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Autore: _niallsbreath    11/08/2017    1 recensioni
'You were my cup of tea, now I drink champagne'
Bella è una ventitreenne di Edimburgo.
Per lavoro deve trasferirsi nella grande città di Londra, dove vivrà a casa della cugina Jessica.
Ma il suo giovane capo, Harry Styles, le renderà la sua permanenza difficile... o quasi.
*Dal capitolo 3*
"Così lei è la Signorina Adams" rispose abbassando il foglio, inchiodando le sue iridi verdi nei miei occhi azzurri. "Io sono il Signor Styles, e lei è in ritardo."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vi avevo promesso che sarei tornata ad aggiornare regolarmente, ed eccomi qua.
Grazie a tutte per la pazienza e lasciatemi qualche recensione per farmi sapere se vi piace la mia storia.
Buona lettura!


La mattina seguente mi svegliai presto per andare a fare colazione.

Eravamo seduti alla stesso tavolo della sera prima.
Avevamo ordinato una bevanda calda. Io stranamente non avevo ordinato il mio solito thè con limone, ma decisi di prendere un caffè.

Mentre i due uomini discutevano dei programmi di quella giornata, io continuavo a rigirare il cucchiaino nella mia tazza mantenendo lo sguardo basso.
Quello che era successo la sera mi aveva lasciato confusa.
Perché non mi aveva baciato?
Ne aveva l'occasione, eravamo soli.
Speravo che si fosse avvicinato per farlo, e invece mi sbagliavo.
Harry si accorse che ero giù di morale, e di tanto in tanto mi lanciava delle occhiate confuse.
Ricambiai il suo sguardo sorridendo per rassicurarlo e scossi la testa.

Quel giorno, per me ed Harry non c'era nulla da fare.
Harry così, mi propose di fare un giro per il centro della città.
Era stato parecchie volte qui, e io accettai, nonostante durante la giornata non avessimo parlato molto. Sia perché non ne avevamo ancora avuto l'occasione, ma anche perché io ero ancora un po' frustrata dal comportamento della sera prima.
Non avrei dovuto, e cercavo di ripetere a me stessa che ero fidanzata.

Visitammo il centro della città e mi portò a fare shopping in una delle vie più rinomate di quella zona.
Non ero una grande amante dello shopping, quindi passeggiavamo solo per le vie e mi limitavo a guardare qualche articolo dalla vetrina.
Per fortuna, era anche una giornata di sole che contrastava con il freddo di inizio dicembre.

"Sai, è strano per me non dover aspettare ore ed ore fuori dai negozi" scherzò notando che ancora non avevo comprato nulla "quando accompagno Jennifer mi sembra di fare una maratona".

"A dire la verità, non sono una grande amante dello shopping" feci spallucce e gli sorrisi continuando a camminare.

"Il tuo ragazzo è proprio fortunato allora" disse lui. 
Mi voltai. Ma lui non ricambiò il mio sguardo e guardava fisso davanti a sè.
Era chiaro che si riferiva solo allo shopping, ovviamente.

Poco dopo lui si fermò davanti alla vetrina del negozio di Prada.
"Posso entrare un secondo?" disse "Ho bisogno di una camicia da lavoro".
Annuii senza problemi. Non c'era fretta.
Andò a passo spedito alla ricerca della camicia. 
Ne cercava una su una tonalità di azzurro chiaro, ma quando ne scelse una che gli piaceva, non c'era la sua misura. 
I prezzi erano da capogiro, non mi sarei mai potuta permettere una cifra simile io. Ma evidentemente lui si.
"Tornerò un'altra volta" disse uscendo dal negozio "a Londra sicuramente avranno la mia misura".

Dopo aver passeggiato per tutto il pomeriggio, guardammo l'ora ed erano quasi le sei.
Siccome sarebbe stata la nostra ultima serata fuori, mi propose di andare a cena con lui.
Inizialmente ero un po' titubante, uscire da soli avrebbe destato qualche sospetto, ma quando Harry ricevette il messaggio che anche Tomson e il padre di Jennifer avrebbero cenato fuori, acconsentii.
Così tornammo in hotel e mi preparai.

Avevamo deciso per una semplice pizza, quindi non avevo bisogno di vestirmi così elegante come la sera prima, ma indossai comunque un paio di pantaloni eleganti e una camicia , per non sfigurare affianco a lui.
Nel frattempo, telefonai a Jared, al quale però mentii.
Gli dissi che sarei andata a cena con i miei colleghi.
Ormai fingere era diventata un'abitudine.
Avevo quasi smesso di sentirmi in colpa, ma sapevo che prima poi avrei dovuto affrontare la realtà.

Quando uscimmo erano quasi le 8, e come la sera prima fu lui a bussare alla porta della mia stanza, e io uscii.

Il ristorante era carino e accogliente.
Era pieno di coppie che passavano una serata insieme, ma anche di famiglie con i loro bambini.
Mi trovavo bene e mi sentivo a mio agio.
Stavo bene con lui, stavo bene davvero.

Durante la cena parlavamo del più e del meno, quando trattammo il discorso delle nostre famiglie.
Scoprii che aveva una sorella, e i suoi genitori abitavano nei pressi di Manchester.
"E i tuoi genitori? Dove abitano?"
Deglutii con fatica quando mi fece quella domanda.
"I miei genitori sono separati" spiegai "Mamma vive ad Edimburgo mentre mio padre a Nizza con la sua nuova moglie".
Quando pronunciai il nome di mio padre mi si aggrovigliò lo stomaco, posai le posate e bevvi un goccio d'acqua nel tentativo di mandare in giù il groppo che mi si era formato in gola.

"Bella, tutto bene? Se non vuoi parlarne per me è ok non pensavo che..." ma lo interruppi.

"Mio padre e mia madre divorziarono quando io ero molto piccola.
Ho pochissimi ricordi di lui, e gli unici che ho sono di quando lui tornò dalla Francia per riprendere le sue cose e ritornare dalla sua nuova famiglia" strinsi appena gli occhi in una fessura per respingere le lacrime che minacciavano di uscire.
Non avrei mai più pianto per lui. Me lo ero promessa.
Mi ripresi e continuai.
"Mia madre lavorava in un negozio di fiori accanto a casa nostra.
Mio padre era il proprietario di una catena di supermercati, e viaggiava spesso per lavoro.
Un anno dovette tornare Francia, dove appunto era nato, e conobbe Cecile. La sua nuova moglie. E lì scoprì un mondo nuovo. 
Lei lavorava nel settore della moda, aveva un negozio di abiti da sposa di sua proprietà. Era più ricca di mia madre, più bella, più brava di lei che conduceva una vita umile.
Così scelse Cecile. Perché quella era la strada più facile. E ci abbandonò.
Ha avuto persino la faccia tosta di invitarmi al suo matrimonio con la sua nuova moglie. Capisci?" sospirai.
"Non ho mai avuto il coraggio di perdonarlo. Lo odio. Ma non perché si è rifatto una vita.
Lo odio perché ha rovinato quella di mia madre, che è caduta in una fase di depressione dalla quale si è ripresa solo da pochi anni. Ho passato mesi a casa di mia zia perché lei doveva fare delle terapie per riprendersi. Odiavo vederla soffrire
Ora lei sta bene, ha un nuovo compagno.
Ma lui l'ha fatta soffrire, e per questo odio..."
"Per questo odi essere chiamata con il tuo vero nome" sussurrò il ragazzo.
Annuii e ripresi a mangiare. Anche se non avevo più molta fame.
"Mi dispiace Bella, se avessi saputo..." 
"Non importa" lo interruppi "appartiene al passato ormai".
Gli sorrisi, e lo rassicurai. 
Apparteneva al passato e il passato deve rimanere tale.

Quando uscimmo dal ristorante ormai si erano fatte le dieci di sera, e si era alzato un vento freddo che mi fece rabbrividire.
Così, rinunciammo alla passeggiata che avevamo progettato di fare e tornammo in albergo.
Il mattino seguente saremmo dovuti partire subito.

In ascensore nessuno dei due parlò.
Forse la conversazione lo aveva spiazzato, non si aspettava che anche io avessi avuto un passato difficile.
Non amavo parlarne. Ma con lui potevo farlo. Anche lui si era confidato con me.

Arrivata davanti alla porta della mia camera, estrassi la chiave dalla mia borsetta e la aprii.
"Bella?" disse il ragazzo che era ancora dietro di me. 
Mi voltai mantenendo la porta.
"Grazie per esserti fidata di me".
Gli sorrisi.
"Io mi sono sempre fidata di te, Harry" sussurrai.
Non feci neanche in tempo ad accorgermene che il ragazzo si fondò sulle mie labbra e prese a baciarmi, con la sua solita dolcezza.
Appoggiò entrambe le mani sul mio viso, e le miei le appoggiai sul suo petto.
Arretrai di qualche passo, entrando nella stanza seguita dal ragazzo, senza mai interrompere quel bacio.
Posò una mano sul mio fianco, mentre con l'altra sfilò le mollette dai miei capelli disfando l'acconciatura. 
La porta si richiuse, mentre noi continuavamo a baciarci. Come se per tutto questo tempo non avessimo avuto bisogno di altro.

Mi fece svicolare sul materasso staccandosi dalle mie labbra per guardarmi negli occhi, come alla ricerca di una mia risposta, di una mia reazione.
L'unica cosa che fui in grado di fare fu quella di prendere la sua mano e intrecciare le nostre dita.
Afferrai poi la sua fede, sfilandola dal suo dito. La appoggiai sul comodino e ripresi a baciarlo.
Era come se, così facendo, potessi sentirmi meno in colpa.
Come se in questo modo, fosse tutto meno sbagliato.
Ma eravamo entrambi presi dalla nostra notte d'amore per pensare a tutto quello che ci circondava.

Perché insieme eravamo un errore, ma l'uno era il rimedio dell'altro.

 
  
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