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Autore: Alessia Krum    19/08/2017    2 recensioni
Acquamarina aveva continuato a vedere immagini, immagini brutte e spaventose, che non avrebbe mai voluto vedere. Acqua poteva pensare e vedere quelle figure, ma non stava né dormendo, né era svenuta, non era sveglia e non poteva svegliarsi. Voleva vedere e capire che cosa stava succedendo. Vide un villaggio, un piccolo villaggio sormontato da un castello. Il paesino sembrava tranquillo, ma fuori dalle mura si stava svolgendo una feroce battaglia. Persone con la pelle blu e le pinne combattevano con tutto quello che avevano e una grande speranza contro eserciti interi di mostri viscidi, squamosi e rivestiti da armature pesanti che mandavano bagliori sinistri. La battaglia infuriava. Per ogni mostro abbattuto, morivano almeno due uomini. Poi Acqua vide un uomo, protetto da un cerchio di mostri, che sembravano i più potenti e i più grossi. Quell’uomo aveva un qualcosa di sinistro e malvagio. Indossava un pesante mantello nero e continuava a dare ordini e a lanciare fiamme ovunque.- Avanti, Cavalieri, sopprimete Atlantis e l’oceano intero sarà mio! –
Genere: Fantasy, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 26
Ricordi dal passato

- Vedrai cugina, sarà bellissimo… immaginati la sala da ballo degli specchi tutta addobbata… ah, non ci sei mai stata? Malissimo, bisogna rimediare. Ah, comunque, mi devi dare una mano per gli addobbi floreali, quest’anno mi sono offerta di sistemarli ma penso proprio che da sola non ce la farò mai! E poi… - Corallina, appena messa a conoscenza della partecipazione di Acqua al ballo, aveva iniziato a blaterare senza sosta, presa dall’entusiasmo. Lei, Acqua, Max e zia Olimpia erano in sala da pranzo e stavano facendo colazione. Ovviamente la principessa non toccava cibo, per via del “fuso orario” tra un pianeta e l’altro. Semplicemente le piaceva far compagnia alla sua famiglia. Però, quel giorno era speciale. Era venerdì. Entro pochi minuti sarebbe partita insieme a Max, dire che era in ansia sarebbe stato un eufemismo. In più, doveva sorbirsi le chiacchiere incessanti della cugina, che si barcamenava tra un argomento e l’altro ad una velocità impressionante.
- Sai, verrà anche Ellys, chissà che abito avrà, lei che indossa sempre i primi vestiti che le capitano sottomano. Non mi stupirei se venisse con un abito corto come il mio, ormai sono tre anni che mi copia. Oh…  - e qui si illuminò - potrei aiutarti a scegliere il tuo, che ne pensi? - chiese ad Acqua con gli occhi dolci - Ti preeeego! - 
La cugina alzò gli occhi al cielo. Era sicura che accettare l’aiuto di Corallina avrebbe comportato una quantità esagerata di fiocchetti e brillantini ovunque, ma non sapeva come fare. Da sola non avrebbe mai ottenuto un risultato almeno decente. Doveva ammettere che il suo piano prevedeva di indossare un abito scelto a caso dall’armadio. 
Max, di fronte a lei, sorrise alla sua espressione scocciata. Sembrava dire: “sono contento di non essere al tuo posto”.
- Ok, d’accordo. Fai pure tu, Corallina. - rispose Acqua, controvoglia. Questo non fece che aumentare l’euforia della ragazza, che riprese a parlare senza sosta.
Nel frattempo Max aveva finito di mangiare e si era alzato.
- Andiamo? - chiese ad Acqua. Lei si alzò in piedi come una molla, facendo cadere la sedia dietro di sé. Rimise tutto a posto, poi scattò sull’attenti, facendo ridere la cugina.
- Fate attenzione. - raccomandò loro Olimpia che, invece, di ridere aveva poca voglia. Era preoccupatissima per l’alta possibilità di attacchi nemici al di fuori delle mura, e sarebbe stata in ansia per tutto il giorno, fino a quando i due non sarebbero tornati. Li abbracciò e li baciò entrambi, poi i ragazzi si avviarono.
Arrivati al salone d’ingresso, Acquamarina si sarebbe aspettata di proseguire ed uscire dal castello, invece Max la condusse verso una porticina sprangata che si distingueva appena nel muro. 
- I sotterranei. - disse lui, togliendo la spranga e aprendo la porta. Fece passare Acqua, poi entrò anche lui e richiuse la porta a chiave. Il piccolo pianerottolo su cui si trovavano era largo circa un metro e lungo due. Una piccola torcia accesa scoppiettava in un angolo, ma dalla scala che Acqua pensava fosse davanti a loro non veniva nemmeno un piccolo bagliore, era completamente buio.
Max si allungò a prendere la torcia e iniziò a scendere le scale, prendendo Acqua per mano. Lei si accorse solo in quel momento di tremare per il nervosismo, così si  impose di calmarsi. 
Max teneva la torcia ben stretta davanti a loro, ma la luce bastava appena per illuminare due scalini. Dopo un paio di minuti Max si fermò . Avevano trovato una torcia molto più grande appesa al muro, e lui la stava accendendo con quella che aveva in mano. Da lì in poi, ogni dieci metri c’era una torcia da accendere, e il percorso si fece via via più luminoso. 
Continuarono in questo modo per una decina di minuti, Max a suo agio come a casa propria, Acqua col cuore in gola, poi le scale si trasformarono in un lunghissimo corridoio dove , su entrambe le pareti, si aprivano celle di ghiaccio con strettissime sbarre di ferro sul davanti.
Il pensiero di dover passare lì in mezzo inquietava Acqua (e non poco), ma la ragazza non aveva notato la piccola porticina sulla destra dove era appena entrato Max. Si sentì tirare per la mano e, sollevata di poter evitare quel percorso oscuro, lo seguì. 
Entrarono nella stanza, che era già illuminata da quattro torce negli angoli. Max lasciò la mano di Acqua per andare a posare la piccola fiammella in un apposito buco al centro di un tavolo. La ragazza si guardò intorno. 
La camera non era poi così grande, al centro c’era un tavolo rotondo di legno e sulla parete a sinistra c‘era un armadio enorme, lungo come tutta la stanza. I muri erano fatti di mattoni di ghiaccio, un tipo di costruzione che Acqua non aveva mai visto e che, come le spiegò Max in seguito, era molto resistente. 
Sulle pareti, ogni centimetro di spazio disponibile era occupato da variati tipi di armi: spade, balestre, mazze chiodate, archi, frecce, lance, arpioni, spade ad uncino e scudi erano appesi in bella mostra e qua e là si trovavano pezzi di armature e ed elmi. 
In alto, sopra tutta quell’accozzaglia di pezzi di ferro, svettava uno stendardo quadrato con il simbolo di Atlantis, le quattro colonne blu notte che sorreggono il mondo.
- Ok, Acqua, questa è la stanza delle armi, penso che tu l’abbia capito. Si trova qui nei sotterranei perché è la zona più protetta del castello. - disse Max. Poi, seguito dalla ragazza, aprì una delle ante dell’armadio e tirò fuori dal ripiano più alto una cintura con doppio fodero. La indossò, poi prese due spade dal muro e le studiò per bene. 
- Questa è messa malissimo. - sospirò, osservando quella sinistra. L’appoggiò sul tavolo e infilò l’altra nel fodero. Si diresse nuovamente verso il muro e scelse un pugnale lungo una quindicina di centimetri. 
- Questo è per te, spero che tu non ne abbia bisogno, ma non si sa mai. - disse, porgendolo alla ragazza. 
- Ti ricordo che sei stato tu a non volermi insegnare a combattere. - ribatté lei, e gli rifilò un pugno sulla spalla. Lui sorrise, ma non disse nulla; dalla sua espressione Acqua capì di non avergli fatto nemmeno il solletico. Accettò di buon grado di prendere il pugnale e rimase ad osservare le sue dita chiuse sull’elsa. In tutta la sua vita l’idea di impugnare un’arma non l’aveva neanche mai sfiorata e ora si trovava con un pugnale in mano e ben contenta di averlo. Pensò a quanto fosse strana la vita, a volte. La lama di ferro scintillò alla luce della torcia.
Intanto Max aveva preso fuori dall’armadio due mantelli color sabbia e li aveva stesi sul tavolo. Dietro, sulla schiena, vi erano state cucite due bandiere di Atlantis. 
- Queste sarebbero da togliere, così ci mimetizziamo meglio. Riesci a farlo tu? Io intanto affilo la spada. - le chiese Max
- Certo, per queste cose sono bravissima, è quello che faccio da quindici anni a questa parte. - disse Acqua. Quindi afferrò un lembo di quella strana stoffa, morbida e spessa più di due centimetri, e cominciò a scucire lo stemma. Anche Max si mise al lavoro e, preso uno strano aggeggio dall’armadio, iniziò a passarci la spada attraverso, avanti e indietro. Faceva movimenti precisi e veloci, e in poco più di cinque minuti aveva finito. Ripose tutto nell’armadio e infilò anche quella spada nel fodero, poi prese un altro pugnale dal muro e aiutò Acqua a finire di scucire. Anche se come sarto non era proprio il massimo, se la cavava. Acqua aveva la sensazione che avesse dovuto imparare a fare molte cose da solo, negli anni. 
Quando ebbero finito, indossarono i mantelli (che essendo entrambi della misura di Max, ad Acqua stava a dir poco enorme), e ritornarono nel salone del castello, per poi uscire.
- Noi adesso dovremmo uscire dalla porta nord, quindi dovremmo girare intorno al castello, però mi hanno chiamato urgentemente dalla torre sud-est e dovrei fare un salto, se non ti dispiace. - disse Max, passandosi una mano tra i capelli, evidentemente dispiaciuto di dover rimandare la partenza di un altro po’. Acqua annuì, alzando le spalle.
- Sì, penso che si possa fare. In fondo una mezz’ora non cambia molto. - disse Acqua, così si incamminarono. Non aveva ancora detto a Max che sapeva che lui era il presidente del Consiglio di Guerra, ma non poteva intralciarlo nei suoi compiti. Sarebbe andata con lui senza protestare. La giornata era lunga e non ci avrebbero messo così tanto ad arrivare alla foresta. O almeno era quello che sperava. Improvvisamente le venne un’idea. 
Raggiunse Max che camminava qualche metro davanti a lei e gli disse quello che le era venuto in mente.
- Max! Per risparmiare tempo non potremmo andare sulla Terra e da là trasferirci direttamente alla foresta? Sarebbe molto più veloce in questo modo. - 
- Ci avevo pensato anche io, ma sembra che non si possa. Il campo magnetico della foresta ti rispedisce indietro subito. -  rispose lui, scuotendo la testa. - Comunque il mezzo di trasporto (se si può chiamare così) che ho scelto è abbastanza veloce e ci metteremo circa tre quarti d’ora ad arrivare, non preoccuparti. E poi ci metto poco a fare quello che devo fare. - le sorrise. Continuarono a camminare in silenzio. Al loro passaggio la gente si inchinava e salutava e Acqua non poté fare a meno di sentirsi imbarazzata. Anche se scene del genere le capitavano ogni giorno, non ci aveva ancora fatto l’abitudine.
- Mi sembra di essere un marziano. - rise Acqua - Mi guardano tutti! - 
- Dovrai farci l’abitudine… - le disse allora Max. Proprio in quel momento arrivarono alla base delle scale che correvano sul fianco delle mura e arrivavano fino in cima. 
- Vieni, piccola marziana, saliamo qui. - disse Max, con un piede sullo scalino. Acqua lo raggiunse e gli diede una spinta scherzosa.
- Non si scherza con il fuoco. - commentò lui, ridendo, e la spintonò a sua volta. Continuarono con quel gioco fino alla fine delle scale. Acqua si soffermò a guardare fuori dalle mura. Il paesaggio sembrava strano, diverso. Più… consumato, gli alberi distrutti, quelle poche case che c’erano fuori dalle mura erano ridotte a cumuli di cenere, e ovunque posasse lo sguardo vedeva mucchi di Cavalieri morti, ossa e armi sparpagliate alla rinfusa. Anche Max si era fermato accanto a lei, e osservava la desolazione più profonda con occhi assenti. 
Si riscossero entrambi al suono di un corno lì vicino, e proseguirono verso la torre sud-est. 
Il camminamento sulle mura era abbastanza stretto e Max e Acqua, affiancati, occupavano tutto lo spazio disponibile. La ragazza fece appena in tempo a scorgere una colonna di persone che si dirigeva in senso opposto al loro, che Max si spostò e si mise davanti a lei, per far passare tutti quei soldati che si stavano avvicinando. Si mise in punta di piedi e, oltre la spalla di Max, vide una moltitudine di mantelli color sabbia come il suo che camminavano in fila. In testa a tutti stava una persona molto più bassa e gracilina delle altre, ma quello che colpì Acqua da lontano fu che portava un mantello diverso da tutti gli altri, blu notte con lo stemma sabbia. Probabilmente era un comandante, o qualcuno di importante, anche se dalla statura e dalla corporatura sembrava solo un ragazzino. Ma questo non si poteva confermare con facilità, dato che il cappuccio del mantello era perfettamente calato sul viso e i lineamenti si potevano solo immaginare. Tuttavia, Passò qualche minuto prima che il gruppo di soldati arrivasse a passare a fianco ai due ragazzi, che si fermarono accanto al muro per lasciarli passare più velocemente. Max fece un cenno di saluto al comandante della spedizione e questi rallentò il passo, sollevando il viso di qualche millimetro.
Finalmente Acqua riuscì a scorgere il suo volto: il viso di una ragazza, dai lineamenti delicati, gli occhi color del ghiaccio e lunghi capelli neri che le ricadevano sulle spalle. Rimase di sasso: il comandante  che aveva scambiato per un ragazzino in realtà era Celeste. 
- Fermatevi. - ordinò brusca ai suoi soldati. Acqua la salutò con la mano e un cenno della testa; sebbene le risultasse difficile provare un qualsiasi tipo di simpatia per lei, tentò di dimostrarle che l'ostilità se n'era andata. La ragazza slacciò il mantello sul davanti, lasciando intravedere l'armatura dorata che indossava sotto e facendo attenzione che il cappuccio rimanesse ben fermo a coprirle il viso. Ricambiò il saluto di Max mettendosi sull'attenti e quello di Acqua con un veloce sorriso.
- È andato tutto come previsto, Generale. Nessuna complicazione. - disse Celeste con la sua solita voce roca. Pian piano il suo volto si rischiarò e alla fine della frase sorrise, compiaciuta. Max non fece una piega, la sua espressione rimase impassibile come se stesse parlando del tempo con una persona incontrata per caso.
- Voglio un resoconto scritto entro stanotte, intesi? Voialtri potete andare a riposarvi. - Disse Max, al che Celeste ripeté il saluto.
- Sissignore! - disse, quindi si voltò e ordinò ai suoi di continuare per la loro strada, in testa al gruppo. Anche Acqua e Max proseguirono per la loro strada, silenziosi. In pochi minuti arrivarono alla torre ed entrarono nella stanza alla base di essa, dove trovarono un ragazzo più o meno dell'età di Max che scattò sull'attenti.
- Buongiorno, generale! Principessa. Il capitano Geyer vi aspetta al piano di sopra. Mi ha raccomandato di non farvi salire fino a quando non vi avesse chiamato lui stesso. Nel frattempo avete bisogno di qualcosa, Generale? - disse, trattenendo il fiato in attesa di ordini. 
- Riposo. Al momento non necessito di nulla, Kole, grazie per l'interessamento. Aspetterò che il capitano mi chiami. - rispose Max, poggiandogli una mano sulla spalla. - Ottimo lavoro, ieri, con quel Mutaforme. - 
- Grazie, signore. - rispose umile il soldato, che sembrava avere una grande soggezione di Max. Nel frattempo una voce profonda dal piano di sopra li invitò a salire. I due ragazzi si arrampicarono su per una stretta scala a chiocciola fino al piano superiore. 

***

Completata anche quell'incombenza, Acqua e Max furono liberi di attraversare la città e arrivarono in un baleno alla porta nord. Acqua ascoltava rapita il cigolio ritmato dei cardini della porta, che si apriva lentamente per farli passare. In pochi secondi si ritrovarono al di fuori delle mura, oltrepassando l'invisibile confine che separava il territorio sicuro da quello in mano al nemico. Un brivido corse lungo la schiena di Acqua quando si accorse che il viaggio vero e proprio iniziava lì. 
Max le fece strada, deviando leggermente il loro percorso ad est. Probabilmente il ragazzo aveva capito che lei sapeva che era il comandante dell'esercito, dato che non si era sorpresa quando, al suo passaggio, tutti scattavano sull'attenti e lo chiamavano Generale. Ma a quanto pareva aveva deciso di non chiederle il perché. Acqua non poteva fare a meno di pensare a quanto fosse diverso il Max che conosceva lei, quello solare, divertente e dolce, dal Generale Max, che tutti temevano e rispettavano. Insomma, anche lui aveva una doppia faccia. Ma aveva deciso che non le importava. 
Nuotarono fianco a fianco nel più assoluto silenzio per circa un quarto d'ora, percorrendo infinite distese di sabbia simili al deserto. Acqua si chiese come diavolo facesse Max a orientarsi in mezzo a quelle dune tutte uguali. In effetti, sembrava che il ragazzo stesse facendo una tranquillissima gita, e non dava segni di preoccupazione. Ogni tanto controllava una specie di orologio che portava al polso, che probabilmente era una bussola o qualcosa di simile. Continuarono a nuotare fino a quando non intravidero qualcosa in lontananza. Era come un filo sottile che si muoveva sinuoso all'orizzonte, più in alto della sabbia. Man mano che si avvicinavano, Acqua riusciva a capire meglio che cosa si trovava di fronte: era una specie di vortice cilindrico che ondeggiava come un nastro sospinto da una brezza leggera. Ormai arrivati in prossimità del vortice, Max rallentò il ritmo e si fermò. Acqua lo imitò, attendendo una spiegazione da parte del ragazzo.
- Questa è una corrente di traslazione, viene usata per spostarsi velocemente, dato che all'interno convergono un insieme di correnti che consente di viaggiare ad una velocità elevatissima. Se vogliamo, è l'equivalente di un'autostrada terrestre. Questa corrente porta direttamente dove dobbiamo andare noi. - disse lui - Prima della sua morte, era tuo padre a controllare questo tipo di correnti. Con il trasferimento dei poteri alla spada, le correnti sono rimaste esattamente come erano durante l'ultimo secondo di vita del re. Io e tua zia pensiamo che, quando tu prenderai possesso dell'Intoccabile, i poteri si trasferiranno a te. Quindi dovrai ricominciare da capo con le lezioni di magia, molto probabilmente non riuscirai a controllarli da subito. - Acqua annuì, l'acquisizione di nuovi poteri non la preoccupava. Tutto quello che voleva era diventare più forte.
- E noi come facciamo a prendere questa "autostrada"? - chiese, divertita.
- Avanzando di pochi metri entreremo nel raggio di azione della corrente, poi la forza dell'acqua farà tutto da sé. Adesso prendi la mia mano, le diverse correnti all'interno potrebbero farci viaggiare a velocità differenti, se non restiamo uniti. - 

***

Il viaggio all'interno della corrente di traslazione fu incredibile. Dopo alcuni minuti di stordimento generale, dovuto alla velocità folle a cui viaggiavano e ai continui sballottamenti, Acqua si sentiva come al luna park. Poi Max le aveva insegnato come assecondare la corsa dell'acqua e tutto diventò molto più semplice e divertente. Fra capriole e volteggi Acqua si sentiva come a casa propria, e imparò più velocemente di chiunque altro a cui Max avesse mai insegnato a barcamenarsi tra le correnti. Forse merito del suo potere, la ragazza provava una strana ed eccitante sensazione di libertà, ed era più euforica che mai. Circa a metà del tragitto, i ragazzi si imbatterono in un gruppo di tartarughe che come loro stavano viaggiando verso nord, ma su una corrente più bassa e lenta. Acqua fu talmente entusiasta di quell'incontro che trascinò Max verso le tartarughe e cominciò a saltare sul loro dorso, fino a quando la corrente non li trascinò via. Circa un quarto d'ora più tardi, Max controllò la bussola.
- Acqua, dobbiamo uscire! - urlò alla ragazza. Lei annuì, e si lasciò trasportare dalla mano di Max che si stava dirigendo verso il bordo della corrente. Il ragazzo sporse una mano all'esterno e, con uno strattone violentissimo, i due furono sbalzati fuori. Acqua atterrò dolcemente al fianco di Max. Il paesaggio intorno a lei era decisamente cambiato: le rocce che spuntavano ovunque erano ricoperte da coralli ghiacciati ed alghe talmente piccole da sembrare muschio. Alghe simili spuntavano anche in mezzo alla sabbia, una miriade di ciuffetti sparsi qua e là. Davanti a loro iniziavano a crescere alberi simili a betulle e pini, con la differenza che avevano le foglie marroni come i tronchi. Più avanti formavano una vera e propria foresta. Ma la differenza più importante era che faceva freddissimo. Acqua rabbrividì e chiuse meglio il mantello sul davanti. 
- Andiamo? - disse, fissando la foresta all'orizzonte, rendendosi conto solo dopo che la voce le era uscita tremula. Max partì subito, senza rispondere, a piedi, e Acqua lo seguì. Da qualche parte aveva letto che durante le spedizioni meno si parlava, meglio era. In quel modo si potevano sentire i più piccoli rumori, compresi quelli di nemici nascosti da qualche parte in agguato. Ma Acqua non riusciva proprio a trattenersi, doveva chiedere a Max una cosa importantissima e non aveva intenzione di rimandare a più tardi. Accelerò il passo e si affiancò all'amico.
- Max, devo chiederti una cosa. - sussurrò la ragazza, sempre più in ansia. La foresta si stava infittendo passo dopo passo e diventava sempre più inquietante. - Secondo te cosa succederà quando prenderò la spada? - chiese, senza aspettare che Max le desse il permesso di parlare. Lui sorrise.
- Nervosa, eh? - 
- Giusto un pochino. - rispose, sarcastica, roteando gli occhi. Sembrava che Max la stesse prendendo in giro e questo la faceva arrabbiare.
- Dai, Mister Simpaticone, non hai risposto alla mia domanda. - 
- Non posso dirlo di preciso, però penso che dovresti sentire il canto del Dragone. é così che dovrebbe andare. In fondo in quel momento riceverai un nuovo potere, quindi... - Max scrollò le spalle. 
- E non si sa nulla di quello che troverò dentro la cupola? O di dove si trova la spada? Questa foresta potrebbe essere estesa kilometri, non riuscirei mai a cercare ovunque... Max? - Acqua era talmente presa dal suo discorso che non si era accorta che lui era rimasto indietro. Ritornò sui propri passi e lo trovò nascosto da alcuni alberi, spingeva con le mani contro una barriera invisibile. Solo quando la toccava si poteva percepire la sua esistenza, altrimenti non si sarebbe nemmeno notata. Acqua aveva oltrepassato la cupola senza rendersene conto. Rimase per qualche secondo ad osservare Max che aveva le mani contornate da uno strano alone colorato e non poté fare a meno di ridere. Cercò di appoggiare le punte delle dita alla barriera dall'interno, ma non trovò nulla di solido che la sostenesse. Ora aveva mezza mano fuori e tutto il resto del corpo dentro. Oltrepassò la cupola, come prima senza sentire assolutamente niente. 
- Allora io vado. - disse, con un sorriso nervoso. Max la sorprese con un abbraccio, che la rese un po' più tranquilla. Si concesse qualche secondo fra le sue braccia prima di partire. Poi si separarono, con uno struscio di vestiti che accompagnò Acqua nei minuti successivi. Il silenzio intorno a lei la opprimeva. Camminava a passo spedito, senza sapere dove andare. Si dirigeva automaticamente verso nord, ogni secondo che passava faceva sempre più freddo. Gradualmente il paesaggio cambiava: ai pini si erano sostituiti alberi simili a grandi querce di ghiaccio e senza foglie. E forse era solamente lei che si stava impressionando, ma sentiva fruscii dappertutto. I rami si muovevano da soli al suo passaggio e risplendevano di strani colori, come se fossero stati attraversati da un arcobaleno. Una scia di luce dorata passò accanto ad Acqua, sembrava una cometa. A quel punto la ragazza cominciò a preoccuparsi. Si guardò intorno respirando affannosamente: quella storia non le piaceva per niente. Estrasse il pugnale che aveva portato con sé. Un'altra cometa le passò di fianco, a sinistra. Poi un'altra ancora da destra, da sopra, vedeva arrivarne da ogni direzione. Poi improvvisamente una di esse esplose, spandendo luccichii iridescenti ovunque. Dove si trovava prima il corpo della cometa si era formata una nebbiolina sottile, piena di riflessi colorati. Acqua si fermò a guardare, vedendo che la nebbia si stava addensando, formando strane figure. Diversi minuti dopo si erano delineati i volti di tre personaggi. Quando li riconobbe, Acqua stentò a crederci. Si portò una mano tremante alla bocca, incredula. Uno era suo padre, in armatura, l'altra era sua madre e l'ultima figura era lei stessa. Era la scena dell'ultimo addio con il papà, esattamente uguale a come se la ricordava lei, a grandezza naturale e talmente reale che sembrava stesse accadendo sotto i suoi occhi. Poi la scena si dissolse, sparendo nell'acqua. Quelle specie di comete che vagavano nella foresta erano i ricordi di suo padre, e come primo ricordo lui le aveva mostrato quello, che era l'ultima volta in cui l'aveva vista. Il padre le aveva dato un personalissimo benvenuto. Acqua dal canto suo capì subito che in quella foresta c'era qualcosa di soprannaturale, sentiva una presenza intorno a lei che colmava il vuoto. Non si sentiva più così sola come prima. Tutti i rami degli alberi di ghiaccio nelle vicinanze si protesero verso di lei, come per stringerla in un abbraccio. Acqua lasciò andare il pugnale, come poteva non fidarsi? Suo padre era lì intorno, ovunque, lo sentiva. Cercava di abbracciarla, di esprimerle il suo affetto, il suo amore. Non riuscì ad impedire che una lacrima le scorresse sulla guancia. 
- Anche io ti voglio bene, papà. - sussurrò, la gioia che le riempiva il cuore, un velo di lacrime che le offuscava la vista. Altre comete sfrecciarono sopra la sua testa dirigendosi verso nord. Acqua decise di seguirle. Man mano che andava avanti e si avvicinava ad alcune di quelle scie luminose, queste scoppiavano, mostrandole ogni volta una scena diversa della sua vita da neonata, i ricordi più belli di suo padre quando era insieme a lei. Assistette strabiliata al suo primo giorno di vita, alla sua prima nuotata, ai momenti delle coccole, ai capricci, al suo primo giocattolo, al suo primo compleanno. Non riusciva a smettere di sorridere. Poi il padre passò ai ricordi in cui era con Azzurra, quando ancora Acqua non era nata. Mille comete esplosero mostrandole il loro primo incontro al ballo, le uscite, il giorno in cui erano fuggiti, una delle frequentissime sfuriate della nonna, il primo bacio, la proposta di matrimonio, l'incoronazione, il giorno del sì, il momento in cui Azzurra le aveva rivelato di essere incinta. Acqua seguiva le comete, dimenticandosi completamente del motivo per cui era lì.
- Adesso mi mostri qualcosa di te? - chiese, apparentemente al nulla. In realtà il padre era costantemente presente, e per rispondere di sì agitò i rami dell'albero lì vicino. I ricordi successivi furono una carrellata sulla sua infanzia e sulla sua adolescenza, sul suo ingresso nell'esercito, sui piccoli momenti di vita quotidiana. Poi i ricordi si interruppero, non c'erano più comete che arrivavano a tutta velocità.
- I ricordi sono finiti? - chiese Acqua, e ancora una volta si vide rispondere con una scrollata di rami che interpretò come un sì.
- Peccato. Ora sarà meglio che mi dedichi alla ricerca della spada, o non la troverò mai… - disse, e si sentì spingere da dietro da una corrente fortissima.
- Mi stai indicando la strada? - chiese e, quando vide l'ennesimo movimento dei rami, un sorriso le illuminò il volto.
- Bene, ti seguo! - esclamò con entusiasmo. La corrente la spingeva sempre verso nord. Il freddo le penetrava nelle ossa, si insinuava in ogni singolo anfratto disponibile. Acqua si stringeva sempre di più nel mantello, ma non bastava per proteggerla  da quel freddo polare. Tremava come una foglia quando arrivò in quello che doveva essere il polo nord del suo mondo. C'era una specie di radura in mezzo agli alberi e il ghiaccio aveva preso il posto della sabbia, a terra. Al centro della radura c'era il tronco tagliato di un albero di ghiaccio, alto all'incirca fino ai suoi fianchi. L'interno, che sembrava cavo, era pieno di aghi di ghiaccio di mille colori, talmente fitti che non si poteva infilare una mano dentro senza pungersi. Eppure Acqua era sicura che la spada si trovasse lì dentro. Si avvicinò lentamente al ceppo e appoggiò le mani sul bordo. Mosse la destra come per infilarla dentro, ma si fermò subito. Quegli aghi erano così appuntiti, la spaventavano moltissimo. Ma la spada si trovava lì dentro, ne era sicura, come era sicura della presenza del padre. E poi, dopo tutte le manifestazioni d'affetto a cui aveva assistito, come poteva il re permettere che quegli aghi le maciullassero un braccio? Si fece coraggio e immerse la mano negli aghi. Come aveva immaginato, erano solo un'illusione, aveva oltrepassato anche quell’ostacolo senza sentire nulla. La sua mano si strinse sicura sull'elsa, e un brivido di eccitazione le corse giù per la schiena. Ce l’aveva fatta! Sorrise, battendo i denti, strinse di più sull’impugnatura e tirò su la spada, facendo leva con l’altra mano, che era appoggiata sul bordo del ceppo. Dovette sforzarsi, e non poco, per sollevarla completamente e tenerla dritta davanti a sé. 
Dunque era quella la famosa Intoccabile. 
Anche per lei, che non era di sicuro un’esperta di armi, la differenza tra quella e una spada normale sembrava evidentissima. Innanzitutto, era grande il doppio, se non il triplo, di una spada normale. Era di un metallo stranissimo, blu e iridescente, e tempestata di gemme preziose ovunque. Proprio sull’elsa, che era esageratamente grande per la sua mano, si trovavano tre grandi pietre: al centro un diamante, a destra uno smeraldo e a sinistra un’acquamarina. 
Acqua rimase ferma con entrambe le mani sull’impugnatura, la lama ben dritta di fronte, in attesa di sentire il canto del Dragone. Ma non succedeva proprio nulla. 
Inclinò leggermente la spada, e colse di sfuggita il proprio riflesso sul metallo. 
In quel momento dalla spada si sprigionò una fascia di luce incredibile. Per un momento Acqua non vide niente, accecata da quella che sembrava un’esplosione in piena regola. Piantò le pinne a terra per contrastare la forza dell’onda d’urto, e si voltò per proteggersi dalla luce che le feriva gli occhi. Quando la luce si attenuò, e Acqua si fu abituata a quella luminosità eccessiva, si erano formate centinaia di nuove comete che si scontravano tra loro e si fondevano, fino a dare vita ad un'unica, grande stella. La ragazza rimase a guardare, abbassando la spada, quello stranissimo spettacolo. La stella poi cominciò ad ingrandirsi e a prendere le forme di migliaia di persone. Davanti ai suoi occhi, Acqua vide materializzarsi l'ultimo, terribile ricordo.

Una distesa infinita di sabbia. Una città le cui mura si intravedevano appena in lontananza. E una folla enorme, una marea di combattenti che si agitavano come un mare in tempesta. Un urlo si levò, fortissimo, sopra il frastuono della battaglia. Il Signore del Buio sorrise, mentre avanzava lentamente, protetto dalla schiera di Cavalieri più temibili e forti. 
Acqua sussultò, e perse la presa sulla spada, che cadde a terra e si conficcò con la punta nel ghiaccio.
Alcuni dei mostri nemici avanzavano tra la folla, spingendo la gente a retrocedere sempre di più. Formavano una lunga fila che impediva agli atlantiani di avanzare. Tutti i mostri che erano impegnati in combattimento si fermarono e raggiunsero gli altri, racchiudendo tutti gli atlantiani in una specie di recinto. Altri Cavalieri stavano giungendo raggruppati in un manipolo e oltrepassarono la barriera di corpi diretti verso il Signore Oscuro Darcon, trasportando qualcosa con loro. Qualcosa o qualcuno. 
Due mostri depositarono il prigioniero, o meglio, lo scaraventarono a terra, in ginocchio davanti al loro padrone, mantenendolo stretto per i polsi, legati dietro la schiena, in modo che non si potesse liberare. Un altro mostro infilò le dita sudicie tra i suoi capelli, castani e tagliati a scodella, e tirò forte per fargli alzare la testa. Lo sguardo castano dell'uomo si alzò in segno di sfida verso gli occhi crudeli e spietati del nemico. 
- Mio signore! - urlò un atlantiano in mezzo alla folla, e cercò di schivare l'attacco dei mostri per lanciarsi in aiuto del sovrano. Ma un Cavaliere lo precedette e la sua lama calò precisa sul collo dell'uomo, che in meno di un secondo giaceva a terra, decapitato.
- Ascoltatemi tutti! - urlò il re con voce solenne - Non muovete un solo passo! Restate tutti dove siete , non fate nulla! - nemmeno per un secondo il re smise di fissare Darcon. La bocca dell'Oscuro signore si curvò in un sorriso folle.
- Bene, bene, bene. Ci comportiamo ancora da eroi, eh? Anche adesso che è in mio potere, il reuccio non può fare a meno di mostrarsi coraggioso e proteggere i suoi stupidi sudditi. Non è vero? - il cavaliere che teneva il re per i capelli tirò più forte.
- Non si tratta di questo, lo sai benissimo. - rispose Acquarius, con una smorfia di dolore dipinta sul volto. Nei pressi del suo fianco sinistro l'acqua si tingeva lentamente di rosso, era ferito. 
Le mani di Acqua iniziarono a tremare, e non era per il freddo.
- Bene, allora illuminami, grande sovrano. - bisbigliò Darcon, in evidente tono canzonatorio.  - Di cosa si tratta? -
- Si tratta di impedire che muoiano troppe persone innocenti, ma a quanto pare sto perdendo tempo, dato il soggetto con il quale sto parlando. Il tuo unico scopo è la distruzione, la morte, e non sembra che le cose di cui sto parlando non ti interessino molto. Ma sai una cosa? Non mi importa. Non mi importa, e continuerò a ripeterlo, questa guerra non sta portando altro che morti inutili... -
- E non è questo per cui combattiamo? -
- Forse è quello per cui combatti TU. Ma io combatto per la libertà. - Darcon rimase a fissare Acquarius, un sopracciglio inarcato. Passò molto tempo prima che si riscuotesse.
- Mhm, bene, penso che questa non ti serva più. - disse, e rispondendo ad un movimento della sua mano, l'intoccabile lacerò il fodero e fu scagliata lontano. Il re seguì con a coda dell'occhio i movimenti della spada, fino a quando la perse di vista, non potendo girare la testa. Il signore oscuro pronunciò un'altra parola magica, e Acqua ricordò il racconto di Max. Quello doveva essere l'incantesimo che gli impediva di difendersi. 
- Sai, ho sempre desiderato che arrivasse questo momento e non posso permettere che tu e le tue schiocche filosofie me lo roviniate. - disse Darcon. Acquarius cercò con la coda dell'occhio qualcosa alla sua destra, ma evidentemente era al di là del suo campo visivo. Seguendo il suo sguardo Acqua arrivò al bordo della folla di atlantiani e, in prima fila, teso come una corda di violino, in posizione di attacco con le spade spianate, ma immobile, trovò Max, esattamente come se lo ricordava quando aveva quattordici anni. Altissimo, magro e con i capelli lunghi fino alle spalle, aveva le sopracciglia aggrottate e le narici dilatate, sembrava che si stesse concentrando per trattenersi ed evitare di finire decapitato. Nel frattempo Darcon continuava a parlare. 
- Volevo solo renderti prigioniero e divertirmi con te, qualche volta, ma sai che c'è? Mi stai facendo cambiare idea...vederti così, in ginocchio e completamente disarmato...mi fa venire voglia di prolungare il tuo tormento. Voglio lasciarti morire lentamente, e assaporare ogni secondo della tua agonia, ogni singola sfumatura del tuo dolore… - mentre Darcon parlava, senza prestare attenzione al suo prigioniero, Il re aveva iniziato a parlare sottovoce, un sussurro appena accennato, le labbra che si muovevano veloci, parola dopo parola, si aggrappava ad ogni singolo respiro, come se fosse l'ultimo appiglio possibile, e in effetti era proprio così. A volte Acquarius si interrompeva per riprendere fiato, specialmente quando Darcon si girava verso di lui, interrompendo i suoi folli ragionamenti. Il tempo non passava mai, e ogni secondo che passava era una pugnalata dritta al cuore di Acquamarina, che guardava il ricordo come se fosse parte di esso,  ma allo stesso tempo cercava di staccarsene.  Acquarius proseguiva sempre più faticosamente, esitava e faceva lunghe pause tra una parola e l'altra, il suo petto si alzava e si abbassava in modo frenetico. La nube rossa si espandeva attorno al suo fianco. Nel bel mezzo del suo macabro discorso, Darcon vide la sofferenza del suo nemico e non poté fare altro che gioirne. I suoi occhi brillarono di una luce folle, e con l'espressione estasiata, chiese, sputando fuori ogni parola come veleno: - Non mi implori, non mi supplichi di risparmiarti la vita, grande sovrano? - 
- Io...non ti supplicherò...mai! - urlò il giovane re, ansimando. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Darcon lo guardò, pieno di disprezzo e odio, consapevole di essere stato battuto anche in quella situazione, disgustato dal coraggio e dalla sincerità disarmante del re. La pazzia ebbe la meglio nel suo animo instabile, caricò il colpo e si lanciò con tutta la sua forza contro il prigioniero, con la spada in pugno. Fu un attimo, e il re venne completamente trafitto dalla lama. Mentre urlava per il dolore, il corpo rigido, e gli occhi sbarrati, fuori dalle orbite, un'altra nuvoletta rossa si sprigionò dal suo petto e dalla sua schiena, dove spuntava la punta della spada. Acqua sussultò, e congiunse le mani al petto, conficcandosi le unghie nella carne, mentre le si riempivano gli occhi di lacrime. Un fiotto di sangue sgorgò dalla bocca spalancata di Acquarius, e il re, a metà tra la vita e la morte, riuscì solo a pronunciare poche parole, con un cupo rantolo che gli saliva dalla gola. - Questa non è la fine... - disse.


Poi il ricordo finì, si dissolse come fumo nell'aria come se non fosse mai esistito. Ma in realtà, c'era stato eccome, e Acqua era rimasta sconvolta. Cadde in ginocchio, lasciando sfogare tutta la rabbia, il dolore, l'odio, l'impotenza che si sentiva dentro, piangendo e urlando senza trattenersi. Era da moltissimi mesi che stava tenendo tutto dentro di lei, senza lasciare trasparire più di tanto l'angoscia e l'inquietudine che le pesavano come un macigno. Ma era troppo, troppo, per una persona sola, non sarebbe potuta resistere più di così. 
   
 
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