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Autore: Zane    03/08/2017    6 recensioni
Oikawa, o Crappykawa, Trashykawa e Shittykawa, frequentava il dipartimento di musica, ma un giorno l'aveva accidentalmente spinto contro il muro della mensa. I libri di Tadashi si erano completamente riversati sul pavimento e Oikawa si era fermato ad aiutare. Gli aveva chiesto mille volte scusa e quando i loro occhi si erano incrociati, Oikawa gli aveva retoricamente domandato «Dimmi, Yamaguchi-Kun, tu sei gay, vero?» Dopodiché, erano diventati ottimi amici.
Genderfluid!Yamaguchi | Non-Binary!Oikawa | College!AU
[ Tsukishima Kei x Yamaguchi Tadashi & Minor or Background Relationships ]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Kei Tsukishima, Tadashi Yamaguchi, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I wish that I could be like the cool kids

III. You always make me sad

 

 

 

 

Tadashi prese un respiro profondo, doveva cercare di mantenere almeno un minimo di autocontrollo. In meno di quarantacinque minuti, Tsukishima l'aveva forzato ad indossare gli abiti nuovi e a precipitarsi fuori dalla sua stanza. Aveva detto «Non ti lamentare.» quando si era mostrato frenato e Tadashi voleva essere coraggioso, ma non proprio subito. Parlare era più semplice che agire. Aveva appena iniziato ad andare d'accordo con i propri sentimenti. Non era un tipo di ragazzo fortunato, sapeva di per certo che nell'esatto momento in cui avrebbe messo la testa fuori, qualcosa di brutto sarebbe accaduto. Fare un passo indietro a causa delle cattive esperienze era quello che meno gli serviva, al momento. Tsukishima non ci arrivava, però.

Stavano fronteggiando la porta di un bar che Tadashi non conosceva. Teneva lo sguardo basso a fissare il pavimento di cemento, cercando di non farsi notare dalla gente. Non era poi così difficile, dopotutto. Era abbastanza invisibile. Le persone erano sempre state brave nell'ignorarlo, ma camminare di fianco a Tsukishima aveva i suoi benefici. La bellezza di Tsukishima metteva in ombra tutto quello che gli stava attorno. Eclissava totalmente l'eccessiva banalità di Tadashi e a Tadashi andava bene fino a quando nessuno gli ricordava urlando che fosse tutto sbagliato. Nel tragitto fino al locale, sul marciapiede si nascondeva dietro Tsukishima quando si accorgeva di essere fissato troppo. In un impeto di sfacciataggine, gli aveva perfino preso il braccio tra le mani, facendosi più vicino. Tsukishima non aveva fatto niente, se non scrollarselo placidamente di dosso.

Gli lanciò discretamente uno sguardo, ritornandosi poi a fissare la gonna con fare abbastanza veloce. Tsukishima gli stava affianco, mani in tasca e sguardo fiero puntato dritto davanti a lui. Avercelo accanto era pressoché intimidatorio perché era molto altro, ma allo stesso tempo rimandava una sensazione di sicurezza che Tadashi non si ricordava di avere mai provato prima. Si guardò le cosce, lisciando con le mani le pieghe immaginarie del tessuto della gonna. Lo spacco permaneva, per fortuna Tsukishima non aveva fatto alcuna battuta pessima a proposito delle sue gambe depilate.

«Hai finito?» gli chiese rudemente Tsukishima. Tadashi sussultò, guardandolo confuso, tra lo spaventato e l'incuriosito. Si stava torturando le dita, ma si fermò inconsciamente a causa del tono autoritario con il quale l'aveva rimbeccato. Di fare cosa? La faccia di Tsukishima rimandava un'espressione di irritazione repressa. Tadashi realizzò che non sembrava mai fare qualcosa per il verso giusto. Sembrava solamente essere in grado di irritarlo.

«Sì, esattamente, di fare quello.» Tadashi abbassò lo sguardo sulle sue mani, seguendo la direzione del cenno della testa di Tsukishima e si rese conto. Si stava graffiando le cuticole con le unghie. Un'abitudine delle sue quando si sentiva estremamente ansioso ma si tratteneva dal mostrarlo. Una valvola di sfogo.

«Mi dispiace, Tsukki.» gli rispose Tadashi flebilmente, aggiustandosi una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio con fare timido. Tsukishima grugnì, annoiato.

Tadashi sospirò. Era come se si stesse sabotando da solo, agendo in quella maniera. Era sicuro di non provare nessun tipo di odio in particolare, ma ancora non riusciva a comprendere la ragione dietro tutto quell'astio. Non riusciva a collegarlo a niente.

«Yamaguchi, ora ti presento ai miei amici.» spiegò Tsukishima, afferrando il pomello e spingendo la porta. Tadashi si preparò ad aspettarsi una qualche specie di «Non imbarazzarmi.», ma sorprendendolo, aggiunse «Non ti spaventare.»

Tsukishima non gli disse di seguirlo, Tadashi lo fece meccanicamente. Incominciò a chiedersi che tipo di persone fossero, i suoi amici. E a riflettere su quanto in realtà fosse stato gentile, a rassicurarlo su qualcosa che probabilmente aveva capito lo mettesse piuttosto a disagio. Tadashi non incontrava spesso persone nuove, presentandosi al loro primo incontro vestito da donna. Tadashi non incontrava spesso persone nuove e basta. Tsukishima invece si muoveva sicuro attraverso la stanza. Quel posto doveva essergli familiare. Le persone sedute al bancone lo salutarono, chiedendogli come stesse. Tsukishima non rispose se non a monosillabi, ma il fatto che fosse così conosciuto era al tempo stesso sconcertante e sorprendente. Un cameriere lo approcciò, sorridendo nel notarlo. Tsukishima gli diede qualche direttiva e Tadashi ne approfittò per guardarsi attorno. Stava fermo a qualche centimetro dietro di lui e si portò una mano al petto, sinceramente meravigliato di quanto confortevole il locale apparisse. Le pareti erano fatte di legno scuro, forse di ciliegio. La stanza era abbastanza ampia da contenere divanetti e tavolini sparsi un po' ovunque. Sulle mensole attaccate al muro, troneggiavano le migliori bottiglie di liquore. L'atmosfera era quella tipica dei rifugi universitari, sebbene Tadashi non ne sa sapesse niente e non aveva dubbi del perché.

«Sì, sono al solito tavolo.» disse il cameriere, conversando cordialmente con uno Tsukishima che voleva fare tutto tranne che quello. Tadashi non stava prestando attenzione a quello che si stessero dicendo, diversi minuti dopo Tsukishima dovette colpirlo nel fianco con il gomito per farlo muovere.

«Smettila di distrarti. Sembri un idiota, è imbarazzante.» Tadashi si ritrovò a sorridere. Eccolo , pensò, ma non poteva dargli tutti i torti. Aveva ragione, si comportava come un bambino quando visitava posti nuovi. Era una propensione caratteriale, ma i suoi genitori erano ugualmente sempre stati persone molto protettive. Crescere con loro l'aveva reso un essere umano insicuro, ma almeno conosceva a memoria la Sacra Bibbia. Non gli era mai servito, ma in qualche modo faceva della sua cultura generale.

«Non mi sto distraendo, mi sto divertendo.»

Tsukishima inarcò un sopracciglio, probabilmente perché non gli aveva mai sentito dire niente di diverso dalle scuse. Era la prima risposta completa che gli aveva dato di sua spontanea volontà.

«Ah, lo stai facendo?» Tadashi percepì l'ironia della sua voce. Mise il broncio, affrettandosi nel raggiungerlo. Erano circa della stessa altezza. Li separavano dieci centimetri, ma Tsukishima camminava più veloce con le gambe lunghe che si ritrovava.

«Sì, lo sto facendo. Dovresti farlo pure tu.»

Quando Tadashi lo raggiunse notò che che si era fermato davanti ad un tavolo disordinato, con quattro persone sedutevi attorno. Due di loro stavano discutendo ad alta voce a proposito di qualcosa che non capiva. Squadrandoli, riconobbe immediatamente Akaashi e si sorprese di trovarlo lì, ma Akaashi non notò la sua presenza, troppo impegnato a calmare lo stato d'animo del ragazzo seduto accanto a lui.

«Ciao.» salutò brevemente Tsukishima, atono, rivelando la loro presenza. Si girarono nella loro direzione, sincronizzati. Calò il silenzio. Tadashi non li conosceva, ma immediatamente pensò che dovessero avere una forte connessione psichica o qualcosa del genere. Erano abbastanza spaventosi, non lo stavano guardando esattamente con la più cordiale delle espressioni di benvenuto.

«Oh, oh?» cantilenò il ragazzo dai capelli neri sparati all'indietro, che a Tadashi ricordavano tanto il pelo arruffato dei gatti arrabbiati. Ghignò, come se gli avesse letto nel pensiero quando l'aveva sfiorato l'idea che fossero una gang di quartiere, perché le parole che prima di entrare gli aveva detto Tsukishima gli avevano dato modo di creare qualche pregiudizio.

«Oh, oh, oh?» lo seguì a ruota l'altro, quello che prendeva posto accanto ad Akaashi. Entrambi si allungarono con il busto contro al tavolo, poggiando i gomiti sul legno. Tadashi si sentì per la prima volta in vita sua come forzatamente messo al centro dell'attenzione e non per vantarsi o altro, ma aveva capito immediatamente che stavano puntando a lui.





 

Un'ora dopo, Tadashi poteva definitivamente dire che la loro era tutta apparenza. L'avevano fatto accomodare come se fossero amici di vecchia data, mettendolo a proprio agio. Nessuno l'aveva infastidito per i vestiti che indossava e la conversazione era diventata subito conviviale. Kuroo aveva esordito con un «Qual è il tuo nome, ragazza?» che gli aveva fatto venire la pelle d'oca e Tadashi aveva scoperto fosse davvero un galantuomo. Parlava con un braccio posato attorno alle spalle del suo fidanzato. Di tanto in tanto gli chiedeva se avesse bisogno di qualcosa, baciandogli la tempia. Lui diceva no, ma Kuroo glielo prendeva lo stesso. Kenma, che era stato in silenzio per tutto il tempo, senza scomporsi, a giocare pacificamente ad un videogame di guerra, era a malapena notabile. Tadashi non era riuscito a catalogarlo, sul momento. Aveva le treccine nei capelli, un paio di shorts di jeans e una felpa nera extra large, probabilmente di Kuroo. Sembrava una sorta di ibrido tra i due generi prefissi. A parer suo, rappresentava quasi l'esatto esempio di Teoria Gender.

«Da quanto tempo tu e Tsukki siete amici, Yamaguchi-Kun?» chiese Bokuto, reggendosi il mento con una mano. Bokuto era l'altro esagitato che coesisteva in concomitanza con Kuroo. Era il suo migliore amico e il partner di Akaashi, aveva scoperto. Akaashi l'aveva invitato a prendere posto accanto a lui, anche se nel giro di tre secondi l'avevano accerchiato, e si era premurato di fare le dovute presentazioni, prima di darlo in pasto agli squali. O se si voleva seguire una linea logica, ai gatti e ai gufi. Akaashi gli aveva oltremodo spiegato che era raro Tsukishima portasse di sua spontanea volontà qualcuno, quindi in quel momento Tadashi era a rappresentanza di un fenomeno più unico che raro. Gli aveva detto che seppur si vedessero spesso, Tsukishima aveva permesso solo una volta alla ragazza con la quale stava uscendo di aggregarsi al gruppo. Era venuto fuori che per una serie di motivi facilmente intuibili non si era trovata molto in sintonia con Kenma. Tadashi di solito non augurava mai sventure alla gente, né godeva nel saperla soffrire, ma essersi sentito dire che Tsukishima non invitava mai nessuno di sua spontanea volontà mentre invece con lui l'aveva fatto, lo rendeva felice.

Gli rivolse uno sguardo. Era seduto a due sedie da lui e stava mangiando un po' di carne grigliata. Non era sicuro lo considerasse propriamente un amico, però. Oltretutto, lo stava ignorando da quando erano arrivati. Quasi non riusciva ad afferrare il perché dell'averlo portato lì.

«Uhm... Noi in realtà non siamo amici.» mormorò piano, con le mani raccolte sul grembo, lo sguardo basso e un sorriso timido ad increspargli le labbra. Calò nuovamente il silenzio. Bokuto sollevò la testa dal palmo della mano e arcuò un sopracciglio. Kenma smise di premere i tasti della sua console, guardandolo. Tre secondi dopo il Nintendo produsse il tipico suono da game over. La sua attenzione sembrava interamente focalizzata sul gioco, ma in realtà ascoltava tutto. Kuroo si girò di scatto, facendo quasi convincere Tadashi di aver detto qualcosa di sbagliato. Akaashi non si mostrò sorpreso più di tanto, sapeva come la situazione fosse messa. Tsukishima, intanto, continuava a masticare piano la sua carne in un misto tra l'annoiato e il sinceramente stupito per la qualità del suo piatto.

A pensarci bene, doveva essere una qualche sorta di shock enorme per loro, venire a sapere che non erano amici ma nonostante tutto stavano parlando e mangiando allo stesso tavolo da un'ora quasi e mezza. E che l'artefice dell'invito era stata la persona più antisociale ed egoista del gruppo, che non portava fuori di sera nemmeno la sua ragazza se non per secondi fini e che solo una volta nella storia della loro amicizia le avevano sentito dire qualcosa di carino.

Kenma spense e richiuse il Nintendo, poggiandolo sul tavolo. Sembrava improvvisamente interessato alla conversazione, ma attualmente nemmeno il suo gesto di smettere di giocare in funzione di un sentimento quale la curiosità verso gli altri, che sembrava aver parzialmente dimenticato, era tanto eclatante quanto quello che aveva appena fatto Tsukishima.

«E quindi perché sei qui?» chiese senza mezzi termini e Tadashi si ritrovò a dover ammettere che aveva un tono di voce piacevole da ascoltare, dato che era la prima volta che apriva bocca in tutta la serata. Tadashi si aggiustò una ciocca della frangia con le dita, bensì non ve ne fosse alcun bisogno. Un qualcosa più volto a stemperare l'imbarazzo del momento, per ricavare tempo nel formulare una risposta, perché non sapeva cosa propriamente dire e contemporaneamente non voleva rischiare di mettere Tsukishima in imbarazzo.

«Beh, perché io...» arrossì, guardando altrove. Fortunatamente Bokuto sembrò colpito da un lampo di genio e lo interruppe, alzandosi dalla sedia. Sbatté il pugno sul palmo della mano ed esclamò convinto «Ho capito!».

Akaashi sospirò, reggendosi la fronte. Lo afferrò per il bordo della maglia, consigliandogli caldamente di ritornare a sedersi, perché stava attirando l'attenzione della gente. Per Bokuto l'attenzione della gente non era mai stata un problema, ma si sedette lo stesso per far felice il suo ragazzo. Puntò Tsukishima con un dito, proseguendo nella sua delucidante esposizione dei fatti.

«Tsukishima, non dirmi che lo stai costringendo a fare cose che non vuole.» sibilò, sporgendosi nella sua direzione, perché evidentemente non riusciva a restare fermo. Tsukishima si portò un pezzo di carne alla bocca, reggendolo tra le bacchette. Si prese tutto il tempo del mondo nel masticarlo e nel mentre osservava Bokuto. Era lui che non capiva dove il suo amico volesse andare a parare. Deglutì il suo boccone, inarcando poi le sopracciglia.

«In realtà a lui non dispiacerebbe.» pronunciò piano e Tadashi si sentì bruciare dall'interno, un qualcosa che partiva dalla cassa toracica, passava per la trachea e si fermava in una specie di groppo nella gola. Come se non avesse detto niente che poteva portare a pensare ad altro, Tsukishima riprese nuovamente a mangiare, distogliendo lo sguardo da Bokuto. Non appena riprese in mano le bacchette, Kuroo gli schiaffeggiò la nuca, facendogliele cadere sul tavolo.

«A volte parli proprio per non dire niente, quattrocchi.» Tsukishima si girò dalla sua parte, si guardarono in cagnesco per qualche secondo. Sedevano vicini, percome interagivano loro due sembravano avere un rapporto più intimo degli altri.

A Tadashi la piega che quel discorso aveva preso non gli piaceva. Abbassò lo sguardo, sospirando appena. Sentiva come se in qualche modo l'atmosfera si fosse incrinata a causa sua. E non pensava di essere stato così evidente e sfacciato nel corso del tempo, tanto da fargli comprendere quali fossero i reali sentimenti che provava per lui. Non aveva detto niente di tanto eclatante, ma tre parole messe in croce bastavano e avanzavano per farlo sentire umiliato. Tsukishima era brutalmente diretto e contorto.

Bokuto incrociò le braccia, tornando ad appoggiarsi con la schiena contro la sedia. Gettò uno sguardo a Yamaguchi che non aveva replicato e poi si voltò nella direzione di Akaashi. Storse la bocca, era stupido ma non abbastanza da non intendere il significato implicito di quell'affermazione. Doveva uscirsene fuori con una battuta solita delle sue per risollevare l'umore generale, perché a lui quel ragazzino stava sinceramente simpatico. Gli dava l'impressione di essere un cucciolo indifeso e da quanto gli aveva detto Akaashi, non si era discostato molto da ciò che fosse realmente. Akaashi gli carezzò appena un braccio, abbozzando un sorriso. Bokuto gli prese la mano, baciandone il dorso.

«Oh, beh. Io sarei più che felice di poter adottare Yamaguchi-Kun. Me lo porterei a casa oggi stesso.» riprese subito dopo, passandogli un braccio attorno alle spalle e Tadashi sussultò, guardandolo. Gli sfregò il palmo contro la manica della blusa bianca, tra l'amichevole ed il rincuorante.

«Akaashi ed io ne abbiamo già discusso.» continuò, con tono scherzoso, ma alla fine non così tanto ironico. Akaashi sorrise, annuendo, restando al gioco, perché Yamaguchi si stava gradualmente rilassando. Tsukishima non era l'unico che a volte apriva la bocca senza pensare a cosa dire. A volte anche Bokuto lo faceva, ma Akaashi era perfettamente consapevole dell'ascendente quasi ipnotico che il suo fidanzato riusciva ad avere sugli altri. Non premeditava cosa fare o rispondere, agiva d'istinto e probabilmente questa era una delle sue peculiarità migliori. Una tra le tante che lo rendevano unico e speciali ai suoi occhi.

Tadashi si accorse di star osservando Bokuto con le labbra leggermente dischiuse. Le richiuse immediatamente non appena se ne rese conto, increspandole in un sorriso imbarazzato. Si passò una mano sulla nuca, ridacchiando, e Bokuto se lo tirò maggiormente ridosso. Arrossì, stringendo le dita sul bordo del tavolo per sorreggersi. Aveva la guancia destra spiaccicata nella maglietta morbida di Bokuto. Sentire la compattezza dei suoi muscoli da sopra il tessuto lo imbarazzava. Era un contatto fin troppo intimo, per quanto gli riguardava, anche se del tutto piacevole.

Akaashi si coprì la bocca, soffocando una risata leggera. Yamaguchi era come un libro aperto. Tutto quello che gli passava per la testa gli appariva scritto in faccia. Si stava struggendo tra il rifiuto e la vergogna, in relazione a ciò che sul momento stava provando. Lo osservò per qualche attimo, prima di distogliere lo sguardo. Un po' di amore faceva bene a tutti, soprattutto a lui.

Kuroo scoppiò a ridere, dietro al boccale di birra che si reggeva davanti alla bocca con una mano. Ne prese un sorso, poi lo posò di nuovo sul tavolo, nel cerchietto di legno che fungeva da poggia-bicchiere. Analogamente all'altra coppia, circondò le spalle del suo compagno con un braccio, ghignando.

«Perdonate l'arroganza di Kei.» disse, battendo ripetutamente una mano dietro la nuca di Tsukishima. «Sta ancora crescendo, è nella fase della ribellione.»

Tsukishima si tolse di dosso il suo braccio con una scrollata di spalle, ma non sembrava propriamente arrabbiato. Era irritato ed annoiato, ma quello lo era praticamente sempre. Più che altro, appariva arreso. Probabilmente le prese in giro nel loro gruppo di amici erano un must, che a nessuno dispiaceva poi tanto fare e ricevere. Tadashi si ritrovò a pensare che quella doveva essere una forma molto profonda di amicizia. Assomigliava un po' a quello che lui stava costruendo con Hinata. Oikawa era un discorso a parte, lo adorava e ammirava, ma non sarebbe mai riuscito a mettere da parte il rispetto che gli portava, come succedeva tra Kuroo e Tsukishima, nonostante gli anni di differenza.

Bokuto sghignazzò, sembrava trovare la situazione parecchio divertente. Si sporse sopra il tavolo, allungando un pugno chiuso in direzione di Kuroo. Kuroo reagì automaticamente, stirando il braccio con il quale abbracciava Kenma, trascinandoselo dietro. Fecero scontrare brevemente le loro nocche, in segno di silente apprezzamento.

Tadashi afferrò il bicchiere di succo che gli era stato posato di fronte in precedenza, dal cameriere che li aveva guidati al tavolo. Prese la cannuccia tra le dita e se la portò alle labbra, succhiando la bevanda rossa. Sorrise delicatamente, sentendosi circondato da un calore rassicurante che non aveva mai provato. Nonostante l'uscita infelice di Tsukishima, non aveva di che lamentarsi. Si stava divertendo, quei ragazzi erano simpatici e il locale era confortevole.

Si persero a parlare del più e del meno. Avevano messo da parte lo scoprire perché fosse lì, probabilmente incoraggiati dalla risposta fuori luogo di prima. Era venuto fuori che frequentavano la sua stessa università, anche se non li aveva mai visti, perché per i corridoi camminava sempre a sguardo basso. E che Kuroo era un compagno di corso di Akaashi, Kenma studiava moda e design e Bokuto si era dato alle materie scientifiche, nonostante gli appellativi che gli erano stati appiccicati addosso dai professori del liceo. Non riusciva ad allacciarsi le scarpe da solo, qualche volta, era rumoroso e chiassoso, scoordinato e tendeva ad annoiarsi presto, ma di fronte ad un problema di geometria il suo cervello in qualche modo funzionava. Condivideva un appartamento con Kuroo, al di fuori del campus, ma stavano cercando qualcos'altro per riuscire a cavare da lì dentro anche Kenma e Akaashi. Gli avevano raccontato di come avevano conosciuto Tsukishima, di come li aveva evitati per mesi, ma poi si era arreso. Lui e Kuroo si erano ritrovati a condividere una lezione di biologia, nonostante Tsukishima fosse del Dipartimento di Paleontologia. Avevano scambiato quattro chiacchiere e poi Kuroo l'aveva introdotto nel suo giro di amici, anche se era più corretto dire che le quattro chiacchiere Kuroo le aveva scambiate da solo, lui e il muro. A Tsukishima era servito un po' di tempo per abituarsi alla loro presenza invadente, ma alla fine ora uscivano insieme e riusciva anche a tollerarli. Per ritornare brevemente al discorso della sua presunta fidanzata, solo una volta gli avevano sentito dire una cosa carina, poi mai più. «Se non piaci ai miei amici, non piaci nemmeno a me.» e in quel momento avevano capito che in fondo in fondo a Tsukishima la loro compagnia non dispiaceva così tanto come lasciava intendere.

Tadashi rise allegramente per una battuta stupida di Bokuto, poi la sua attenzione fu catturata da un gruppo di persone sedute un po' più in là che esplosero in un fragoroso applauso. Arricciò le labbra, curioso, stringendo il bicchiere tra le dita. Si rese conto di non aver notato nell'angolo estremo del locale un piccolo soppalco rialzato, con al centro un'asta da microfono e spostato un po' più a sinistra un pianoforte nero. In quel momento, una ragazza stava scendendo dalle scalette, dopo aver finito probabilmente di suonare la sua canzone. Sembrava timida, si toccava in continuazione i capelli. Le ciocche della frangia le coprivano gli occhi e lei le tirava come per allungarle e continuare a coprirsi. Nascondeva un sorriso imbarazzato dietro la mano, che si espanse lungo tutta la curvatura delle sue labbra quando riprendendo posto al suo tavolo, gli amici cominciarono a strattonarla amichevolmente. Dovevano aver faticato abbastanza per riuscire a convincerla a salire lì sopra. Gli rimandava questa sensazione.

Tsukishima che si alzava dalla sedia lo distrasse. Teneva in mano il telefono e fissava lo schermo. Tadashi lo guardò, inarcando appena le sopracciglia. Non tradiva nessuna particolare emozione, in volto, ma si chiese ugualmente se fosse qualcosa di urgente. Da come si era allontanato, mormorando un placido «Scusate.», con andatura rilassata ma al tempo stesso scocciata, Tadashi poteva forse ipotizzare che non fosse una chiamata importante.

Kuroo gli fissò la schiena fino a quando non scomparve oltre la porta dell'ingresso, poi sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Tadashi sapeva che ficcare il naso negli affari degli altri non era giusto, ma moriva dalla voglia di sapere chi l'avesse chiamato. E Kuroo in tempi da record soddisfò la sua richiesta.

«Che seccatura, gente.» sospirò, bevendo la sua birra. Aveva usato un tono di voce piuttosto serio e Tadashi capì immediatamente perché l'aveva fatto. Nessuno di loro sembrava tollerare l'esistenza della fidanzata di Tsukishima. Fidanzata o quella che si scopava per divertimento. Qualsiasi cosa fosse. Niente di enormemente esagerato, non desideravano la sua morte, a nessuno sarebbe piaciuto vederla crocifissa, se non a Kenma, forse. Opinioni divergenti e caratteri incompatibili, si limitavano ad ignorarla, anche se il pensiero che camminasse ancora su questa terra li turbava. Tadashi aveva notato che ragionavano come se fossero un branco. Non ti meritavi la clemenza di nessuno se ferivi anche solo uno di loro. Era confortante.

Bokuto annuì, aggiungendo poco altro se non qualche frase di consenso. Tadashi si morse il labbro inferiore, discretamente. Era la chance che aspettava per scoprire qualcosa in più su di lei, Tsukishima e in generale, se mai avesse saputo come mettere da parte l'imbarazzo. Arrossì, schiarendosi la gola. La sua voce risuonò più traballante di quanto non lo fosse mai stata, negli ultimi tempi.

«Come mai... ?»

Kuroo si appoggiò il mento sopra il palmo della mano. Era stato un flebile suono che si era propagato per circa cinque secondi nell'aria, poi era scomparso. Avevano appena fatto in tempo ad udirlo. Si prese qualche attimo per rifletterci, più per dosare le parole che altro.

«È un'omofoba di merda.» sorprendentemente, Kenma prese la parola. Dopotutto, era il diretto interessato dell'intera faccenda. «E se odi gli omosessuali con noi non vai d'accordo.»

Tadashi non riuscì ad emettere altro che non fosse un erudito «Oh.». Improvvisamente, non si sentì più nella posizione giusta di chiedere altro. In qualche modo, lo sguardo di Kenma, nel dire quello che aveva appena detto, l'aveva intimorito. E a prescindere, dalle persone che aveva intorno, soprattutto da lui, poteva facilmente immaginare che non fosse solo una questione di preferenza sessuale, quanto più anche d'identità di genere. Nell'unica volta che si erano visti, doveva avergli detto qualcosa alla tipo «Perché i tuoi vestiti non hanno un senso? È strano.»

«E se ti stai chiedendo perché Tsukishima ci esca, beh, la cosa è molto semplice.» aggiunse Kuroo. Spiegò brevemente che Tsukishima era abbastanza grande da sapere cosa fosse meglio per lui e cosa no, e che se gli diceva di non preoccuparsi, allora non si sarebbe preoccupato. Non stava cercando la persona con cui condividere il calvario della vita. Non doveva sposarla. Voleva solo divertirsi, il che era anche abbastanza comprensibile data la giovane età. Questo, ovviamente, la ragazza non lo sapeva.

«Ad ogni modo, Yamaguchi-Kun.» lo richiamò Akaashi, sorridendo candidamente. Se ne stava appoggiato contro lo schienale della sedia, con un braccio di Bokuto che gli pendeva dal collo. Giocava distrattamente con la sua mano, carezzandogli le dita e delineandone i contorni. «Ho visto che guardavi in direzione del palco, prima. Ti piace cantare?»

Tadashi non poteva dire che gli piacesse particolarmente o che fosse in qualche modo dotato abbastanza da valerne la pena ascoltarlo. Canticchiava a volte sotto la doccia, canticchiava a volte mentre annaffiava i fiori del giardino del campus. Strimpellava alla chitarra due accordi per grazia divina e a volte intonava melodie che non avevano parole, solo suoni. Apprezzava la musica, però e forse era stato per questo che si era subito preso con Oikawa, anche se non si proclamava chissà quale esperto. Ascoltava di tutto, dal tradizionale al poco tipico. Col tempo, aveva imparato ad apprezzare ogni genere, senza escluderne qualcuno a prescindere, solo a causa dei preconcetti.

«Mi piace la musica, ma non so assolutamente suonare il pianoforte.» ridacchiò, riandando automaticamente con la mente a quando di domenica sua madre lo costringeva a cantare nel coro della chiesa, assieme ai suoi coetanei del tempo. Ora la maggior parte di quella gente a stento lo salutava, se si incrociavano per strada.

«Non c'è problema.» rispose Kuroo, con un ghigno sulle labbra del tutto poco rassicurante. «Io so suonarlo. Tsukishima pure.»

Tadashi si voltò a guardare prima lui, poi Akaashi. Akaashi aveva in faccia un'espressione che diceva chiaramente «Sì, Oikawa me l'ha detto. ♥» e in quel momento realizzò che il cervello del suo senpai doveva star macchinando qualcosa di brutto. Prima che potesse iniziare a replicare ardentemente con tutte le sue forze, perché una cosa del genere non sarebbe mai potuta succedere, Tsukishima tornò indietro.

«Tsukki.» Kuroo lo indicò con il boccale di birra che aveva in mano. «Accompagna Yamaguchi al piano.»

Tsukishima inarcò un sopracciglio, reggeva ancora il cellulare tra le dita, ma stavolta era spento. Tadashi cominciò a gesticolare, arrossendo, mettendo insieme parole a caso senza formare nessuna frase di senso compiuto. Bokuto nel sentirlo scoppiò a ridere, il che lo fece imbarazzare più di prima. Quel fiume insensato di parole che gli scorreva fuori dalla bocca si arrestò quando Tsukishima gli posò gli occhi addosso. Tadashi sedeva compostamente sulla sedia, ma era agitato. L'altro sembrava starlo scrutando da capo a piedi, oltre i vestiti. Gli parve che per un momento, lo sguardo di Tsukishima si fosse soffermato sulla sua gamba nuda, quindi per riflesso incondizionato la coprì. Quel silenzio lo stava portando a credere che da qualche parte nella testa di Tsukishima, l'idea di accompagnarlo per davvero al piano stesse prendendo forma. E nella sua l'aspettativa gli gonfiava i polmoni, facendogli aumentare il battito cardiaco.

«Non ci penso minimamente, mi metterebbe in imbarazzo.» sentenziò, mettendosi a sedere. Kuroo lo rimbeccò, Tadashi sospirò. Non si sorprese più di tanto. Tsukishima stava rigirando il coltello in una piaga già sufficientemente aperta. Nulla che insomma non si fosse già sentito dire in diciannove anni di vita.

«Okay, ce lo accompagno io.» disse Kuroo, facendo drizzare i sensi di Kenma, che dalla sua reazione probabilmente doveva amare in modo particolare sentirlo suonare. Tadashi stava per dirgli che non importava, non sarebbe in ogni modo stato capace. Che lo coglieva troppo alla sprovvista, non gli pareva il caso. Fece per aprire la bocca, ma la voce di Tsukishima lo surclassò.

«Io tra poco vado via.» informò tutti e Tadashi ingenuamente si sentì triste, perché egoisticamente, anche se era venuto con lui, non voleva andarsene così presto. Se l'avesse ascoltato finire di parlare, prima di perdersi nei suoi giri mentali, si sarebbe risparmiato la fatica di sentirsi triste.

«Tu fai cosa vuoi.» perché non stava tornando in dormitorio e non ci sarebbe ritornato così presto. Probabilmente la sua donna l'aveva chiamato per proporgli un'alternativa più allettante di quella. E siccome la carne è debole anche se ti chiami Tsukishima Kei, non si era sognato di rifiutare.

Lo fissò per qualche secondo, cercando di non lasciar trasparire la delusione che gli colava fuori da ogni poro della pelle. Ad un certo punto si sforzò di reagire, perché gli sembrava essere passata un'eternità da quando aveva detto qualcosa l'ultima volta e se avesse continuato a stare zitto la cosa sarebbe risultata sospetta.

«Nessun problema, posso tornare indietro da solo.» gli sorrise, mettendo giù la borsa che si era portato dietro, tanto non doveva ancora andarsene lui. Era come se lo stessero soffocando. Sentiva distintamente una mano attorno alla gola che gli stringeva la trachea. Si massaggiò un braccio, facendo finta di interessarsi al menu appiccicato sotto il vetro del tavolo. Non sapeva semplicemente dove posare gli occhi. Mentalmente si domandò perché per davvero gli avesse chiesto di uscire con lui, se poi l'aveva ignorato tutto il tempo ed ora se ne andava anche. Gli venne quasi voglia di chiederglielo, ma mancava di coraggio per fare una cosa del genere. E sapeva che avrebbero finito per litigare e come una moglie remissiva, dopo i primi strilli gli avrebbe dato ragione e l'avrebbe lasciato andare dove voleva. Si impose di calmarsi e sospirò, cercando di non dare troppo nell'occhio. Era meglio se provava a concentrarsi su altro. Tsukishima era tossico per la sua salute.

«Kuroo-San, che cosa saresti disposto a suonare?»

 

   
 
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