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Autore: Vago    28/07/2017    4 recensioni
Libro Terzo.
Il Demone è stato sconfitto, gli dei non possono più scegliere Templi o Araldi tra i mortali.
Le ultime memorie della Prima Era, giunta al suo tramonto con la Guerra degli Elementi, sono scomparse, soffocate da un secolo di eventi. I Templi divennero Eroi per gli anni a venire.
La Seconda Era è crollata con la caduta del Demone e la divisione delle Terre. Gli Araldi agirono nell'ombra per il bene dei popoli.
La Terza Era si è quindi innalzata, un'era senza l'intervento divino, dove della magia rimangono solo racconti e sporadiche apparizioni spontanee e i mortali divengono nemici per sè stessi.
Le ombre delle Ere passate incombono ancora sul mondo, strascichi degli eventi che furono, nati dall'intreccio degli eventi e dei destini dei mortali che incontrarono chi al fato non era legato.
I figli, nati là dove gli immortali lasciarono buchi nella Trama del Reale, combatteranno per cercare un destino che sembra non vederli.
Una maschera che cerca vendetta.
Un potere che cerca assoluzione.
Un essere che cerca di tornare sè stesso.
Tutti e tre si muoveranno assieme come un immenso orditoio per sanare la tela bucata da coloro che non avevano il diritto di toccarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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Noir guardò il suo riflesso nell’acqua increspata dai pochi peli rimanenti.
Ora che le guance e il mento non erano più nascoste dalla folta barba il suo volto dimostrava almeno dieci anni di meno.
Ripose il coltello nella fondina che portava alla cintura e si rialzò, pulendosi con i palmi i pantaloni sporchi di fanghiglia.
L’uomo tornò a dirigersi verso il suo cavallo, misurando a lenti passi la distanza che stava percorrendo. Intanto, i suoi pensieri correvano veloci lungo i quindici anni che aveva passato spostandosi da una città all’altra. Metà della sua vita era stata impegnata nel nascondersi e scappare.
La Grande Vivente, ormai, per lui non era più un luogo sicuro. Qualunque villaggio lo avrebbe riconosciuto, figurarsi le città con la loro guardia cittadina. Doveva lasciare quella foresta, almeno per qualche anno.
Dove poteva andare, allora?
L’impero sotterraneo dei nani era imploso con il crollo della fitta rete di cunicoli che aveva scavato nel corso degli anni. Ormai, le poche famiglie rimaste di quella razza non potevano nemmeno sperare in una nuova alba del loro dominio del sottosuolo.
Una delle Chiritai. Se fosse riuscito a superare il controllo all’ingresso di una di quelle cittadelle, avrebbe potuto trovare una buona sistemazione. Ma era un’impresa impossibile, introdursi all’interno di quelle mura.
Avrebbe dovuto cercare fortuna oltreoceano. Si sarebbe dovuto introdurre in una delle navi dirette verso il continente.
O forse no. Poteva provare a farsi accogliere in un tempio, per lo meno i sacerdoti avevano l’obbligo di ospitalità.
Ma se l’avessero riconosciuto? Sarebbero stati in grado di ucciderlo?
L’uomo si sistemò il mantello sulle spalle, prima di rimontare sulla sella.
Sul volto di Noir comparve un sorriso tirato quando i suoi talloni premettero sui fianchi del destriero. Sarebbe stato comico se coloro che avevano consacrato la loro vita agli dei gli avessero davvero offerto la loro ospitalità.
La Piana Umana, ora divenuta una conca a causa del collasso del regno nanico, era vuota, silenziosa, sotto quel sole al suo culmine. Avevano sicuramente perso le sue tracce.
Il cavallo dal manto scuro procedette risalendo il fiume verso sud, per poi staccarsi da esso appena incrociò il secondo braccio del Vrag, le cui acque, scorrendo verso ovest, si sarebbero poi buttate nel mare, passando però prima attraverso l’immenso lago che ora riempiva buona parte delle Terre non coperte dalla folta Grande Vivente.
Noir percorse la sponda senza fretta, guardando le acque limpide che correvano al suo fianco. Nelle zone meno profonde, erano ancora riconoscibili i ruderi dei villaggi che prima erano stati coinvolti nel collasso della terra e poi erano stati sommersi per diventare la dimora dei pesci d’acqua dolce che lì si erano insediati.
In lontananza si sentì il sibilo del treno che percorreva da ovest ad est le terre, seguendo le centinaia di chilometri di rotaie costruite negli ultimi anni della Seconda Era.
A un paio di centinaia di metri dalla terraferma, un campanile pendente svettava dalla superficie calma del lago, i mattoni consumati erano assediati dalle alghe e dai muschi che lì cercavano il caldo tocco del sole.
Lontano, in direzione dei monti, scure nubi si stavano avvicinando velocemente, sospinte dal vento di alta quota.
Il riverbero di un tuono si spanse nell’aria, mentre il sole veniva inghiottito dall’oscurità gettata dalle pesanti nuvole che stavano conquistando il cielo.
L’uomo batté i talloni sui fianchi del cavallo, incitandolo ad aumentare l’andatura per evitare il temporale che stava arrivando. Nonostante ciò, le prime gocce di pioggia riuscirono a raggiungere il mantello scuro del cavaliere chino sulla sella.
Un lampo squarciò il cielo scuro, illuminando le gocce d’acqua che cadevano con frequenza sempre maggiore e una struttura alta che si stagliava sulla sponda del lago.
Noir serrò la presa sulle briglie che teneva in mano, facendo dirigere il cavallo galoppante verso quel segno di civiltà.
Un secondo lampo serpeggiò tra le nuvole temporalesche, illuminando un tempio in mattoni racchiuso in un piccolo recinto di legno, che pareva abbracciare il giardino davanti al portone.
Noir legò velocemente il suo destriero sotto una tettoia sghemba, costruita su un muro laterale del tempio, per poi precipitarsi a capofitto sotto il cornicione dell’ingresso, cercando riparo dalla pioggia che si era fatta battente.
La sua mano corse al battacchio in ferro appeso al possente battente in legno, sollevandolo e lasciandolo ricadere più volte.
Il cupo suono che produssero i colpi riverberò per il legno della porta e le pareti murarie della struttura, superando per un istante il fragore dell’acqua.
I secondi in cui nulla si mosse parvero eterni.
Un vento gelido si levò, spirando dalla superficie del lago verso nord, verso l’entroterra e la Grande Vivente che là si ergeva.
L’uomo si strinse nel mantello fradicio, cercando riparo dalle intemperie che parevano averlo preso di mira.
Finalmente il portone si smosse, facendo filtrare verso l’esterno la luce delle candele che dietro a questo ardevano.
Un uomo dal cranio rasato si sporse da quella feritoia, guardando con gli occhi socchiusi chi aveva bussato alla sua porta.
Noir sorrise da sotto il suo cappuccio, sperando che l’assenza della barba fosse sufficiente a non farlo riconoscere.
- Posso mendicare un giaciglio per la notte? – provò a chiedere, appoggiando la propria mano sulla porta.
L’uomo calvo parve incerto, poi, chinando la testa, si decise ad aprire completamente la porta, in modo da far entrare il mendicante.
- La ringrazio. – continuò Noir, facendo pochi passi oltre l’ingresso.
L’uomo si voltò, facendo ondeggiare la tonaca bianca che portava addosso, e avviandosi per il corridoio dal quale era arrivato.
Noir lo seguì, guardandosi attorno, cercando di memorizzare qualunque cosa lo potesse aiutare o ostacolare durante una fuga.
Il corridoio d’ingresso era lungo, stretto, con le pareti ricoperte di legno spoglie, se non per le candele appese ad intervalli regolari.
A sette metri dall’ingresso, il sacerdote in tunica candida si fermò quei pochi secondi necessari per aprire la porta che si trovarono davanti. Oltre a questa, inginocchiati su spesse panche di legno pieno, altri nove uomini rispettavano il religioso silenzio di preghiera.
Il sacerdote che aveva aperto la porta indicò con un gesto della mano una panchina vuota contro il muro, sulla quale Noir si sedette senza dire nulla.
Un’ora e mezza passò lentamente, non una volta uno dei sacerdoti si alzò o si sistemò in quella scomoda posizione.
Attraverso le sottili pareti della struttura si riusciva perfettamente a sentire il battente suono delle gocce di pioggia che impattavano sul terreno e sulla superficie dello specchio d’acqua.
Fu il suono di un campanello appeso alla parete a risvegliare la stanza dallo stato catatonico in cui era caduta.
Un sacerdote si avvicinò al trentenne, il fisico magro era malcoperto da una tonaca azzurra e il viso dimostrava almeno quarant’anni in più del confratello che era andato ad aprire la porta allo sconosciuto.
- Perché hai bussato al nostro tempio? – chiese seccamente l’anziano, con una voce resa rude da troppi anni passato in isolamento in quel tempio.
Noir si sforzò nel sembrare il più onesto e candido possibile, sorridendo bonariamente a quel viso rugoso che lo stava squadrando. – Vede, sono stato preso alla sprovvista dal temporale che sta imperversando durante il mio viaggio. So perfettamente che voi, in quanto sacerdoti devoti ad Aria, predicate uno stile di vita lontano dalla caotica civiltà, ma vista la mia posizione ho ipotizzato che avreste potuto offrirmi un tetto per questa sola notte. –
Lo sguardo del sacerdote non sembrò mutare a quella spiegazione. Nonostante ciò fece un passo indietro, allontanandosi dal mendicante che il suo confratello aveva fatto entrare.
- Ti offriremo riparo per questa sola notte perché il Fato ti ha condotto a noi. –
- La ringrazio infinitamente. –
Nessuno si preoccupò di guidare il trentenne dai capelli neri all’interno di quell’edificio consacrato, lasciandolo da solo con i propri pensieri in quella sala della preghiera per un’ulteriore ora. Quando, finalmente, una tonaca candida ricomparve da una delle porte, fu per riferirgli che di lì a poco sarebbe stata servita la cena.
Noir si ritrovò una manciata di minuti dopo in una stanza laterale che si sarebbe potuta scambiare per un largo corridoio lungo il quale, contro il muro di destra, erano stati sistemati piccoli tavolini, il cui unico compito era ospitare la nera fetta di pane e poche verdure probabilmente colte dall’orto accudito dai confratelli stessi.
Non una volta, durante la parca cena, un sacerdote provò a parlare con l’ospite sconosciuto, chiedergli il nome o la storia che l’aveva condotto fino al loro uscio. Di quando in quando un di loro alzava lo sguardo nella sua direzione, squadrandogli il volto per diversi secondi, per poi far tornare i suoi occhi in direzione del piatto.
La stanza silenziosa fu attraversata da un attimo di fremito, generato forse da una parola, forse da un gesto che, comunque, Noir non riuscì a cogliere.
Che l’avessero riconosciuto?
No, in quel caso si sarebbero già mossi.
Noir si portò alle labbra le poche briciole che erano rotolate fuori da suo piatto, aspettando che qualcuno lo scortasse al pagliericcio che lo avrebbe dovuto ospitare per la notte.
I piccoli loculi destinati ad ospitare i corpi dei sacerdoti durante le poche ore di sonno che questi si permettevano durante la notte erano stretti, al punto da riuscire ad ospitare solamente una brandina e nulla più.
Noir si sdraiò in silenzio, con il suo zaino al fondo della stanza a far compagnia ai suoi piedi. Non appena il sacerdote che lì l’aveva condotto se ne fu andato, facendo perdere il suo sguardo contro il soffitto legnoso che lo divideva dalla pioggia scrosciante.
Non potevano averlo riconosciuto, si disse. Avrebbero reagito immediatamente, scappando o attaccandolo. Oppure sapevano chi era, ma avevano preferito rimanere fedeli alla loro natura di devoti religiosi.
Il trentenne chiuse gli occhi, cercano di rallentare il battito frenetico del suo cuore.
Cullato dal suono dell’acqua, si addormentò poco dopo.


Ancora non capisco perché abbiano creato questo.
Nessuno penserebbe mai di tornare sulla cima del Flentu Gar, dopo quell’inferno che avete scatenato. A questo punto, mi chiedo, perché abbiate nascosto tutto sotto queste spoglie, piuttosto che far erigere un normale palazzo.


Noir sentì il sangue fremergli nelle vene, farsi bollente, scaldandogli le carni e facendolo svegliare di soprassalto.
Conosceva quella sensazione. L’aveva provata troppe volte nella sua vita, prima nell’Oasi, poi durante le sue fughe.
Avvertì qualcosa di viscoso colargli sul petto.
Sangue.
Sangue tiepido, sgorgato da una ferita appena inflitta.
Aprì gli occhi, con la cornea che pareva nera sotto la poca luce della luna che riusciva a filtrare dalla stretta finestra sopra di lui. Non uno dei capillari intorno alle sue iridi era rimasto integro, facendo sì che il loro contenuto venisse sparso senza criterio.
Noir boccheggiò per un attimo, intuendo cosa fosse la macchia sfocata che vedeva di fronte a sé.
Un sacerdote stava imperioso su di lui, con gli occhi spalancati e la mascella pendente. Il suo petto era stato trapassato da una lancia nera, che si sarebbe detta nata direttamente dalla pelle sullo sterno del trentenne, ora sporca di quella linfa vitale.
La lancia si ritrasse nuovamente, tornando nel corpo dell’uomo dai capelli neri, togliendo così l’unico sostegno che teneva ancora in piedi il confratello, che crollò a terra già privo di vita.
Il pugnale che teneva in mano tintinnò contro il legno prima ancora che il corpo toccasse il pavimento.
Noir si alzò, evitando di toccare il cadavere riverso che continuava a spargere il proprio sangue ai piedi del letto, prendendo il suo zaino e rimettendoselo in spalla.
Doveva scappare. Quel sacerdote aveva provato ad ucciderlo, sapeva chi era, e nessuno avrebbe tentato una cosa del genere da solo.
Nessuno sarebbe stato tanto folle da sfidare il suo sangue in un leale duello. Per quanto potesse essere leale un duello contro di lui.
Noir, ripercorse a passo svelto la strada che lo separava dalla sala della preghiera. In nessuno dei loculi che oltrepassò riuscì a trovare un sacerdote, vegliante o dormiente che fosse.
Il dormitorio terminò con la porta che lo avrebbe condotto alla stanza principale, che sì aprì non appena i suoi avambracci impattarono contro il legno. Il trentenne non dovette nemmeno rallentare il suo passo, lasciando che fosse lo slancio del suo corpo a far muovere i cardini.
La larga sala centrale si presentò oscura e silenziosa all’uomo.
Le strette feritoie poste in alto lasciavano appena filtrare il poco bagliore lunare che era riuscito a farsi strada tra le nubi temporalesche.
I candelabri erano immobili, appena riconoscibili senza la fiamma ardente delle candele consumate che su di essi riposavano.
A sinistra, sulla parete contigua a quella attraversata da Noir, si poteva immaginare la porta che lo divideva dalla mensa. Superato ancora l’angolo successivo, da qualche parte, doveva esserci l’accesso al corridoio che lo avrebbe portato all’esterno.
L’uomo proseguì dritto, stringendo a sé lo zaino con una mano, mentre l’altra tastava l’aria sul suo percorso nel caso un inginocchiatoio si fosse frapposto sul suo percorso.
Le dita del trentenne si appoggiarono sulla parete opposta, seguendone il profilo finché non incespicarono su un montante.
L’anta si mosse, silenziosa, facendo penetrare nella stanza oscura una lama di luce rossastra, vivida, intensa al punto da infastidire le pupille dilatate di Noir.
Il corridoio era illuminato a giorno, una dozzina di candele ardevano sui loro bronzei supporti sulle pareti, gettando la loro luce sui volti dei nove sacerdoti che lì stavano fermi, in piedi, schierati come le pedine su di una scacchiera.
I loro volti apparivano ora cadaverici ora demoniaci con il danzare delle ombre scure sui lineamenti di quei visi.
Sulla barba dell’uomo più anziano, a capo di quello schieramento, i riflessi delle fiammelle parevano accendere tizzoni ardenti, che danzarono, quando le labbra asciutte si mossero per proferire parola.
- Cosa hai fatto al nostro confratello? – chiese quel vecchio con voce inquisitoria, voce che parve riverberare tra le pareti rivestite di pannelli di legno.
- Ha avuto quel che si meritava. Magari la vostra dea l’ha punito per aver attentato alla mia vita durante il sonno. –
- Tu, mostro. Tu, creatura dal sangue impuro. – il sacerdote fece un passo avanti, stringendo tra le mani un lungo bastone da passeggio. – Tu non potrai più sporcare le Terre con la tua vita invisa agli dei, noi non ti permetteremo un ulteriore passo. –
Noir, flesse leggermente le ginocchia, cercando di riportare alla mente i dettagli che aveva cercato di memorizzare la sera precedente.
Fosse riuscito a superarli tutti rapidamente, si sarebbero trovati impacciati nel voltarsi, offrendogli una buona finestra di vantaggio.
Un metro alle sue spalle lo divideva ora dalla sala della preghiera.
Un metro davanti a lui c’era il primo sacerdote con, dietro di sé, due metri abbondanti occupati dai suoi confratelli.
Tra gli uomini in tonava bianca e la porta d’uscita rimanevano poco più che due metri. Due metri di vantaggio per scappare.
Noir fece un passo indietro, cercando di prepararsi per quello che avrebbe dovuto fare.
- Ascoltate. – provò a dire il trentenne alzando lentamente le mani. – Non voglio farvi del male. Se mi lascerete uscire non vi farò nulla e potrete andare a seppellire il corpo di quell’altro. È una promessa. –
- Tu ci stai offrendo una seconda possibilità? Nel nome di Aria, giuro che ti fermeremo ed epureremo il mondo dal tuo sangue. –
L’uomo sospirò, facendo mutare il suo sguardo in uno più serio e concentrato. – Non credo che Aria ne sarà molto felice. –
Noir scattò in avanti, colpendo il sacerdote con una spallata che gli fece perdere l’equilibrio. Si mosse quindi di lato, spingendo il primo uomo in tonaca che incontrò contro i suoi vicini.
Sfruttò lo spazio che si era andato a creare per lanciarsi contro l’ultima linea di persone che si frapponevano tra lui e la sua libertà.
Le sue suole impattarono contro il petto del sacerdote in mezzo al corridoio, facendolo cadere schiena a terra. Una pozza di sangue cominciò a spandersi sul pavimento sotto la nuca dell’uomo caduto.
Il trentenne dai capelli neri non si trattenne a constatare le condizioni del confratello sul quale era atterrato, scattando in direzione della porta, così vicina.
Un rigolo di sangue cominciò a colare dal naso di Noir, quando questo impattò contro l’uscio, chiuso a chiave.
   
 
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