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Autore: jeffer3    10/07/2017    7 recensioni
Brittany e Santana si conoscono in una scuola a diciassette anni. Dopo un amore intenso, per cause maggiori sono costrette a stare divise, per il loro stesso bene.. ma non è facile arrendersi.
Dal testo (capitolo I):
' “Ti rivoglio indietro.” Puntò gli occhi azzurrissimi nei miei “Sono ancora innamorata di te e ti rivoglio indietro.”
Mi colpì forte come un treno.
“Brittany.” Presi un respiro, cercando di ignorare le sue parole “Lo sai che non è possibile”
“Tu ti sei arresa.” Serrò la mascella “Io non l’ho mai fatto. Ti rivoglio indietro.” '
Genere: Angst, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Quinn Fabray, Rachel Berry, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana, Quinn/Rachel
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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PRESENTE.
 



Aprii gli occhi.
Lentamente.
Mi sentivo stanca e confusa.

Dov’ero?
Cos’era successo?

Temporeggiai osservando quello che sembrava un soffitto.
Di un bianco incredibilmente puro.
Non era casa mia di certo.

La mia attenzione fu catturata da un rumore costante.
Fastidioso.
Proveniente dalla mia sinistra.

Col calma mi voltai.
Riconobbi un tracciato cardiologico.
Spiegò quel fastidioso bip reiterato.
Una frequenza cardiaca di 70 battiti al minuto.
Pressione arteriosa, lessi, 115 su 70.

La domanda a questo punto era una sola.
Era roba mia?
Provai a muovermi.
Un fastioso dolore, seppur leggero, si fece strada irradiandosi lungo tutta la spalla destra.

Ricordai.
E il suono proveniente da quel monitor si fece più frequente.

“Santana, tranquilla.”

Deglutii a quella voce, con difficoltà.
Avevo la bocca completamente asciutta.
Da quanto tempo stavo così?

Focalizzai la mia attenzione sul grosso cerotto all’apice del mio braccio.
Lo strappai via senza pensarci neanche più di tanto.

“Santana!”
“Cos’è successo Quinn?” chiesi, osservando una cicatrice, di forma stellata, nel punto coperto dal cerotto.

Lei non mi rispose.
Spostai lo sguardo sulla sua figura, a qualche metro dal mio chiamamolo ‘letto’, che tentava di osservare incuriosita la mia cicatrice.

“Non era questo il suo aspetto prima, vero?” domandai, intuendo il motivo di quella sua espressione confusa.
“Già..” confermò “Era un po’ bruttina prima, devo ammettere.”

Fece due passi avanti.
L’espressione ora più seria.

“Ti hanno colpito alla spalla con una sorta di fucile, niente che avessi visto in precedenza.”
“Di questo mi ricordo” sospirai, staccandomi via le ventose dal petto, facendo finalmente cessare quel maledetto bip.
“Hai finito di strapparti via qualsiasi cosa tu abbia addosso?”

Riportai l’attenzione su di lei, che mi guardava contrariata.
Sollevai un sopracciglio esplicativa mentre allungavo il braccio per spegnere del tutto il monitor al lato del mio letto.
Mi tirai leggermente su, in posizione semiseduta.
Provai ad ignorare la sensazione di fastidio alla spalla.

“Dov’è Brittany?” chiesi, senza pensarci più di tanto.
“Curioso che sia la prima persona di cui chiedi dopo essere stata centrata da un proiettile.” Prima che potessi anche solo pensare di rispondere, continuò “E’ uscita qualcosa come due minuti prima che ti svegliassi, mi ha semplicemente detto di entrare e quando l’ho fatto ti stavi svegliando”
“Sta bene?”
“Sì, lei era nella scuola. I tipi dopo averti sparato se ne sono andati” corrugò le sopracciglia “Presumo fosse quello il loro intento a questo punto.”

Questo era strano.
Ma neanche più di tanto.
Forse Shaw voleva darmi una lezione.
O semplicemente voleva aizzarmi ancora di più.
Una cosa era certa: ero piuttosto arrabbiata.

“E’ stata tutto il tempo qui” continuò, mentre ero persa nei miei pensieri “Da ieri pomeriggio, ha semplificato le operazioni, senza di lei sarebbe stato impossibile avere un accesso endovenoso”

Annuii distrattamente.
Dovevo parlarle.
Se la conoscevo almeno un po’, in quel preciso momento si stava dando la colpa di tutto.
Feci per alzarmi, quando il braccio di Quinn si posò subito sul mio.

“Non ci pensare neanche” alzò la voce, spingendomi in basso. “E’ fuori discussione che tu ti alzi”
“Quinn, per favor-“ mi bloccai realizzando solo allora le parole che aveva pronunciato prima “Ieri pomeriggio?! Che ore sono? Da quanto tempo sono qui?”
“Non è che dobbiamo farti anche un tac cranio per sicurezza?” si corrucciò, notando il gap temporale nella mia risposta. “Sei qui da ieri pomeriggio; e ora sono le 14” rispose “Sei stata incosciente per quasi 24 ore.”

Porca merda.
24 ore.
E Jess-

“Kali ha risolto le tue questioni familiari, non so esattamente come” disse, capendo al volo la mia preoccupazione “Poco mi importava onestamente”.
“Bene” ignorai la sua ultima frase, provando ad alzarmi per l’ennesima volta.
“Sant-“
“Quinn, smettila” la fulminai con lo sguardo “So capire quando un paziente può alzarsi e io posso ok?”

Lei si limitò a fare un passo indietro serrando la mascella.
La fissai per qualche secondo.
Poi mi tirai su a sedere.
Sentivo lentamente le forze prendere possesso di me.
Andava meglio.

“Sai” la guardai di nuovo “Potrei quasi pensare che tu sia preoccupata per me in questo momento.” Alzai un sopracciglio “Il che è davvero molto strano da parte tua.”

Quinn si limitò a serrare le labbra.
Spostò lo sguardo lontano da me, incrociando le braccia.
Ma notai un leggero sbalzo di tensione dalla lampada al neon sopra la nostra testa.
A quanto pare si era innervosita.

La ignorai per un po’ e ne approfittai per bere un sorso dall’acqua posta alla mia sinistra, su un piccolo ripiano.
Osservai la stanza in cui ci trovavamo.
Era l’infermeria della scuola.
Ci ero entrata poche volte negli anni precedenti.
Mai per piacere.

“Ti avevo chiesto gentilmente di non farti ammazzare” ruppe quel silenzio Quinn, senza neanche guardarmi.

Mi concentrai per un po’, cercando di ricordare le esatte parole.
Non erano quelle.

“No, tu mi avevi detto” temporeggiai portandomi la mano al mento “’Cerca di non farti male’ se non erro, o una cosa del genere insomma”
“E cosa cambia?” ringhiò in risposta, fissando lo sguardo nel mio.
“Beh, non era gentilmente e non era un esortazione a non farsi ammazzare” sollevai le spalle, evocando per l’ennesima volta quel fastidioso dolore.

Probabilmente feci una smorfia di dolore.
E lo sguardo di Quinn passò da irritato a preoccupato nel giro di un secondo.

Quando posai gli occhi sui suoi, si affrettò ad assumere nuovamente la sua solita espressione seria e apparentemente indecifrabile.
Pensai a cosa dirle, ma prima ancora che potessi aprire la bocca, la porta si spalancò.

“Santana” piombò nella stanza Kali “Come stai? Sei sveglia!” sorrise, felice.
“Ehi, barbone” ricambiai “Tutto bene, non preoccuparti.”

Inizialmente non capii il perché di tutta quella agitazione nell’aria.
Quinn, nonostante la profonda incazzatura, preoccupata.
Kali felice ma visibilmente provato.
Poi collegai.
Non ero mai stata male io.
Mai una ferita, una febbre, un raffreddore.
Niente.
E ora un proiettile.

Ancora dovevo elaborare la faccenda, ma il solo pensiero di quanto successo faceva crescere in me una strana sensazione.
Di certo non bella.
Sembrava un misto di rabbia, frustrazione e, forse, una leggera vergogna.
Ero sempre stata indistruttibile.
E ora, in un semplice attacco, ero stata messa KO da 4-5 idioti.
Poco importava dell’arma.
Tanto ero sicura al 99% di cosa si trattasse.

“Ma hai levato cerotto e-“ sporse la testa per osservare meglio la cicatrice, rapito “E..”
“Sì ho tolto tutto” continuai io per lui, visto il suo blocco momentaneo “E’ tutto ok, è solo una cicatrice ormai, sto bene, mi sento in forze.”

Lui mi guardò preoccupato.

“Oh, andiamo, ormai è solo una cicatrice e-“
“Ci hai fatto prendere uno spavento non indifferente San” mi bloccò Kali “Sei stata incosciente per quasi 24 ore e-“
“Sì lo so, me lo ha detto Quinn.” Sollevai gli occhi al cielo “Ma ora sto bene, no? Lo vedete?”

Provai ad alzarmi quando sentii una sensazione strana in basso.
Alzai le coperte per guardare il resto del mio corpo, nascosto ai miei occhi.
Sgranai gli occhi allibita.

“Cioè fatemi capire” puntai gli occhi in quelli titubanti di Kali “Voi non solo mi avete messo una tutina da ospedale orrenda per cui probabilmente alzandomi mi ritroverò il culo all’aria” presi un profondo respiro irritato “Ma mi avete anche messo un catetere?!”
“San..” provò tranquillo Kali.
“Silenzio” mi massaggiai le tempie nervosa.

Sapevo che era necessario sulla carta.
Ma ugualmente la cosa mi urtò non poco.

“Aggiornami sulle ultime cose” cambiai discorso, veloce.
“Ho dovuto frugarti nella mente San” arrivò subito al sodo il barbuto lasciandomi confusa.
“Che?”

Lui si mosse a disagio sul posto.
Prese un profondo respiro prima di parlare.

“Non rispondevi a nessuno stimolo, non sapevamo cosa fare, chi avvisare.”
“Ti prego dimmi che non hai chiamato Jessie.”
“No, no” portò subito la sua mano sulla mia “Ho dovuto frugare nei tuoi pensieri e cercare di capire chi potesse essere ideale contattare.” Continuò, titubante “I tuoi pensieri erano confusi, ma fra tanti nomi, uno ripetuto spesso era quello di una certa Vivian”

Dio, ti ringrazio.

“Così l’ho chiamata” continuò “Le ho spiegato che non potevi muoverti ma-“
“Ma?”
“Ho dovuto farla venire qui” finì “Ha minacciato di raccontare tutto al tuo..” prese una pausa, prendendo un respiro “Compagno, se non ti avesse visto.”
“Quindi è qui?” chiesi, ignorando il suo tono strano a proposito di Jessie.
“Sì, è di là con Kurt. Ora andrò ad aggiornarla e la farò entrare qui se per te va bene”
“No.”

Sia Kali che Quinn alzarono un sopracciglio, stupiti.

“No?”
“No” confermai “Devo prima fare una cosa.”
“Quale cosa?” chiese Quinn, stralunata.
“Devo andare a parlare con Brittany, ok?!” sbraitai togliendomi le coperte di dosso.
“Santana prima devi sapere una cosa” provò ad avvicinarsi cauto Kali.

Presi un profondo respiro.
Spostai lo sguardo nel suo.

“E’ a proposito del proiettile vero?”
“Sì” mi confermò “Abbiamo fatto analizzare il contenuto e-“
“Ed è sangue di Brittany” conclusi per lui, lasciando entrambi stupiti.
“Come hai fatto a capirlo?”
“Quando andai alla fortezza, Shaw mi minacciò” spiegai “Disse che aveva un’arma contro di me e subito dopo spinse Brittany contro di me” ricordai con calma “Ci ho riflettuto per giorni su quelle parole e il sangue di lei è l’unica cosa sensata e plausibile che mi sia venuta in mente”

Entrambi mi fissavano elaborando quanto detto.

“Probabilmente una volta penetrato nel mio corpo sarà stato rilasciato nel sangue” riflettei “Il che spiegherebbe la mia perdita di coscienza per quasi un giorno intero.”
“Ha senso” si accarezzò la barba, realizzando la cosa.
“Sì ha molto senso” confermai “Ma ora qualcuno per cortesia mi levi questo stramaledetto catetere dalla vescica.”

 


 
Mi rivestii in fretta, mettendo i jeans con cui ero arrivata.
La t-shirt, ormai inservibile, era stata rimpiazzata con una lasciata sulla sedia vicino al letto dell’infermeria.
La riconobbi.
Era una delle vecchie maglie preferite di Brittany.
Grigia, con un logo di batman sul petto.
Incredibile l’avesse ancora dopo tutti quegli anni.

La indossai, come facevo anni addietro.
Quando di nascosto le rubavo qualche maglia da indossare in camera.
Passavo tutto il pomeriggio a crogiolarmi in quella sensazione, in quel profumo di lei che mi arrivava dritto al cervello.
A lei non sembrava dispiacere, anzi.
Passava il tempo a fissarmi con un sorrisino divertito, concludendo il tutto con un puntuale ‘Sta meglio a te che a me’ prima di assaltarmi e riempirmi di baci, mentre io ridevo.

Certe volte lo facevo apposta.
Tutto per il suo tornado di baci.
Tutto per le sue labbra sulle mie.

Non dovetti pensare molto a dove potesse essere.
Se le cose erano rimaste come un tempo, l’avrei trovata sicuramente nel suo posto preferito.
In quello che più di tutte le trasmetteva tranquillità.

Tagliai tutta la scuola, cercando di ignorare gli sguardi curiosi dei ragazzi attorno.
Superai la porta principale e continuai la mia strada per il giardino.
Rallentai la mia marcia quando fui in prossimità del laghetto di papere.
Mi fermai, infine, riconoscendola seduta su una delle tante panchine di legno.
La osservai in religioso silenzio.
Il suo sguardo sembrava.. perso nel vuoto.
Avrei pagato oro per sapere i suoi pensieri in quel momento.

Mi avvicinai piano entrando nel suo campo visivo, proprio di fronte a lei.
Una decina di metri a dividerci.

Fu allora che mi notò.
E puntò i suoi occhi nei miei.
Il blu ancora più accentuato dal rossore circostante.
Aveva pianto.
E sentii il mio cuore stringersi per un momento al pensiero.

Feci un passo in avanti.
Lei rimase immobile, ancora seduta.
Lo sguardo stanco.

“Hai provato a dormire un po’?” provai a tastare il terreno.

Si limitò a scrollare le spalle in risposta.
Forse non era una domanda geniale con cui iniziare.

“Sei sveglia” disse solo, stringendo gli occhi.
“Sì” confermai “Viva e vegeta” sorrisi.

Non ricambiò.
Piuttosto, strinse le labbra, passandosi una mano sugli occhi.

“Tutto ok?” chiesi, ancora, ricevendo nuovamente una scrollata di spalle in risposta.

Così non andava.

“Non ti va di parlare? Vuoi che vada via?” provai.

Questa volta scosse leggermente la testa.
Ma non parlò.
Si limitò a guardarmi.

“Che ne dici di un gioco?”

Mi fissò per un attimo confusa.

“Ogni verità un passo” semplificai con un sorriso, come facevo anni addietro, dopo la prima volta che lei stessa ideò il gioco.

Un piccolo, minuscolo sorriso si formò agli angoli della sua bocca.
Non disse nulla.
Si limitò ad alzarsi in piedi.
Mi fissò, in attesa di una mia parola.
Come in passato.

“Sei preoccupata” iniziai, guadagnando un suo passo verso di me.
“Sei preoccupata perché hai paura che possa farmi male”

Fece un piccolo passo.
Poi parlò.

“Ti sei fatta male, in realtà.” Puntualizzò.
“E’ solo una cicatrice ormai, Britt”

Mi guardò un po’ titubante.

“Prima non era solo una cicatrice però.”
“Dettagli”

Ignorai il suo sguardo rassegnato.

“Credi di essere il motivo di questa cicatrice”

Un passo in avanti.
Gli occhi puntati verso il basso.

“Brittany” provai a richiamarla “Questo non è colpa tua.”
“Sono stata io a farti tornare” puntò gli occhi nei miei, lucidi “E’ colpa mia, in fondo.”

Feci un passo in avanti, incurante delle regole del gioco.
Un metro di erbetta a separarci.

“Sono stata io a decidere di restare però” puntualizzai tranquilla “E’ capitato”

Lei scosse la testa, visibilmente contrariata.

“Ehi” mi avvicinai ancora “Sto bene ok? Guarda” scostai il bordo della maglia per permetterle di vedere la cicatrice sulla spalla.

La sua attenzione completamente catturata da quel gesto.
Spostò poi lo sguardo dalla cicatrice alla maglia che indossavo.
La sua.
E i suoi occhi sembrarono rasserenarsi per un secondo.

“Sta meglio a te che a me” disse, solo, come tanti anni addietro.

Provai a sorridere, tremolante, ignorando la valanga di ricordi che mi investì.

“Ritiro la mia scommessa.”

Alzai il sopracciglio sinistro, senza scompormi più di tanto.

“Tu non ritiri un bel niente”

Mi guardò contrariata.

“Ritiro quello che voglio” puntualizzò “E ritiro la scommessa”
“Non puoi” sollevai le spalle, noncurante.
“Sì che posso”
“No” continuai “Ormai ho accettato”
“Orm-“ si bloccò “Che?”
“Accetto la tua scommessa” chiarii.

La sua espressione indecifrabile.
Sembrava un misto di felicità, preoccupazione, tristezza.
Non saprei dire.
Mi affrettai a continuare.

“Ieri mi sono beccata un proiettile perché ero arrugginita. Non accadrà più se mi aiuti a migliorare” spiegai “Ora mi hanno fatto davvero incazzare, cerca di capirmi”
“Il proiettile ti ha fatto incazzare?” provò a nascondere un sorriso “Sul serio? Solo tu.”

Sollevai le spalle.
Come a dire ‘ehi, lo sai come sono’.
Riflettei sulla cosa.

In realtà la nuova Santana non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
La nuova Santana sarebbe tornata indietro, senza voltarsi.
Una strana sensazione iniziò a farsi largo dentro di me.
Ma la ignorai.
Sarebbe stato tutto temporaneo.
E basta.
Avrei risolto le questioni in sospeso.
E allora, solo allora, sarei tornata alla mia vita.
In fondo, parte del motivo della crisi della scuola ero io.
Era la cosa più corretta da fare.

“Non sono molto convinta” disse, ancora, riottenendo la mia attenzione.

Feci un altro passo avanti.

“E stai ignorando le regole del gioco” obiettò guardandomi eloquente.
“Lo so, ma è necessario quando inizi a diventare irrazionale” sorrisi “Ho bisogno di risolvere la situazione qui, sento che è la cosa giusta da fare.”

Presi una pausa, respirando a pieni polmoni l’aria di quel giardino.
Concentrandomi sul rumore dell’acqua mossa dal movimento delle papere.

“E la cosa non dipende più da te” aggiunsi, infine, puntando gli occhi nei suoi “E’ solo mia la decisione.”

La vidi prendere un respiro tremolante.
Si portò velocemente la mano agli occhi, come a scacciare piccoli residui di lacrime.

“Ho solo paura di perderti sul serio.” bisbigliò, quasi impercettibile.

Istintivamente provai ad allungare la mano verso la sua.

Fu allora.
Fu allora che mi resi conto di quanto effettivamente fossimo vicine.
Troppo, molto più del solito.

“Che hai?” chiese, subito, lei, notando probabilmente la mia espressione interdetta.

Mi sentivo stanca e strana.
Quello sì.
Ma a quella distanza solitamente non mi reggevo in piedi.
A quella vicinanza da lei sarei stata cento volte peggio.
La testa avrebbe iniziato a girare e le gambe avrebbero perso la forza per sostenermi.

Che diavolo stava succedendo?
Incontrollabile, sentii la necessità di toccare la sua mano.
Piano, avvicinai la mia, facendo mezzo passo in avanti.
E lei capì.
Perché la sentii distintamente trattenere il fiato.

Posai i miei occhi sui suoi.
E giuro non avrei saputo inquadrare il sentimento che vi scorsi all’interno.

“Hai freddo?” chiesi, piano, continuando ad avvicinare la mano alla sua.
“Poco” bisbigliò.

Come se dirlo ad alta voce potesse far cessare quello che sembrava un miracolo.

Non indugiai oltre.
Né ci pensai o ragionai.
Al diavolo tutto.
E, veloce, avvolsi la mia mano attorno al suo polso.

Entramme lasciammo andare il respiro, trattenuto fino a quel preciso momento.

La sua pelle era fredda.
Ma morbida come la ricordavo.
Ignorai la lieve sensazione di stanchezza che piano si faceva largo dentro di me e scesi con le dita, fino a toccare le sue.
Le strinsi fra le mie.
E lei fece lo stesso.

Sollevai lo sguardo verso di lei.
Era ancora focalizzata sulle nostre mani a contatto.
Incredula, come lo ero io.

“Britt” provai a richiamarla, cercando di attirare la sua attenzione.

E lo fece.
Puntò gli occhi nei miei.

Feci per parlare quando fui interrotta.

“Brittany, Santana!”

Una fastidiosa voce ci richiamò.
Mi voltai trovando Giuly che si avvicinava.
Non era sola.
Riconobbi Vivian al suo fianco.

Avrei dovuto essere spaventata.
Agitata.
Cos’avrei detto a Vivian?
Come le avrei potuto spiegare di quella parte della mia vita, così imponente eppure nascosta per anni ai suoi occhi?
Come avrei potuto guardarla negli occhi e confessare di averle mentito per anni?

Ma in tutta onestà?
Non mi interessava.
E poteva essere sbagliato sotto ogni possibile punto di vista.
Non importava.

Notai con la coda dell’occhio Brittany che continuava a fissarmi.
Incurante delle due persone che si stavano avvicinando a noi.
Strinse di più la presa sulla mia mano.
Come a dire ‘guardami’.

E lo feci.
Ci guardammo per alcuni interminabili secondi.

Avvertivo la sua pelle farsi leggermente più fredda.
Poco alla volta.
Così come la stanchezza aumentava in me.
Piano e lentamente.

Avrei voluto dire qualcosa.
Ma ero completamente bloccata.
Focalizzata su quella sensazione, familiare, ma che da tanto non sentivo.

Con la coda dell’occhio notai le due avvicinarsi a noi sempre di più.
Un paio di metri a separarci.

Fu allora che sentii il cellulare squillare dalla tasca.
Entrambe sobbalzammo, ma non interrompemmo il contatto.
Nessuna delle due lo avrebbe mai fatto.
Lo presi velocemente con la mano libera.

‘Sconosciuto’

“Rispondi, no?” mi esortò, piano.
“E se fosse uno dei miei pazienti idioti?” chiesi, terrorizzata, ottenendo un piccolo sorriso in risposta.

Risposi, mentre Vivian, ormai vicina assieme a Giuly, mi si parava innanzi con uno sguardo tutt’altro che rilassato.

“Pronto?”
Ciao Santana”

Mi congelai sul posto.
Immobile.
Brittany strinse ancora la sua presa sulla mia mano.
Mi voltai verso di lei, cercando pace nelle sue iridi blu.

“Shaw.” Dissi solo, mentre la bionda al mio fianco spalancava gli occhi nei miei.

Allora capii.
Avrei dovuto sospettarlo.

Era opera sua.

Piaciuto il regalo?”


 


Tetraedro dell'Autrice

Vi chiedo perdono. E' passato davvero un mucchio di tempo e non so se ci sia ancora qualcuno che segua la storia.. ma! sentivo la necessità di continuarla, nonostante il mio essere arrugginita e il tempo passato.
Da qui in poi dovrei avere molto più tempo per dedicarmi a questa ff, spero continui a piacervi :)
Non odiatemi vi prego!

Grazie a tutti di tutto, e scusatemi ancora per il tempo infinito trascorso
.
A presto, bella gente :)
  
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