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Autore: Kim WinterNight    06/07/2017    4 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ReggaeFamily

The Truth

[Shavo]




I went out on a date,
With a girl, a bit late,
She had so many friends,
Gliding through many hands.
I brought my pogo stick,
Just to show her a trick,
She had so many friends,
Gliding through many hands.


Ero sinceramente basito. Mentre quelle note e quelle parole esplodevano dallo stereo portatile di Leah, avvertii come la sensazione di tornare improvvisamente lucido; avevo bevuto e fumato abbastanza per quella sera, e questo mi aveva leggermente mandato fuori dai binari.

Ma in quel momento fu come se tutto fosse passato, svanito, dissolto nel nulla. Leah aveva scelto un brano dei System Of A Down e ci sorrideva compiaciuta, rimanendo in piedi con il mio cellulare ancora in mano.

Daron fu il primo a reagire, precipitandosi da Leah e gridando: «Ma che fai?!».

«Vi dico la verità. È questo che volevi, no?» replicò Leah con semplicità, evitando però di sollevare lo sguardo su di me. Stringeva il mio cellulare e alcune ciocche di capelli le ricadevano sul viso; con addosso solo una canottiera e dei pantaloncini sembrava estremamente fragile, come se all'improvviso avesse perso la sicurezza che ostentava di solito e che fin da subito mi aveva colpito.

«Ma non era questo il momento!» la rimproverò Daron, poi fece scattare l'accendino e aspirò una lunga boccata di fumo, dopo aver acceso la sua canna.

«Perché no? Prima o poi doveva succedere» insistette la ragazza.

Bryah e John erano immobili e si scambiavano delle occhiate perplesse, mentre Bounce proseguiva a risuonare dalle casse dello stereo.

«Tu... tu lo sapevi?» fu tutto ciò che riuscii a dire, puntando lo sguardo sul chitarrista.

«L'ho scoperto questo pomeriggio. L'ho sentita che parlava con Bryah al bar di sotto» spiegò Daron, poi si strinse nelle spalle e strappò lo smartphone dalle mani di Leah.

«Potevi farti gli affari tuoi, eh? Dov'eri? Non ti abbiamo visto!» si intromise Bryah, facendo qualche passo avanti.

«Io l'ho visto, ma ormai era troppo tardi» ammise l'altra ragazza.

«Cazzo!» esplose Daron. «Potevi aspettare a domani, no? Ci stavamo divertendo!»

«Possiamo continuare a divertirci, chi dice il contrario?» lo contraddisse Leah.

Io non sapevo esattamente come mi sentivo. Da un lato era come se me lo fossi aspettato e temuto fin da subito, dall'altro ero deluso perché avevo creduto che Leah non sapesse niente della nostra vita professionale; perché non mi aveva detto la verità fin dall'inizio? Non riuscivo a crederci. Anche stavolta mi ero fidato della persona sbagliata, e rendermene conto mi fece davvero male.

«Perché?» chiesi, avvicinandomi rapidamente a lei. «Perché?» ripetei, afferrandola per un polso in modo da scuoterla e attirare la sua attenzione.

«A quanto pare il suo preferito è Serj. Scommetto che vuole arrivare a lui tramite noi, non è vero Leah?» interloquì Daron in tono maligno.

«Smettila subito! Ma perché ti inventi certe cazzate?» si rivoltò Bryah, piazzandosi di fronte a lui e fronteggiandolo con uno sguardo di fuoco.

«L'ha detto lei» chiarì il chitarrista.

«Stronzate. Non è vero!» sbottò Leah, divincolandosi dalla mia presa e scagliandosi improvvisamente, come una furia, contro Daron. Lo spintonò e lo fece andare a sbattere contro il mobile su cui stazionava il televisore. «Sei uno stronzo, Daron Malakian, lo sai? Un emerito pezzo di merda!» lo accusò con ferocia, con il viso a pochi centimetri dal suo, gli occhi due tizzoni ardenti di rabbia.

Proprio in quel momento la canzone terminò e nella stanza calò un silenzio di tomba. Era come se anche il temporale si fosse calmato, come se tutto si fosse zittito per dar spazio alla lite che si stava svolgendo nella nostra camera.

«Ragazzi, cercate di calmarvi.» John parlò per la prima volta e si accostò a Leah, la afferrò gentilmente per un braccio e la fece indietreggiare in modo che Daron fosse di nuovo libero di muoversi.

«Okay, stop. Smettetela di strillare» convenne Bryah, incenerendo il chitarrista con lo sguardo, per poi studiare il corpo tremante di Leah. «Amica, sei proprio nella merda ora, ma forse possiamo parlarne domani con più calma, che ne dici?» le si rivolse, posandole una mano sulla spalla.

Ma io non volevo né potevo aspettare, volevo chiarezza e la volevo subito, non me ne fregava un cazzo di che ore fossero, del casino che avremmo fatto e del fatto che qualcuno potesse lamentarsi degli schiamazzi che provenivano dal nostro piano.

«Scusa Bryah, ma Leah ora viene con me e mi racconta quest'avvincente storia, sono proprio curioso» affermai, per poi stringere il polso della ragazza e trascinarla con me fuori dalla stanza, nonostante qualcuno stesse tentando di protestare.

Leah, al contrario, non oppose resistenza e mi seguì in silenzio lungo il corridoio. Raggiunsi in fretta la porta di sicurezza che conduceva alle scale antincendio e la aprii, ritrovandomi all'aria aperta. Faceva un caldo bestiale, ma la pioggia, come sospettavo, aveva cessato di cadere e una pressante umidità mi faceva quasi perdere il fiato.

«Allora?» incalzai immediatamente, voltandomi a guardare Leah che era rimasta in piedi sulla soglia.

La ragazza stentava a guardarmi in volto e questo non mi piaceva per niente.

«Che c'è? Hai perso tutta la tua sfacciataggine adesso? Non mi dire!» commentai in tono ironico, incrociando le braccia al petto e sospirando pesantemente.

«Mi sento davvero una merda, Shavarsh.»

«E smettila di chiamarmi in quel modo! Spiegami chi ti credi di essere per avermi mentito in questo modo squallido, per esserti avvicinata a me con l'inganno, per aver creduto che non fosse importante dirmi la verità fin da subito!» esplosi, senza staccare gli occhi da lei, in cerca di una qualche reazione o di una qualche risposta che lei non si decideva a darmi.

«Anche tu mi hai mentito!» mi accusò all'improvviso, sollevando di scatto il viso e trafiggendomi con i suoi grandi occhi color cioccolato. «E io sapevo che stavi mentendo, ma non me la sono presa. No, capisci? Perché pensavo che forse ti andasse meglio stare tranquillo durante questa vacanza, anziché avere a che fare con i soliti fan invadenti!» puntualizzò, prendendo a gesticolare.

La osservai meglio e solo allora notai che era scalza. Forse avrei dovuto scegliere un altro luogo in cui parlare con lei, ma in quel momento non mi importava affatto.

«E tu cosa avresti fatto di diverso dalle altre fan esaltate?» la accusai in tono aspro.

«Cosa stai dicendo?»

«Quello che hai sentito. Tu sei stata anche peggio di loro.» Quelle parole stridettero anche nella mia stessa gola, per Leah dovevano essere come rasoi affilati che si conficcavano nel suo cuore. Era quello che volevo, desideravo ferirla e farla sentire come mi sentivo io in quell'esatto istante.

«È davvero questo che pensi di me?» mi domandò in tono estremamente serio, senza scomporsi troppo.

«Il tuo comportamento mi ha portato a questa conclusione, sì» confermai a malincuore. Ammettere che ero rimasto profondamente deluso non mi faceva piacere, ma non avrei neanche potuto negare l'evidenza.

«Non volevo creare problemi. Ho pensato fin da subito che... che voi ragazzi foste qui per rilassarvi. E se...» Leah sospirò e deglutì prima di proseguire. «Se io ti avessi fatto capire la verità, per te non sarebbe cambiato niente? Mi avresti visto con gli stessi occhi? Avresti riposto in me la stessa fiducia? No, Shavo. Perché ai fan è concesso fare una foto insieme a voi, non conoscervi fino in fondo. Nessuno di loro sa come siete in realtà, nessuno di loro può capire che siete dei ragazzi come tanti, che hanno solo avuto la fortuna di coronare un sogno. Tu non me lo avresti permesso, non avresti lasciato che ti conoscessi. Io volevo essere per te, e anche per Daron e John, solo e soltanto Leah. Non volevo passare per una delle tante ammiratrici o per una groupie fuori di testa.» Si interruppe per riprendere fiato e posò con cautela i suoi occhi sui miei. «E se tu non mi hai detto cosa fai nella vita, il motivo mi pare sia lo stesso. Non è così? Tu volevi essere Shavo e basta, volevi essere una persona comune una volta tanto. Il fatto che io conoscessi la verità non cambia le cose. Perché dovrebbe cambiarle adesso?»

«Avresti dovuto dirmelo» insistetti.

«E allora non saremmo qui ora. Non staremmo parlando, non ci staremmo divertendo insieme, non...» Fece un'altra pausa, poi avanzò di qualche passo verso di me. Posò con delicatezza una mano sul mio braccio e sollevò il viso per potermi guardare meglio. «Non ci sarebbe questo tra noi. Lo senti anche tu?»

Sapevo benissimo a cosa si riferiva, ma improvvisamente non mi andava più di darle ragione. D'un tratto era come se fossi spaventato da tutto: dalla nostra differenza di età, dalla nostra vita che non poteva coincidere in nessun modo, dalla nostra distanza geografica, dalla possibilità che lei continuasse a mentirmi... ero atterrito, totalmente terrorizzato.

Avrei voluto agire con la freddezza di Daron e spingerla via, avrei voluto possedere la razionalità di John e dirle che tra noi non c'era proprio un bel niente, avrei perfino voluto intavolare uno dei discorsi filosofici di Serj e riempirle la testa di cazzate fino ad annoiarla a morte e spingerla a piantarmi in asso; eppure agii come Shavo Odadjian, rimasi fermo e lasciai che le sue dita mi carezzassero piano il braccio, lasciai che Leah mi scrutasse nel profondo e comprendesse da sola, senza che le rispondessi, che anche io sentivo le sue stesse sensazioni, che anche io non avrei voluto rovinare quello strano rapporto che si era creato tra noi in così poco tempo.

«Di cosa hai paura?» volle sapere la ragazza, cercando la mia mano per poi stringerla.

«Dovresti chiedermi di cosa non ho paura» dissi.

«Shavo... mi sento veramente uno schifo, ma ti prego, ti prego... non avercela con me.»

«Non sono un ragazzino, odio queste cose. Odio i giochetti, gli intrighi...»

Leah sospirò. «Ti capisco. So che ho sbagliato, ma io credevo... volevo soltanto trascorrere una vacanza diversa, trovare qualcuno che mi facesse compagnia. Non volevo venire qui, tu lo sai. Mi annoio sempre in questo dannato albergo. Mio padre se la spassa con le sue amanti del momento, mentre io gironzolo annoiata per l'hotel in cerca di qualcosa da fare... è vero, conosco tutti, ma ognuno è impegnato nel suo lavoro e i clienti di questo posto sono tutti terribilmente noiosi come mio padre. Invece voi... non appena vi ho visto, ho capito che sarebbe stato divertente, ecco tutto.»

Rimasi a riflettere per un po', e mi resi conto che non ce l'avevo realmente con Leah, che la delusione era qualcosa che sarebbe passata, perché potevo percepire la sincerità delle sue parole. Stava parlando con il cuore in mano, stava dicendo la verità.

«Hai ragione» ammisi. «Anche io volevo, per una volta, essere Shavo e basta.»

«Lo avevo capito.» Leah sorrise e posò anche l'altra mano sulla mia, racchiudendola in un abbraccio che mi commosse profondamente. «E per me è stato davvero un onore conoscerti. Non perché suoni in una band che amo, ma perché sei una persona splendida e questo l'ho capito fin da subito. Ti ho incontrato in un momento di debolezza, un momento in cui stavi male, e subito mi è stato chiaro che avrei avuto a che fare con una persona totalmente diversa da quella che ho sempre intravisto sul palco, nei video che ho guardato su internet...»

Mi venne spontaneo sorridere. «Non sei mai stata a un nostro concerto?»

«Mai. Però contavo di farlo, prima o poi. Aspettavo che veniste a Las Vegas. Il problema è che nessuno vorrebbe venirci con me. Se ci andassi da sola, scommetto che non ne uscirei viva» scherzò Leah, mentre il suo viso affilato si distendeva e lasciava spazio a un sorriso divertito. «Ma per ora posso accontentarmi del set acustico di Daron e John» aggiunse.

Un lampo improvviso ci inondò di luce, seguito poco dopo da un breve ma rumoroso tuono.

«Ricomincerà a piovere» borbottai, scrutando il cielo scuro e cupo che, coperto completamente di nubi nere, non lasciava intravedere neanche la luna. L'unica fonte luminosa di cui disponevamo era la tenue luce che filtrava dal corridoio.

«John» mormorò Leah, lanciando un'occhiata all'interno della struttura.

Poco dopo udimmo della musica riecheggiare e rimbalzare fino a noi, così dedussi che forse Daron stava cercando ancora una volta di distrarre il batterista dall'imminente temporale che minacciava di abbattersi nuovamente sulla baia.

«Starà bene» commentai con un sorriso. «Daron e Bryah hanno sicuramente capito il meccanismo.»

Leah ridacchiò appena e tornò a rivolgermi la sua attenzione. «Non ce l'hai con me? Sei sicuro? Senti, se posso fare qualcosa per farmi perdonare, sono disponibile! Ai tuoi ordini!»

Scossi il capo e allargai appena le braccia. «Vieni qui» dissi. «Altrimenti non ti perdono» aggiunsi in tono scherzoso.

Leah scoppiò a ridere e si fiondò tra le mie braccia, nascondendo il viso nella mia spalle e soffocando maldestramente le risate. «Che cretino! Ti approfitti di me!» farfugliò.

La strinsi forte a me e smisi di pensare a qualsiasi cosa che non fosse lei, il suo corpo contro il mio e il suo profumo inebriante che sapeva di salsedine e vaniglia. Inspirai a fondo e posai la guancia contro la sua nuca, sentendomi in qualche modo completo e al sicuro.

Non avevo più paura, era scomparsa senza che neanche me ne accorgessi.

All'improvviso qualche goccia cominciò a bagnarmi la testa e il viso. «Piove» mormorai.

Leah, con le mani premute contro la mia schiena, non accennò a muoversi. «È vero» commentò.

«Vuoi rientrare? Sei anche scalza, potresti ammalarti» osservai in tono apprensivo.

«Ma smettila. Sto così bene, perché dovrei tornare dentro?» mi canzonò, sollevando il viso per cercare il mio sguardo. «Sei un essere troppo ansioso, Shavarsh» aggiunse.

«Il mio nome di battesimo ti piace proprio, eh?» notai con disappunto.

«È affascinante, non ti sembra?»

«Proprio per niente. Shavo è più corto, più pratico... più facile» chiarii con convinzione.

Leah sbuffò. «Che rompicoglioni!» mi accusò.

«Scusa eh... è vero!»

«No.» Lei, all'improvviso, si accostò al mio viso e posò le sue labbra sulle mie, in un gesto rapido e sfuggente. Subito si scostò e mi fissò in cerca di una mia reazione. «Allora? È questo che ti serve per farti smettere di dire cazzate?» mi punzecchiò.

Effettivamente ero rimasto interdetto e non avevo saputo né come ribattere né come reagire, anche perché non ne avevo avuto il tempo.

«Hai una faccia...» ridacchiò Leah, sollevando una mano per posarla sulla mia guancia.

Intanto continuava a piovere, le gocce si facevano sempre più grosse e fitte; ormai eravamo bagnati fradici, ma questo sembrava non importarci minimamente. Faceva caldo e quella bizzarra doccia notturna non poteva essere più gradita.

«Mi prendi sempre in giro» borbottai.

«Non è vero, è che hai una faccia da scemo! Scusa per il bacio, non pensavo ti avrebbe fatto quest'effetto devastante» sghignazzò Leah, posando nuovamente la guancia contro la mia spalla e facendosi ancora più vicina a me.

«Ehi!» protestai. Sciolsi l'abbraccio e le presi il viso tra le mani. «Forse è sbagliato, ma non posso evitarlo» ammisi, per poi baciare Leah con cautela, facendo aderire le nostre labbra e assaporando le sue con calma. Il suo sapore si mescolava con quello dell'acqua piovana che cadeva torrenziale su di noi.

Mi scostai lentamente da lei e rimasi a guardarla negli occhi, senza riuscire a capire fino in fondo ciò che avevo appena fatto. Leah aveva dato inizio a quella danza tra noi, ma io avevo risposto e ora non potevo tirarmi indietro. E non volevo farlo.

«Sbagliato?» mi apostrofò con un sorriso compiaciuto.

«Dici di no?»

«Mmh, vediamo... riproviamoci, magari stavolta sarà sbagliato» concluse la ragazza, avventandosi nuovamente sulle mie labbra e mordicchiandole appena, per poi insistere per approfondire quel contatto.

Mi ritrovai a stringerla con più forza, avvertendo la necessità di averla ancora più vicina, anche se non ero certo che ciò fosse possibile.

Tra un lampo che illuminava le nostre figure avvinghiate, un tuono che ci faceva sobbalzare appena e lo scrosciare incessante della pioggia che picchiava su di noi, ci estraniammo dalla realtà e non badammo al tempo che passava, alla notte che si faceva sempre più buia e cupa, ai nostri amici che forse si domandavano che fine avevamo fatto.

Avevamo parlato di verità, della nostra verità, e ora quella verità ci aveva unito e reso inspiegabilmente inseparabili.




Le note di oggi saranno un po' particolari, cari lettori ^^

Partiamo da un link:

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3380229&i=1

Non è un link a YouTube, direte; e infatti non lo è, oggi vi voglio parlare di una poesia, una poesia bellissima che ho trovato molto affine a questo mio capitolo.

La cosa curiosa è che ho letto questa poesia proprio il giorno dopo aver scritto questo capitolo, come potrete dedurre anche dalla mia recensione a essa; allora mi sono detta che dovevo ASSOLUTAMENTE chiedere all'autore, il gentilerrimo KUBA, se potessi mettere voi a conoscenza di questo suo scritto.

Leggetelo e ditemi se anche voi notate qualche somiglianza con il momento magico tra Leah e Shavo ♥.♥

Ringrazio infinitamente KUBA per avermi permesso di citarlo qui nelle note, sono rimasta veramente colpita dal fatto che io e lui abbiamo avuto, a distanza di tempo e senza saperlo, la stessa idea su un momento tra due persone che si sentono molto vicine tra loro :3

E non è ancora finita qui, vi riporto qui sotto un altro link:

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3620289&i=1

Un altro link che non è di YouTube, ridirete :D

Stavolta si tratta di una mia storia, che è strettamente correlata a questa faccenda di John che ha la fobia per il tempoarale; infatti, avevo trattato questa sua particolarità – cosa che mi sono immaginata eh, non vi sto dicendo che è vero, tranquilli – in un'altra mia storia, ovvero la OS che vi ho linkato sopra!

Se vi va dateci un'occhiata, anche se so per certo che alcuni di voi l'hanno già letta e recensita :'D ragazzi, vi ricordavate di questa faccenda?

Il fatto è che mi piaceva troppo collegare così queste storie perché, come qualcuno mi ha fatto notare nelle recensioni al capitolo precedente, è come se così io vi facessi capire che per me i ragazzi sono caratterizzati nello stesso modo, qualunque storia io scriva. Spero che l'idea vi sia piaciuta :3

Bene, aspetto i vostri commenti e non esitate anche a lasciare un parere alla poesia di KUBA, su, fate i bravi, va bene? Ci conto ♥

A presto e grazie di cuore, come sempre, siete speciali per me ♥

  
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