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Autore: ClaireOwen    18/07/2017    4 recensioni
[Bellarke - Modern.AU]
“Mi dispiace.”
Sussurra timidamente.
E sa che dovrebbe porgere le sue scuse ad ognuno di loro ma vuole essere sicura che sia proprio lui ad udirle per primo.
Ad ogni modo se c'è una cosa che Bellamy Blake sa fare è stupire e stavolta lo fa riservandole un sorriso docile, spiazzante; china leggermente il capo, prega che nessuno si sia reso conto di quella sua impercettibile reazione perché di certo non è riconosciuto dagli altri come una di quelle persone affabili e gioiose, effettivamente non è dispensando sorrisi che il maggiore dei fratelli Blake si è guadagnato il rispetto da quel branco di scapestrati.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake, Raven Reyes, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Clarke è stesa sul fresco pavimento dell’atelier, i disegni dei suoi ragazzi tutt’intorno e le schede di ognuno di loro a portata di mano.
Marcus le ha fatto avere la documentazione che appartiene ad ogni ragazzo che frequenta il corso completa di fotografie e finalmente la giovane donna riesce a ricondurre ogni tratto al viso cui appartiene.
Le loro storie sono freddamente descritte in quei fascicoli: c’è chi ha subito violenze, chi è orfano, chi ha qualche precedente eppure ogni foto ritrae dei bambini appena cresciuti con gli occhi ancora pieni di vita nonostante siano evidentemente offuscati da tutto il male che il nostro mondo è in grado di riservare.
E’ arrivata all’alba, non riusciva a dormire e non ci ha pensato due volte, istintivamente ha raccolto in una cartellina rigida tutto il materiale ed ha camminato per le vie deserte della città ancora assopita, dritta fino al suo studio.
Ancora non riesce a concentrarsi.
Nonostante sia evidente, ora che finalmente conosce le loro vicende, ricondurre le rappresentazioni al singolo dramma che ognuno di quei ragazzini porta dentro sé, la sua mente è altrove.
Sono giorni che le ultime frasi della mail di Lexa Woods le tartassano i pensieri:
So solo che quando leggerai questa mail mi penserai ed i ricordi riaffioreranno man, mano con il passare dei giorni e allora io saprò che per l’ultima volta avrò dominato la tua mente.’
Ed è davvero così, nonostante sappia che dovrebbe pensare ad altro, dovrebbe davvero concentrarsi sul suo nuovo lavoro, i suoi ricordi lottano ferocemente con la realtà riuscendo a vincerla spesso.
Per esempio in alcun modo riesce a togliersi dalla testa la prima volta in cui ha capito che Lexa sarebbe divenuta qualcosa di molto più importante che una semplice amicizia di rimpiazzo.
 
 
Dopo quel ballo le due ragazze avevano cominciato a passare insieme ogni singolo momento della giornata.
Lexa aveva la sua stessa età ed esattamente come lei era sola, si era trasferita dal Nebraska e faceva volontariato allo zoo di Washington.
E quello non era un dettaglio da poco.
La giovane ragazza sembrava vivere per la natura, cresciuta in campagna, riusciva a sentirsi viva solo rimanendo affianco di quel mondo fatto di completa armonia tra piante e animali.
Le aveva confessato che in realtà odiava l’idea dello zoo in quanto tale ma vi si era avvicinata tramite un’associazione animalista che si assicurava che all’interno della struttura venissero rispettati tutti i protocolli affinché ognuna delle specie presenti non subisse maltrattamenti.
La sua dedizione ed il suo modo così spontaneo di rapportarsi all’ambiente aveva fatto sì che venisse notata in fretta dal responsabile, il quale, subito dopo il diploma, le propose di occuparsi a tempo pieno degli animali presenti.
Lexa in un primo momento diffidente, aveva poi compreso che quello sarebbe stato l’inizio di un’esperienza indelebile e così aveva accettato forse soprattutto grazie ai consigli e alla spinta della stessa Griffin.
Fu tramite quell’impiego, inizialmente sottovalutato, che si agganciò all’associazione di ricerca per la quale ancora lavorava in campo ecologista.
Clarke passava così intere giornate al suo fianco, si sedeva in un angolino e la osservava pulire le gabbie, cibare ogni singolo animale, quella ragazza sembrava una forza della natura.
Entrava ed usciva dalle grandi vetrate dietro cui si celavano leoni e tigri senza alcun timore, a volte, riusciva persino a giocare con alcuni di loro e allora, quando succedeva, Clarke socchiudeva appena le labbra e rimaneva incantata da come persino gli animali divenivano preda del suo incredibile fascino.
Non che avesse mai pensato a Lexa in modo differente che un’intima amica eppure le era capitato di percepirsi strana, diversa in sua presenza.
Non come accadeva con Octavia.
Si preoccupava sempre troppo del suo aspetto ogni qual volta sapeva d’incontrarla: sceglieva con cura tutto ciò che doveva indossare, dall’intimo al colore dell’elastico per i capelli.
Ma era stata così ingenua da sottovalutare quegli strani segnali.
Si era semplicemente illusa che quel diverso modo di comportarsi dipendesse dal fatto che Lexa non era Octavia Blake e se non voleva nuovamente essere abbandonata avrebbe dovuto davvero mettercela tutta, essere impeccabile.
Ecco cosa pensava quindi tutte le volte in cui si ritrovava a truccarsi in modo fin troppo marcato di fronte all’ampio specchio del bagno.
 
Quel giorno dunque non fece eccezione, era primavera e nel pomeriggio, come sempre del resto, sarebbe andata a trovarla allo zoo.
Indossò un comodo vestitino dalla leggera fantasia floreale e raccolse i capelli dorati in un’ elaborata acconciatura di trecce.
Quando arrivò allo zoo, puntuale, forse persino in anticipo, si accoccolò nel suo solito angolino e stringendo a sé un blocco da disegno e impugnando la matita con decisione cominciò a schizzare il volto di Lexa accostandolo a quello della pantera nera che si trovava distesa proprio davanti a lei, entrambe sembravano avere in comune gli stessi identici disarmanti occhi verdi.
Fu la prima volta che impresse il suo volto sulla carta dalla grammatura spessa, le linee scorrevano lungo il foglio in modo armonico, s’intrecciavano in una strana danza astratta che mescolarono i due lati dei visi delle due protagoniste indiscusse: i volti della pantera e di Lexa si fondevano di fatto in un tutt’uno senza perdere il proprio carattere, la loro personale essenza.
Solo più tardi l’altra ragazza si accorse della sua presenza ma impegnata com’era, Clarke non la biasimò.
“Hei!”
Il tono piacevolmente stupito.
La giovane Griffin si affrettò a chiudere il blocco da disegno e le rivolse uno sguardo quasi colpevole.
Ma lei, in tutta risposta, andò oltre il suo buffo comportamento e proseguì
“Non pensavo di trovarti già qui.”
E’ questo che le piaceva di più della giovane Woods, sapeva perfettamente dosarsi, percepiva subito quand’è che doveva ignorare i suoi più strani atteggiamenti.
Lo aveva appena fatto, aveva capito che Clarke dentro quel blocco le stava nascondendo qualcosa, effettivamente chiunque lo avrebbe capito, persino un bambino, ma lei non aveva fatto nulla per insistere, l’aveva rispettata anzi come nessuno aveva fatto prima d’ora.
“Avevo voglia di vederti.”
Si lasciò sfuggire lei, non sapeva nemmeno di averlo pensato prima che le sue parole affermassero quello strano desiderio.
Sentì le guance andare a fuoco, nonostante fossero ormai davvero amiche per la pelle, le sembrava assurdo confessare una cosa simile e credeva di aver detto un qualcosa di estremamente fuori luogo.
Ma il sorriso smagliante ed orgoglioso che andò ad increspare la linea sottile delle sue labbra la spogliò di ogni dubbio o insicurezza.
 “Bene… Perché ho una sorpresa per te. Stasera mi occupo della chiusura e credo proprio che potremmo goderci lo zoo come in pochi lo hanno visto: vuoto, avvolto dalla luce della luna. Ho portato dei panini e un paio di birre, pensavo di improvvisare un pic-nic vicino all’area savana, che ne dici?”
Le pupille di Clarke si dilatarono in un moto di assoluta gioia.
 
Così, quando calò la sera e lo zoo lentamente si svuotò di ogni presenza umana rivelandosi come un posto quasi incantato, le due si ritrovarono stese su un telo ad osservare in silenzio religioso le Giraffe che dinnanzi a loro si stagliavano brucando qua e la da qualche fusto di alberi esotici a cui Clarke non sapeva dare un nome.
“E’ incredibile.”
Si lasciò sfuggire Clarke tirandosi a sedere, Lexa la imitò silenziosamente.
“Mi sembra davvero di essere dall’altra parte del mondo, non mi era mai successo.”
L’amica annuì.
“Mi lasciano fare la chiusura da un paio di settimane ormai ed ogni volta è speciale, è come se solo in quel momento gli animali siano in grado di ritrovare la loro indole. Finalmente sono soli, lo percepiscono, sai? E se si volesse davvero osservare il loro comportamento bisognerebbe farlo ora.”
“Vuoi dire che si rendono conto di essere osservati?”
L’altra annuì.
Improvvisamente Clarke distolse il volto rapito dalla recinzione che le separava dalle giraffe e si voltò.
Il suo viso ora si trovava esageratamente vicino a quello di Lexa, bagnato dalla luce argentea della luna alta in cielo, i suoi lineamenti apparivano ancora più incantevoli ed i suoi occhi assumevano una sfumatura di verde talmente scura che Clarke credeva e temeva di perdervisi.
“Grazie.”
Fu in grado di sussurrare appena senza riuscire a distaccare il suo sguardo prima dagli occhi, poi dalle labbra di lei.
Lexa non rispose, non rivelò espressioni, semplicemente chiuse gli occhi e delicatamente posò le sue labbra su quelle di Clarke.
E precisamente in quell’istante la bionda capì perché non aveva mai percepito Lexa Woods come un rimpiazzo, o come un’amica al pari di O’.
Nei suoi confronti aveva provato nient’altro che profonda attrazione, non c’era nulla che avesse a che fare con l’amicizia in quanto tale e quel bacio glielo aveva dimostrato nel modo più inequivocabile.
 
-
 
“Ti ricordi che questo weekend c’è la festa?”
Bellamy annuisce spaesato a sua sorella che come suo solito si è intrufolata senza bussare in camera sua.
“Dovresti smetterla di apparire così di soppiatto.”
Dice invece soffocando una risata nervosa.
“Il fatto è che Murphy ci ha dato buca.”
Il maggiore dei Blake allora si volta abbandonando la sua scrivania e prestando davvero attenzione ad Octavia.
“In che senso?”
La piccola Blake sfoggia un sorriso malizioso.
“Ha detto che ci raggiungerà ma non può venire con noi… Io credo che ci sia sotto qualcosa, sai? Tipo un appuntamento galante.”
Il ragazzo scuote la testa, i suoi pensieri erano assenti e ci mette un po’ a riprendere il vero significato di ciò che Octavia sta insinuando.
Un piccolo ghigno affiora velocemente tra le sue labbra, immaginare John coinvolto in qualsiasi tipo di relazione lo fa ridere, non è mai stato il suo forte, si è sempre dato alla pazza gioia ogni qual volta ha potuto ma poi la realtà dei fatti si fa più chiara.
Stanno crescendo.
Sono cresciuti anzi e improvvisamente non ci trova più nulla di troppo strano, quell’elaborazione è accompagnata da un leggero groppo alla gola, è come se si sentisse differente, se cogliesse troppo lontano da sé quell’idea di essere maturi e davvero adulti.
Del resto dopo la prima lezione che ha tenuto con Clarke, non è riuscito in alcun modo di impedire ai suoi pensieri di correre da lei.
Allora ha cercato di ignorarli senza ottenere risultati soddisfacenti.
Il viso luminoso di Clarke Griffin ha fatto capolino ogni istante, il suo sentimento adolescenziale, lasciato in disparte per troppo tempo, si è risvegliato in modo prepotente e l’amarezza di non poterla avere lo ha pervaso per giorni.
Lei non gli appartiene, tutto di lei, ogni lembo di pelle, ogni sguardo intenso, ogni sorriso incerto o raggiante che sia, hanno un altro proprietario, un’altra proprietaria anzi di cui ha preferito ignorare il nome, nonostante Murphy stesse per spifferarglielo con leggerezza.
“Hei! Ci sei?”
O’ lo allontana dal dolore che ha pervaso il suo torace ed il ragazzo sente la gratitudine crescere dentro di sé, non avrebbe sopportato di lasciare ancora che certe idee lo corrodessero a tal punto.
“Scusa, hai ragione…” Respira profondamente, non vuole che sua sorella si preoccupi e ancor meno desidera che gli ponga domande scomode.
“Mi fa sorridere pensare a Murphy in situazioni romantiche ma voglio dire… perché no, dopo tutto anche lui ha un cuore!”
“Credevo che dopo Emori avesse detto basta.”
Riflette lei in modo assente.
“Andiamo, aveva diciassette anni, era ancora un ragazzino, Emori non era l’amore della sua vita, era solo la prima vera cotta.”
La minore dei Blake soffoca una risatina e il fratello le riserva uno sguardo interrogativo.
“Cosa ci trovi da ridere, scusa?”
“Non sei la persona più adatta per accantonare in modo così superficiale le cotte adolescenziali…”
“Non ti seguo, se parli di Gina o Echo… Sai bene che per me sono state solo delle ragazze con cui condividere dei bei momenti.”
Lei gli lancia uno sguardo malizioso e indietreggiando appena lo canzona con una battuta finale mentre sta per richiudersi la porta alle spalle.
“Ma io non sto affatto parlando di loro!”
Bellamy è abbastanza sveglio da comprendere l’allusione, solo che non riesce a capire perché sua sorella conservi tanta sicurezza, del resto non ha mai fatto nulla per esplicitare il suo debole per Clarke Griffin.
In realtà se c’è qualcosa di cui è convinto è di aver fatto anche l’impossibile per nascondere la vera natura dei suoi sentimenti che tanto lo terrorizzavano.
Senza pensarci più del dovuto allora, lascia la sedia e cerca di recuperare la distanza con Octavia, in un impeto apre la porta della sua stanza e si avventa nel piccolo corridoio che separa le loro due camere.
Irrompe nell’ambiente e senza permettersi di riprendere fiato chiede utilizzando un tono particolarmente alto
“Cosa sai?”
Ed il suo pensiero corre di nuovo a quella notte di schiamazzi, promesse ed ultimi sguardi.
Lei scuote la testa
“Allora c’è qualcosa che dovrei sapere?”
Temeva che nella sua voce potesse esserci traccia di rancore o rabbia ma Octavia non lascia alcuno spazio a questi sentimenti nonostante ormai sia chiaro che il soggetto in questione sia proprio la sua ex migliore amica.
Bellamy si morde il labbro ripensando a quanto abbia reso impossibile la vita a lei e Lincoln i primi tempi.
La piccola O’ non sembra turbata ma maledettamente curiosa.
“N…N…Niente.”
Si ritrova a balbettare Bellamy quasi odiandosi per questa stupida situazione che sta mettendo in scena.
“Quando mio fratello comincia a balbettare non riesco a credergli.”
Il maggiore sbuffa.
E si sente un bambino, un idiota che non è nemmeno in grado di ammettere ciò che ha fatto.
Rimane lì impalato a guardarla, incapace di emettere versi.
“Senti Bell, non voglio obbligarti, se non vuoi parlarne fai come ti pare ma se dopo tutto questo tempo stai ancora così… Bhè forse dovresti capirlo che ne hai bisogno. Indra mi ha detto che combattere è come esprimersi, non puoi restare per sempre sulla difensiva, perirai sicuramente, prima o poi dovrai attaccare. E nel tuo caso penso che sia sinonimo non solo di agire ma proprio di ammettere qualsiasi cosa sia accaduta.”
Gli occhi del maggiore dei Blake sono sgranati, è sempre stato lui a farla ragionare e questo capovolgimento dei ruoli lo destabilizza ma non trova la forza di voltarle le spalle e dunque si lascia cadere sul materasso senza smettere di fissarla.
“Come lo hai capito?”
Comincia prendendola alla larga.
“E’ piuttosto semplice… Da un momento all’altro hai iniziato a comportarti come un bambino con lei. Sapevo che non ti era mai andata particolarmente a genio, non fraintendermi ma eri sempre rimasto sulle tue, avevi deciso di ignorarla ed in un certo senso andava bene così. Ma poi… Poi, d’un tratto hai deciso di renderle la vita impossibile e fidati… Non sei stato furbo, tutti lo abbiamo notato, è buffo, ognuno di noi aveva capito che quella tensione, le continue battutine sarcastiche, gli scherzi, ogni sbeffeggiamento, celava qualcosa. Lo avevamo compreso davvero tutti tranne Clarke. Non è ironico?”
Bellamy serra le labbra in una sottile linea e distoglie il suo sguardo dal viso di sua sorella, lo lascia adagiarsi invece sul soffitto bianco.
“Ad ogni modo la prima cosa che t’insegnano quando sei una bambina è che i ragazzi se sono attratti da te non ti lasceranno mai in pace, di solito è qualcosa di elementare e legato soprattutto alla pubertà ma tu da vero maschio alfa quale sei, ti sei trascinato dietro questo maturissimo atteggiamento fino alla fine…”
Una punta di rammarico misto a un dolce sarcasmo conclude la frase di Octavia e Bellamy ne è stupito, non poteva immaginare che sua sorella potesse essere una sostenitrice di quell’assurda accoppiata.
“Non fino alla fine…”
La corregge istintivamente, come se volesse dimostrarle che proprio all’ultimo aveva capito.
Non riesce ancora ad osservarla mentre annuncia la grande notizia.
“L’ultima notte, ricordi? Quando abbiamo giocato a ‘Sette minuti in paradiso’, ecco… Io l’ho baciata alla fine.”
 
-
 
Sono le sette e mezza del mattino quando Clarke ha terminato di compilare le schede, con estrema fatica è riuscita a liberarsi almeno per un po’ di quei pensieri legati a memorie lontane ma inevitabilmente vivide ed ha riportato con cura ciò che è stato fatto durante la prima lezione; ha allegato i disegni nelle cartelle di quei ragazzini che sta cominciando a conoscere.
Per ognuno di loro ha scritto due righe, provato ad estrapolare da quelle illustrazioni delle primissime impressioni, sono solo spunti che poi verranno analizzati da chi ne ha le competenze. Psicologi e consulenti scolastici avranno il compito di trovare soluzioni, di scendere in profondità, il suo invece  è solo quello di incoraggiare loro ad esprimersi e nonostante possa risultare poco, la bionda Griffin ne è estremamente felice.
Quando però il suo sguardo si posa sul grande orologio sito sulla candida parete il suo respiro tentenna: è esageratamente presto ed ha il maledetto terrore che altri ricordi possano riaffiorare facendogli del male.
E’ in quel momento però che un rumore la distrae facendole contrarre ogni nervo già teso.
Qualcuno è entrato nell’atelier, ha udito chiaramente l’inconfondibile rumore della porta che da sull’avenue, poi dei passi hanno rotto di nuovo il silenzio ed ora un filo d’ansia la pervade.
Chiunque sia deve essersi diretto verso la sala espositiva o già sarebbe nello studio dunque si alza lentamente cercando di non far rumore e, appoggiandosi al muro, avanza con estrema cautela verso la grande sala.
I suoi occhi si sgranano quando riconosce la figura di spalle di Raven Reyes seduta proprio al centro della stanza, tira un sospiro di sollievo mentre si pente per aver permesso alla sua immaginazione contorta di correre in fretta a scenari ben più catastrofici.
Segnala la sua presenza in fretta, conosce troppo bene la moretta e sa che se non ci fosse qualcosa dietro non abbandonerebbe mai il suo letto così tanto prima del dovuto.
Proprio per questo si sente più vicina a lei di quanto non sia mai accaduto.
“Hei.”
Usa la sua voce piano, non vuole spaventarla e mentre sillaba la brevissima parola le si avvicina.
“Clarke!?”
Si volta di scatto, il suo viso è tirato eppure sembra contento di individuare un volto amico.
Lei annuisce sorridendo appena mentre la imita accucciandosi al suo fianco, portando le ginocchia al petto.
Silenzio.
Per qualche minuto le due non hanno bisogno di aggiungere altro, se ne stanno una accanto all’altra facendo aderire le loro spalle e sostenendosi senza sentire la necessità di rompere quella magica quiete mattutina.
E’ Raven a spezzare per prima l’aria taciturna.
“Scusa se ti ho disturbato, credevo di essere sola.”
Clarke allora le volge uno sguardo pacifico, è incuriosita dalla sua voce, è pacata, serena, non sembra venata da nulla di negativo e questo la rassicura, per un po’ ha temuto che l’amica l’avesse emulata.
“Non pensarci nemmeno Rav’. Questo luogo non mi appartiene, sai come la penso.”
L’altra si lascia sfuggire un lieve riso
“Per quanto ti ostini a negarlo, legalmente questo posto è tuo Clarke, sicuramente più tuo del monolocale in cui vivi…”
“Voglio dire che puoi venirci quando vuoi.”
Taglia corto.
La mora annuisce restituendole un’occhiata di gratitudine, poi socchiude nuovamente le labbra.
“Posso chiederti perché?”
La giovane Griffin pone la domanda guardando altrove, non vuole invadere i suoi spazi e desidera lasciarla libera di decidere se rispondere o meno.
“Si puoi farlo ma devi lasciarmi fare lo stesso.”
Difficilmente Raven si lascia sfuggire qualcosa e Clarke sa perfettamente di non essere passata inosservata durante gli ultimi giorni, il suo nervosismo era palpabile e una richiesta del genere è più che lecita, del resto quella ragazza così diversa da lei è anche sua amica prima che sua collega e collaboratrice.
Acconsente semplicemente annuendo, risparmia il fiato per provare ad esprimere ciò che non è riuscita a comunicare per giorni.
“Sono stata invitata da un ragazzo alla festa di sabato e avevo bisogno di spazio per capire.”
Riesce solo a dire in un soffio la giovane Reyes.
Clarke ha capito il suo gioco e l’asseconda, quella frase concisa non le lascia dubbi, Raven ha rispolverato quel vecchio e buffo sistema che consiste nel confessare un pensiero alla volta, una dopo l’altra, lo facevano spesso quando erano più piccole e solitamente a quello strano rito partecipavano anche Harper e Octavia.
“Lexa mi ha lasciato, anzi mi ha chiesto una pausa.”
“Il fatto è che dopo Kyle non so più cosa sia davvero giusto.”
“Bellamy Blake è il mio supervisore a lavoro.”
Raven a quel punto le lancia uno sguardo curioso e leggermente accigliato ma continua imperterrita.
“John Murphy è il ragazzo che mi ha invitato al decennale.”
A quella confessione però Clarke non può ribattere passando oltre. Si è stupita che Raven non abbia spezzato il patto già alla sua prima confessione quando le ha detto di Lexa ma sa anche bene che la mora è molto più resistente di lei in certe occasioni.
“Cosa?! Lo stesso Murphy che con uno scherzo idiota ti ha fatto rompere una gamba costringendoti a rimandare tutti gli esami durante il primo anno di università? Lo stesso con il quale hai sempre e perennemente battibeccato ogni giorno della tua vita?”
Raven Reyes sorride divertita, è ironico il modo in cui il tempo abbia levigato ogni contrasto.
“Già.”
“E tu che gli hai detto?”
“Ho accettato ma… Non so se è stata la scelta giusta.”
Scuote la testa passandosi una mano sulla nuca, poi si permette di cercare conforto negli occhi azzurri di Clarke, quegli occhi di una sfumatura diversa ma infondo dello stesso colore del suo futuro accompagnatore.
“Al diavolo Wick. Meriti un po’ di felicità Raven anche se devo ammetterlo: mi chiedo come possa John essere in grado di dartela…”
Non c’è malizia nelle parole di Clarke piuttosto mero beneficio del dubbio.
“A prescindere da come andrà saprò cavarmela.” La rassicura ma poi continua “Tu invece, Clarke hai bisogno di parlare te lo si legge in faccia per cui…”
Lascia cadere la frase aspettando un segnale dall’amica che non tarda ad arrivare.
Tutto ciò che sta per dire è preceduto da un sonoro sospiro e Raven si affretta a metterle una mano sul ginocchio, vuole farle sentire la sua vicinanza.
“Sta accadendo tutto così velocemente che nemmeno io riesco davvero a capire. Lexa mi ha chiesto spazio con una mail e dopo il trattamento che le ho riservato non la biasimo… E’ successo poco più di una settimana fa, io ho provato a dirtelo ma… Ogni volta che stavo sul punto di parlare le parole non riuscivano più a prendere forma.”
La guarda e i suoi occhi limpidi come il cielo dopo un temporale le chiedono scusa, la giovane Reyes scuote il capo in risposta, non ha bisogno di perdonarle un bel niente.
“Suppongo che avessi bisogno di realizzare.”
Dice solo.
Lei alza le spalle.
“Non lo so Rav’. In questi giorni ho dormito poco e niente, ho sempre paura che i ricordi mi trascinino a fondo e non posso permettermelo, non ora che ci sono così tante cose da portare avanti. E poi… Ho sentito che qualcosa non andava, è come se il legame tra me e Lexa sia stato spezzato solo che io non avevo il coraggio di ammetterlo.”
“Bhè la distanza non vi ha certo aiutate.”
“No. La distanza non c’entra, dopo tutto questo tempo abbiamo imparato a gestirla. E’ il passato che credevo di aver dimenticato e seppellito, è stato quello a farmi vacillare.”
“Stai parlando di Bellamy non è vero?”
Clarke non si stupisce, conosce abbastanza bene Raven da sapere che difficilmente sfugge qualcosa al suo sguardo attento.
“Credo di sì. Pensavo che non lo avrei rivisto così spesso, ho persino evitato di partecipare alle grandi riunioni di gruppo… Temevo che incontrarlo potesse confondermi ancora di più. Poi, l’ironia della sorte ha voluto che proprio lui sia al mio fianco nel gestire un mucchio di ragazzini incontenibili…”
Con grande sorpresa la bionda osserva la giovane Reyes sorriderle, ha sempre pensato che non nutrisse grande simpatia nei confronti di Bellamy e questa sua reazione non può far altro che destabilizzarla.
“Non vi ho mai capiti, ho sempre colto una strana tensione tra voi due ad essere sincera ma il vostro ottusissimo modo di nasconderla e negarla mi ha quasi dato fastidio alle volte; è come se vi foste proibiti di essere felici insieme. Ora non so dirti se siete ancora quelli di un tempo… So per certo però che hai amato Lexa più di quanto non ti sia permessa di amare Bellamy, con lei ti sei aperta alla felicità e non credo che sarà facile gettarsi tutto alle spalle ma… Se ne avrai bisogno io sarò sempre qui per te, su questo puoi contarci. In quanto a Blake, bhè penso che sarà quel che sarà, devi solo evitare di crogiolarti in antichi e sepolti sentimenti, non penso sia necessario.”
Ancora una volta Raven riesce ad essere più lucida di quanto Clarke potesse prevedere, ogni sua parola è perfettamente coerente con ciò che sta vivendo, con quello che ha passato e la bionda non può far altro che annuire riservandole un’occhiata colma di gratitudine.
Poi, come se le sue confessioni non fossero mai esistite, cerca di scherzare un po’ con lei
“Non posso credere che mi costringerai ad andare sola a quella dannatissima festa…”
La mora soffoca una risata
“Non inventare scuse… Ho ancora bisogno di te, anzi probabilmente la tua presenza sarà ancora più necessaria.”
“Se mi vuoi comunque al tuo fianco devi assolutamente dirmi come sono andate le cose tra te e John… Non vorrei essere impreparata!”
Raven si morde il labbro inferiore e prima di risponderle abbassa leggermente lo sguardo, indugia, dopo tutto non è da lei abbandonarsi a smancerie colme di sentimentalismo.
 
-
 
Bellamy se ne sta seduto sul davanzale della finestra dell’ampia aula, portando con sé il suo previdente e al tempo stesso fastidiosissimo vizio di essere in anticipo, volge lo sguardo al cielo basso di Washington e lascia correre i suoi pensieri ad Octavia.
Temeva che quella confessione provocasse in lei imprevedibili reazioni, pensava che si sarebbe persino potuta arrabbiare.
Ufficialmente era fuori discussione tentare di omettere qualsiasi cosa tra loro due anche se poi, più di una volta avevano rotto quella strana promessa che si erano fatti da bambini. In continuazione erano riusciti ad infrangerla, effettivamente molto spesso alla base delle profonde liti che sembravano una costante nel loro rapporto c’era sempre qualcosa di non detto, di frainteso.
Il maggiore dei Blake aveva una fottuta paura che anche stavolta le cose avrebbero seguito il tipico copione ma era stato esageratamente felice quando sua sorella con improvvisa naturalezza era andata contro ogni suo oscuro pronostico.
Infatti Octavia aveva semplicemente inclinato la testa rendendo la decifrazione di quello che si era manifestato come un sorriso tra le sue labbra un tantino difficoltosa.
I suoi occhi brillavano e Bellamy non era del tutto sicuro che non si trattasse di lacrime, sua sorella tuttavia non gli aveva lasciato il tempo necessario per capirlo, si era portata una mano al viso strofinandoselo in fretta.
“Non avrei mai potuto immaginare che accadesse qualcosa di simile…”
In quella semplice constatazione c’era stupore ed un’inquantificabile dose di affetto, era così che la piccola Blake aveva reagito, lasciandogli un rumoroso bacio sulla guancia ad ulteriore prova di quanto fosse fiera.
 
E’ l’entrata di Clarke a farlo scattare sull’attenti, in velocità balza giù dalla finestra come se temesse di essere sorpreso in un atteggiamento non troppo calzante per il ruolo da lui rivestito.
“Hei!”
Non riesce a nascondere una sorta di primordiale e stupido entusiasmo dietro la sua voce e si pente quasi subito di non essersi frenato.
“Ciao.”
Il tono di lei è ben diverso: composto e ligio al suo compito.
Ferisce Bellamy in superficie solo per un attimo, prima che il giovane Blake possa esserle abbastanza vicino da cogliere ogni sfumatura che cela il suo volto.
E’ tirato, stanco, due profonde occhiaie violacee delineano il contorno occhi della bionda, sono evidenti nonostante il trucco ed improvvisamente il ragazzo percepisce un principio di preoccupazione impossessarsi di lui.
“Stai bene? Sei in anticipo…”
E’ allora che Clarke Griffin alza lo sguardo dalle scartoffie che ha appena posato sulla cattedra ed i suoi occhi fanno breccia in quelli profondi e scuri di lui.
“Tranquillo Bellamy, sono solo un po’ stanca… E poi anche tu sei in anticipo.”
Il maggiore dei Blake non si fida, non permette alle sue iridi scure di staccarsi dal suo profilo adombrato da quella domanda aggirata con abilità principiante.
Percepisce tutto il suo dolore e non riesce ad accettare di esserne estromesso, vorrebbe solo farlo suo, farlo scomparire del tutto dallo sguardo plumbeo di quella ragazza.
Ma non sa come fare, improvvisamente si rende conto di essere stato distante da lei per troppo tempo, non sa più come Clarke vada presa, non riesce più ad intuire a primo colpo cos’è che può preoccuparla… O almeno non pensa di esserne davvero capace.
“Sei sicura? Va tutto ben con…” Non ricorda il nome, anzi realizza di non conoscerlo affatto ma ormai ci sta dentro con tutte le scarpe ed è troppo tardi per tirarsi indietro. “Con la tua ragazza?”
Riconosce che la sua voce è dominata da quella che può apparire come un’insensata apprensione ma non riesce, ancora una volta, a contenersi.
Non può far altro dunque che osservarla in attesa di una risposta che però tarda ad uscir fuori.
La giovane ragazza deglutisce e fa correre i suoi occhi lontano da lui, le sue labbra si assottigliano ed  il suo corpo si chiude, Clarke incrocia le braccia al petto e si dondola leggermente piegando le ginocchia.
Scuote la testa.
“No, non va tutto bene ma l’ho voluto io per cui… non c’è nulla di cui parlare.”
E’ fredda, distante.
Il maggiore dei Blake l’ha punta e lei si è  subito ritratta.
Bellamy si maledice, lo fa spesso ultimamente ma ora più che mai si pente profondamente per non essersi saputo regolare. Vorrebbe solo accoglierla tra le sue braccia, offrirle un contatto per farle sentire che non è sola ma sa, nel profondo, di essere la persona meno indicata per farlo, per cui lascia che la sua mano destra si scompigli appena i capelli e fa un paio di passi indietro.
“Mi dispiace.” Sussurra dolcemente “Non intendevo farmi gli affari tuoi.”
Credeva che non ci fossero più barriere tra loro, che la distanza e il tempo avessero levigato l’imbarazzo derivato da un bacio rubato caduto nell’oblio dei ricordi ma evidentemente si sbagliava.
 
E’ davvero sollevato quando la stanza comincia a riempirsi di testoline che pian piano spezzano l’imbarazzante silenzio venutosi a creare dopo quelle poche battute.
Osserva quei bambini ancora troppo piccoli per essere chiamati ragazzi e forse un po’ cresciuti per essere definiti ancora pienamente bimbi.
Cerca di distrarsi e si concentra sui loro occhi, ne coglie le sfumature, le forme differenti, i colori mentre sono intenti a fare esattamente ciò che Clarke ha detto loro ovvero disegnare la prima parola che gli salta in mente.
Bellamy li osserva concentrarsi, impugnare le matite colorate e chinarsi sui fogli bianchi come se da quei disegni dipendesse la loro vita.
Il suo sguardo viene catturato però da una ragazzina in particolare: ha i capelli biondo cenere raccolti in delle trecce che aderiscono alla sua nuca e finiscono dietro di essa in un intreccio intricato.
La scatola dei pastelli colorati è chiusa, impugna solo una matita grigia e il suo sguardo è vacuo e forse persino intimorito dal foglio che in quel preciso istante tentenna a sporcare di grafite.
Istintivamente si alza e cammina nella sua direzione, passa tra i banchi, sino ad arrivare al centro dov’è posto il suo, sa che non dovrebbe farlo, lui è solo un supervisore il cui unico compito è limitarsi a controllare che tutto vada per il verso giusto ma non sente di non poter resistere.
Si piega sulle ginocchia per fare in modo di essere alla stessa sua altezza e solo in quel momento ottiene l’attenzione della bambina.
Lo guarda aggrottando le sopracciglia, senza dire una parola.
“Come ti chiami?”
“Charlotte.”
Dice sottovoce, anche Bellamy tiene il tono basso in un certo senso ha paura che Clarke abbia da ridire qualcosa.
In poco tempo collega quel nome all’albero spoglio, quello che lui e la giovane Griffin hanno osservato per qualche istante in più l’ultima volta.
“Io sono Bellamy.”
Risponde velocemente e lo fa con una dolcezza della quale non si credeva capace.
“Cos’è che stai disegnando? Qual è la parola?”
Lancia un’occhiata al foglio e indugia: c’è solo un groviglio di linee scarabocchiato, riesce a vedere i solchi lasciati dalla mina, deve aver calcato in modo eccessivo, deve essersi completamente sfogata… Ma si tiene per sé un sorriso: sta funzionando.
Clarke sta riuscendo a farli uscire fuori dai loro gusci.
“Paura.”
“Di cosa hai paura?”
Chiede avvicinandosi un altro po’ e cercando di infonderle serenità ma ben presto capisce che Charlotte è restia, punta semplicemente i suoi occhi color corteccia nei suoi e scuote leggermente la testa.
“Ok, non importa se non vuoi parlarne, sappi però l’unica cosa che conta è ciò che fai per combatterla.”
“E pensi davvero che disegnare possa aiutarmi ad eliminarla? Come potrebbe?”
E’ una domanda innocente ma cela un moto di disperazione, è come se quella ragazzina volesse trovare a tutti i costi una soluzione per scappare da ciò che prova.
Bellamy tenta di sorriderle, vuole incoraggiarla come ha fatto sempre con sua sorella, la verità è che quella bambina così insicura gli ricorda esattamente Octavia.
Si volta per un frammento di secondo in direzione di Clarke che appena incrocia i suoi occhi volge il suo sguardo altrove e si appella nuovamente a Charlotte annuendo.
“Fammi vedere la tua matita.”
La piccola gli porge lo strumento incuriosita dalla sicurezza del ragazzo e Bellamy la impugna senza smettere di guardarla.
“Ora, quando ti senti impaurita tieni stretta la matita e ripeti nella tua mente ‘fottiti, non  ho paura.’
Non si preoccupa del linguaggio forse un po’ ardito per una ragazzina che a malapena avrà quindici anni, non sta a lui rispettare quel tipo di protocollo.
Con un gesto deciso restituisce l’utensile a Charlotte e con un cenno del capo la invita ad emularlo.
La ragazzina fa esattamente ciò che Bellamy le sta chiedendo e poi come armata di una nuova energia si reimmerge a capofitto sul foglio.
“Sconfiggi i tuoi demoni piccoletta e vedrai che andrà tutto bene.”
Sorride lasciandole un tenero colpetto sul capo e ritorna al suo posto.
E’ di nuovo sereno, nonostante ciò che sia accaduto poco prima con Clarke, sapere di essere riuscito a comunicare positivamente con quella bimba lo fa sentire una persona nuova.
 
La lezione è passata in fretta, quella piccola parentesi lo ha aiutato a distrarsi e subito dopo si è concentrato nel compito di riordinare l’aula per non curarsi della presenza di Clarke.
Niente caffè o confidenze stavolta, solo silenzio, un pesante ed opprimente mutismo.
Quando finisce di sistemare le sedie alza lo sguardo e trova la sua ‘collega’ china sull’armadietto, intenta a sistemare i materiali da disegno.
Per quanto non ne abbia estrema voglia si schiarisce la voce per attirare la sua attenzione e decide di salutarla.
“Io ho finito qui, ci vediamo dopodomani, okay?”
La osserva immobilizzarsi ed alzare appena il capo, rimane di spalle
“Certo…”
Bellamy china la testa e si prepara ad uscire, raccogliendo le sue cose è pronto a lasciare la stanza. Solo in quel momento, mentre sta per varcare la soglia sente la mano di Clarke stringersi con forza attorno al suo polso, percepisce la presenza del suo corpo dietro di lui e trattiene il respiro fin quando non ode le sue parole.
“Aspetta Bell’, non andare…”
Appena termina la frase sente la presa sciogliersi e con la coda dell’occhio la vede fare un passo indietro, sta lasciando a lui la scelta, non insiste.
Il maggiore dei Blake esita, vorrebbe essere forte, dimenticarla davvero, lasciarsela alle spalle una volta per tutte ma vacilla.
Aspetta un istante ancora prima di voltarsi lentamente.
Pianta allora i suoi occhi nelle iridi di Clarke, aspetta pazientemente.
“Perdonami.”
Si umetta le labbra poco prima di continuare “So che non volevi essere invadente e mi dispiace se la mia reazione è stata così dura, non ne ho ancora parlato con nessuno e… E’ strano, tutto qui.”
Bellamy annuisce lentamente.
“D’accordo, sei perdonata…”
La sua bocca s’inarca in un riso spontaneo prima di ricomporsi e farsi nuovamente serie in pochi istanti.
“Mi chiedevo… Tua sorella e… Insomma, tu verrai a quella stupidissima reunion decennale della scuola?”
Bellamy inarca un sopracciglio e si arma di quella che è sempre stata una sua difesa innata: una punta di ironia
“Che c’è principessa, mi stai già chiedendo di uscire?”
Clarke si porta una mano alla bocca e, lasciando andare indietro la testa, ride.
Per un attimo il ragazzo con un gesto repentino vorrebbe spostare la sua mano che copre timidamente quel riso ma rimane al suo posto.
Si morde invece l’interno della guancia mentre si ritrova completamente in preda di lei anche se privato dell’assolutezza di quella risata armonica e brillante.
Nonostante gli risulti impossibile goderne a pieno si sente felice, è una sensazione netta, la sua felicità è cristallina, sapere di essere riuscito ad illuminare, anche se per poco, il viso di Clarke, di aver fatto brillare i suoi occhi di nuovo lo riempie di assoluta gioia.
“Perché vuoi saperlo?”
Chiede mantenendo un tono scherzoso per non spezzare la tanto desiderata leggerezza, mentre solo ora realizza e sente il suo stomaco capovolgersi nel suo corpo.
“Volevo sapere se avrei avuto la possibilità di incontrare un volto amico…”
Bellamy annuisce e si permette di farle un occhiolino prima di girare definitivamente i tacchi.
Non vuole osservare la sua reazione, preferisce immaginare le guance di lei colorarsi di un rosa acceso e sentire i suoi occhi ancora fissi sulla sua schiena.


Angolo autrice: Ci ho messo un po' lo so, ma sono stata via per qualche giorno lasciando in sospeso per un po' il lavoro sul capitolo.
Ho passato quasi tutta la giornata a scrivere per terminarlo e spero davvero che possiate apprezzarlo. 
Clarke e Bellamy stavolta dovranno fronteggiare quanto sta accadendo loro, ovviamente avranno modi differenti di reagire ma con l'aiuto di figure importanti al loro fianco inizieranno pian piano ad arrendersi al loro destino.
Ho inserito un interazione di Bell con Charlotte liberamente ispirata e adattata al dialogo che hanno nella 1x03, come al solito spero di non aver fatto troppo casino...
Di questo capitolo ci sono parti che adoro ed altre che mi convincono meno - Poi c'è anche la Marven o come vogliamo chiamarla... e questo è anche merito vostro ahah ) avere una vostra opinione è sempre bellissimo e stimolante per cui fatevi avanti.
Nel frattempo ringrazio di cuore tutte le splendide persone che si sono prodigate nel lasciarmi dolcissimi commenti e tutti coloro che a prescindere dal resto si sono approcciati alla mia storia 

Vi mando un forte abbraccio,
vostra Chiara.

 
   
 
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