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Autore: Io_amo_Freezer    13/08/2017    0 recensioni
Quattro ragazzi che non si sono mai conosciuti ma con un legame forte nel petto si incontreranno al college. Tra problemi, misteri e studio riusciranno a scoprire qual è la vera ragione di quel legame?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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-Donnie! Come fai a non ricordarti dove segnalava il tuo aggeggio-come-cavolo-si-chiama?- asserì a denti stretti il focoso tutto d'un fiato, quasi sul punto di aggredirlo mentre erano su un tetto; fermi a metà strada da ciò che aveva affermato il genio.
-E' un sonar, con un potenziamento a parte collegato al satellite attraverso un cip che mi permette così di calcolare ogni perimetro della città senza problemi, avendo anche una visuale...- non terminò la frase che il focoso gli diede uno schiaffo sulla nuca con uno sguardo di chi non gli è ne importava nulla.
-Dov'è Michelangelo?- urlò a pieni polmoni, forse risvegliando qualche abitante del palazzo vicino o in quello in cui stavano sostando, sopra un tetto.
-Era alla casa abbandonata, ma forse si stanno muovendo, è una probabilità da non sottovalutare, comunque non avendo una mappa mi sarà difficile orientarmi nel buio della notte...- borbottò con una smorfia.
-Fallo e basta! Non conosco questa città, quindi mi affido a te, muoviti!- ruggì come un leone, preoccupato per il piccolo Michelangelo come mai in vita sua, e lui non si era mai preoccupato, mai per nessuno; visto anche che di amici ne aveva pochi e alla fine si erano rivelati solo dei puri conoscenti nonostante gli anni passati insieme: si erano separati e non lo contattavano più, a mala pena si salutavano per strada; e, a pensarci, quello era un altro buon motivo per aver lasciato la sua vecchia città.
-Beh, ecco... F-forse di là.- tentò allungando il braccio e indicando una direzione non molto chiara agli altri due, si limitava a mostrare la strada in mezzo a due palazzi.
-Non voglio nessun 'forse'! Non abbiamo tempo!- ringhiò feroce Raph, osservandolo negli occhi bordeaux come un predatore che non vedeva l'ora di azzannarlo alla gola mentre lo tirò vicino a sé prendendolo per i lembi del colletto del suo maglione azzurro e strattonandolo forte per intimidirlo, o per rabbia.
-Non so dove si trovi questa casa!- annunciò allora, e non sarebbe stata una notizia così sorprendente conoscendo come Donnie preferisse rintanarsi nella sua camera-laboratorio piuttosto che uscire a conoscere il mondo reale; ma in quel momento la notizia lasciò tutti con la bocca aperta, sconfortati e sorpresi, e lo era anche il genio del gruppo, amareggiato dalla possibilità di perdere il piccolo Michelangelo. Sapendolo in pericolo, si trovavano tutti in bilico nell'angoscia e non riuscivano a ragionare, o a collegare il cervello in modo da avere un piano tangibile; c'era solo rabbia, frustrazione e pentimento.
-Possiamo chiamare Cat! Lei sa dove si trova la casa, potrà farci da guida.- espose Leo con un immenso sorriso mentre Donnie non aspettò nemmeno che la sua mente assimilasse la notizia che già era partito a comporre il numero, ormai il tempo era agli sgoccioli.


Erano arrivati da qualche minuto, praticamente al momento il loro intento era stato solo quello di cercare. Purtroppo, visto che condivideva la stanza con un ragazzo che odiava l'organizzazione, era stato abbastanza ovvio trovare tutta la stanza in netto disordine, e a questo, Grant non aveva pensato; infatti sbuffò e guardò male il suo coinquilino che era voluto venire con loro, forse per l'ennesima volta in quella sera e in quel lasso di tempo. Aides, dal canto suo lo ignorò senza problemi, alzò le spalle e si diresse verso un altro punto della stanza, un angolo vicino al suo letto, iniziando ad aprire ogni cassetto alla ricerca del fantomatico "Capitan America".
-Dove sei, amore mio? Dove sei?-
Era questa la solfa che Grant era stato costretto a subire da Venus. Appena avevano varcato la soglia un uragano, ovvero la ragazza, era volata diretta ogni dove alla ricerca del proprio, a suo dire, "marito". Era stato un colpo basso quello, un colpo atroce che lo aveva demoralizzato ad ogni dire, visto che lui non era minimamente paragonabile all'eroe della Marvel; per non parlare poi che Venus non faceva che chiamare il dvd e il supereroe con l'appellativo "amore."; cosa ancora più sconfortante e dolorosa. E a niente erano servite le pacche di incoraggiamento di Light prima che si allontanasse per iniziare anche lei le ricerche con Casey che la seguiva come un cane festoso, e se avesse avuto una coda non avrebbe fatto altro che scodinzolare visto che Light non lo aveva picchiato nemmeno una volta, impegnata com'era ad osservare la collezione di modellini di alcuni ninja che appartenevano a Grant. Il suddetto ragazzo ne era certo: erano tutti felici tranne lui, o forse omettendo Aides visto che sembrava si stesse annoiando a rovistare e a mettere in ordine contemporaneamente, ma lo avrebbe dovuto fare comunque, prima o poi.
-Trovato!- urlò invaghita, Venus, al limite dell'eccitazione mentre saltellava ripetutamente sul posto e teneva la confezione stretta al petto circondata tra le braccia come in un abbraccio.
Grant la invidiò in quel momento, e se ne vergognò un po': invidiava una confezione di dvd, umiliante. Sospirò e scrollò le spalle, avvicinandosi a lei con fare sicuro e piacevole, dedicandole il sorriso più sexy del repertorio, come a sperare di ricevere anche lui un abbraccio per quel sorriso. E la cosa buffa fu che accede veramente: Venus si era avvicinata e tra l'emozione e l'essergli grato per quel dvd lo aveva stretto in un forte abbraccio, anche se era un po' più bassa di lui e i suoi capelli arrivavano sopra al suo petto. Senza che se ne rendesse conto le braccia presero ad avvolgerla istintivamente, stringendola con cura e dolcezza come se fosse un'essere speciale, e infatti da un po' era così per Grant.
-Okay, ora che lo avete trovato io me ne vado. Ho completamente perso la voglia di vedere quel film a forza di pulire, mi faccio un giro.- borbottò Aides sfregandosi i capelli bianchi con una mano e uscendo senza porsi troppi problemi.
-Ti seguo, lasciamo i piccioncini nel loro nido.- commentò Light avviandosi con Casey che provava a rimorchiarla con frasi lascive e, più o meno dolci, approfittando del fatto che la ragazza non lo colpisse, o almeno credette così finché, oltrepassando la porta non si beccò una gomitata in pieno stomaco che lo piegò in due. Si vedeva che, nell'allontanarsi da quei meravigliosi modellini di ninja, aveva di nuovo toccato con mano il muro trasparente e soffice che era la realtà, e non le era piaciuto affatto trovarsi quel ragazzo sul suo cammino.
-Piccioncini?- trasalì Venus con una faccia schifata e oltraggiata, staccandosi bruscamente da lui. -Con lui?- osò continuare, boccheggiando e indicando con il dito il ragazzo in questione che la guardava con disappunto per quelle parole. Ignorando che ormai la porta era stata chiusa da un pezzo e che quindi erano rimasti veramente da soli, la ragazza continuò a mostrare una faccia sconvolta per quella frase detta dall'amica.
-Beh?- diede segni di vita, Grant, sventolando una mano davanti al suo viso per capire se fosse viva anche lei.
-Okay, vogliamo vederlo qui il film o raggiungiamo gli altri?- borbottò con noia, non aveva proprio voglia di incamminarsi di nuovo verso l'appartamento di Donnie; era stanca dopo tutte le ore dedicate alla ricerca di Capitan America, e al momento; di sicuro colpa della stanchezza, si disse; la presenza di quel ragazzo non la disturbava minimamente.
-Qui.- ghignò Grant sedendosi sul proprio letto dove, davanti si trovava la televisione e facendole posto appena lei, con qualche sbuffo e dopo aver inserito il dvd dentro al lettore, non senza aver alzato gli occhi al cielo, lo raggiunse, mettendosi comoda contro il cuscino alle sue spalle.
Venus, nel vedere come quel letto fosse ben pulito e curato, comprese fosse proprio quello di Grant, che intanto si era diretto verso il mini-bar a prelevare qualche bibita e poi ad aprire un tiretto accanto al primo, cacciando due buste di popcorn. Dentro quel tiretto, notò la ragazza, ce ne erano davvero tante di cibarie, salate e non.
-Ti piace l'aranciata?- chiese porgendogliela mentre lei gli rubò per prima cosa la busta di cibarie aprendola mentre ancora, nello schermo, facevano vedere vari trailer prima di incentrarsi sul menu principale.
-Sbrigati e siediti.- affermò brusca, anche se non gli permise di avere molto spazio, lasciandolo sul bordo mentre lei rimaneva nella comodità completa, spaparanzata interamente e avviando il film con un immenso sorriso di soddisfazione prima di appoggiare il telecomandino sul comodino al suo fianco dove sopra vi era anche una lampada che il ragazzo aveva accesso insieme alla luce del lampadario appena erano arrivati: si era fatto buio al loro arrivo.
-Buona visione.- commentò, sempre sorridente, il ragazzo, anche se la scomodità si faceva sentire, ma alla fine la ragazza gli fece più spazio e lui la ringraziò.
-Vedi di stare zitto: c'è il film.- lo ammutolì con un occhiataccia prima di tornare rilassata nell'incrociare il protagonista nello schermo, trattenendosi dall'urlare peggio di una fangirl scatenata.


-Muoviti.- ordinò prendendolo malamente per il braccio, stringendolo e alzandolo dalla sedia dopo che lo ebbe slegato, sballottandolo verso le porte dell'uscita per poi spingerlo forte e farlo cadere. -Raggiungi la macchina.-
Michelangelo volse indietro lo sguardo, e nonostante il buio, interrotto solo dalle finestre che producevano la luce della notte e della luna illuminando i tanti detriti nella sala, lo seguì con le pupille per capire cosa stesse facendo prima di gattonare il più veloce possibile nell'udire discretamente il suono di un fucile che si caricava; riuscendo anche ad ignorare il dolore al polpaccio ferito, tanto era lo spavento e l'adrenalina. Uscito dal portone, che era sul punto di crollare, attaccato ai chiavistelli solo nella parte inferiore, scese le scalette e si diresse dentro la macchina nera che aveva già la portiera aperta, attraversando la strada fatta di pietre che gli procurarono dolori ai palmi e alle ginocchia mentre lasciava una scia rossa nel trascinarsi l'altra gamba come se fosse morta, ma non aveva il coraggio e né la forza di mettersi in piedi e preferì gattonare in fretta, come un codardo che sperava solo nella propria salvezza. Osservò la portiera davanti e decise di rifugiarsi verso i sedili posteriori e si avviò dietro, aprendo quella. Stava per salire, ancora in ginocchio a terra tra i sassi bianchi illuminati dalla luna quando venne preso per il polso, della mano ancora sulla maniglia, e girato di scatto verso una sagoma forzuta, oscurata dalla notte e dalle sue palpebre che si sigillarono d'istinto.
-Sto salendo, sto salendo...- sussurrò frettoloso, colto dalla paura più viva di essere punito, temendo di aver commesso un errore nel decidere di salire ai posti dietro senza consenso mentre tremava sempre con più enfasi ed evidenza.
-Mikey siamo noi, apri gli occhi.-
La voce gentile, calda e pacata che arrivò nitida e vicina alle sue orecchie, abbastanza rassicurante, lo motivò ad aprire le palpebre con più sicurezza nel collegare quella voce a Leonardo. Nel farlo notò l'azzurro alla sua destra chinarsi sulle ginocchia per guardarlo con fare rassicurante e apprensivo mentre si rese conto che, la figura possente non fosse suo padre, bensì Raphael che sorrideva sincero nel vederlo al sicuro, affiancato da Donnie.
-Dove pensavi di andare, eh?- sbottò il focoso, ironico prima di protendere la mano libera sui suoi capelli per scompigliarglieli con fare giocoso.
-Mio padre ha un fucile.- si limitò a rispondere, anche se quella domanda era chiaramente retorica; ma le sue parole servirono in un attimo a raggelare la situazione ancora una volta in quella sera, perfino il genio si era bloccato nel visionare la ferita al polpaccio.
-E' dentro?- chiese Donatello voltandosi con uno scatto duro verso l'entrata di quel portone che era completamente nera per via della notte, anche se era abbastanza ovvio per tutti che fosse lì.
Il più piccolo si limitò ad annuire, non resistendo dal mostrare le lacrime che uscirono copiose dall'azzurro luminoso dei suoi occhi; era diventata una cosa normale in quei giorni con loro: mostrarsi debole davanti a quei ragazzi per stare meglio; un abitudine che non si sarebbe tolto facilmente e che sfumava al suo controllo come un'automa; non riusciva più a controllare il suo dolore davanti a loro, e sentiva che se sarebbe salito in quella macchina la pressione avrebbe ridotto in pezzi ancora più piccoli il suo cuore ancora una volta, questo perché non c'è la faceva a separarsi da loro; gli voleva bene. Troppo. E non se ne era nemmeno accorto di come una parte del suo cuore, quella più bella, si fosse legato ad ognuno di loro, intricandosi a quello dei ragazzi fino a non potersi più sciogliere; il suo cuore gli stava parlando, gli stava dicendo: non lasciarli mai. Però poi c'era l'altra parte, più piccola ma più forte, sopravvissuta al dolore e fortificatosi da esso; quella parte praticamente gli stava urlando contro di andarsene, perché lui era un'essere inutile, portava solo guai e malefatte, e non poteva non negargli la ragione.
-Io... ho paura. Ma non voglio che vi mettiate nei guai per me.- singhiozzò abbassando lo sguardo, vergognandosi anche di essersi fatto vedere così codardo davanti a loro, e forse lo avevano perfino visto gattonare disperato verso la macchina...
-Se serve per proteggere te da quel mostro mi infilerei in un milione di guai; mi basti solo saperti al sicuro.- asserì Raph cacciando i suoi Sai, pronto a combattere, e anche gli altri ragazzi si misero in posa di combattimento, annuendo decisi, mentre lasciarono un Michelangelo dietro di loro scombussolato e sorpreso, con un sorriso che si creò da solo in mezzo a quelle lacrime di dolore e paura.
-Gr...Grazie.-
-Oh.- il suono dei passi di suo padre che attraversava la porta fino ad uscirne, sbattendola con un pugno e distruggendola da farla cadere a terra mentre il suo commentò risuonò per le strade isolate e buie. -Di nuovo voi...-
-Vedi di fartene una ragione: Mikey ha una nuova famiglia! Tu non sei più nulla per lui, anzi, non lo sei mai stato!- ruggì il focoso lasciando i compagni esterrefatti per quelle parole, soprattutto Michelangelo e Donatello, ancora piegati a terra: il primo per la ferita, il secondo per guarire quest'ultima; i due si sorrisero a vicenda per le parole del più grande, il cuore che si illuminò e vibrò come in procinto di esplodere; quelle parole potevano sembrare banali o di poco conto per le altre persone, a loro no, a loro quelle parole riscaldarono il cuore migliorando la giornata che era quasi finita in tragedia con la perdita di un membro di quella fantomatica famiglia che era nata proprio dopo quella frase, o forse lo erano diventati anche prima di quella conferma.
-Che bello...- sussurrò Mikey, ma non abbastanza piano da non farsi sentire dai tre che sorrisero ancora.
A parte Raph, troppo adirato contro il mostro in quel momento, ma anche lui era felice dentro per quello che aveva fatto, dire quelle parole, uscite più d'istinto e di cuore che per illudere il nemico, avevano risvegliato in lui qualcosa di nuovo e che non aveva mai provato, o forse non provava da così tanto da essersene dimenticato: amore, un'amore diverso da una cotta verso una persona che frequenti da un po'; era più come essere stato sempre cosciente di avere una famiglia nel mondo che lo aspettava, e che aveva ritrovato proprio in quel momento, regalandogli respiro, aria nei polmoni per farlo vivere finalmente in pace; dei fratelli riavuti dopo secoli e da cui non voleva più separarsi perché sarebbe stato come smettere di vivere; voleva proteggerli, con tutte le sue forze, e lo avrebbe fatto. Sempre. In fondo era bello avere una famiglia, pensò Raphael, facendo roteare tra le dita le sue armi prima di avanzare affiancato da Leo con le sue katana, che forse lo avrebbe preso in giro per quel comportamento, o forse era più un'idea della sua mente questa convinzione, se non fosse per la situazione ingombrante in cui si trovavano.
-Famiglia? Che idiozia.- sbottò lui sfilandosi la cinghia del fucile che aveva messo a tracolla sulla spalla e che imbracciò mirando a loro, sparando senza pensarci nemmeno un secondo; peccato che i due ninja schivarono i proiettili, avanzando furtivi e veloci come ombre verso di lui per poi braccarlo per le braccia, facendo cadere a terra l'arma che rimbombò di un rumore secco per la via, nella notte più nera con cui perfino le nuvole si erano fuse e sembravano in procinto di esplodere in una grande bufera, con il vento che si alzava sempre di più come con l'intenzione di farli volare via tutti, come stanco della loro prolungata presenza in quel posto spaventoso, all'apparenza infestato.
-Adesso vedi di fare il bravo, capito?- minacciò Raph aumentando la presa e posizionando il gomito dell'avversario dietro la schiena di esso, in una posizione davvero innaturale, quasi a slogarglielo. -Ed ora lascia che ti portiamo al fresco.- continuava a ghignare il rosso, fiero di averlo catturato mentre lo tirava in piedi, continuando però a stringere la presa sul braccio sempre dietro la schiena; e nonostante fosse più alto di lui, Raph aveva una maggiore forza e volontà: non lo avrebbe lasciato andare.
-Avanti, andiamo.- asserì Leo con uno sguardo truce e minaccioso da far accapponare la pelle, mai visto sul suo volto; si vedeva chiaro e tondo che non mandasse giù come aveva trattato Michelangelo in quegli anni, e soprattutto l'accaduto di quella sera con il ragazzo ancora traumatizzato e Cat.
Donatello sospirò sollevato nel vedere quell'uomo finalmente mansueto, così si alzò per poi prendere un braccio del più piccolo, ancora ferito e con un polpaccio bendato provvisoriamente alla bene e meglio con quello che aveva al momento, portandoselo attorno al collo e aiutandolo a sollevarsi da terra un po' zoppicante e un po' insicuro di muovere i primi passi verso gli altri; perché avrebbe implicato il doversi avvicinare anche a suo padre, e lui non voleva, ovviamente, aggiunse nel pensiero il genio.
-Tutto okay. Tutto okay.- ripeté Donnie con fare rassicurante, intuendo i suoi pensieri dagli occhi che tremolarono impercettibilmente e con le pupille ridotte a due fessure già da molto prima del suo ritrovo, accarezzandogli la schiena con il braccio che sorreggeva la sua schiena.
-E' meglio se lo riporti a casa.-
Alle parole di Raph, che sembrarono più una richiesta nonostante il tono così determinato e risoluto, annuì, non potendo non concordare nel vedere il povero Michelangelo che tremava di paura, cercando di nascondersi agli occhi del padre a cui era caduto il cappuccio e che ora si mostrava in tutta la sua fierezza. I suoi occhi erano freddi e crudeli, che bramavano sangue, come se volesse solo sgozzarlo in quel momento, come se desiderasse solo che smettesse di respirare; e Donnie agì d'istinto, protendendosi di più sopra a Mikey come a formare uno scudo. Ma quello continuava a fissare dritto negli occhi del più piccolo, quegli occhi ambrati e sadici, il respiro lento, calibrato e minaccioso, il petto muscoloso e tonico, slanciato che lo sovrastavano come una montagna, anche se, alla fine era alto solo qualche metro in più di lui.
-C'è la fai a camminare? Forse è meglio chiamare un taxi.- cercava di avere un tono positivo, Donnie, ma era difficile nella situazione attuale, con un nemico che era in procinto di accanirsi su di loro se non fosse stato per la forza di Raphael che riusciva a tenerlo buono nonostante la stazza dell'avversario.
Donatello prese il telefono in contemporanea con Leo; e mentre lui chiamava il suddetto taxi, l'azzurro si apprestava ad avvisare le autorità che assicurarono di arrivare al più presto. Ma, per un motivo o per un altro, arrivò prima la macchina che avrebbe portato a casa il proprietario e la vittima. Salirono e salutarono gli altri con un po' di rimorso nello sguardo, ma sicuri che sarebbe andata bene, che c'è la potevano fare, e così diedero l'indirizzo al tassista e attesero di arrivare; e appena giunsero a destinazione Donnie fece due viaggi: il primo per prendere i soldi per pagare il tragitto che diede all'autista, e il secondo per tornare dentro, aiutando il più piccolo a sorreggersi a lui mentre zoppicava, entrando dove ad attenderli c'erano le ragazze, con Cat che si era addormentata, o forse svenuta per la stanchezza e lo stress a causa di tutti quelli avvenimenti.
-Oh mio Dio! Mikey cosa ti è successo?-
Trasalì Venus, correndo ad abbracciarlo, quasi facendolo traballare e cadere all'indietro, ma riuscì a tenerlo saldo anche grazie all'aiuto delle braccia di Donnie; cullandolo nel vedere i suoi occhi intrisi di dolore e riempiti di lacrime racchiuse dentro a quei pozzi azzurri che sembravano aver perso tutta la luce, trasformati in un lago ghiacciato; congelati, scambiati con due pezzi di lastre di acqua solida e gelata, ma piene di crepe che percorrevano tutta l'iride fino a spezzarla e dividerla: in pratica in quegli occhi si intravedeva ciò che rimaneva del suo cuore, ora più che mai. Lei e Light purtroppo erano arrivate da poco, lasciando Grant e Aides nel loro appartamento, e Casey in quello accanto che gli apparteneva; arrivate avevano trovato una sala silenziosa, cosa abbastanza strana visto l'orario, e poi avevano visto Cat in quelle condizioni e si erano allarmate. Le amiche avevano avuto il tempo solo di spiegare ad entrambe tutto l'accaduto che poi la porta si era aperta ed un Donnie frettoloso aveva afferrato il proprio portafoglio sopra al ripiano ed era sceso giù per poi ritornare con un andatura più lenta dovuta al peso che si portava dietro mentre loro erano corse alla porta appena era arrivato, ma dandogli spazio per farli entrare.
Lo fecero accomodare sulla poltrona, aiutandolo a distendere la gamba fasciata sul tavolino che presto venne medicata con le dovute attrezzature e attenzioni, e, nel mentre di tutto ciò, il biondo dedicò tutto il suo sguardo alla luminosa Cat, e sospirò nel sentire il suo respiro dolce e il suo corpo muoversi a tempo di esso; felice che fosse viva e che stesse bene, che avesse raggiunto la casa e che ora fosse nel mondo dei sogni. Ma non poté sopprimere uno straziante senso di colpa nel ripensare allo sguardo terrorizzato che gli aveva rivolto dopo quello sparo, in quella casa dove a pochi passi c'era quel mostro. A tratti si dimenticò anche di respirare mentre si sentiva opprimere come dentro una scatola di vetro e di buio, sia dentro che fuori, piena di oscurità per quella colpa che lo macchiava: aver messo in pericolo una sua amica, la più importante, quella per cui provava qualcosa di più del semplice amore e che gli ricambiava, che lo amava in un modo tutto suo e che lui apprezzava; la ragazza più stupefacente e perfetta. Era tutta colpa sua se lei aveva rischiato di morire quella notte. E più se ne rendeva conto, più assimilava quel fatto che già conosceva, più la scatola intorno a lui, scura e fredda, cercava di schiacciarlo, cercava di annientarlo, di sconfiggerlo. Lo distruggeva. Quel buio, quel nulla lo rendeva solo, molto solo, e soprattutto distante dalla realtà di quel soggiorno caldo e accogliente e luminoso in cui si trovava, in mezzo a tanti amici che gli volevano bene e gli sorridevano apprensivi, ma lui non li vedeva. Il nulla lo sconfiggeva, era crudele; era pieno di rancori e paure. Il buio lo congelava, lo spaventava; era pieno di solitudine e silenzio. Delle sensazioni che conosceva fin troppo bene, perché c'era già finito in quella scatola, e lì era davvero difficile poter uscire e rivedere la luce, anche un piccolo e lieve fascio non poteva entrare là dentro, non con facilità, anzi, era impossibile da immaginare il sole in quella notte più nera. E lui la conosceva da tanto, e da tanto non la sopportava.
Odiava quella scatola.
  
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