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Autore: _Agrifoglio_    22/07/2017    9 recensioni
Si tratta di un racconto molto breve, in soli quattro capitoli, che rivisiterà, fra il serio ed il faceto, uno dei punti di svolta della trama e che rappresenterà, per André, il momento di non ritorno, la grande scelta della sua vita.
Genere: Introspettivo, Satirico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Luigi XV, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il verdetto

La sala del trono era gremita di cortigiani.
A quanto pareva, l’incidente equestre occorso alla Delfina ed il siparietto svoltosi nella sala adiacente le di lei stanze, conclusosi circa un’ora prima, non sarebbero stati gli ultimi eventi della giornata, ma sarebbero stati seguiti, a breve, da un altro accadimento che si prospettava, anch’esso, di grande interesse.
Il Re stava dritto, in piedi, davanti al trono, avvolto dal suo mantello, impettito ed accigliato come soltanto ad un uomo del suo rango si confaceva.
André era inginocchiato davanti a lui, a capo chino, sotto la scalinata. La sua dignitosa e mite compostezza era interpretata, dal Sovrano, alla stregua di un’ennesima manifestazione di alterigia mentre, nell’animo del giovane, prendeva corpo la consapevolezza di un destino ormai segnato. Si affliggeva per il dolore che si sarebbe abbattuto, come un maglio, sul capo di sua nonna e disperava di riuscire a vedere, un’ultima volta, Oscar.
– Ma, forse, è meglio che lei non assista alla mia esecuzione – pensava André – Sarebbe troppo penoso e, poi, i tempi della nostra amicizia sono ormai finiti. Non sono altro che il suo attendente mentre lei è il Capitano delle Guardie Reali, intenta solamente a fare fronte agli innumerevoli capricci della Principessa.
I nobili presenti guardavano l’accusato standosene in silenzio, alcuni passi dietro di lui, tutti compresi in un’attesa che, a seconda della sensibilità di ciascuno, assumeva le sfumature dell’apprensione, della sincera pietà per le sorti dell’infelice giovane, della pruriginosa curiosità o del desiderio di sconfiggere la noia con l’assistere ad un simulacro di processo che sarebbe stato tanto più interessante, quanto più fosse stato coronato da un finale spettacolare.
– André Grondet.... Eh? – il Re si voltò impercettibilmente verso il paggio che stava in piedi, di lato, qualche passo dietro di lui – André Grandier, con la vostra condotta irresponsabile, avete messo a repentaglio la vita della Principessa Maria Antonietta.
Il Re si guardò intorno per vedere l’effetto procurato sugli astanti dalle sue parole, ma essi se ne stavano muti ed immobili, aspettando che continuasse a parlare. Qualcuno, per la verità, aveva abbozzato una piccola reazione, domandando a se stesso o al proprio vicino se non sarebbe stato intellettualmente più onesto, per la Casa Reale, ammettere di avere clamorosamente sbagliato nel puntare sull’estetica, piuttosto che sulla docilità, del cavallo da assegnare ad un’adolescente neofita anziché accusare di non si sa cosa il primo scemo in circolazione. Fortunatamente per gli autori dei commenti e per quel residuo di tranquillità di cui godeva il Sovrano, tali osservazioni rimasero inascoltate ed il Re dovette rassegnarsi a non avere suscitato, nell’uditorio, particolari emozioni. Tornò, quindi, a concentrarsi sulla sua superba ed antipatica preda.
– Ancora fermo ed impassibile quel piccolo presuntuoso – pensò, irritato, il Sovrano – vediamo, adesso, come reagirà.
– Pertanto, vi condanno a morte. Guardie, portatelo in prigione.
André continuò a tenere il capo abbassato, mantenendo inalterate la sua compostezza e la sua serena rassegnazione anche quando le guardie gli afferrarono le braccia per sollevarlo.
– Neppure un pianto, una supplica o una richiesta di grazia – pensò, pieno di collera, Luigi XV – Vediamo se la superbia lo abbandonerà quando il boia gli avrà infilato la testa nel cappio o se, invece, lo accompagnerà fino all’inferno.
– Chi può negare che sia nell’ordine naturale che la Delfina saltelli di gioia sulla schiena di un equino, neanche fosse un cavalluccio a dondolo, disattendendo, una ad una, le istruzioni a lei impartite e che un pezzente scalci appeso ad una corda? – pensavano, intanto, alcuni servitori di Palazzo.
Proprio in quel momento, d’improvviso, le porte della sala del trono si spalancarono e fece il suo ingresso, con altera solennità, il Capitano delle Guardie Reali, visibilmente pallida e con la manica sinistra della divisa inzuppata di sangue, all’altezza del braccio. Non aveva esordito col noto incipit: “Sono Oscar François de Jarjayes”, perché tutti, a Corte, la conoscevano benissimo, ma le parole da lei pronunciate furono, ugualmente, altisonanti e degne del personaggio.
– Fermi, aspettate! – ingiunse il fiero Capitano – Maestà, Vi prego! Vi chiedo di ascoltarmi. Forse, André è in parte responsabile dell’incidente, ma non merita la pena di morte. Se, Voi, Maestà, volete ugualmente che egli muoia, allora, io ho il dovere di difenderlo. Chiedo, Maestà, che venga sottoposto ad un regolare processo e, se questa mia richiesta non sarà accolta, prenderò io il posto di André sul patibolo. E’ il mio attendente e la responsabilità di ciò che ha fatto ricade su di me.
L’accorato appello provocò una straordinaria reazione emotiva nell’uditorio – più o meno quella che avrebbe voluto ottenere il Re con le sue esternazioni – malgrado la Corte fosse, da anni, abituata ai toni da tragedia greca dell’eroica pulzella.
Così dirette al cuore andarono quelle ispirate parole che ne scaturì, immediatamente, un effetto emulativo, tanto da indurre il bel Conte svedese ad abbandonare la sua baltica algidità.
– Maestà, Vi prego umilmente di ascoltarmi – arringò l’onesto gentiluomo – Sono il Conte Hans Axel di Fersen e Vi supplico di accogliere quanto Vi chiedo. Maestà, se volete davvero la morte di André, io Vi sarei grato se potessi essere giustiziato insieme a lui.
Malgrado gli sforzi congiunti del Capitano delle Guardie Reali e del Conte nordico, la situazione dell’infelice attendente era rimasta disperata, quando fece il suo ingresso, nella sala, la Principessa in persona che, venuta a conoscenza del pericolo in cui era precipitato il servitore della sua più cara amica, aveva abbandonato il suo letto di dolore per lanciarsi al salvataggio del malcapitato. Con la grazia e l’eleganza che mai l’abbandonavano, si inginocchiò ai piedi del Re, gli afferrò il mantello e, sgranati i begli occhi, si mise a supplicarlo con tutta la contrizione di cui può essere capace un’adolescente sinceramente dispiaciuta, abituata ad averla sempre vinta con blandizie e preghiere e costantemente animata dal vivo desiderio di fare tutto a modo suo.
– Aspettate Maestà, Ve ne supplico, non dovete condannare a morte il povero André! Vi prego, c’è una sola colpevole di ciò che è successo e quella sono io, Maestà! André e anche Voi Oscar! Conte di Fersen! Non abbiate timore, il Re sa essere molto magnanimo. Io non voglio che qualcuno muoia per colpa mia. Nessuno deve salire sul patibolo. Io spero che Sua Maestà vi possa perdonare.
Terminato anche quest’ultimo monologo, il Re fu costretto a tornare sulle sue posizioni per evitare di fare la figura del tiranno senza cuore, ma con l’intima consolazione che non sarebbe, di certo, mancata una seconda occasione per dare una bella lezione a quel detestabile omuncolo.
– Se questo può far felice la Principessa Maria Antonietta – furono le conclusioni del Sovrano – nessuno sarà punito per quanto è successo.
Detto questo, si ritirò ed una sensazione di sollievo e di rilassamento si diffuse rapidamente nella sala.
André fu afferrato da un vortice di sensazioni, a partire dal rimorso per l’antipatia, da lui sempre nutrita, per pura gelosia, nei confronti della Delfina, fino ad arrivare al motore immobile di ogni suo stato d’animo e pensiero. Si pentì amaramente per avere dubitato della profondità e della costanza dell’amicizia di Oscar e, mentre era intento in questi atti di contrizione, la più importante delle due destinatarie di essi si accasciò al suolo, stremata dalla fatica ed indebolita per la ferita al braccio.
Il giovane, ormai assolto e libero di andare, prese in braccio Oscar, priva di sensi ed esangue e, con tutta la determinazione e la velocità di cui era capace, quasi posseduto dallo stesso Mercurio, varcò la soglia della sala del trono e si diresse verso le scuderie, dove era ricoverata la carrozza, seguito a ruota dal Conte di Fersen e da alcuni famigli di Casa Jarjayes.
La Principessa Maria Antonietta avrebbe voluto dare disposizioni affinché la sua amica fosse alloggiata in una delle stanze dei suoi appartamenti privati, in modo che le fosse prestata una più rapida e completa assistenza, ma un capogiro, ultimo strascico della disavventura mattutina, la fece vacillare. Le dame di compagnia la sorressero prontamente, portandola fuori della sala del trono e l’ordine rimase non impartito. Alla giovane Delfina non rimase che fare ritorno nelle proprie stanze, con la matematica e spiacevole certezza che, al massimo entro un paio di settimane, sarebbe arrivata, da Vienna, una reprimenda coi fiocchi per quanto era accaduto.
– Che disdetta! – sbottò il Duca di Germain – Una piacevole passeggiata primaverile è stata interrotta da una damina che non sa andare a cavallo e, adesso, ci siamo sorbiti anche la sceneggiata del Capitano delle Guardie Reali e del Conte svedese, con tanto di svenimento finale! Neppure potremo assistere all’esecuzione di quel servo! Dubito che sarebbe stato condannato allo squartamento o alla ruota, come sarebbe avvenuto nei bei tempi passati, ma, in mancanza d’altro, anche una buona impiccagione sarebbe andata bene!
I nobili che si trovavano vicini al Duca si allontanarono repentinamente da lui, per evitare di essere coinvolti e, magari, da altri sorpresi, in una discussione spiacevolissima, del tutto irriguardosa nei confronti della Delfina, del Capitano de Jarjayes e del Conte von Fersen e piena di volgare e disdicevole crudeltà verso un sottoposto.
– E’ molto agitato il Duca di Germain – osservò, ridendo, uno di loro – Eppure non fa ancora così caldo!
– Mio caro Conte, di cosa Vi stupite? E’ la sua condizione abituale! – fece eco un Barone.
– Sarà sifilide? – ridacchiò un Marchese.
– Ma la sifilide, secondo Lor Signori, è un morbo degno di contagiare un nobile tanto ricco e di così antico lignaggio che siede a tavola col Re e che è custode dei boni mores della società? – incalzò, con allegra malizia, una Principessa.
I quattro si guardarono divertiti, chiudendo la conversazione con un’allegra risata.






Ringrazio ancora una volta tutti coloro che hanno voluto lasciare un commento.
Questo terzo capitolo è il più fedele all'originale e spero che, per questa ragione, non risulti noioso. 
Grazie dell'attenzione e dei giudizi positivi.
   
 
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