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Autore: Kim WinterNight    23/07/2017    2 recensioni
[Sequel di 'Alive'.]
«Siamo giunti all'ultimo campo per Laura.
Stavolta però si ritrova ad avere qualcuno al suo fianco, qualcuno che però non è Marco.
Forse questa è la volta buona, forse la ragazza riuscirà a superare l'attrazione che da sempre la lega a qualcuno che non la ama.
Lei ci proverà, supportata da sua sorella Tamara, dall'immancabile e storica amica Viola e da tutti i loro compagni di avventura, sotto la supervisione di educatori e istruttori che non rinunceranno a mettere i ragazzi alla prova e a combinare un bel po' di casini.»
Come per le due storie precedente, troverete una colonna sonora diversa per ogni capitolo. Vi basterà cliccare sul collegamento presente sul titolo per essere rimandati direttamene al brano su YouTube.
Inoltre, come di consueto, il titolo della storia porta il nome di una canzone dei P.O.D. intitolata proprio 'Boom': vi consiglio di andarla a sentire! ;)
Buon ascolto e buona lettura e, come sempre, non esitate a farmi sapere il vostro parere ♥
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Youth Of The Nation'
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ReggaeFamily

Capitolo quattordici: Who you think you are?




Senti... non mi è piaciuto per niente come ti sei comportato ieri sera. Sappi che non ho nessuna intenzione di rovinare il mio rapporto con Danilo per le strane idee che ti sei messo in testa. Vedi di comportarti civilmente e di non provare più a fare ciò che hai fatto ieri, non mi è andata affatto giù questa cosa, Marco. Forse non ti è chiaro che sono impegnata e tengo a stare tranquilla.


Lau, guarda che non l'ho fatto con malizia, stavo solo giocando... comunque, va bene... ti starò alla larga, anche se le mie intenzioni sono state travisate


Stranamente a me non è sembrato affatto un gesto innocente... sbaglierò io, ma comunque grazie, meglio se eviti di rifarlo.


Mi ero svegliata di malumore, incazzata e senza alcuna voglia di scherzare; il ricordo di quanto successo con Marco la sera prima mi stava martellando in testa e non ne potevo più.

Così, in preda alla rabbia, gli avevo scritto un messaggio per mettere in chiaro le cose. Non volevo assolutamente che si ripetesse, e lui doveva saperlo subito perché sarebbe partito abbastanza presto per andare a sostenere il test di ammissione e non lo avrei visto.

Nel frattempo, visto che mi ero svegliata da poco e ancora stazionavo in bagno, avevo inoltrato la conversazione con lui anche a Tamara, in modo che sapesse tutto in tempo reale, e poi ne avremmo parlato più tardi.

Poco più tardi, mentre finivo di vestirmi, mia sorella ci raggiunse in camera: sembrava piuttosto sconvolta e si lasciò cadere sul letto con un sospiro.

«Sul serio quel... quel... quel cretino ci ha provato con te?! Dopo che ha provato a baciarmi? Che squallido, oddio, che schifo!» trillò Tamara con indignazione.

«Già, a quanto pare, vedendo che tu non ci stavi, se l'è tentata con me. Ah, no, ma guarda che lui non l'ha fatto con malizia, eh! Sono io ad aver travisato le sue buone intenzioni, capito? Ma vai a cagare!» sbottai, aggirandomi come una furia per la stanza in cerca di una delle mie infradito.

«Come no...»

«Questo è sempre peggio» commentò Viola, uscendo dal bagno proprio in quel momento. «Tu, Tami, come stai? Mi sembri un po' sconvolta... hai una faccia strana...» aggiunse poi.

«Vivi, come fai a vedere la sua faccia?» scherzai.

«Non so, me ne accorgo anche se non la vedo! Allora?» incalzò nuovamente la nostra amica.

«Non vi dico quanto è stato traumatico il mio risveglio... dormivo così bene, finché non ho aperto gli occhi a causa delle grida disumane di Simona, voi non avete idea di quanto l'ho odiata!» raccontò mia sorella in tono esasperato.

«Ma perché gridava?» volle sapere Viola, anticipando la mia stessa domanda.

«Non ho capito granché perché mi ero appena svegliata, ma stava blaterando a proposito di voler andare a tutti i costi a prendere i biscotti nella casa di Nicolò e altre cazzate... c'era Giovi, poverina, che cercava di farle capire che non era il momento e che ognuno doveva fare la colazione nella sua stanza, ma lei non voleva saperne di stare zitta! Pensate che anche Gabriella le ha intimato di piantarla, il che è grave... oddio, non immaginate il trauma che ho vissuto!»

Io e Viola eravamo basite. Possibile che durante questi dannati campi non potesse succedere qualcosa di normale? Non ne potevo decisamente più.

Ero soltanto felice che quella sarebbe stata la mia ultima esperienza con i campi.


«In pratica ha provato ad abbracciarmi e poi ha anche asserito di non averlo fatto con cattive intenzioni o malizia» stavo raccontando. Ero al telefono con Danilo, dopo essere rientrata da un veloce giro in paese alla ricerca di qualche souvenir da regalare ai miei amici e parenti.

«Chi ci crede?» disse lui con calma.

Forse troppa calma.

«Appunto. Così l'ho rimesso al suo posto, gli ho detto che non doveva permettersi visto che sono impegnata con te e che non mi è piaciuto per niente il suo comportamento» mi affrettai ad aggiungere.

«Io mi fido di te» mi assicurò Danilo senza scomporsi.

«Grazie, anche perché non c'è proprio bisogno di preoccuparsi. È soltanto un idiota.»

«Se poi dovesse rifarlo, ci parlo io e vediamo» asserì in un tono che non aveva nessuna traccia di una qualche minaccia.

«Macché, non si permetterà, vedrai. Dimmi di te, invece... che combini?» cambiai argomento, stanca di parlare di Marco e delle sue stronzate.

«Ieri sono andato dal parrucchiere a farmi sistemare i capelli, oggi stavo aiutando mio padre a montare il televisore nuovo. Ora siamo in pausa, poi dopo pranzo riprendiamo.»

«Ma che bravo!» esclamai con poco entusiasmo.

«Eh, ormai io e mio fratello siamo grandi, è giusto che lo aiutiamo, dai.»

«Ovvio. Be', Dani, io ora devo andare... ci sentiamo dopo? E in ogni caso per messaggi, okay?» gli proposi, sapendo di dover tornare in piscina dagli altri.

«Certo, va bene. A dopo, ciao cucciola.»

«Ciao» conclusi, interrompendo la conversazione. Sospirai tra me e me, contenta che lui non se la fosse presa per la faccenda di Marco, ma anche un po' preoccupata per la sua scarsa, inesistente, gelosia. Potevo considerare normale una reazione del genere?

Mi ritrovai a pensare che noi donne eravamo proprio complicate: se un uomo si mostrava con noi troppo geloso, possessivo e pressante, questo ci infastidiva; se un uomo, al contrario, ci dedicava poche attenzioni e sembrava quasi distaccato, ci sentivamo trascurate.

Ma forse anche gli uomini erano strani, perché difficilmente riuscivano a trovare una via di mezzo tra i due estremi. Chissà perché...


Eravamo a bordo di un autobus che ci stava conducendo verso la città; erano passate da poco le cinque e mezza del pomeriggio e gli istruttori avevano pensato per noi un'attività di orientamento e mobilità di squadra. Non sapevamo ancora cosa ci avrebbe atteso, ma con i presupposti di quanto accaduto in precedenza, c'era poco da stare tranquilli.

Mia sorella si era appisolata sul sedile e io avevo raccontato le novità su Marco a Giovanna. Lei non era rimasta affatto sorpresa, forse perché ormai aveva capito che razza di esemplare fosse lui.

«Ma ti rendi conto?» bisbigliai, evitando che il resto del gruppo udisse i fatti miei.

Lei sorrise. «Ripeto: pensavo che farsi una famiglia significasse qualcosa di diverso.»

Risi. «Questa massima mi piace, sai? Sei un genio!» le dissi.

«Ma è la verità. Che squallore, ragazzi miei.»

Il viaggio durò ancora pochi minuti, durante i quali chiacchierammo del più e del meno, finché non scendemmo alla stazione degli autobus e ci riunimmo per ascoltare le dritte degli istruttori.

«Ragazzi, vorremmo che cercaste un regalo per Marco, visto che lui oggi non è con noi. Sarete divisi in due gruppi e dovrete, infine, raggiungere la piazza principale di questa cittadina. A formare le squadre saranno Laura e Tamara.»

«Perché un regalo per Marco?!» sbottai.

Lucrezia sorrise appena. «Lui oggi non c'è, quindi abbiamo pensato di fargli un pensierino che possa portargli fortuna per l'esame che ha sostenuto e per il prossimo che dovrà affrontare dopo la fine del campo. Almeno sarà una sorpresa».

Non replicai, anche se sinceramente quell'idea non mi garbava per niente. Finii per arruolare nella mia squadra Viola e Nicolò, e mia sorella si ritrovò con Simona, Gabriella e Giorgio.

Fu abbastanza estenuante portarsi appresso quella piaga di Nicolò, visto e considerato che spesso camminava troppo in fretta e usava male il bastone bianco; quell'esperienza mi ricordò quando, al precedente campo, il ragazzino aveva rischiato di essere investito da un'auto perché non aveva dato ascolto né a me e Viola, né ai consigli e le dritte di Lorenzo che aveva cercato di spiegargli più e più volte come adoperare il suo bastone.

Andò piuttosto bene, nonostante tutto, ma ci fu un momento in cui stimai profondamente Nicolò come mai prima d'allora.

Ormai la luce era davvero poca per me, così avevo sfoderato il bastone e anche io mi muovevo con il suo supporto, esattamente come i miei compagni non vedenti. Ci trovavamo in una stradina pedonale, così decidemmo di camminare uno accanto all'altro e di prenderci sottobraccio per rimanere uniti, visto che io non ero più in grado di badare a loro e di capire dove si trovassero esattamente.

Stavamo procedendo tranquillamente e ormai eravamo quasi arrivati alla piazza principale, dalla quale poi avremmo raggiunto un qualche negozio per comprare qualcosa per Marco. A un certo punto un ragazzino in bicicletta passò accanto a noi, sfrecciando a tutta velocità, e gridò: «Ma insomma, levatevi dai coglioni!».

Una rabbia incontrollabile mi invase, ma non feci in tempo a formulare una risposta, che Nicolò aveva già provveduto: «Deficiente, guarda che siamo ciechi!».

Io e Viola cominciammo subito a complimentarci con lui e alla fine scoppiammo tutti e tre a ridere, contenti di aver fatto valere la nostra posizione e augurando al tizio ogni male possibile e immaginabile.

Finimmo per recarci in un tabacchino che affacciava sulla piazza e acquistammo un portacenere portatile per Marco, giusto per adempiere al nostro compito. Io non avevo nessuna intenzione di fargli un bel regalo, non era poprio il caso. Inoltre, era talmente tirchio che non se lo meritava a prescindere da tutto il resto.

Ci riunimmo con il resto dei nostri compagni e decidemmo di recarci in un bar per un aperitivo; erano solo le otto meno un quarto ed era troppo presto per andare a cena, contando che gli istruttori avevano prenotato per le otto e mezza in un locale situato in una delle stradine pedonali che circondavano la piazza.

Prendemmo qualcosa da bere e poi ci ritrovammo a parlare dell'attività appena vissuta: Tamara raccontò che aveva avuto molta difficoltà a orientarsi e che era stato un po' un problema aiutare anche gli altri ragazzi che stavano nella sua squadra; a noi era andata piuttosto bene rispetto a loro, se si faceva eccezione per il comportamento poco collaborativo di Nicolò e il piccolo diverbio con quell'idiota in bicicletta.

Infine andammo a cena e lì ci raggiunse Marco, reduce dell'esame e di una giornata lontano da noi e dall'atmosfera del campo.

Subito cominciò a raccontare che aveva bevuto un bel po' durante la giornata, che l'esame era andato decentemente – o almeno così sperava – e che aveva comprato due bottiglie di non so quale vino costoso che conosceva lui per offrirle a educatori e istruttori durante l'ultima sera del campo.

Mi ricordai che ormai eravamo agli sgoccioli: mancavano solo due giorni alla fine di quell'esperienza e io non vedevo decisamente l'ora. Volevo rivedere Danilo, i miei amici e lasciarmi alle spalle tutto ciò che era capitato durante quei dieci giorni.

«Questo pomeriggio ho preparato una playlist per la serata di domani» raccontai a tutti e nessuno in particolare.

Marco non mi rispose, mentre Tamara e Viola mi chiesero che cosa ci avessi messo dentro. Elencai qualche canzone, ma dissi loro che sarebbe stata un po' mista e adatta ai gusti di tutti.

Notai che Marco evitava di commentare quando io dicevo qualcosa, non sembrava per niente intenzionato a parlare con me; doveva essersela presa per quello che gli avevo detto quella mattina per SMS, ma a me non interessava: avevo soltanto espresso il mio pensiero, lui era nel torto e avrebbe dovuto scusarsi con me, anziché cercare di giustificarsi.

A un certo punto si svolse una scena piuttosto comica e raccapricciante: avevamo appena finito di mangiare e aspettavamo le nostre crepes dolci. Io l'avevo ordinata con cioccolato fondente e noci e non vedevo l'ora di tuffarmici sopra.

Marco, intanto, intercettò una cameriera e le chiese: «Scusi, mi può portare un Montenegro?».

Lei annuì e si allontanò.

Mia sorella, seduta di fianco a lui, commentò: «Giusto per rimanere leggero e per non integrare la dose di etanolo già presente nel tuo organismo».

«Ma cosa vuoi che sia... tu non mi hai mai visto ubriaco, fidati.»

«E cosa c'entra?»

Marco sbuffò. «Pensa che una volta sono andato a suonare a un matrimonio, ma mi sono ubriacato così tanto che a un certo punto sono caduto e ho sbattuto il mento non so neanche dove. Ero così fuori che non sentivo neanche il dolore, me ne sono accorto solo perché me l'hanno fatto notare!» Sembrava divertito dalla sua bravata, mentre io mi sentivo sempre più disgustata.

«E poi? Sei riuscito a suonare?» volle sapere Tamara perplessa.

«Sì, sì... alla fine è andato tutto bene! È stato troppo divertente!» le assicurò lui in tono soddisfatto.

«Uh, che spasso! Immagino!» lo prese in giro lei con pungente ironia.

Nel frattempo la cameriera cominciò a distribuire qualche crepe e consegno anche l'amaro a Marco, il quale cominciò subito a tracannarlo tutto d'un fiato.

Poi si voltò verso Tamara per parlarle, ma lei immediatamente gli si rivoltò contro: «Marco, girati! Hai una puzza terribile di quello schifo che ti sei bevuto, mi fai venire la nausea!».

Lui prese a borbottare qualcosa di incomprensibile, mentre io me la ridevo e commentavo insieme a Viola, scoprendo che entrambe avrebbero tanto voluto erigere una statua in onore di mia sorella: era stata davvero mitica!

Rientrammo al residence che non era ancora mezzanotte, ma eravamo troppo stanchi per fare qualsiasi cosa.

Così ci gettammo a letto senza perdere tempo: il giorno dopo ci saremmo dovuti svegliare piuttosto presto.

Inviai un messaggio a Danilo, Beatrice e Anna per augurare loro la buonanotte e scivolai in un sonno senza sogni, troppo sfinita anche per elaborare un qualsiasi pensiero logico.

  
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