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Autore: EffyLou    06/08/2017    1 recensioni
ATTENZIONE: storia interrotta. La nuova versione, riscritta e corretta, si intitola Stella d'Oriente.
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Ha venti anni quando incontra per la prima volta quegli occhi, lo sguardo fiero del re di Macedonia, il condottiero che non perdona; ha venti anni quando lo sposa, simboleggiando un ponte di collegamento tra la cultura greca e quella persiana. Fin da subito non sembra uno splendente inizio, e con il tempo sarà sempre peggio: il suo destino è subire, assistere allo scorrere degli eventi senza alcun controllo sulla propria vita, e proseguire lungo lo sventurato cammino ombreggiato da violenza, prigionia e morte.
Una fanciulla appena adolescente, forgiata da guerre e complotti, dalla gelosia, dal rapporto turbolento e passionale col marito. Una vita drammatica e incredibile costantemente illuminata da una luce violenta, al fianco della figura più straordinaria che l'umanità abbia mai conosciuto.
Rossane, la moglie di Alessandro il Grande. Il fiore di Persia.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Memorie Antiche'
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Rossane
il fiore di Persia



۳ . Seh

 
Impero di Persia, provincia di Battria.
Città di Al-Khanoum, 327 a.C.

 
Ossiarte lavorava per il suo nuovo re, Alessandro, ormai. Riuscì a convincere persino un altro capo locale, Choriene, ad abbandonare il fortino in cui si era rifugiato e deporre le armi in favore dei macedoni.
Infine, l’ultima cittadella sogdiana cadde sotto la mano di uno dei più vicini compagni di Alessandro, Cratero. Le conquiste di Sogdiana furono sugellate dalla fondazione di colonie e da Alessandria Eschate all’estremo confine settentrionale dell’impero, all’ingresso della valle di Fergana e sulla sponda meridionale del fiume Iaxartes. Queste cittadelle vennero popolate, oltre dai contadini nativi, anche dai veterani dell’esercito macedone non più in grado di combattere. Il loro dovere era sì coltivare la terra e stare a riposo, ma anche proteggere le satrapie da possibili insurrezioni locali e invasioni da parte degli Sciti.
Nello stesso tempo, Alessandro dispose che trenta mila indigeni locali fossero educati e istruiti all’uso macedone per farne sudditi fedeli al pari degli altri, e soldati per l’esercito.
Il re stava dunque riorganizzando l’armata per partire alla volta dell’India.
I persiani dedicavano ad Alessandro il gesto della proskynesis, che consisteva in un bacio sulle dita e un inchino più o meno leggero, in taluni casi persino una prostrazione a terra davanti al sovrano.
Greci e macedoni non avevano mai omaggiato il re con questo saluto, perché in quella zona più occidentale del mondo tale devozione veniva riservata solo agli dèi.
Alessandro non aveva mai preteso da loro questo tipo di trattamento, e ciò creò scandalo tra i persiani. Il re allora decise dunque di cercare di introdurre questo gesto anche tra i suoi compagni greci e macedoni, ma vi opposero resistenza perché lo consideravano un gesto tirannico, da schiavo.
Il sovrano rischiò di morire per mano di un pugno di paggi reali addetti alla cura della sua persona. Volevano pugnalarlo nel sonno e per pura fortuna Alessandro si destò in tempo.
Il capo della banda, Ermolao, aveva convinto i suoi compagni congiurati dopo una ferita all’orgoglio inferta da parte di Alessandro. Il re, quando li ebbe in mano, non riuscì a credere che il motivo di tale congiura fosse tanto banale e che non avessero un suggeritore.
Fece torturare il manipolo di giovani finché non uscì fuori il nome di Callistene, lo storico che seguiva Alessandro per documentarne le gloriose imprese, e furono lapidati dall’assemblea dei macedoni. Callistene dipingeva Alessandro come tiranno sanguinario, pomposo, e che i suoi successi erano unicamente dovuti alla sua fortuna. Venne fatto sparire, il modo non fu mai chiaro.
La campagna di Battria fu dura e crudele, e segnò profondamente Alessandro e le sue truppe senza tuttavia spegnere la volontà di proseguire.

Nel corso di quei mesi era riuscito ad avvicinare Rossane.
La sera facevano passeggiate in città, parlavano a lungo di cultura e tradizioni lontane. La persiana era affascinata dal mondo da cui veniva Alessandro, e lui era affascinato dal suo.
C’erano dibattiti e confronti. Ma a volte, lui non reagiva così bene quando veniva contraddetto dalla moglie. S’infervorava di più o di meno a seconda dell’umore oppure dell’argomento.
A volte Rossane si inquietava per quegli sbalzi d’umori o impeti di rabbia, anche se non le aveva mai fatto del male Alessandro alzava la voce. Pensava che fosse dovuto al fatto che era un re, un faraone, un condottiero, sempre abituato ad ottenere ciò che voleva e non sopportava l’idea che qualcuno invece non appoggiasse le sue idee o lo contraddicesse.
A parte questi siparietti, erano diventati molto amici. Rossane sentiva di volergli bene.
Le spediva fiori, le faceva carezze di tanto in tanto, giocava con i suoi capelli. A volte le dava un bacio sulla guancia o sulla fronte, quando doveva salutarla.
Non dormivano insieme, ognuno nelle sue stanze. Ossiarte non approvava molto. Temeva che il re si stancasse dell’atteggiamento schivo di Rossane e mandasse a morte tutta la loro famiglia rendendosi conto di aver fatto un patto ben poco fruttuoso, se lei non gli concedeva nemmeno un bacio sulle labbra.
Alessandro però sembrava tranquillo, in qualche modo appagato, anche senza averla carnalmente.
Gli piaceva trascorrere il tempo con Rossane, era una ragazza appassionata, arguta e molto colta per la sua giovane età. Non conosceva il mondo, non sapeva nulla di ciò che c’era fuori. Conosceva le tradizioni più vicine a quella persiana per forza di cose, e perché le aveva lette sulle pergamene, ma non aveva mai conosciuto altre realtà. Questo alimentava la sua curiosità, la sua sete di conoscenza, doti che Alessandro trovava deliziose in una donna. E inoltre, questo suo essere così innocente e a tratti ingenua, gli inteneriva il cuore e alimentava il suo spirito di protezione nei suoi confronti, già presente a causa della differenza d’età tra i due – otto anni.
Ma lei era come diceva Ossiarte: lo faceva uscire fuori dalle grazie del suo dio ogni qualvolta replicava e non utilizzava un tono reverenziale nei suoi confronti. Ma era la regina, non poteva permettersi più di tanto di imporle il suo punto di vista.
Le aveva fatto conoscere i suoi diadochi e in particolare ci tenne molto a presentarle Efestione, che le aveva fatto come dono di nozze una giumenta di nome Artemide.
Era riuscito ad avvicinarla ma poi le cruente azioni rivolte ai paggi di Alessandro, dopo il tentativo di assassinio, sembrarono farla allontanare di nuovo per diversi giorni.
Era un tira e molla. Sembrava star giocando a nascondino.
Rossane non biasimava Alessandro per le sue decisioni riguardo i congiurati, ma era rimasta impressionata dal suo cambiamento repentino. Con lei era affettuoso e comprensivo, con gli altri affabile e cordiale, e poi si trasformava in un uomo intransigente e spietato.
Era stata lei a riavvicinarsi, poi, con grande stupore del marito. Aveva messo da parte l’orgoglio ed era andata a salutarlo.
Era arrivata la fine dell’estate. L’esercito era in procinto di partire alla volta dell’India.

Quel giorno Rossane era con Alessandro, nella brezza leggera d’autunno, era l’ultimo giorno in Battria prima della partenza. Le foglie secche che si muovevano placide seguendo il vento del tramonto.
Erano in una radura appena fuori Al-Khanoum.
Rossane aveva fatto la conoscenza del magnifico cavallo nero di Alessandro, Bucefalo. Le aveva raccontato di com’era riuscito a “domarlo” e lei ne era rimasta molto colpita.
Quel giorno non c’era niente di regale nella regina. Portava i pantaloni da fachiro di seta viola, che usava per andare a cavallo, infilati negli stivali stretti e scuri al ginocchio con la punta arricciata verso l’alto; portava una camiciola color bianco sporco, infilata nei pantaloni a vita alta, e vi aveva legato una cintura di cuoio. Sopra teneva un gilet dai ricami elaborati, da cui sbucavano le maniche larghe della camiciola e terminavano nei guantoni di cuoio della ragazza. I capelli erano legati in una treccia laterale senza ornamenti di alcun genere.
Alessandro la trovava bellissima anche così. Gli aveva fatto strano vedere una donna indossare i pantaloni, ma d’altronde erano un’invenzione persiana e i persiani stessi furono i primi a permettere alle loro donne di indossarli.
Rossane era in piedi e stava accarezzando la chioma di Bucefalo, che li aveva accompagnati al galoppo fino a quella radura, un po’ sopraelevata rispetto al livello della città. Da lì potevano vedere le case, il fiume, le strade, investite dalla luce rosata del sole che calava dietro le montagne.
Alessandro stava seduto sull’erba, le gambe distese e le mani piazzate sul prato dietro la schiena per tenersi sollevato.
Non avevano parlato di niente fino a quel momento. Lui si era presentato alle porte dell’harem, aveva chiesto a un eunuco di far uscire Rossane, e poi l’aveva portata alle stalle. Erano montati su Bucefalo, lei stretta dietro di lui, ed erano partiti al galoppo verso quella radura che Alessandro aveva scoperto poco tempo prima. Forse lei la conosceva già, ma pensò che potesse essere una buona occasione per stare finalmente soli del tutto.
Solo che ora che aveva ottenuto un po’ di solitudine con lei, non riusciva a dirle niente. Cosa avrebbe voluto dirle? Parlavano sempre di tante cose, ma forse di loro non si erano mai detti niente.
«Com’è Ossiarte? – se ne uscì Alessandro. – Come padre, intendo.»
Avesse fatto quella domanda solo un paio di mesi prima, si sarebbe subito scusato per la troppa curiosità. Ma avevano raggiunto un livello di confidenza tale da non farlo sentire in imbarazzo nel porre alcune domande come quella.
«Io non ho un’alta considerazione di mio padre dopo aver scoperto che era complice dell’assassinio di re Dario. – spiegò, distratta. – Ma come padre non mi ha mai fatto mancare nulla, per amor dell’onestà. Forse non è bello da dire, ma ero la sua figlia favorita e tentò di educarmi il meno possibile ad un’esistenza come moglie e madre, e il più possibile al comando di un popolo. Contava di lasciare a me la provincia di Battria, dopo la sua dipartita.»
Solo che il padre non aveva fatto i conti con i dubbi di Rossane. Era davvero tagliata per una carica del genere? Ossiarte sosteneva di sì, ma che sarebbe stata davvero pronta solo quando avrebbe imparato a seguire gli ordini. Quando avrebbe imparato a stare dall’altra parte.
Rossane conosceva la politica, l’economia, i diritti civili e penali del cittadino di Persia.
E allora? Anche uno stolto poteva conoscerli. La principessa sosteneva che non bastava solo la conoscenza a rendere qualcuno idoneo a certi ruoli di rilievo, ci voleva anche qualcosa di più.
Lei era più volitiva, ambiziosa e cocciuta rispetto alle donne che circondavano suo padre e, in particolare, delle sue sorelle. Ma non era sicura che questo bastasse.
«Siete stata il figlio maschio che non ha mai avuto, in altre parole.» commentò Alessandro, riscuotendola dai suoi pensieri.
«Non credo, no. A mio padre pesò sulle spalle il fatto di non avere un erede maschio. Ma poi sono cresciuta io. Sono la figlia femmina con il carattere più volitivo. – si lasciò cadere vicino a lui, facendogli un sorriso. – Non volevo sposarmi, mio re. Ho ricevuto molte proposte di matrimonio, le ho rifiutate tutte con il consenso di Ossiarte. Farmi sposare non era nei suoi piani, ma capisco che l’offerta di un re è parecchio allettante.»
Alessandro le sorrise enigmatico. «Mia regina, cosa devo fare per conquistare il vostro cuore? Sembra una fortezza inespugnabile, e non come la Rocca di Arimazes. – ammiccò, divertito. ─ Sono mesi che ci provo, non ne vengo a capo. Datemi un suggerimento.»
Rossane si strinse nelle spalle senza dire niente.
In realtà in cuor suo non riusciva a lasciarsi andare, ad aprirsi. Le attenzioni delicate di Alessandro le scaldavano il cuore, sbriciolavano la pietra di cui era ricoperto. E poco a poco aveva cominciato a battere per lui. Un sentimento netto, puro e delicato, sovrastato dall’assordante razionalità della fanciulla.
Mizda le aveva detto che avrebbe avuto tutto il tempo per conoscerlo ed innamorarsi. Perché così funzionava nei matrimoni combinanti: all’inizio non c’era mai amore, ma con un po’ di tolleranza e buona volontà poteva nascere quel fiore prezioso.
Lei era troppo orgogliosa per ammettere a sé stessa che si stava innamorando.
Rossane non aveva un’alta considerazione degli uomini, i pochi che se l’erano meritata l’avevano sempre delusa e suo padre era stato l’ultimo ad aver spezzato il cuore di Rossane. Non avrebbe permesso a nessun altro di far breccia in lei e, quindi, di spezzarla.
Anche se fosse finalmente riuscita ad essere sincera con sé stessa, mai avrebbe mostrato i suoi sentimenti. Mostrare una parte di sé ad un uomo del genere, capace di sondare l’anima e scovare ogni antro oscuro, significava dargli potere. Rossane non gliel’avrebbe dato, sapeva che se ne sarebbe approfittato.
Ma quello era suo marito, il suo re. Era davvero giusto chiudersi a riccio?
Mio marito. Si ritrovò a ripetere mentalmente quel concetto un paio di volte. Ora era regina, aveva una posizione vantaggiosa e aveva assicurato la vita alle sue sorelle. Ma non era del tutto appagata, né si sentiva del tutto libera. Una parte di sé odiava Alessandro per essere il suo sposo. E sentiva che questo veleno che covava in sé sarebbe stato deleterio per il rapporto.
 Distolse lo sguardo dai suoi occhi eterocromatici per puntarlo sul fiume Oxus nella valle, e ingoiò un groppo, le orecchie andavano a fuoco. E le guance pure.
«Vi faccio sentire a disagio?» domandò Alessandro, inclinando la testa a sinistra e studiando il profilo di sua moglie baciato dal sole. Il naso piccolo, leggermente all’insù, le labbra delicate, il mento rotondo, gli occhi socchiusi per la luce.
«Un po’.» ammise. Come non avrebbe potuto di fronte a quegli occhi indagatori?
«Non dovete. Io vorrei essere per voi un amico, un compagno, un amante.»
«Siete ad un terzo dell’opera, mio re, siete mio amico.» gli fece un sorriso furbo.
Lui ricambiò, ma si fece serio presto. «Posso darvi un bacio, mia regina?»
Rossane abbassò gli occhi tra i fili d’erba, si morse il labbro inferiore con un sorriso timido. Alzò poi lo sguardo su di lui, guardandolo da sotto le ciglia.
Non seppe dire dove trovò la malizia.
«Buffo che chiediate. Voi siete un conquistatore, mio re. Venite a prendervi quello che volete.»
Non seppe dire nemmeno se sia stata una mossa intelligente, dirgli una cosa del genere. Ma le parole erano rotolate fuori dalle labbra prima che potesse fermarle, prima che potesse soffermarsi sulle conseguenze o sul significato implicito che potevano avere.
Vide il suo pomo d’Adamo fare su e giù, mentre con gli occhi indugiava sull’intero corpo di Rossane fino a posare lo sguardo sulle sue labbra.
Emise un sospiro dalle narici, poi piegò il busto verso di lei. Era così vicina, poteva sentirne il profumo di incenso. Inebriante. Le mise una mano tra la testa e la nuca e la attirò a sé, in un bacio che non dava spazio al respiro.
Alessandro era audace e dominante, cercava di sopraffarla e imporsi. Non era mai stata baciata così da un uomo, in quel modo così prepotente ma al contempo affettuoso. Era quello il bacio di un re, il bacio di un conquistatore. Alessandro si stava prendendo quello che voleva, compreso il suo cuore.
Sentiva che poco a poco lo stava conquistando. Mai avrebbe dovuto fargliene rendere conto.
 
 
* * *
 
Le forze combattenti contavano circa quarantamila uomini, mentre gli ausiliari e i non guerrieri erano venti mila.
Varcarono la catena dell’Hindu Kush e presero la strada di Bamian e della valle di Ghoroband.
Qui Alessandro decise di dividere le sue forze: Perdicca ed Efestione, al comando delle truppe pesanti, si mossero con i bagagli attraverso la valle del Kabul fino a Pushkalavati, la Città del Loto.
Alessandro era a capo delle truppe leggere, si spinse più a nord attraverso le regioni dello Swat, abitate da popoli montanari particolarmente bellicosi e molto restie a sottomettersi. Tuttavia caddero comunque sotto la mano di Alessandro.
Il re si preparava ad assediare la fortezza di Aorno, posta su un piccolo picco vicino alla valle dell’Indo.
Aveva gentilmente chiesto a Rossane di seguire Efestione e Perdicca, dal momento che il loro viaggio sarebbe stato più tranquillo e consono ad una fanciulla così giovane e ben poco abituata alla guerra.
Lei però aveva deciso di restare e seguirlo, con suo momentaneo disappunto. Non era abituato a vedere qualcuno che rifiutava così a viso aperto le sue decisioni. Rossane era irremovibile e lui non poteva insistere poiché era la sua regina.
Ma tuttavia gli piaceva averla intorno. Poteva controllarla, studiarla, cercare di capirla.
Rossane dal canto suo aveva fatto amicizia con i diadochi di Alessandro, eccetto Cassandro che sembrava molto ostile nei suoi confronti, ma aveva stretto un legame con Efestione e Cratero. Le dispiacque vedere il primo allontanarsi.
Aveva fiutato un rapporto molto particolare tra il soldato e il re. Si conoscevano dall’infanzia ed erano molto uniti, ma sembrava esserci di più. Un affetto più profondo dell’amicizia.
A lei, comunque, non dava fastidio nonostante tutto. Forse per l’affetto che provava per Efestione ella stessa.
Alessandro non si curava di nascondere quel rapporto particolare con il suo soldato, nemmeno di fronte a Rossane. E, tra l’altro, Alessandro aveva con sé anche qualche concubina e servitore.
Le concubine, però, le aveva fatte scortare fino a Pushkalavati da Perdicca ed Efestione, tenendo con sé i servitori. Tra questi c’era Bagoa.
Bagoa era un ragazzo giovane, il viso glabro, gli occhi truccati. Era persiano, un eunuco. Fu il catamita (“compagno intimo”) di re Dario e riuscì a fuggire al satrapo Besso e gli altri assassini del re. Un signore dell’ex corte persiana, Nabarzane, mentre l’eunuco cercava di raggiungere i superstiti persiani, gli offrì di entrare al servizio di Alessandro: ci furono incomprensioni linguistiche e di etichetta, ma alla fine si fece ben volere con la sua innocenza, diventando suo eromenos. Alessandro non lo abbandonò neanche dopo aver sposato Rossane.
La ragazza non lo guardava con disprezzo o diffidenza, non si sentiva gelosa di lui. Bagoa però, sapendo che ella era figlia di Ossiarte, la schivava ad ogni tentativo di amicizia.
I due erano praticamente coetanei, Bagoa aveva solo un paio d’anni in meno di Rossane. Mentre lei ne aveva venti, lui ne aveva diciotto. Alessandro ne aveva ventotto.

Una sera Rossane raggiunse Bagoa, mentre erano accampati lungo il fiume, un affluente minore dell’Indo di cui la ragazza non conosceva neppure il nome. La valle era secca, arida, ma intorno al fiume crescevano arbusti e piccoli alberi. Il giovane eunuco era lì, appoggiato al sottile tronco di un albero lungo la dolce discesa verso le rive del fiume.
Da quando era partita Rossane non indossava più tuniche, ma solo pantaloni e stivali comodi.
«Bagoa.»
Lui alzò gli occhi al cielo. «Mia regina, posso fare qualcosa per voi?»
«Volevo solo parlarti. Dammi del tu, per favore.»
«Siete una regina, mia signora. Non è opportuno.»
Nonostante parlasse di ciò che era opportuno e cosa no, l’eunuco non aveva comunque mai effettuato la proskynesis alla regina, ma solo al suo re. Insolito, se non fosse per il suo malcelato disprezzo.
Lei si sedette vicino a lui. Potevano quasi sembrare fratello e sorella.
Bagoa era geloso di Rossane. Lei aveva sposato l’uomo che amava. Lei era la figlia di uno dei traditori di re Dario, il suo amato re.
E Rossane sapeva che a causa di questi fattori, non avrebbe mai potuto risultare simpatica a Bagoa. Non del tutto almeno, lui avrebbe sempre covato in sé un po’ di risentimento e una vena vendicativa più o meno accentuata.
Voleva essergli amica, perché si sentiva in colpa per i crimini di suo padre. E perché sentiva che, in qualche modo, Bagoa potesse farle compagnia. Lei era sempre sola. Le concubine non c’erano, Efestione era andato via, Cratero aveva il suo da fare e anche Alessandro.
L’eunuco si consolava pensando che, se non altro, la regina non aveva giaciuto con il re macedone. La notte dormivano in due tende diverse. Vicine, ma diverse. E lui lo sapeva bene, perché la notte si trovava spesso tra le braccia del suo re. Era un bello schiaffo morale alla regina bambina.
«Io non ho colpe, Bagoa. Non ho scelto io di sposare Alessandro, non ho detto io a mio padre di assassinare re Dario.»
Anzi, gli aveva riversato contro tutto lo schifo che provava nei suoi confronti per quel tradimento ripugnante.
Bagoa sospirò tristemente, alzando le spalle. Lanciò un piccolo sasso nel fiume.
Sembrò riflettere in quel momento sulla condizione di Rossane. Era una fanciulla innocente che stava pagando per le nefandezze di suo padre e subiva gli accordi tra due popoli. Era vittima tanto quanto lui. Non erano poi così lontani.
«Voi siete mai stata innamorata, Rossane?»
Si rivolse a lei in modo più confidenziale. Avevano quasi la stessa età, ed ella stessa gli aveva chiesto meno formalità. Si sentì più rilassato.
«È successo, una volta. – rispose lei, piano. – Non è andata bene.» si limitò a dire, con una scrollata di spalle.
Uomini che si approfittavano dell’ingenuità e del buon cuore di Rossane, arrivisti che non si erano fatti scrupoli a calpestare le sue emozioni.
«Avete chiuso il vostro cuore, in quel momento, non è vero? È per questo che non permettete più a nessuno di entrarci, nemmeno al vostro re. Avete paura di dargli potere su di voi. Ma lui ce l’ha già, Rossane, è un re.»
Lei gli sorrise debolmente alla luce della luna. I riflessi platino si riflettevano sulla superficie delle acque del fiume.
Aveva sia ragione che torto. Sì, aveva paura di dargli potere. No, lui non avrebbe avuto potere su di lei fintanto che teneva il cuore chiuso in una fortezza. Non le importava se era il Re dei Re, faraone d’Egitto e re di Macedonia. Poteva essere pure Ahura Mazda in Terra ma mai avrebbe permesso a qualcuno di sopraffarla, di soffocare la sua volontà, di calpestare le sue emozioni e umiliarla come era successo in passato.
«E tu?» gli domandò, sviando il discorso.
«Anche io ho amato, re Dario. Chiusi il mio cuore come avete fatto voi, quando fu assassinato. Poi però ho incontrato re Alessandro. Le sue attenzioni, le sue premure, era delicato e passionale. Il mio cuore tornò a battere, mi aprii e mi lasciai andare.»
«Sei arrabbiato con me perché l’ho sposato, ma non devi. Non l’ho scelto io, ed è un matrimonio politico. L’amore non c’entra niente, è solo una questione legale.»
Alessandro aveva detto più di una volta di essere innamorato di Rossane. Lei non gli aveva mai creduto: bastava vedere come si comportava con Efestione e gli sguardi che rivolgeva a Bagoa. Quello era amore.
Poi c’era ancora quella parte di sé che lo odiava. Lo odiava perché non la considerava, perché era stata costretta a sposarlo, perché tendeva a imporle il suo volere e controllarla, perché le mentiva dicendole di essere innamorato.
«Voi due… siete così strani. A volte vi guardate e percepisco affetto, altre volte percepisco la guerra.»



 
♣ ♣ ♣
Angolino autrice
Ragazzi, è faticoso scrivere ciò che prova Rossane, ve lo giuro HAHAH È combattuta: si sta innamorando ma non vuole darlo a vedere, si impegna per mantenere il controllo ma poi lo perde. È complesso parlare di questo rapporto, ecco.
Vabbuon, oggi abbiamo conosciuto Bagoa! ♥ Man mano conosceremo anche Cratero, Efestione, Cassandro e Perdicca, e il loro impatto nella vita di Rossane. Ribadisco che questa storia segue le vicende personali della regina, perciò non ci saranno scene incentrate solo su Alessandro quando non c'è lei, eccetto casi eccezionali - non so se mi spiego.
Btw, ho intenzione di far uscire i capitoli ogni domenica e sono già arrivata a scrivere il settimo. So essere davvero efficiente quando mi prende l'ispirazione giusta, sì HAHAH
Btw pt. 2 : per chi volesse, mi trova anche su Wattpad! (

Vi ringrazio infinitamente per aver speso un po' di tempo a leggere Rossane, vi ringrazio per seguire questa storia, per recensirla. Insomma, grazie mille, spero sempre di essere all'altezza (o quasi, almeno) delle vostre aspettative ç_ç ♥
Fatemi sapere cosa ne pensate, se volete!
Intanto vi saluto, vi mando un bacino a tutti e a presto! ♥
   
 
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