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Autore: SomethingWild    14/08/2017    3 recensioni
[Clexa, Ranya, AU]
Lexa dirige una delle società più prestigiose di Wall Street, ma sono poche le persone con cui riesce ad essere realmente se stessa, lasciando da parte la maschera che il passato e il suo ruolo le hanno imposto. Clarke si è trasferita a New York da qualche mese per realizzare il proprio sogno, supportata dalle sue migliori amiche e in fuga da una vita che non le appartiene più.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Octavia Blake, Raven Reyes, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VI

«Grazie del passaggio.»
«Figurati, Clarke. A domani.» Octavia si sporse ad abbracciare l'amica, prima che questa uscisse dal taxi, Bellamy, invece, si limitò ad un cenno con il capo.
«Buona serata.» Clarke sorrise un'ultima volta e chiuse la portiera.
Bellamy la seguì mentre si avvicinava al portone della palazzina e riuscì a vedere che si chiudeva la porta alle spalle, quando il taxi ripartì per portarli alla Blake&Co., dove li aspettava ancora un paio d'ore di lavoro per sistemare i documenti.
«A che ora pensi finiremo?» chiese Octavia, richiamando l'attenzione di Bellamy.
«Puoi andare a casa, ci penso io.»
«No, ti aiuto.»
«Hai paura faccia altri danni? Stai tranquilla, non succederà.»
«Ma - »
«Va' a casa e goditi una serata libera, hai viaggiato per tutto il paese negli ultimi mesi solo per cercare qualcuno che ci aiutasse, quando quel qualcuno era proprio qui a New York.»
Octavia storse la bocca ed alzò un sopracciglio. «Stai forse ammettendo le tue colpe o dando ragione a me?»
«Direi proprio di no. Sono ancora convinto di ciò che ho detto fino a poco fa.»
«Vedremo» commentò Octavia, incrociando le braccia al petto. «E comunque una serata libera non cancellerà il jet leg accumulato in questi mesi, giusto perché tu lo sappia.» 
Bellamy accennò un sorriso, prima di sporgersi verso il tassista e dargli l'indirizzo di casa di Octavia, che pochi minuti dopo scese dall'auto, salutando il fratello.
Quando la portiera dell'auto si chiuse, Bellamy allentò la cravatta e sistemò la propria valigetta sul sedile accanto.
Il taxi raggiunse la sede della Blake&Co. mezz'ora dopo e Bellamy salutò cordialmente il tassista, con il quale aveva scambiato qualche parola sul tempo, mentre era rimasto da solo con lui. Quando raggiunse il suo ufficio, svuotò la valigetta e rilesse velocemente il contratto appena firmato, mentre continuava a scuotere la testa, sempre più convinto di aver commesso un errore di fronte alle lusinghe di Octavia e alle offerte di Alexandra Woods. 
Qualcuno bussò alla porta e Bellamy si affrettò a nascondere il contratto nel primo cassetto della scrivania: nessuno doveva sapere della clausola sul personale, altrimenti - ne era sicuro - si sarebbero allarmati tutti e avrebbero smesso di lavorare con serenità, risultando, alla fine, non adatti al posto nella nuova società di proprietà della Woods Corp.
«Avanti» invitò Bellamy, sistemandosi meglio sulla sedia.
«Bellamy, pensavo fossi andato a casa. Stavo chiudendo tutto, quando ho visto la luce accesa.»
«Nate. Vieni, siediti.»
Nathan si avvicinò alla scrivania e si sedette di fronte a Bellamy. «Com'è andata?»
Bellamy alzò le spalle. «Abbiamo firmato, alla fine.»
«Di già? Pensavo che fosse solo la presentazione del contratto.»
«Alexandra Woods ha deciso di raggirarci, ma alla fine siamo usciti tutti soddisfatti da quella stanza.»
Non stava dicendo una bugia, solo una mezza verità, si ritrovò a pensare Bellamy, mentre vedeva un sorriso calmo e sereno spuntare sul volto di Nathan.
«Bene! Sono contento siate riusciti a salvare la società. So quanto significa per voi.»
Bellamy sorrise, annuendo: «Grazie. Come va con Bryan?»
Nathan sorrise. «Diciamo che ci stiamo lavorando. Non mi piace molto il modo in cui Pike si approfitta di Bryan, ma a lui va bene e non vorrebbe mai deluderlo, quindi -»
«Quindi gli va bene fare straordinari tutti i giorni» concluse Bellamy.
«Già, ma non oggi. Gli ho espressamente vietato di accettare la richiesta di Pike questa sera.»
Bellamy corrugò la fronte ed invitò l'amico, che all'improvviso sembrava essere più raggiante ed agitato di quanto fosse mai stato, a continuare.
«Andiamo in un posto carino a cenare e ho pensato di fargli una sorpresa.» Nathan iniziò a muovere le mani in preda all'agitazione. «Sai, ultimamente non siamo andati molto d'accordo e vorrei fare un passo in più, per fargli capire che ci sono, completamente.»
Bellamy, stupito, sorrise: «Davvero?»
«Sì, sai, per ufficializzare le cose una volta per tutte. Così potrà anche prendersi qualche settimana di vacanza, senza sentirsi in colpa nei confronti di Pike.»
Bellamy si alzò. «Aspettami qui.»
Nathan annuì e Bellamy si recò nell'ufficio di Octavia, dove sapeva la sorella teneva una bottiglia di liquore, che usava quando Raven o Clarke la andavano a trovare in ufficio.
«So che sono contro l'alcol sul luogo di lavoro, anche se in piccole quantità, ma mi sembra un'ottima occasione per infrangere le regole.» 
Bellamy passò a Nathan un bicchierino di plastica che aveva rubato dalla macchinetta del caffè e aprì la bottiglia quasi vuota.
«Auguri, Nate. Sono felicissimo per voi.» Bellamy fece scontrare il proprio bicchierino con quello di Nathan e lo svuotò in un sorso.

«Dove mi porti?» Raven si avvicinò da dietro ad Anya, che si stava mettendo il cappotto, cingendole i fianchi e respirando sul suo collo, come sapeva adorava.
Raven sentì Anya sorridere, prima che si girasse nel suo abbraccio per guardarla.
«Non lo so. Dove vorresti andare?» le chiese Anya, soffiandole sulle labbra.
Raven alzò gli occhi al cielo, assumendo un'espressione pensierosa e portandosi un dito sotto il mento. «Non saprei. È così difficile scegliere quando si hanno così tante opzioni.»
«Qual è la migliore secondo te?» Anya le poggiò le mani sulle guance avvicinandosi per baciarla.
Raven si scostò. «Non vale distrarmi mentre penso.»
Anya rise leggermente, inarcando un sopracciglio: «Davvero? Non ti piacciono le mie distrazioni?»
Raven si soffermò troppo a guardare le labbra della donna che si muovevano per parlare. E Anya se ne accorse, perché non riuscì a trattenere un sorriso malizioso, prima di annullare completamente la distanza fra la bocca di Raven e la propria.
«Anya, vuoi un passaggio a ca - »
Lexa, stupita, si fermò e distolse lo sguardo, puntandolo a terra. I suoi sospetti che non avevano ragione di essere sospetti. Odiava non sbagliarsi mai.
Anya, in imbarazzo, si staccò da Raven, tentando di mascherare il rossore sulle guance. «Lexa. Pensavo fossi già andata.»
Lexa alzò gli occhi: Anya e l'ingegnere si erano allontanate e stavano aspettando che parlasse. «A meno che non abbia acquisito la capacità di volare, no» commentò la donna con freddo sarcasmo, notando l'imbarazzo delle due e mascherando il divertimento che l'espressione di Anya le stava provocando. «Direi che non hai bisogno di un passaggio. A domani.»
Lexa con un veloce cenno della mano si allontanò verso l'ascensore, sperando non tardasse ad arrivare.
«Dove eravamo rimaste?» chiese Raven ad Anya, avvicinandosi di nuovo, non appena le porte dell'ascensore si furono chiuse alle spalle di Lexa.
«Sei senza pudore, Reyes» le sibilò la segretaria, ancora in imbarazzo, pensando a come Lexa si sarebbe vendicata della situazione di disagio che le aveva appena provocato. La seconda nel giro di una sola giornata.
«Se vuoi posso riacquisire tutto il pudore perso negli anni. Anche se sinceramente non credo mi troveresti così tanto interessante.» Raven portò nuovamente un dito sotto il mento.
Anya si era accorta dell'abitudine della ragazza di portarsi un dito sotto il mento quando pensava o quando doveva rimarcare sarcasmo. Sorrise: da quando aveva imparato a leggere qualcuno che non fosse Lexa così tanto bene? Si avvicinò nuovamente a Raven, tirandole le maniche della giacca. «Direi che saresti comunque interessante.» Le morse il labbro inferiore. «Se non avessi provato alcune cose» le sussurrò a fior di labbra, prima di baciarla di nuovo.
Dopo qualche attimo, Raven si staccò. «Che ne dici se prendiamo del take away da qualche parte, più tardi?»
Anya sorrise: «Mi sembra un'ottima idea.»
Raven fece scivolare una mano in quella di Anya, tirandola verso l'ascensore. Anya fece intrecciare le loro dita, mentre un brivido le risaliva lungo il braccio. 
Chiamarono l'ascensore ed entrarono nella cabina.
Anya premette il tasto del piano terra, sentendo lo sguardo di Raven bruciarle addosso. 
«C'è un messicano nel tuo quartiere?» le chiese Raven mentre l'ascensore iniziava a muoversi.
Anya, confusa, si voltò a guardarla, mentre sentiva le dita di Raven stringere con più forza le sue. 
«Il tuo appartamento è più vicino, rispetto al mio» spiegò Raven.
Anya scosse la testa e sorrise, prima di sporgersi e lasciarle un veloce bacio sulla guancia.

Clarke salì le scale della palazzina, pensando che, forse, sarebbe stata una buona idea proporre ad Octavia e Bellamy di uscire a festeggiare con una birra.
Era contenta che i due avessero deciso di firmare l'acquisizione, alla fine. Certo: ora erano tutti in uno stato di precarietà alla Blake&Co., ma in sei mesi avrebbero avuto modo di trovare, o quanto meno iniziare a cercare, un nuovo lavoro. Fortunatamente lei lo aveva già trovato, eppure non riusciva a non biasimare Alexandra Woods: non capiva la sua scelta, non tanto sul piano finanziario - i dipendenti della Blake&Co. erano veramente tanti - quanto sul piano morale. Come poteva dormire la notte sapendo che delle persone avrebbero fatto fatica a mantenere la famiglia per causa sua?
Mentre rifletteva, Clarke era già arrivata davanti al proprio appartamento. Aprì la cigolante porta verde - avrebbe dovuto farla sistemare prima o poi -, si tolse la giacca e appoggiò la borsa sul tavolo, estraendo il blocco da disegno, su cui aveva preso qualche appunto durante la lezione della sera prima all’Università, ma senza riuscire a trovare la matita.
Passò qualche minuto alla ricerca della matita all'interno della sua confusionaria borsa, da cui aveva estratto, oltre a numerosi fazzoletti usati, la chiavetta USB che Raven aveva perso qualche settimana prima.
«Sei la persona più disordinata che io conosca, Raven Reyes» commentò, lasciandosi cadere sulla sedia, mentre riconosceva di aver perso la matita.
Probabilmente, pensò, le era caduta nell'ufficio di Alexandra Woods. Sbuffando, rimise nella borsa tutto ciò che aveva rovesciato sul tavolo, prima di aprire il blocco alla ricerca degli appunti, ritrovandosi a sfogliare le ultime pagine che aveva riempito. Quanti disegni aveva fatto negli ultimi mesi: due occhi incompleti, dallo sguardo freddo e inquisitore; un pastore tedesco che gioca con un ramo a Central Park; una barca che galleggia in lontananza durante il tramonto; una donna di profilo che osserva il traffico di New York dalle vetrate del proprio ufficio. Clarke scosse la testa. Non avrebbe mai finito quella specie di ritratto, non ora che stava letteralmente odiando il soggetto. Come aveva potuto convincere Bellamy a fidarsi di lei? In fondo non la conosceva neppure, ma quella stupida vocina nella testa le continuava a ripetere che di Alexandra Woods si poteva fidare, che era una persona sensibile e dolce, dietro a tutta quella formalità e freddezza. E lei tendeva a fidarsi fin troppo spesso di quella vocina che, in fondo, aveva sempre avuto ragione. Per questo, neppure questa volta, l'aveva messa in discussione e si era lasciata convincere a fidarsi di quella voce armoniosa - troppo armoniosa per una donna che doveva comandare - e di quegli occhi limpidi e verdi, che sembravano nascondere così tanto dolore. 
Clarke tentò di scacciare dalla mente l'immagine di Alexandra Woods, che continuava a tormentarla da quando le aveva rovesciato il caffè sulla camicia, sicuramente la peggior figuraccia che avesse mai fatto. Era come se, ora, la donna fosse proprio di fronte a lei, mentre le sorrideva, celando del divertimento, e si portava un dito sulle labbra per invitarla a fare silenzio. 
Clarke chiuse gli occhi e si passò una mano sulla fronte, pensando a quanto si sentisse ridicola a rivivere quella piccola crisi adolescenziale; perché era questo, vero?
Clarke sbuffò e si alzò dalla sedia, per dirigersi nel piccolo bagno accanto alla camera da letto. Si tolse i vestiti e aprì il getto della doccia. Chiuse gli occhi, mentre l'acqua iniziava a sfiorarle la pelle, e sospirò, iniziando a lavarsi i capelli.
I capelli di Alexandra erano molto più belli dei suoi: più morbidi, più curati, legati in quelle strane treccine o portati con immensa eleganza su una spalla, pensò, e, subito dopo, si ritrovò ad ammettere a se stessa che avrebbe voluto avere la possibilità di accarezzarli per averne la conferma.
Si sciacquò i capelli di fretta, iniziando a canticchiare una canzone, nel tentativo di pensare a qualcosa che non fossero i capelli o gli occhi di Alexandra Woods, o qualcosa che non fosse la donna stessa. Stava tentando di scacciare la donna dai suoi pensieri, eppure sentiva che una parte di lei non voleva che quell'immagine sfocasse, voleva che rimanesse esattamente lì dov'era, nella sua piccola perfezione. 
Si chiese come fosse la voce di Alexandra Woods quando cantava, sicuramente il suo timbro armonioso e un po' infantile sarebbe stato buffo da sentire in una di quelle canzoni che lei e Raven erano solite ascoltare in auto.
Clarke chiuse il getto dell'acqua, uscendo dalla doccia e cercando l'accappatoio. 
Si guardò allo specchio: era normale che provasse attrazione verso Alexandra Woods - pensò - era una bella donna, con un certo carisma e un portamento che avrebbero fatto invidia a chiunque. Aveva degli occhi particolari, con un bel taglio, che trasmettevano tante sensazioni, anche contrastanti. Era normale che Clarke, una giovane donna di New York, alla ricerca di se stessa, della propria realizzazione personale, provasse attrazione verso di lei. Era normale che Clarke volesse averla proprio lì, in quel momento, con gli occhi che vagavano sul suo corpo, che la esaminavano. Era normale. Doveva solo aspettare che quella piccola infatuazione le passasse.
"Il disprezzo verso di lei è più forte della sua bellezza" si disse, stringendosi nell'accapatoio. 
Quei pensieri le sembrarono vuoti e privi di senso, forse perché non capiva il motivo per cui avrebbe dovuto disprezzarla: ovviamente aveva ingannato i suoi amici, presentando loro un contratto con clausole intricate e complesse; ovviamente aveva detto loro una cosa, per poi farne un'altra; ovviamente l'aveva trattenuta nel suo ufficio per più di mezz'ora senza dirle nulla, solo per temporeggiare. Ed era ancora più ovvio il fatto che Alexandra Woods fosse stata l'unica ad offrire una vera possibilità di salvezza alla Blake&Co., che era stata la meno cinica di tutti, che era normale non avesse osato chiederle di aspettare prima di presentarsi davanti a Bellamy e Octavia.
Clarke si ricordò del senso di vuoto che l'aveva presa quel pomeriggio quando si era sforzata di apparire distaccata davanti ad Alexandra Woods, sfuggendo il suo sguardo, o quando aveva sciolto il contatto delle loro mani, che, invece, le aveva provocato un brivido lungo la schiena.

Raven sentì aprire la porta dell'appartamento e alzò la testa dal cuscino, aspettando che la testa bionda di Anya spuntasse dal corridoio con i sacchetti del take away. 
«Rae, sono tornata.»
Raven sorrise e si rotolò fra le lenzuola, finendo a pancia in giù e incrociando le braccia sotto il mento, attendendo l'arrivo di Anya, che si presentò pochi secondi dopo, con gli occhi assottigliati e un’espressione divertita e scocciata. 
«Non mangeremo lì.»
«Cosa? Vuoi davvero che mi sposti da qui?»
«Per quanto mi riguarda puoi anche non mangiare.»
«Ma è romantico.»
«Cosa? Mangiare tacos a letto e sporcare le lenzuola?»
Raven annuì, tentando l'espressione più dolce e convincente che avesse mai sfoderato.
«Non mi incanti. Ti aspetto di là.»
Raven sbuffò, mentre si alzava dal letto e recuperava i vestiti che si era tolta qualche ora prima, infilandosi in fretta la biancheria e una maglietta, e zoppicò verso il tavolo da pranzo, su cui Anya aveva sistemato il take away appena preso. 
Raven batté le mani, prendendo posto su una sedia. «Sembra buono!»
Anya sorrise, passando un tacos incartato a Raven. «Non l'hai ancora visto.»
Raven alzò le spalle e si picchiettò l'indice sulla punta del naso. «Ho fiuto per queste cose.»
«Se lo dici tu, ci credo» commentò Anya con tono divertito, sedendosi e osservando Raven addentare il primo pezzo di tacos.
Raven mugugnò, compiaciuta, qualcosa di incomprensibile, chiudendo gli occhi.
Anya sorrise, scossa da un moto di tenerezza di fronte a quel gesto così semplice e bambinesco. «Non ho capito niente, tesoro.»
Raven riaprì gli occhi di scatto, parlando a bocca ancora piena: «Come mi hai chiamato?»
Anya abbassò gli occhi. «In nessun modo.» 
Raven la squadrò, divertita. «Ho detto che non ho mai mangiato un tacos così buono.»
«Davvero? Pensavo tua madre facesse dei tacos deliziosi.»
Raven abbassò lo sguardo sulle proprie dita, senza sapere cosa dire: si fidava di Anya e sì, le avrebbe detto tutto, con lei poteva farlo, era il suo porto sicuro, gliel'aveva detto pochi minuti prima di alzarsi per uscire a comprare la cena. Le aveva lasciato un bacio e una carezza sulla spalla nuda, notando il suo sguardo amareggiato, causato proprio dal pensiero della madre che l’aveva colta alla sprovvista, e le aveva sussurrato quelle parole, prima di coprirla con il lenzuolo e sparire dalla stanza, con la promessa di tornare presto.
«Mia madre non è mai stata una madre molto presente» sussurrò piano Raven.
Anya allungò una mano su quella di Raven, posata sul tavolo, e le accarezzò il dorso della mano. 
«Non guardarmi così, ti prego» sussurrò di nuovo Raven, senza guardare Anya, che intrecciò le dita con quelle di Raven. 
«Guardami tu, Rae.»
Raven alzò lo sguardo, puntandolo in quello di Anya. 
«So che non ci conosciamo da molto, lo so. Ma dicevo davvero prima: puoi dirmi qualsiasi cosa, tutto. Quello che ti è successo, le persone che hai incontrato, le cose che hai vissuto, anche le peggiori, ti hanno reso la persona che sei oggi. La donna forte che sei. E questo non cambierà mai il tuo passato, ma può cambiarti la vita ed io sono qui anche per fartelo capire, per farti capire quanto tu sia speciale e importante, per tante persone. E anche per me.»
«Anya.»
Anya le sorrise. «Non sei obbligata a dirmi niente, se non vuoi. Non ti obbligherò mai.»
Raven le strinse le dita e sorrise, sussurrando un ringraziamento. 
Dopo qualche minuto, Raven posò sul tavolo quel poco che rimaneva del suo tacos. «E se volessi dirtelo? Per esempio ora?»
Anya diede l'ultimo morso al tacos e si sporse verso Raven, scostandole una ciocca di capelli dalla fronte, come aveva preso l'abitudine di fare, prima di accarezzarle una guancia. «Sarei esattamente qui.»
Raven posò sulla mano di Anya la propria. «Non ho mai conosciuto mio padre, probabilmente neppure mia madre sa chi sia» iniziò Raven, con un sospiro. «Sinclair è la figura più vicina ad un padre che abbia mai avuto. A lui e ad Abby Griffin devo tutto.» La latina iniziò a giocare con le dita di Anya. «Me la sono sempre dovuta cavare da sola, mia madre spendeva sempre i pochi soldi che riusciva a mettere da parte per l'alcol.»
Anya si alzò e fece il giro del tavolo per circondare, da dietro, con un braccio il collo di Raven e lasciarle un bacio sull'orecchio. 
«Quando ho conosciuto Clarke, lei mi ha accolto in casa sua come se fossi sempre stata parte della sua famiglia. Ho conosciuto sua madre Abby, che ha sempre avuto riguardo per me, poi mi ha presentato Sinclair, quando al liceo capì che avrei potuto avere di più. E così Sinclair mi ha insegnato tutto quello che so, mi ha pagato gli studi e sono andata via di casa.» La voce di Raven tremò.
«Credi di aver abbandonato tua madre, vero?»
Raven annuì e Anya la strinse ancora più forte.
«Non è così» le sussurrò e continuò a farlo, finché i singhiozzi silenziosi di Raven non cessarono.
Anya si inginocchiò di fronte a Raven, tenendole le mani. «Sono qui e non ti lascio» le sussurrò, prima di baciarle le mani e poggiare la testa sulle sue gambe nude. 
Raven le accarezzò i capelli. «Sei bellissima.»

Octavia si sdraiò sotto le coperte, cercando sullo schermo del telefono il numero di Raven, per l'ennesima volta, quella sera. Aspettò di sentire la segreteria partire e riagganciò. Quando Raven faceva così era insopportabile: diceva una cosa, gliela prometteva anche, e poi all'ultimo, senza neppure preoccuparsi di giustificarsi, non faceva nulla di tutto ciò che aveva declamato.
«Vorrà dire che guarderò il profilo Instagram di Lincoln White da sola» disse mentre si sporgeva verso il comodino per prendere gli occhiali da riposo. 
Raven si sarebbe persa delle belle foto. Octavia ne era certa mentre digitava la password del proprio account.
Ne fu ancora più certa quando vide la foto del profilo dell'uomo. 
Mentre faceva scorrere la pagina, consapevole del fatto che sembrasse un'adolescente alla prima cotta - e al primo tentativo di spionaggio - pensò fosse un peccato non condividere quelle foto con qualcuno.
"Clarke. Clarke sicuramente non mi darà buca: abbandonerà i libri e si fionderà sul telefono non appena sentirà il nome di Lincoln White" pensò mentre chiudeva la finestra di Instagram e apriva quella delle chiamate.
Il telefono iniziò a suonare, e continuò per diversi secondi, tanto che Octavia stava già iniziando a perdere le speranze, quando una Clarke affannata e agitata rispose alla chiamata: «Ehi, O', dimmi. È successo qualcosa?»
Octavia alzò un sopracciglio: «Perché dovrebbe essere successo qualcosa? Piuttosto tu, tutto bene?» 
«Oh, sì. Tranquilla. Stavo solo - ho solo dovuto correre per rispondere.»
«Come se il tuo appartamento fosse un circuito d'atletica, Griffin. Inventa scuse migliori. Ho interrotto qualcosa?»
Sentì Clarke sospirare dall'altro capo del telefono: «No. Niente.»
«Bellamy è lì?»
«Cos... Cosa? Per quale motivo Bellamy dovrebbe essere... Oh, no. Octavia. Piantala di fare certe insinuazioni.»
Octavia rise.
Un altro sospiro di Clarke raggiunse l'orecchio di Octavia.
«Non vedi come ti guarda?» le chiese Octavia cercando di trattenersi.
«No. E poi dovresti difenderlo e sostenerlo, non prenderti gioco di lui. È tuo fratello!»
«Non cambiare discorso, Griffin.»
«Io - non sto cambiando discorso.»
Un verso di disappunto uscì dalle labbra di Octavia.
«Hai chiamato per un buon motivo o solo per vedere se tuo fratello fosse qui?»
«Non sarebbe un buon motivo?»
«O', di cos'hai bisogno?»
«Niente. Sai, Reyes mi ha dato buca e mi chiedevo se ti andasse di stalkerare qualcuno con me.»
«Lincon White?»
«Esatto.»
«Di nuovo? Ma non l'avevi stalkerato, non lo so, due mesi fa?»
«Gli stalker non vanno in pensione.»
«Oh, questo lo. Non sarebbero stalker. E tu non saresti Octavia Blake.»
Octavia sorrise, mentre accedeva al suo account Instagram dal laptop: «Allora. Ci sei?»
«Ci sono.»
Prima foto: Lincoln White ad una conferenza in una scuola.
«Noioso» sussurrò Clarke dall'altro capo del telefono.
«Solo perché odi le scuole.»
«No. Perché è noioso.»
Octavia e Clarke continuarono a scorrere le foto, commentandole e facendo battute sulle espressioni che Lincoln White assumeva in alcune.
«Oh. Sexy» commentò sarcastica Clarke, vedendo una foto dell'uomo in palestra.
«Oh, Griffin. Lo trovi ancora noioso?» scherzò Octavia, ingrandendo la foto.
«Sì.»
Octavia ignorò la risposta di Clarke ed iniziò a passare lo sguardo lungo il corpo tonico dell'uomo.
«Oh. Cazzo.»
Il commento improvviso di Clarke, ridestò Octavia: «Cos'è successo?»
Clarke liquidò in fretta la domanda: «Niente. Devo andare.»
«Come, devi andare? Ti stai annoiando troppo?»
«No, è che mi sono appena accorta di essere indietro con lo studio. Mi dispiace O'.»
«Tranquilla. Buonanotte Clarke.»
«'Notte.»
Octavia scosse la testa mentre la linea si interrompeva: era stata molto strana Clarke quella sera. In realtà anche il pomeriggio quando si era presentata alla Woods Corp. per consegnare i documenti che Bellamy aveva dimenticato.
Dopo qualche minuto speso a misurare con gli occhi i muscoli di Lincoln White, Octavia passò alla foto successiva.
Lincoln aveva i guantoni da boxe e si stava allenando con un'altra persona. Octavia ci mise un po’ a riconoscerla: non era abituata a vederla con dei pantaloncini corti, una canottiera e i capelli legati in una coda disordinata. Alexandra Woods. 
Octavia trattenne a stento una risata. Era così diversa in quelle vesti, eppure manteneva l'aria autoritaria piuttosto bene anche sul ring. Scosse la testa, prima di passare ad un'altra foto.




NdA
Prima che riscrivessi questo capitolo, la forma originale era alquanto impresentabile, ora è un pochino meglio, ma non mi convince completamente.
Comunque sia, il risultato finale è stato questo capitolo in cui possiamo notare un lato inedito di Bellamy e una Clarke confusa, ma anche un ulteriore avvicinamento da parte delle Ranya, grazie a Raven, che decide di confidarsi con Anya, dimostrandole che si fida e che è pronta ad iniziare una relazione stabile con lei, affrontando i suoi sentimenti.
Grazie mille a chi continua a seguire e leggere la storia e a chi si ferma a lasciare qualche riga. 
A presto,
Chiara
   
 
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