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Autore: iamnotgoodwithnames    12/08/2017    2 recensioni
"Al cuore non si comanda, non c’ha mai creduto ai modi di dire, non li ha mai voluti prendere neppure in considerazione, assurde frasi dette, ripetute così tante volte, da così tante bocche diverse, da perdere significato; da diventare banali cliché.
Eppure, alla fine, c’è rimasto incastrato anche lui in uno stupido cliché.
Al cuore non si comanda, si ripete, cercando di perdersi nel buglio di sogni che non sono mai piacevoli, cercando di dimenticare che, suo malgrado, la sua intera vita, per colpa di due iridi d’un pungente azzurro cielo, è diventata un banalissimo, insopportabile, cliché."
[Theo x Liam][Introspettiva][Slow Build][Spoiler!6A][Slice Of Life][Missing Moments][OC][OFC x Greenberg / Mason x Corey]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Corey, Liam, Liam Dunbar, Mason, Nuovo personaggio, Theo Raeken
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Moonbeams Bonds'
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~ Chapter One : Ray Of Sun ~
 

Quanto meno, soffia cercando di distendere, con fatica, le gambe al sedile posteriore, questa notte soffia il vento ed una brezza gradevole filtra tra le fessure degli sportelli; rinfrescando l’aria consumata all’interno della vettura.
È comunque meglio, pensa rigirandosi al sedile, cercando la giusta posa, della soffocante afa delle notti precedenti.
Se accendesse la radio, com’era solito fare nelle prime sere, riuscirebbe a chiudere gli occhi cullato da note casuali di melodie sconosciute, ma ha tristemente constatato che, addormentarsi con la radio accesa, porta a drastiche conseguenze, come ha malauguratamente appreso alla seconda settimana; quando è stato costretto a forzare il garage di qualcuno e rubare energia dall’auto di estranei.
E considerando la già pressante insistenza della polizia una denuncia per violazione di domicilio è l’ultima cosa di cui necessita, anche se, forse, una cella sarebbe quasi più comoda dei sedili posteriori.

Inspira, inalando ossigeno che filtra dalle fessure delle finestre, stringendosi tra le braccia; incline al senso di colpa Theo non lo è mai stato, ma le cose sono cambiate dal suo sgradevole viaggio all’inferno.
Da quando il biglietto di sola andata si è tramutato in un ritorno improvviso la vita, le cose, lui; tutto è cambiato, mutato drasticamente.
Prima la sua personale tortura, il girone infernale in cui, ne è certo, prima o poi sarà costretto a fare ritorno, poi la Caccia Selvaggia, l’inaspettato, persino per lui, altruismo di Liam e l’altrettanto sorprendente aiuto che lui stesso, contro ogni sua immaginazione, è stato in grado di dare e poi, infine, la solitudine.
Intensa, assoluta, totale solitudine.
Non che si aspettasse abbracci, festoni di bentornato, sorrisi amichevoli ed ospitalità ad essere onesto con se stesso non sapeva, davvero, cosa aspettarsi.
Probabilmente l’ipotesi più plausibile, la teoria che si era fatta strada nella sua mente, somigliava ad una cella dalla spessa porta bianca, nell’ultimo corridoio, dell’ultimo piano, di un manicomio a lui sin troppo noto.
E, forse, anche in quel caso, i letti di Eichen House sarebbero stati comunque più comodi dei sedili posteriori della sua auto e, senz’altro, la sgradevole sveglia mattutina, la polizia che con assoluta e ripetitiva precisione, minaccia di sequestrargli il mezzo lì dentro, tra le mura del manicomio, non l’avrebbe dovuta sopportare e, magari, persino il cibo sarebbe stato migliore.

Se aveva dei dubbi sulle potenzialità del metabolismo accelerato nelle ultime settimane sono svaniti, se fosse stato umano, del tutto e completamente, ora avrebbe già acquistato dieci chili di insano grasso; sfamandosi con regolarità ogni sera al McDonalds più vicino.
E comunque, ci riflette poi, distendendosi supino, alla fine i dieci chili li avrebbe persi nel giro di pochi giorni, considerando la precaria quantità di denaro ancora a sua disposizione e la necessità, forzata, di dover sfruttare soldi per la benzina.

Sospira, ancora, chiudendo gli occhi, inutile sperare che sua sorella non lo venga a trovare nei suoi incubi anche questa notte, infondo è l’unica costanza che gli rimane; Tara che reclama il suo cuore, Tara che ha ragione, Tara che merita la vendetta, Tara che forse sarebbe ben lieta di poterlo accogliere nuovamente nel limbo infernale.
Prendere sonno, da quel giorno, è più difficile di quanto non sia mai stato, persino nelle notti più insonni, quando ancora era bambino e non sapeva bene come funzionassero i suoi poteri. 
Eppure, in qualche modo, deve riuscirsi; l’insonnia è dannatamente controproducente quando non si ha nulla.
E poi c’è sempre la speranza che, chiudendo gli occhi, possa quanto meno immaginare come sarebbe stata la sua vita se non avesse scelto ed intrapreso tutte le strada sbagliate, una dopo l’altra, scegliendo senza criterio, senza davvero averne la consapevolezza, continuando a percorrere la medesima strada, sempre sbagliata, sempre la stessa, anno dopo anno.
Magari, almeno nel buio della notte, potrebbe immaginare come sarebbe stata la vita se, per una volta, una sola, avesse scelto la strada giusta.
 

“Theo”

È vento di morte la voce di Tara, striscia a terra, carponi, un animale che caccia cauto la preda

“Theo”

Sussurra, ancora ed ancora, scivolando al rigido pavimento dell’ospedale e non c’è possibilità di fuga, non c’è possibilità di salvezza, è tardi per pensare alla redenzione, è tardi per rimediare agli errori

“Theo”

Non c’è respiro tra quelle labbra dischiuse che ripetono, eco distorto, il suo nome, non c’è il calore di una voce familiare ad animare quelle corde vocali che lo reclamano come prezzo, pegno da pagare per il male che ha fatto

“Theo”

Tende la mano ed è nell’attesa che risiede la vera agonia, non nel cuore, il suo, quello di sua sorella, strappato con forza da un petto che non lo merita

“Theo”

Picchietta, costante, scandendo il tempo della morte, il palmo di Tara al suolo, l’ora della vendetta che si avvicina lenta, in un’estenuante attesa che è dolore prima del dolore stesso.
Picchietta.
Picchietta.



Picchietta e si sveglia.

Improvviso, disorientato, sbattendo le palpebre ripetutamente per poter mettere a fuoco i contorni, sospirando già, prevedendo l’ennesimo incontro ravvicinato con la polizia locale.


“sì, sì – ripete soltanto, issandosi sulla schiena – ho capito, me ne va…”


Ed è costretto al silenzio Theo, non si aspettava di incontrare qualcuno che non fosse in divisa ed è la vergogna dell’orgoglio, acqua gelida che lo risveglia completamente; essere visto così, da qualcuno, qualsiasi persona, non era decisamente il risveglio che si augurava.
Il silenzio pesa, schiaccia l’aria nell’abitacolo, mentre occhi vivaci, del medesimo colore delle foglie secche d’autunno, lo scrutano con la curiosità d’una bambina invadente.


“vivi qui?”


La voce, ovattata dallo sportello che li divide, riesce comunque a sembrargli il suono più gentile che abbia mai sentito, da quanto è tornato tra i vivi


“da solo?”


annuisce soltanto Theo, cercando ancora di soffocare la vergogna nel cinismo dell’arroganza


“sei stato scacciato?”


In un certo senso, ci riflette per un po’ Theo, è così.
È stato cacciato, allontanato, prima per sua colpa, poi per vecchie colpe; ma il risultato è sempre il medesimo ed annuire, ancora, probabilmente è l’unica cosa che può fare.


“sei un traveller?* – domanda, con l’insistenza di una bimba sin troppo curiosa – perché sembri un traveller”


Non ha idea alcuna di cosa significhi, con esattezza, quell’inusuale affermazione e si costringe ad un’interazione sociale che giunge, con sorpresa, dopo settimane di silenzio assordante


“un cosa?”


Chiede schiarendosi la voce, portandosi a sedere al sedile, continuando a fissare la sagoma della giovane che sorride, un sorriso genuino come mai, forse, Theo ne ha ricevuti nell’arco di tutta un’intera vita


“oh sei un gorgie* – soffia con semplicità quest’ultima, sollevando un sacchetto bianco – ne vuoi un po’?”


L’odore tenue del pollo cotto al forno invade, come delicata fragranza, le narici di Theo che socchiude, per fugaci istanti, le ancora assonate iridi; quand’è stata l’ultima volta che ha mangiato qualcosa di diverso da carne tritata schiacciata in panini vecchi di giorni?


“mia sorella – continua la giovane, sorridendogli angelica – esagera sempre, se vuoi ti posso anche lasciare tutta la porzione”


La guardava sollevare quel piccolo sacchetto di bianca plastica ed attendere una risposta che Theo non sa darle, sarà l’orgoglio, sarà che la gentilezza per lui è sempre stato un concetto astratto, distante, incomprensibile a tratti; ma resta in silenzio ad osservarla


 “come ti chiami?”


Chiede poi, la giovane, inclinando appena il capo lateralmente, onde castane discendo tra le esili spalle in una cascata scompigliata


“io mi chiamo Esmeralda – brillano gentili le iridi nocciola – ma mi chiamano tutti Esme, puoi chiamarmi così anche tu”


Forse è perché non c’è abituato, forse è perché nessuno da tempo gli mostrava una simile, immotivata, spontanea e persino sconsiderata bontà, forse è perché non sa interpretarla che si sente disorientato


“non c’è nulla di male – dice Esme, intuendo che l’esitazione di Theo derivi dalla vergogna – nell’accettare un regalo”


E mentre l’analizza nel silenzio continua a cercare, in quel volto ovale, un segno d’inganno, uno scherzo, un miraggio, nel timore che forse, la sua mente, sta giocando con lui e presto si sveglierà da un sogno, perché magari sta ancora dormendo e nulla di tutto questo è reale, ma il sorriso genuino, angelicamente sincero, tra le labbra carnose della giovane sembra così vero che sarebbe un peccato non lo fosse


“va bene, non fidarsi, ma ti assicuro che questo è solo pollo – esclama solare Esme – e lo lascerò qui, davanti, se vorrai prenderlo”


Insiste, ma è un’insistenza gradevole, una sensazione di calore umano che, infondo, Theo non ha mai davvero provato sulla sua pelle, che forse neppure merita, che probabilmente non sarebbe neppure in grado di riprodurre.
La guarda chinarsi, svanire nascosta dietro le lamiere dello sportello e riapparire, ancora sorridente, ancora gentile al finestrino.


 “ecco, te l’ho lasciato qui – gli dice, indicando il suolo con l’indice – non mi hai ancora detto come ti chiami”


È un risolino allegro, melodia cristallina, quello che giunge come brezza leggiadra all’interno dell’abitacolo e c’è così tanta attesa, così tanta curiosità, in quelle iridi autunnali, vispe e vivaci, che Theo si chiede se forse non sia il caso di risponderle; ma l’orgoglio rema ancora contro di lui.
Ed Esmeralda scuote il capo solare, incastrando una ciocca castana dietro l’orecchio, tintinnano gli innumerevoli fili dorati che le contornano l’esile polso


“ti vedo sempre qui, passo spesso da queste parti – spiega semplicemente, picchiettando leggera al finestrino – posso tornare a trovarti? Se non ti disturbo”


E non lo sa Theo come dovrebbe rispondere, cosa dovrebbe fare, come ci si comporta quando qualcuno è genuinamente gentile? Cosa si fa quando qualcuno ti offre una gentilezza che non meriti, che non saresti neppure in grado di contraccambiare?
Forse, si dice guardandola aggiustarsi la tracolla della borsa, sin troppo grande per un corpo tanto minuti, è l’ingenuità della curiosità a spingerla a parlare con lui, un estraneo come tanti, uno sconosciuto che potrebbe persino essere pericoloso.
La domanda, lecita, che si è fatta strada nella sua mente sin dal primo istante in cui i loro sguardi si sono incontrati emerge, in un soffio incerto, dalle labbra di Theo


 “perché?”


Chiede soltanto, confidando che la giovane comprenderà 


“perché – sorride Esme, sollevando le spalle con assoluta semplicità – ti ho visto spesso qui da solo e mia nonna diceva sempre che è importante aiutare il prossimo”


E se da un lato l’orgoglio gli suggerirebbe di rifiutare, di allontanarla come si farebbe con una mosca indesiderata, dall’alto un incondizionato, innaturale, surreale bisogno di scacciare la solitudine di giornate lente, monotone, ripetitive gli suggerisce di accettare; per una volta, una singola volta, accettare un tenue raggio di sole tra le nubi che rendono scuro il cielo.
Ed alla fine, a prendere il sopravvento, è il bisogno


“sì – le corde vocali sembrano non essere più abituate a parlare, deve sforzarsi per lasciar fuoriuscire la voce – sempre qui”


Il volto di Esmeralda si plasma, c’è un mondo luminoso, una pagina di un libro allegro, tra la pelle olivastra


“allora ci vediamo domani – agita a mezz’aria la mano – gorgie”


Un sorriso si forma tra le labbra di Esme seguendo le note di quell’aggettivo che Theo non ha mai sentito, che non sa neppure cosa significhi, e mentre la osserva, ondeggiare pacata, allontanarsi lasciandogli in regalo una delizia racchiusa in una busta ed una ventata di fresco vento leggiadro si domanda se, invece, non la rivedrà mai più.
Ed infondo, forse, sarebbe persino giusto; non rivederla.
Infondo non dovrebbe meritarlo, un raggio di sole in una vita che lui stesso ha attivamente contribuito a rendere scura come il più nero dei cieli in tempesta.

Inspira, inalando l’odore gradevole del pollo ancora caldo che filtra tra le fessure dei finestrini, si guarda attorno, è solo di nuovo.
Apre, cauto, lo sportello sporgendosi appena a raccogliere quella sottile busta, afferrandola con la rapidità di un animale famelico, ritraendosi così velocemente da far persino riecheggiare tra gli alberi il suono dello sportello richiusosi alle sue spalle.
E decide, scartano con voracità l’involucro che riveste il cibo, che per una volta, una singola volta, si concederà il lusso ed il beneficio del dubbio di credere che, infondo, un piccolo raggio di sole potrebbe filtrare tra nubi dense di solitudine.


 


 
Homer sono io.
Perché ho già due interattive da portare avanti, due storie da elaborare, ma il mio cervello ha deciso che la 6x12 non andava bene e così eccomi qui, mentre aspettavo le ultime schede per l'interattiva, a scrivere qualcosa che forse è un po' AU forse un po' OOC, forse non c'entra nulla, non lo so; ma che comunque non sono riuscita ad impedirmi di pubblicare. 

L'unica cosa certa che so è che in questo fandom manca un po' di Theo ed io ho sempre avuto un debole per le storie lasciate a metà, per gli outsider e diciamocelo in questa 6B Theo è, a tutti gli effetti, un escluso, un emerginato. 
Ed il mio cervellino, non proprio sano, ha detto no; io non ci sto.
E così è nata lei, Esmeralda. 

Con precisione non lo so dove mi porterà tutto questo, se ne farò nascere una mezza roba romantica o se, invece, darò ascolto alla scimmietta sulla spalla che mi grida "Thiam". 
So solo che, intanto, voglio esplorare i mesi estivi che precedono di un po' la fatidica 6B e rendere meno solo quel complessato e sfaccettato personaggio che è Theo. 

Ditemi cosa ne pensate, se vi aggrada, se vi disgustata, sentitevi liberi di dirmi tutto ciò che volete; commenti e critiche sono sempre utili e ben accette. 
Intanto spero che, almeno un pochino vi sia piaciuto e vi abbia incuriositò. 
Grazie a tutti,
e a presto; spero. 

PS: oh già, gli asterischi 
1) Traveller = si tratta di un popolo nomade, prevalentemente di origine irlandese, che vive principalmente in Gran Bretagna, Stati Uniti D'America ed Iralanda
2) Gorgie = termine che trae le sue origini nella lingua roman
í ed è spesso usata dalle popolazioni nomadi per riferirsi a qualcuno che non fa parte della loro comunità e che quindi non ne conosce le tradizioni, gli usi e costumi; che quindi non è un gitano.

Ah e, se siete curiositi, vi allego il prestavolto usato per Esmeralda : http://www.wallpapers-web.com/data/out/96/4588261-hailee-steinfeld-wallpapers.jpg // http://1l045q3arhfy34hts1o7giah.wpengine.netdna-cdn.com/wp-content/uploads/2014/08/Shot-04-304C_CMYK-1000x1338.jpg

 
   
 
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