liam tacque. – Dovresti visitare Brighton se non ci sei mai stata, può essere interessante. – disse Arianna. – Volevo portarla al Palace Pier, a cena. – disse Liam. La madre borbottò qualcosa come: è lei, è quella giusta ed io feci finta di nulla chiedendo di più sul posto e su cosa avremmo dovuto visitare in quei giorni.

– Liam, dimmi perché sei di cattivo umore. – Non lo so, ti piace qui? – eravamo in quella camera che gli era dovuta appartenere da adolescente con le pareti tappezzate di poster e alcuni scatoloni con i suoi vecchi vestiti all’interno, le pareti erano tappezzate da poster di band, bottiglie di birra da collezione e foto di un giovanissimo e talvolta ubriachissimo Liam ed i suoi amici, la sua prima ragazza, il suo diploma. – Certo, Liam. Perché? – Così. – Parla, idiota. – Russell è imbarazzante. – Ma smettila, piuttosto io non sarò piaciuta per niente alla tua famiglia, sono un’impedita! – dissi battendomi una mano sulla fronte. – Ma smettila tu! – controbatté Liam ridacchiando. – Potresti goderti questa vacanza? – Potresti darmi un bacio? – il mio cuore mancò qualche battito, Liam era steso sul letto, al mio fianco e per la prima volta, senza che dovessimo fingere, mi chiedeva un bacio. Dovette notare la mia espressione di sgomento perché precisò che stava scherzando, il che a dire il vero un po’ mi dispiacque, ma pensai che tutto sommato fosse meglio così, la situazione ci sarebbe sfuggita di mano se avessimo cominciato a scambiarci effusioni ed altro, perché eravamo amici, nient’altro che buoni amici.
  
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