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Autore: queenjane    27/07/2017    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Le figlie dello zar avevano preso molto dal padre, sottili ed eleganti, avevano l’epidermide chiarissima, occhi azzurri e capigliature i cui toni variavano dal biondo al castano, effetto che Catherine trovava delizioso.
Lei assomigliava a sua madre, Ella, principessa di rinomato fascino  e bellezza, anche se i tratti erano più marcati e definiti, a dieci, undici anni era alta, snella, le iridi scure e i capelli castani, che al sole si venavano di riflessi color rame, la pelle olivastra
La coppia degli opposti, scherzava Tatiana, Olga è bionda, tu no, e insieme siete tremende, tralasciando che Catherine le strappava sempre un sorriso e le tirava su il morale, la sua turbolenza era solo apparente.
Tra le tante, la nonna paterna, la zarina vedova Marie non perdeva occasione di criticare, con ciclica regolarità riferiva che la nursery imperiale era poco igienica, le bambinaie troppo civettuole con i cosacchi di guardia, le imperiali nipotine una lagna e una delusione, in verità ogni pretesto era buono per attaccare Alessandra.
Nello specifico, affermava che Olga fosse brutta e con la fronte troppo grossa, Tatiana noiosa, Marie un piagnisteo ambulante e Anastasia un terremoto perpetuo. Alla fine, Olenka aveva smesso di misurarsi l’imperiale fronte quando Catherine di sette anni le aveva fatto un saggio discorso, ovvero ..
- Olga che hai?- Dinanzi a uno specchio si prendeva le misure della famigerata parte del visetto>
-Mi misuro la fronte, è troppo grande.
- E’  tua nonna, ne dice tante, ma non ti conosce sul serio, quando mai sta con voi?
-Che dici?
-Che parla a sproposito, mica ti conosce sul serio
-Sei irriverente. - un parolone che amava usare, almeno con Catherine, lei ascoltava tutto , vedeva tutto e osservava tutto, ben di rado parlava. Salvo spiazzarti con una frase, una osservazione  casuale solo in apparenza, era un portento di ironia.
-Non sa come impari in un battito di ciglia, suoni bene il pianoforte.
-Non dovresti dirlo.
-La bellezza è negli occhi di chi guarda, mia madre almeno dice questo, io pagherei per essere bionda con gli occhi azzurri, come te, invece sembro un corvo..
-Sei bella così come sei. Un tuo antenato era spagnolo, si vede che hai preso da lui, somigli a tua mamma, la principessa Ella.
-E tu pure, sei bella come sei e tua nonna, lasciala stare ripeto, è svanita.
-Sei proprio irriverente ..- E rideva sotto i baffi, come suol dirsi, CATHERINE non diceva quello che voleva sentirsi dire, non la assecondava in tutto e per tutto.
-A proposito, io ti guardo e vedo una ragazzina che a volte non è molto empatica o gentile, ma ha bei capelli biondi, occhi color zaffiro e un sorriso gentile, questo e non vedo la tua fronte.
-Stupida che sei, io sono gentile ED empatica. Quando ne ho voglia-
--Olga, non badare a tua nonna, ti dà fastidio, ti ferisce ..lascia stare. E poi se avessi una fronte perfetta, ti brontolerebbe su altro .
-Vero ..- e  soffiò in viso lo zucchero a velo di una torta di mele e vaniglia, una fetta che consumavano per merenda.
- COSA fai?
- Nulla, almeno hai la pelle candida.
- Che pazienza, eh, Tata..
 
E le voleva bene, ad Olga, come venne appurato in quel mese di marzo 1906, pensò Tanik, accendendo una candela, pregando per Catherine e per il suo fratellino.
Era stato un grande caos, a stento ci aveva capito qualcosa, tranne che vi era stato un incidente, il suo cavallo l’aveva disarcionata, per degli spari, nelle vicinanze e lei non aveva mantenuto il controllo.
A cavalcare era un portento, una piccola amazzone e tanto..
“Ha sbattuto la testa su un tronco.. trauma cranico .. delirava..”
“ E voleva la granduchessa…Olga Nicolaevna..”
Signore, non ce la portare via, come la nostra cuginetta Ella d’Assia, la figlia dello zio Ernie, il fratello di Mamma, morta di febbre tifoide nel 1903.. Si muore di febbre, per una caduta, allora io e Olga pensavamo che te la saresti tenuta, Ella, per un poco, e ce la avresti ridata a Natale e così non era..  Quando si muore, non si torna indietro. Per quanto le tue cugine siano le figlie dello zar di Russia, signore di un sesto delle terre emerse, un autocrate, un dolcissimo Papà. Non sono stati tanto bravi a spiegarci cosa sia la morte.
E se la caverà, quella testa di legno, Tata, anche se faceva impressione, era immobile, con le bende sul viso.. Quando sono passata per salutarla, una pausa, tra l’assistenza delle infermiere, sua madre, il medico, ha sbarrato gli occhi..ha detto, TU?, come se fossi un fantasma.. E sai, la sua stanza è piena di libri, e foto, ve ne sono di lei, Cat, con me e te, e Marie e Anastasia.. E con Alessio, di quando aveva quattro mesi, che lo tiene in braccio.. E quadri, di fiori, quaderni e penne, sai scrive le sue storie e . .Se la caverà, e ho avuto tanta paura.. che mi lasciasse. Ti voglio bene, Tata, come ne voglio a lei, le parole sono importanti, siamo amiche, io e Cat, io e te sorelle, e lo dico tanto poco..
 
Ero nella cosiddetta stanza viola, la "mauve room" della zarina, il profumo dei suoi diletti e candidi  lillà invadeva come fumo l’ambiente, mescolandosi a quello delle sigarette che fumava, era adagiata sulla chaiselongue, una coperta di raso sulle gambe doloranti.
-Mi avete convocata, Maestà?
Dietro di lei, la sua primogenita Olga mi scoccò una linguaccia, birichina come e più della sorella più piccola.
Evitai di toccarmi la fronte,le ciocche occultavano la cicatrice, ricordo e monito della caduta, avevo preso quel vizio, tanto per ricordarmi che l’avevo scampata.
 
-Ho appreso che stai imparando il tedesco.-  Già, mia madre, appurato che avevo doti sopra la media, opinione degli insegnanti e non mia chiariamo, aveva deciso di darmi una educazione poliedrica, lingue, storia, letteratura e scienze, al diavolo la musica e il ricamo, visto che ero negata. Stonata come la classica campana, le mie performances al pianoforte erano una penitenza per me e gli altri, una gabella da cui mi ero svincolata con agio, per non tacere delle schifezze che ricamavo, a malapena sapevo attaccare un bottone.
-I primi rudimenti - la caduta da cavallo del mese di marzo 1906 non aveva leso la mia memoria prodigiosa, rimasta intatta, ma ancora non ero rimontata in sella, la paura mi si era tatuata addosso e ancora sarebbero passati molti mesi prima che tornassi a cavalcare. Omettendo che nei progetti vi era pure di imparare lo spagnolo, avevo invece una felice predisposizione per le lingue e la letteratura.
La zarina Alessandra iniziò a parlarmi in tedesco, il suo idioma natale, lingua in cui preferiva esprimersi come l’inglese, che parlava in modo fluido, al contrario del russo e del francese. Quest’ultimo io e Olga lo usavamo di preferenza.
-Grazie del tempo che mi avete dedicato, Maestà, siete sempre molto gentile con me.
-Invece .. il piacere è stato mio-
Io e Olga ci scambiammo una occhiata, Alessandra era imperatrice da  anni, correva l’anno 1894 quando aveva sposato lo zar, ed ancora era una straniera, oggetto di pettegolezzi e mortificazioni e gratuiti oltraggi.
Fin dal principio, era goffa, timida e sgraziata, sua suocera, la zarina vedova Maria le aveva creato il vuoto intorno e alla fine sua nuora si era ritirata nel suo piccolo mondo. Si rintanava nella sua mauve room, piuttosto che affrontare la gente e le sue difficoltà, adducendo a pretesto la sua salute precaria.
Ancora parlava male il russo (e notare che era imperatrice di Russia), con un accento atroce e pesante (.. fu nel 1914 che appresi il significato della parola odio, quando mio marito morì in guerra, ucciso dai tedeschi, un germoglio vigoroso e potente che mi avrebbe offuscato..).
 
 
Effetto paradossale del mio incidente, fu che Olga era meno chiusa, più incline a qualche gesto di affetto, spesso mi osservava, per vedere che non facessi qualche scherzo, gli occhi chiari che danzavano.
La conoscevo, pregi e difetti compresi, aveva una intelligenza strepitosa, con una superba immaginazione ma era spesso collerica, brusca e senza pazienza. Solo che la accettavo per come era, non avevo la pretesa di essere nel giusto, come l’imperatrice Alessandra sua madre, che si reputava infallibile, i cui assunti erano dogmi, aveva buone intenzioni ma era dura, critica e feroce. A dodici anni, reputavo che invece sarebbe stato meglio essere se stessi, rispettando le altre persone, comprensione e tolleranza, ma quello era un terreno minato e non credo che mi sarei spiegata bene, così lasciavo correre, dubitavo di farlo entrare in testa a un altro quando io avevo idee confuse, ma avevo dodici anni, appunto.
Comunque, i miei segreti con Olga erano al sicuro e viceversa, anche se non le dicevo tutto ed altrettanto lei.
Eravamo ancora ragazzine, ancora per poco, poi sarebbe giunta l’adolescenza e la prima età adulta, divisioni e rovine, senza vinti o vincitori, battaglie e l’età dell’oro dell’infanzia sarebbe trascorsa, circondata da un soffuso alone di leggenda.
 
Quel pomeriggio facemmo volare gli aquiloni.
E tenevo lo zarevic in braccio, cauta, era la perfezione, il mio piccolino, il primo approccio alla vera maternità. Nel tempo, imparai a cambiargli il pannolone, tenerlo in braccio quando voleva dormire, accoglierlo con lodi entusiaste e sincere quando camminava, dritto e maestoso come un fuso.
 
   
 
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