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Autore: theprophetlemonade_    10/08/2017    3 recensioni
«Alexander, non ti spaventa — dice Magnus alla fine — sapere che puoi provare dei sentimenti così forti per qualcuno che una parte di te ancora crede di conoscere a malapena? Perché a me spaventa da morire. Qualcuno che un giorno spunta nella tua vita, all'improvviso, e ti lascia senza alcuna possibilità di scelta a riguardo».
Alec incontra, nello specchio del suo bagno, un uomo che afferma di essere dall'altra parte del mondo. Da quel momento in poi la situazione s'impenna.
[Malec + Sense8 Clusters!AU → NON È NECESSARIO CONOSCERE SENSE8 PER POTER LEGGERE LA FIC]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Clary Fairchild, Jace Wayland, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note della traduttrice:
 
Buongiorno ciurma! 
Sono solo le undici del mattino e sono già stanca: fare le valigie mi toglie letteralmente le forze, fra la frenesia del preparare le cose, controllare che sia tutto a posto e di non dimenticare a casa nulla di fondamentale. Dal momento che parto oggi pomeriggio, vi lascio ora col capitolo tre, capitolo che personalmente mi piace tanto e spero sarà così anche per voi. 
Avviso che, dal momento che non so esattamente quanto mi fermerò in vacanza la prossima settimana, riprenderò a postare regolarmente nei giorni concordati da lunedì 21. In caso tornassi giovedì (la vedo dura, ma mai dire mai) posterò il capitolo quel giorno, quindi magari date comunque un'occhiata... E' comunque certo che posterò il 21. 
La smetto di blaterare e vado a controllare ulteriormente la valigia, ho l'ansia di dimenticarmi qualcosa. Grazie a chi ha letto fin qui queste note lunghissime e assolutamente nonsense, grazie ai lettori silenziosi, per le visite così numerose, a chi ha recensito e a chi ha messo fra le preferite/seguite/ricordate. 
Buona giornata, buona lettura e a presto! Baci, 
Starsfallinglikerain.
 
 
Capitolo 3
 

Alec ha fatto coming out quand'aveva diciott'anni, e, prima di allora, erano stati sei lunghi, lunghissimi anni in cui aveva sofferto in silenzio, tutto solo. Una volta che l'ebbe detto a Izzy, andò meglio. Molto meglio. Non può ignorare il fatto di avere qualcuno con cui parlare almeno, dopo averlo tenuto nascosto per così tanto tempo.   
Ciononostante Alec è, generalmente, una persona solitaria. Non lo infastidisce così tanto —  il lavoro lo tiene occupato e i lunghi turni lo stancano così tanto che si addormenta quasi non appena finisce di cenare la maggior parte delle sere. Vive con Isabelle, il che è grandioso, anche le mattine in cui deve fare quattro chiacchiere, con imbarazzo,  con la sua ultima fiamma che ha passato la notte lì. I suoi genitori sono orgogliosi di lui per il fatto che ha scelto di seguire le orme di suo padre ed è entrato in polizia; hanno grandi speranze per lui, e Alec immagina che sia una buona cosa. Grandi speranze.  Ciò significa che continuano a telefonare ogni domenica alle sette, per controllarlo.     
Gli amici, però —  un'altra questione. I ragazzi pure. Izzy ha smesso da tempo di prenderlo in giro per questo, anche se talvolta ancora indica qualche uomo carino nei ristoranti o in metro, dando di gomito ad Alec per avere una risposta, che di solito consiste in Alec che alza gli occhi al cielo.   
Essere socievole non gli riesce facilmente. Flirtare non gli riesce facilmente. Fare quattro chiacchiere decisamente non gli riesce facilmente e Isabelle lo ascrive al fatto che è inavvicinabile e suscettibile e bla, bla, bla.           
È dura, perché aprirsi con qualcuno fa paura. Alec non l'ha mai ammesso, ma ci sono un sacco di cose che gli passano per la testa che ha sempre preferito tenere per sé: i ragazzi che gli piacciono, le preoccupazioni che i suoi genitori lo rinneghino, fare un lavoro di cui non è mai abbastanza sicuro che sia quello che vuole fare davvero. Ci sono un sacco di interrogativi su di sé che continuano a frullargli per la testa; un sacco di insicurezza e un sacco di auto-svalutazione; molto desiderio di essere migliore. E Alec non se la sente di scaricare tutto ciò su qualcuno.        
Questo rende la sua connessione con gli altri sia una benedizione che una maledizione.   
Una benedizione perché ora ha queste persone, con un po' di meno che uno schiocco di dita o un batter di ciglia.  Brave persone (generalmente).  Persone gentili (generalmente). Persone che semplicemente si lasciano cadere sul suo divano, o accanto alla sua scrivania, o sul sedile del passeggero della sua auto senza avvisare e iniziano a parlare, per tenergli compagnia. Ciò lo riempie di una sensazione calda che non riesce a scrollarsi di dosso — e più a lungo continua, meno vuole scrollarsela di dosso.
Jace che sparla dei nuovi clienti nella sua palestra, o Clary che parla delle sue idee superbe per il suo progetto finale, o Raphael che mormora preghiere quiete nella corona del rosario sono cose che lo calmano. C'era sempre stata questa parte di lui troppo frenetica per le parole: questa parte che cerca disperatamente di essere il migliore, di essere all'altezza delle aspettative, di prendersi cura delle persone a cui vuol bene. Ha vissuto per lungo tempo su un margine a cui non sa dare un nome, ma con la paura costante di cadere che barcollava nel suo stomaco.
Ma con gli altri —  sente un senso di pace.  
Più o meno.    
Perché, ovviamente, avere delle persone nella tua testa significa che non ci sono assolutamente segreti, specialmente per Alec, che non ha la benché minima idea di come controllare l'andirivieni dei suoi visitatori. È un po' inquietante sapere che questi sconosciuti, sparpagliati per il pianeta, conoscono così tanti dettagli intimi della sua vita. Conoscono il modo in cui sospira quando risponde ad una telefonata dei suoi genitori; sanno quanto possa essere pesante una pistola nelle sue mani, anche quando il suo obiettivo è vero e giusto; sanno come gli sguardi sbrigativi che lancia agli uomini indicati da Izzy siano seguiti, sempre, da un sospiro di brama e desiderio di poter avere tutto ciò. Tutto ciò. Tutto ciò sta per un sacco di cose.
Alec potrà anche non essere solo come lo era prima dell'incidente nello specchio, ma quell'emozione è ancora lì, in una forma o nell'altra. C'è una differenza fra le persone a cui, senza possibilità di scelta, devi spifferare i tuoi segreti e avere qualcuno a cui decidi di spifferarli. Alec desidera di poter avere qualcuno che possa anche solo tenergli la mano e illuminarsi quando entra nella stanza. Alec lo vuole. Ma Alec di rado ottiene ciò che desidera.

 
____________________
 
Jace arriva all'improvviso, come gli è solito, già nel bel mezzo di una conversazione, per trovare Alec curvo sul divano che si fissa i palmi delle mani, da qualche parte lontano da lì —  e non nel modo a cui Jace è abituato.
«Amico» dice Jace, notando la faccia giallastra di Alec e la sua espressione deprimente. «Che è successo?».
Alec produce un suono, ma non dice nulla di coerente, sporgendosi in avanti e incassando la testa fra le ginocchia. Sente il divano abbassarsi accanto a lui mentre Jace si siede. Sente il calore della mano di Jace sulla sua schiena mentre cerca di confortarlo.  
Avrebbe dovuto sapere che pensare a qualcosa così spesso avrebbe portato sfiga.            
I suoi genitori l'avevano scoperto. Dieci minuti fa? Un'ora fa? Non riusciva davvero a ricordarlo; era stato tutto molto confuso da quando aveva riattaccato. Non sa come l'abbiano scoperto, perché è certissimo che non sono stati lui o Izzy a lasciarsi sfuggire qualcosa —  ma al diavolo il come. Forse era stato Max. Però non importa granché.            
Ciò che conta è che sanno che è gay e ora non vogliono avere nulla a che fare con lui.    
Il tono duro e freddo di sua madre gli riecheggia nella testa; Alec rabbrividisce con esso.           
Hai davvero intenzione di farci questo? A questa famiglia? A te stesso?    
Alec non è il tipo che piange, ma qualcuno nel suo cluster lo è di sicuro, e sente la propria gola serrarsi. Suppone che dovrebbe esserci della rassicurazione nell'empatia di quella persona. Qualcuno là fuori prova ciò che prova lui, e sta male per lui, in modo disperato.       
«Che schifo» annuncia Jace, ma sta annaspando, la situazione è fuori della sua portata. Probabilmente non ha mai dovuto dare consigli a qualcuno in tutta la sua vita. Alec non riesce a biasimarlo. «Ma che razza di genitori di merda —».    
«Mi taglieranno fuori dall'eredità» dice Alec, e non è sicuro del perché stia dicendo a Jace queste cose, ma lo fa, e una volta iniziato non riesce a fermarsi. Ha solo bisogno di esternarlo prima che si inasprisca. «Non che —  Non che mi interessi, davvero non m'importa, però — ...però».        
Alec fa un sospiro tremulo, strofinandosi la faccia con le mani.     
«Anche Izzy» continua. «Perché lo sapeva, l'ha tenuto segreto per me, e non avrà —  Non vogliono avere nulla a che fare con nessuno dei due. Loro —».
«Che si fottano» dice Jace. «Seriamente —  'fanculo. È un casino. Non può davvero essere permesso loro che facciano una cosa del genere. Dovresti parlarne con Magnus —  Lui è un avvocato, probabilmente potrebbe dirti quali sono i tuoi diritti, o cosa. Dovrai pur avere dei diritti, giusto? Magnus vorrebbe decisamente parlare con te. Posso darti il suo numero —  così non devi aspettare a vuoto, o —».        
Alec si sente triste. Si sente davvero così, ed è una sensazione incasinata e brutta. Vorrebbe che i suoi genitori  non lo influenzassero in questo modo, ma lo fanno, e ciò trascina con sé un'intera pletora di altri problemi. Alec pensa a suo padre, ben più in alto di lui nei ranghi del dipartimento di polizia di New York, e si chiede se questa situazione manderà a puttane il suo lavoro —  o se suo padre la userà per mandare a puttane il lavoro di Alec. Comincia a pensare ai soldi — il suo stipendio è buono al livello in cui si trova, ma riceveva stipendi anche dai suoi genitori alcune volte durante l'anno, perché l'affitto nell'Upper East Side è caro —  e si chiede se lui e Izzy dovranno cercare un nuovo posto in cui vivere. E poi inizia a pensare al suo lavoro —  il lavoro per cui i suoi genitori avevano lottato con le unghie e con i denti affinché lo facesse —  e ciò scatena tutt'un'altra spirale esistenziale. 
Non ha tempo per questo. Né pazienza.       
Dovrebbe essere in grado di gestire delle crisi.        
«Voglio dire —». Jace sta ancora parlando, ma Alec aveva chiaramente smesso di ascoltarlo per un minuto o due. I pensieri stanno ruzzolando giù e si stanno offuscando in un rumore bianco, simile a quello delle unghie su una lavagna. «Un sacco di persone sono gay di questi giorni. C'è tipo —  il Pride e quelle cose lì. Che tra l'altro sono sempre piene di gente. E New York è piuttosto liberale, no? Almeno così ho sentito dire. Non puoi punire te stesso, Alec. Non riesco a credere —».        
«Jace, amico, non credo tu sia molto di aiuto» dice una voce e sia Alec che Jace sollevano lo sguardo. «Sei un pessimo Obi-Wan[1]».  
C'è un ragazzo appoggiato al tavolino da caffè di Alec, con i capelli castani spettinati e degli occhiali storti in equilibrio sul naso e una sorta di sorriso sghembo che fa sentire Alec sia irritato che immensamente grato per l'intrusione. Alle volte, Jace davvero non sa di cosa sta parlando. Alec è lieto che abbia smesso di parlare. Vuole agitarsi in silenzio.     
«Sai che non ho ancora visto quei film, vero? Di conseguenza i tuoi riferimenti non hanno alcun senso per me» dice Jace al ragazzo —  Simon, egli è chiaramente Simon —  con uno sguardo che Alec non sa decifrare. Assomiglia un po' al modo in cui guarda Clary, appassionato ma esasperato, ma Alec non ha molta voglia di smontarlo proprio adesso. Decisamente, non ha voglia di pensare a quelle cose che in questo momento è ancor meno in grado di ottenere. «Comunque, pensavo avessi un'esibizione stasera. Che cosa ci fai qua?».
«Ho sentito che stavi facendo un casino e ho pensato che sarei dovuto intervenire» dice Simon, sollevando il mento con fare altezzoso. Jace gli rivolge un'espressione che probabilmente equivale ad una linguaccia, ma Alec non ci fa caso.   
Simon scrolla le spalle e poi si inginocchia di fronte ad Alec. È un po' paternalistico, ma Alec glielo lascia fare. «Ehi, Alec. Io sono Lewis, Simon Lewis. Il miglior compagno, il più figo del cluster, qualsiasi cosa Jace abbia detto di me è falsa e detta con astio. Okay? Okay. Fa schifo ciò che sta succedendo con i tuoi genitori. Ti piace la musica?».           
Parla così velocemente che Alec si chiede se non si mangi le parole o se non rischi di soffocarsi con la sua stessa lingua. Alec sbatte le palpebre lentamente, cercando di fare marcia indietro di cinque secondi.
«Non ci provare» commenta Jace. «La vostra musica è una merda. Alec non la vuole sentire. Io non la voglio sentire».         
«La nostra musica non è una merda!» rimbecca Simon, sconvolto. «Solo perché tu non capisci le tenui sfumature del new wave indie rock nintendocore dei Rock Solid Panda —  e il fatto che hai intrapreso una specie di faida nei miei confronti —».
«Non ho capito nemmeno una parola di quello che hai appena detto» afferma Jace, impassibile. «E pensavo che al momento foste i Sea Vegetables Conspiracy. Non potete cambiare il nome della band nel bel mezzo del tour».
«Certo che possiamo» dice Simon. «Chi è quello che fa parte di una band, qui? Esatto. Lo immaginavo».
Alec geme, con la testa fra le mani, ed entrambi la smettono di parlare.    
«Non sono dell'umore per sopportarvi» borbotta. Sinceramente, sembra che qualcuno stia allineando dei mattoni in equilibrio sulla sua schiena e tutti questi affari lo stanno facendo barcollare. «Parlatene fuori, o —  da qualsiasi parte che non sia qui».       
«Scusa, amico» si scusa Jace. «Ma onestamente ti sto facendo un favore. La musica della band di Simon è davvero una merda. Non vuoi familiarizzarci, fidati».          
«Ehi! Non ascoltarlo, Alec —  non riconoscerebbe il buon gusto nemmeno se gli desse una badilata in fac-».
«Simon». La voce severa di Raphael giunge dall'altra parte della stanza; Simon strilla veramente. Gli occhi di Alec corrono a Raphael, appena arrivato, che se ne sta seduto dritto sulla poltrona dall'altra parte del salotto, con le gambe incrociate e l'espressione disinteressata di sempre. «Lascialo in pace».      
«Sì, Simon» scimmiotta Jace, ma un'occhiataccia da parte di Raphael mette a tacere anche lui.  
Il divano si abbassa di nuovo e un'altra mano — più piccola e più snella di quella di Jace — si appoggia sulle scapole di Alec. Il profumo di pioggia fresca pervade i sensi di Alec ancora una volta; scorge un balenio di rosso fra le dita.            
«Andrà tutto bene, Alec» dice Clary. « Anche se non hai loro, hai noi. E noi ti vogliamo bene. Anche quelli che non hai ancora incontrato. Ti vogliono un bene così grande che nemmeno immagini».            
Se quelle parole aiutano a placare il tumulto nel suo petto, Alec non dice nulla, ma permette loro di rimanere lì fino a che Izzy non torna a casa e lo stringe in un abbraccio forte, farfugliando tutte le scuse possibili ed immaginabili nel suo petto.       

 
____________________
 
Mentre giace nel letto, quella notte, la sensazione di tristezza fa ritorno. Beh, è già triste, ma viene contaminata dentro di lui da frustrazione e sconforto e tutto un insieme di sentimenti caotici, il che rende la sensazione appiccicosa e nera.     
La sensazione di tristezza che sboccia nel suo petto, ora, con la testa affondata nel cuscino, non è sua. È blu e argentea e illuminata dalla luna. È la tristezza di qualcuno molto, molto lontano, malinconico e bramoso, e sembra un po' un vorrei essere lì con te. O forse è solo ciò che Alec vorrebbe che fosse.       
Si chiede chi sia. È troppo sottile per essere Jace e anche per essere l'emotivo Simon; è troppo un'emozione reale per essere Raphael. Forse è Clary. Forse è uno degli altri che ancora deve incontrare.
Alec infilza e pungola quella sensazione, ma non se ne va. Pensa ai suoi genitori, a sua madre durante quella telefonata, al  rivolgici la parola quando ti sei rimesso in riga, e la sensazione cresce. Pensa a tutte le cose che ha sempre desiderato ma che gli sono sempre mancate: qualcuno da tenere per mano, qualcuno che gli sia sempre accanto, qualcuno a cui donare il suo cuore, e il sentimento divampa, punzecchiandolo con qualcosa d'oro e d'insistente.  Un giorno, dice. Un giorno, te lo prometto.   
Sembra quasi che qualcuno ci tenga.

 
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Non è facile, ma è gestibile, dopotutto. La ferita è ancora sensibile e ci sono giorni in cui fa più male del dovuto e Alec lotta per scendere dal letto e affrontare un nuovo giorno. Ci sono giorni in cui sembra che chiunque in metro lo stia guardando in modo strano, come se sapessero; ci sono giorni in cui niente va per il verso giusto al lavoro e le persone muoiono sotto i suoi occhi, e sembra che sia tutta colpa sua, perché è così com'è.           
E in quei giorni, qualcuno è sempre lì per lui.          
Alec non è sicuro che sia un tacito accordo fra gli altri o meno. Ma —  e su questo non c'è alcun dubbio — in quei giorni bui uno di loro appare e comincia a parlare (Jace), o canticchia un motivetto insopportabile (Simon), o gli racconta innocentemente la propria giornata (Clary). Persino Raphael lo visita una volta o due e siede accanto ad Alec in socievole silenzio, così che non sia solo.      
Oggi è uno di quei giorni: una brutta giornata, in cui rotolare fuori dal letto è un'incombenza spiacevole e il peso nel petto di Alec è schiacciante, e, quando trascina i piedi in cucina per prendere un caffè, Raphael sta cucinando ai fornelli. In qualche modo. Non è sicuro se ciò significa che sia davvero lui che sta cucinando o se stia semplicemente vedendo Raphael che cucina da qualche parte in Messico, tuttavia Alec non vuole rimuginare troppo a lungo sulla logistica — ha già abbastanza mal di testa.  
«Ehi» dice, con tono basso. Qualsiasi cosa Raphael stia cucinando ha un profumo delizioso, gustoso e affumicato, e lo stomaco di Alec brontola.
«Magnus è arrabbiato, sai» dice Raphael, senza preavviso, senza distogliere lo sguardo mentre gira qualsiasi cosa stia cucinando sulla padella con una spatola. «Con i tuoi genitori. Per ciò che hanno fatto».  
Alec borbotta qualcosa in assenso, ma non sa davvero cosa dire. Magnus è ancora un concetto vago per lui, nonostante la frequenza con cui spunti fuori nella conversazione e nonostante sia chiaramente coinvolto emotivamente nella sua vita. È bello sapere che lo sta pensando, ma il cordoglio di uno sconosciuto non risolve molto.
«Non è l'unico» biascica Alec, trascinandosi verso la macchinetta del caffè e premendo i pulsanti alla cieca.
«Vuole sapere se ne stai parlando con qualcuno» continua Raphael e c'è qualcosa nel suo tono che fa credere ad Alec che preferirebbe trovarsi da qualsiasi altra parte piuttosto che avere questo tentativo misero di una chiacchierata a cuore aperto con Alec. Alec condivide il sentimento. «A parte noi».
«Va tutto bene» mente Alec. «Sto gestendo la situazione».           
In realtà non la sta gestendo affatto. O, almeno, non la gestisce come una persona normale con relazioni normali. La sta gestendo alla Alec: sta categorizzando e ignorando e arrancando per andare avanti, anche se il mondo intero sembra un frammento di proiettile attorno a lui. È ciò che gli riesce meglio, farsi male e leccarsi le ferite in seguito. Non ha mai davvero sperato di non farsi male, tanto per cominciare. È difficile.
«Beh, puoi dirglielo tu stesso» commenta Raphael, impiattando qualsiasi cosa abbia cucinato e porgendola ad Alec.«Vieni qui. Mangia. Voglio andarmene».        
Raphael è bravo a cucinare. Molto meglio di Izzy. Quando Alec lo biascica, pensa che a Raphael sfugga quasi un sorriso. Quasi.            

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Alec si apre con Izzy. Non ha necessariamente intenzione di farlo, ma sembra che, quando Alec viaggia con la mente, lo faccia pesantemente e tutto il sangue esce da quelle ferite rattoppate male tutto in una volta.
Le dice quanto stia di merda, sentendosi come se fosse di nuovo appena uscito allo scoperto, e lei annuisce e lo abbraccia più forte, e poi si dividono una bottiglia di vino e guardano un qualcosa che Izzy aveva registrato e tenuto da parte per  una giornata piovosa.   
È soleggiato a New York, ma piove a Seattle, e quando Alec guarda fuori dalla finestra del suo appartamento vede quelle nuvole di pioggia, spente e grigie e sconfortanti. Tuttavia la luce dell'appartamento fa ancora sembrare i capelli di Clary infuocati lì alla finestra, mentre lo guarda con un sorriso stanco. 
«Sono fiera di te, Alec» dice e Alec stringe le labbra a formare una linea sottile. Izzy sta facendo una cronaca in diretta su qualsiasi cosa passino alla tv e così Alec lancia un'occhiata a Clary.      
Suppone che, a volte, sia a posto.
    
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Quando va a dormire, quella notte, Simon è seduto sul bordo del suo letto e sta armeggiando con una chitarra. Alec ancora non è sicuro se Simon gli piaccia o meno, ma Simon sta sicuramente facendo l'impossibile per piacere ad Alec o quantomeno per mettersi in mezzo in ogni momento opportuno.
Simon solleva lo sguardo quando Alec entra nella stanza e sorride.           
«Ehi, Alec!». 
«Vado a letto» grugnisce Alec. Non si sente necessariamente arrabbiato —  infatti si sente molto più sollevato dopo aver parlato con Izzy — ma Simon ha proprio la predisposizione a tirare fuori il peggio di lui. E sono solo una manciata di giorni. Onestamente, è impressionante. «Spostati».     
Simon balza in piedi, imperterrito.    
«Scusa, amico! Sono venuto solo per trasmettere un messaggio. Da Magnus, in verità! Ha detto che tu rifletta su quello che ha detto Raphael —  non che io sappia cosa fosse, ma non l'ha spiegato —  e che si sta facendo impaziente».  
«Da Magnus?» chiede Alec, fermandosi mentre scosta le coperte. «Perché?».     
Simon fa spallucce.   
«Sai com'è fatto. Oh — beh, immagino tu non lo sappia. Sta diventando un po' irritabile per il fatto che non gli hai ancora fatto visita e che deve stare al passo con tutte le nostre news di seconda mano riguardo a ciò che ti sta succedendo». 
«State facendo rapporto su di me?» dice Alec, alzando un sopracciglio, impassibile.       
Simon pizzica una corda sulla chitarra, che suona, un po' scordata. Dà una scrollata di spalle; sembra un po' imbarazzato.
«Immagino di sì, ma — Magnus ci tiene, sai? È fatto così. Anche se, beh, non ti conosce — ci tiene. C'è stato per me quando le cose non andavano bene. Anche per Maia e Raphael. È un po' il nostro sponsor psichico, ci tiene sulla retta via».   
«Non c'è bisogno che si preoccupi per me» borbotta Alec, ma qualcosa si rimesta nel suo petto. Alec le dà una strigliata. Simon sorride, pizzicando un'altra corda.            
«Sicuramente si preoccupa» replica Simon. «Ha un legame con te. Anche se nessuno dei due l'ha ancora usato. È solo una questione di tempo —». 
Simon s'interrompe a metà frase e guarda qualcosa che Alec non può vedere, prima di dire qualcosa in francese che Alec non comprende. «Parli francese?» chiede Alec.          
«No» dice Simon, il suo sorriso si fa ancora più ampio. «Ma Magnus sì. Parla tipo otto lingue. Probabilmente di più, a dire il vero. Mi lascia... prenderle in prestito? Si può prendere in prestito una lingua? Non so, ma è parecchio figo. Alle ragazze piace un sacco. Anche ai ragazzi. Se ti interessa».      
«Va bene» dice Alec con enfasi, scivolando sotto le coperte. Si chiede se Simon sia capace di rispondere ad una domanda con una sola parola. Probabilmente no. «Quindi te ne vai o..?». 
Simon strimpella la chitarra che tiene in grembo, ondeggiando con la testa. Un piccolo, tranquillo sorriso appare sul suo volto. Alec fa una smorfia. Tch.
«Sì, fra cinque minuti»  dice Simon. «Sto per andare in scena. Suoniamo tardi stasera e sono piuttosto agitato! Ho pensato di passare a trovarti, perché —  beh, sei praticamente imperturbabile. Pensavo di prendere in prestito anche quello».          
Alec lo guarda per un istante, lanciandogli un'occhiata veloce: questo piccolo, ossuto, fastidioso ragazzo ebreo. Si chiede cosa diamine abbiano in comune per essere legati l'uno all'altro in questo modo. Alec pensa che non potrebbero essere più diversi di così nemmeno se ci provassero. E tuttavia —.     
E tuttavia c'è qualcosa, e forse assomiglia un po' a ciò che prova per Izzy: il desiderio che stia bene, che sia al sicuro e che non si cacci nei guai, perché sarebbe un tormento, ovviamente.           
«Prendi quel che ti pare» biascica Alec, sprofondando la testa nel cuscino. «Ho il turno alle cinque domattina, quindi vedi di non svegliarmi».        
Alec si addormenta col suono di una chitarra e poi il flebile, distante rumore di un applauso. A parte quello, c'è qualcos'altro — uno strattone, forse. Verso il sonno, verso qualche altra parte, così lontano e allo stesso tempo oh, così vicino. È caldo, dorato, come il sole che si riversa sul mare, non più dipinto di blu. È riconoscente.




Note

 
 
[1] Personaggio di Star Wars
   
 
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