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Autore: Sherlokette    07/08/2017    0 recensioni
Nella Parigi contemporanea, un ladro misterioso si diletta a rubare gioielli antichi dai musei. Apparentemente inafferrabile, una squadra viene incaricata della sua cattura: Joe, William, Jack e Averell Dalton.
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Sono tornata, signore e signori! Dopo un periodo vegetativo sui libri e prossima ormai alla laurea, ecco a voi una storia fresca fresca dalla vostra Sherlokette :)
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sulle rive della Senna c’era un ristorante all’aperto che la sera illuminava un grande gazebo in ferro battuto di mille luci giallognole, che si riflettevano nell’acqua danzando nella corrente; lì i clienti sedevano ai tavoli gustando piatti deliziosi in un’atmosfera rilassante, per alcuni romantica.

Era proprio ad uno di questi tavoli che si erano accomodati Lucky Luke e Joe Dalton, quest’ultimo con una faccia corrucciata mentre scorreva i nomi delle pietanze sul menù.

-Dai, ti ho detto che mi dispiace…-

-Zitto e mosca, sto scegliendo.-

Quando il detective era andato a prenderlo lo aveva fatto guidando l’auto di William. Il problema era il sedile del guidatore, che non permetteva a Joe di vedere la strada, ed era dovuto ricorrere ai cuscini per avere la giusta altezza. E Lucky era riuscito a stento a trattenersi dal ridere, quando lo aveva visto. Non che fosse una risata esagerata, ma si era fatta sentire.

-Joe, non fare così. Non volevo prenderti in giro, ma ad un primo impatto…-

-Vorrei scegliere la mia cena in pace, grazie. Ah, bene. Cameriere?-

Prontamente questo rispose al richiamo.

-Mi porti un piatto di penne panna e salmone, per favore.-

-E per il signore?- domandò l’uomo rivolgendosi a Luke.

-Lo stesso, grazie.-

-Posso consigliarvi il nostro vino bianco d’annata? Si accompagna perfettamente.-

-Faccia pure.- Joe lo guardò andare via, poi si chinò leggermente verso il suo accompagnatore: -Dobbiamo parlare di lavoro adesso.-

Per niente convinto, Lucky sospirò e prese alcune fotografie da una tasca della giacca: -Nat ha fatto un ottimo lavoro. Oltre ad infiltrarsi nel sistema di sicurezza, sta elaborando un algoritmo per avere il controllo delle telecamere, e ha fatto in modo di ottenere delle planimetrie della struttura e i file dei computer. Ci guiderà passo passo nella missione; queste sono foto prese dal satellite che mostrano il livello di sicurezza esterno. Ci sono guardie ovunque, soldati per la maggior parte.-

-Come li superiamo?-

-Speravo potessi suggerire qualcosa tu.-

-Butterò giù un paio di idee. Che mi dici di Ivor?-

-Deve ancora rivelarci dove si trova il suo capo. Starà con noi ancora un po’, e penso che si rivelerà più collaborativo.-

-Forse dovremmo spostarlo. Qualcuno della compagnia potrebbe trovarlo.-

-No. Grazie all’inconsapevole gentilezza del nostro portiere, ora possiedo l’unica chiave di quella stanza.-

-Meglio così.-

Quando arrivarono i loro piatti, Joe cominciò a mangiare con un frettoloso “buon appetito”; Lucky, tuttavia, fissava la propria porzione con una strana espressione.

-Che ti prende?-

-Uh, niente, niente.- Prese la forchetta e infilzò un paio di penne, le guardò titubante e poi chiuse gli occhi prima di mangiarle. Dalton osservò quel momento senza dire niente, ma quando l’altro iniziò a tossire gli domandò se fosse tutto a posto.

-N-non mi piace il salmone…!- fu tutto quello che riuscì a dire Luke prima di prendere un sorso di vino.

-Cosa? E perché hai ordinato il mio stesso piatto, allora?-

Con un sorrisetto e tamponandosi la bocca col tovagliolo, Luke rispose semplicemente: -Almeno adesso siamo pari…-

Joe rimase allibito. Il suo cervello ci mise un attimo a ricollegare tutto.

-Che vergogna, però, tu hai resistito molto di più!-

-Non è mica una gara… Richiamo il cameriere e gli dico che c’è stato un errore.-

-Ma è un peccato sprecarle a questo punto.-

Per tutta risposta, Dalton prese il piatto dell’altro e lo avvicinò a sé: -Pagherò doppio, allora.-

 

 

Dopo una simile abbuffata, passeggiare era una necessità. E lungo il fiume era decisamente piacevole, la sera, lasciarsi avvolgere dalla luce dorata dei lampioni in un’atmosfera che ti portava lontano, in uno spazio popolato di ombre danzanti e suoni variopinti. Tra un vicolo e l’altro, infatti, se l’attimo prima udivi i rumori di un televisore a tutto volume, quello dopo c’era la musica di qualche club, e dopo ancora un silenzio breve ma quasi innaturale per quella cacofonia che accompagnava i passanti sulle rive della Senna.

Joe non era più arrabbiato con Lucky, e i due stavano parlando tranquillamente del più e del meno, finché il detective non pose una domanda in particolare: -Sei nervoso per domani?-

-Abbastanza. Ma è quel tipo di nervosismo che mi aiuta a concentrarmi. E tu?-

-Più che nervoso… Carico, ecco.-

-Carico?-

-Pronto all’azione, capisci.-

Luke annuì, soffermandosi di fronte ad una vetrina illuminata. Vendeva parrucche e costumi di Carnevale.

-Mi fa venire in mente che ho elaborato un piano per poter entrare- affermò Joe, -e richiederà le tue doti di attore.-

-Davvero?-

-Semplice ma spero efficace.- Cadde allora uno strano silenzio.

Una coppietta li sorpassò a passo zigzagante, ridendo. Poi il ragazzo prese per mano la ragazza e le fece fare un'incerta piroetta, prima di proseguire.

Questo fece venire in mente a Lucky, per collegamento di idee, una domanda: -Joe, tu sai ballare?-

-Cosa? E questa da dove salta fuori?-

-Sì; insomma, ti sarà capitato di ballare.-

-Veramente no. Non in coppia, almeno, e alle feste facevo quasi sempre da tappezzeria.- Ripresero a camminare.

-Perché?-

-Mi hai visto bene? Chi vorrebbe ballare con un uomo alto un metro e un francobollo sdraiato?-

-Non vedo il problema, sinceramente.-

-Davvero? Ripeto, guardami: posso solo compensare con la mia personalità; sono una miniatura!-

-Io ti inviterei a ballare lo stesso.-

Dalton rimase di sasso: -Ma sei cieco o cosa?-

-Chi guarda solo alla superficie è uno sciocco. Francamente, dopo tutto il tempo passato ad osservarti, la tua altezza non mi sembra un ostacolo così insormontabile.-

-Ah, sì? Lascia che ti racconti, allora: da ragazzi io e i miei fratelli ci divertivamo come tutti quelli della nostra età, andando al luna park, uscendo la sera per fare bisboccia, quel genere di cose. Dato che sembravo più piccolo della mia età reale ho ricevuto un sacco di porte in faccia: niente ottovolante, niente film dell’orrore vietati ai minori di 14 anni, niente di niente. Ho dovuto aspettare che mi crescessero barba e baffi, ma ancora se voglio bere una birra mi tocca presentare un documento. Se non fosse per il mio temperamento, forse sarei invisibile.-

-Questo non è vero!- protestò Lucky, accigliandosi.

-E per tornare all’argomento ballo, se andavamo in qualche club rischiavo sempre di venire schiacciato- -

-Attento!!- Un uomo in bicicletta tagliò loro la strada, e per poco non prese in pieno Joe; ma Luke lo trascinò afferrandolo per le spalle verso di sé appena in tempo. Caddero indietro sul marciapiede.

-Che ti dicevo? Non mi ha visto. È la storia della mia vita.- Provò a rialzarsi, ma l’altro lo stava trattenendo: -Hey, che fai?-

La stretta si trasformò in un abbraccio. Dalton divenne una statua di pietra: aveva per caso colpito il cemento con la testa e se lo stava immaginando?

No. Quelle braccia attorno alla propria vita, quel corpo contro la sua schiena, erano reali. Diventò rosso come un semaforo, e ancora di più quando l’altro ricominciò a parlare: -Però non ti ha fermato dall’accettare di aiutarmi e dall’affrontare Ivor quando ce n’è stato bisogno.-

Joe deglutì, ma non aveva neanche una goccia di saliva.

Non era abituato ad un simile contatto umano da parte di qualcuno che non fosse della famiglia.

-Ancora mi dispiace di essermi messo a ridere, prima- continuò l’ex agente.

-Non scusarti… Non devi…- Si accorse che l’altro aveva appoggiato la testa sulla sua, e rabbrividì non perché fosse spiacevole, ma perché ebbe un ulteriore aumento del battito cardiaco.

Passò un intero minuto prima che il detective tornasse in sé: -Hai… Intenzione di stare qui tutta la notte?- riprese, incerto.

-Pardon, in effetti il cemento non è comodo!- scherzò Lucky, lasciandolo andare e rialzandosi con lui. Joe lo fissò per un attimo, raccogliendo i pensieri: -Ad ogni modo… No, lascia stare. Sono un po’ stanco, e domani sarà una dura giornata.-

 

 

Dalton non riusciva a chiudere occhio. Fissava il soffitto della sua stanza con lo sguardo vuoto di chi non può smettere di pensare. Quel che era successo con Lucky Luke riecheggiava nella sua mente; sentiva di nuovo il controllo scivolargli via dalle dita.

“Al diavolo…” Si alzò per andare in bagno e lavarsi la faccia. Fissò il proprio riflesso nello specchio: era perfettamente consapevole di non essere esattamente una bellezza, con quel mento squadrato e il nasone, senza contare…

“Io ti inviterei a ballare lo stesso.”

Si diede una mezza sberla, dicendosi di tornare coi piedi per terra e non farsi illusioni stupide: Lucky era stato semplicemente gentile, era una cosa facile da capire!

“Almeno adesso siamo pari.”

Eppure si ricordava ancora della scena al ristorante indiano.

Tornò a guardarsi: come poteva un carismatico ex agente dell’FBI interessarsi a uno come lui?

Scosse la testa: aveva parlato di diventare amici.

“Sono un idiota. E lui è solo troppo affascinante in alcuni momenti. E carino… Accidenti!!”

Si diede l’altra metà della sberla.

Tornato a letto, cercò di smettere di rimuginare: doveva dormire, aveva un treno da prendere.

 

 

Cheyenne venne a salutarli alla stazione dopo aver portato la figlia a scuola. Raccomandando loro di fare attenzione, diede un forte abbraccio al cugino e a Joe, al quale bisbigliò come una mamma apprensiva come ultima raccomandazione di tener d’occhio Lucky. Averell, William e Jack volevano andare con loro, ma il fratello maggiore li aveva convinti che sarebbero stati più utili lì a Parigi, non solo per coprire Joe da eventuali domande dei colleghi su dove fosse andato, ma perché così William avrebbe seguito insieme a Nat il loro percorso nella struttura. Il giovane hacker li aveva forniti di potenti ma discrete trasmittenti auricolari per poter comunicare, equipaggiando le stesse con un chip GPS che indicasse la loro posizione una volta entrati.

Nello zainetto nero in spalla a Lucky Luke c’era questo, una valigetta quadrata in cuoio rossiccio e una divisa da soldato identica a quella delle guardie nelle foto satellitari.

Una volta partiti, trovato uno scompartimento libero i due si misero a studiare un itinerario: su proposta di Lucky, a Nizza c’era un solo autobus che portava dove volevano andare, o almeno ci arrivava vicino; il percorso durava quindici minuti e avrebbero avuto occasione di prenderlo due volte nel pomeriggio. L’alternativa era noleggiare un’auto, e Joe su questo si impuntò: poteva attirare l’attenzione certo, ma era un’opzione migliore rispetto a un mezzo pubblico. Luke sosteneva che sarebbe stato inutile sprecare soldi a quel modo, ma lo faceva apposta: si divertiva a stuzzicare l’altro, che aveva ragione ovviamente; ci provava gusto a vedere quanta energia metteva nel difendere le sue argomentazioni. Alla fine, con una bassa risata, alzò le mani in segno di resa: -Va bene, va bene: automobile sia.-

Dalton ebbe come l’impressione che Lucky lo stesse prendendo in giro, ma ci passò sopra visto che l’aveva spuntata lui in quella discussione. Guardò fuori del finestrino: lo scenario cambiò rapidamente, passando dagli edifici della periferia parigina a sempre più numerose macchie boschive; i loro toni di verde si mescolavano veloci come le pennellate di un artista impazzito.

Dopo quelle che sembrarono ore, Joe riportò la sua attenzione sul compagno di viaggio, guardandolo con la coda dell’occhio: si era messo a leggere un libro. Sbirciò il titolo in copertina: “Il mondo perduto”.

-Adoro Conan Doyle. Anche se contrariamente a molti, preferisco i suoi romanzi storici e d’avventura ai gialli.- La risposta di Lucky sembrava dare voce al pensiero dell’altro, che replicò: -Per quanto tempo ti ho ignorato tanto da spingerti a leggere?-

-Una decina di minuti. Credevo volessi ammirare il paesaggio.-

-Nah, mi ero solo perso un attimo.- Si rimise composto: -Non ti facevo un fan dei classici.-

Luke inclinò la testa, interrogativo.

-Ricordi quando si parlava di immagini stereotipate? La mia nei tuoi confronti era diventata vederti circondato da pile di libri di storia dell’arte. E invece scopro che c’è spazio anche per la semplice letteratura.-

-Mi piace vagare con la fantasia, ogni tanto.- Ridacchiò, chiudendo il volume.

-Ameno uno dei due è un fervente lettore.-

-Andiamo, avrai anche tu un genere preferito.-

-Non saprei. Però ho un libro che apprezzo molto, anche se la prima volta era una lettura scolastica.-

Il treno rallentò. Stavano per entrare nella prima stazione prevista dal percorso.

-E qual è?-

-“Il conte di Montecristo”. Non so, trovo appassionante la storia di Dantès, il modo in cui riesce ad evadere…-

Il controllore passò chiedendo di vedere i biglietti; non ci impiegò più di trenta secondi a verificare che i loro fossero in regola.

-Bene. Direi di cominciare a darsi un ritocco.- Lucky prese lo zaino nero nel portapacchi sopra la sua testa: -Controlla se per caso si avvicina qualcuno, Joe.-

-Che vuoi fare?-

-Preparo la nostra copertura.- Trasse fuori la valigetta in cuoio rossiccio, che aperta rivelò al suo interno varie protesi facciali in lattice: nasi di varia forma e colore, barbe e baffi, insieme a barattoli di trucco e stampi componibili per maschere, che suddivisi in blocchetti non occupavano molto spazio, e in più delle parrucche.

-Il composto deve essere fresco, così il pigmento in polvere si fissa meglio e sembra più naturale. Per questo devo prepararlo adesso, almeno per te- spiegò Luke inginocchiandosi a terra e disponendo il necessario: -Biondo o moro?-

-Prego?-

-Devo sapere come adattare i tratti della maschera in base a quello che vuoi.-

-Pensavo ad un vecchietto. Capelli bianchi.-

-D’accordo, non è complicato. Mi metto al lavoro; abbiamo tutto il tempo.-

  
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