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Autore: _Lady di inchiostro_    20/08/2017    4 recensioni
C’è chi dice che la nostra strada è già stata decisa, che è il destino che stabilisce quali difficoltà dobbiamo incontrare durante il cammino, o chi ci accompagnerà durante il percorso.
C’è chi dice che la nostra strada, invece, ce la costruiamo da soli, che siamo noi a decidere chi incontrare, siamo noi padroni delle nostre azioni.
Iwaizumi Hajime aveva sempre creduto nella seconda opzione. Finché non ha incontrato Oikawa Tooru. E allora si chiese se il destino non volesse farli incontrare per davvero, in qualsiasi modo possibile.
***
[Future Fic and What if?] [Tanto angst e cose belle ♥]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IX



~
 



[12 gennaio 2017]





Aveva bisogno di parlarne con qualcuno.
Credeva di poter riuscire a trattenere tutto dentro, ma dopo quello che era successo quella sera con sua figlia, dopo quanto stava per succedere in aeroporto, Hajime non ce la faceva più a trattenere tutto dentro.
E prima di rendersene conto, si era ritrovato a suonare al campanello di Tomoko. La ragazza gli aveva aperto, una felpa allacciata alla vita, le mani sporche di farina. Il sorriso che aveva sul volto scemò all’improvviso, vedendo come lui la stava fissando, lo sguardo stralunato, il respiro affannoso. La madre della ragazza apparve poco dopo alle sue spalle, salutando con la sua solita allegria, ma non ci volle molto prima che anche lei realizzasse che c’era qualcosa che non andava in lui.
Disse alla figlia di lavarsi le mani e di far accomodare il ragazzo, che sembrava avesse l’urgente bisogno di parlarle. E, infatti, era proprio così.
Non aveva smesso di pensarci. Da quando casa sua era tornata ad essere vuota, da quando la sua vita era tornata ad essere monotona, spenta, un susseguirsi di gesti che si ripetevano sempre, costantemente, non aveva smesso di pensare al volto di Tooru che sorrideva ad Akane.
A lui dietro le spalle di sua figlia, le loro mani intrecciate, mentre le insegnava a mettere le carte dritte. A lui seduto sui talloni in aeroporto, che le consegnava il regalo. A lui che guardava costantemente il nastro che aveva attaccato al polso… e lui.
Ogni volta che ci ripensava, il suo cuore perdeva un paio di battiti, e faceva male, malissimo, si ritrovava ad artigliare la maglietta nella speranza che smettesse. Doveva smettere di pensarci.
Anche adesso, mentre era seduto sul bordo del letto, nella stanza di Tomoko-san, nell’attesa che la ragazza arrivasse, sentiva le stesse emozioni che aveva provato l’altra volta ribollire dentro lo stomaco come se fosse un calderone bollente. Si passò le mani sugli occhi, strofinando il viso, nella speranza che l’immagine del volto del castano a pochi centimetri dal suo svanisse via dalla sua mente.
In quel momento, Tomoko aprì la porta, richiudendola poi con cautela alle sue spalle. Indossava la felpa nera che prima portava allacciata, e aveva dato una ripulita al viso e alle mani.
«Scusami…» biascicò Hajime. «Non sarei dovuto venire così all’improvviso…»
«Tranquillo!» lo rassicurò la ragazza, spazzolandosi i pantacollant leggermente sporchi. «Avevo intuito che c’era qualcosa che non andava, stamattina non sei venuto in ufficio…»
In realtà, era da un po’ che la ragazza aveva notato dei cambiamenti in Hajime: era distratto, lontano, come se la sua mente si trovasse su un altro pianeta. Non era neanche riuscito a scrivere il pezzo per il prossimo numero, il che era strano, poiché lui era sempre in anticipo coi tempi.
Si sedette accanto a lui, quest’ultimo che si torturava le mani, facendo scrocchiare le nocche e le dita, entrambi senza spiccicare una parola. Alla fine, fu Tomoko a rompere il ghiaccio, ridacchiando imbarazzata.
«Io e mia madre stavamo facendo la pizza… Se vuoi, puoi restare per cena.»
«No, grazie… Non ci metterò molto» disse, piatto, senza dare alcuna intonazione alla voce, e la ragazza sentì i peli delle braccia rizzarsi improvvisamente, come se fosse stata colpita da una raffica gelata.
Non era da lui parlare così…
«Iwaizumi-kun – cominciò, la voce appena incrinata dall’ansia – sei sicuro di stare bene?» 
Il ragazzo si lasciò sfuggire una mezza risata, dovuta probabilmente al nervosismo. «Io credo di stare impazzendo…» Si chiese – così, all’improvviso – perché non le avesse raccontato tutto prima. Lui, però, era fatto così, teneva tutto dentro fino a quando quella massa informe non diventava troppo grande, e allora straripava fuori tutta d’un colpo. Bisogna sapere vivere le proprie emozioni, giorno per giorno, ma invece Hajime preferiva tenerle chiuse dentro un forziere. «C’è una cosa che devo dirti…»
La ragazza annuì, le labbra serrate; si era fatta rigida, e le sue mani stringevano con forza il tessuto del piumone.
E alla fine, quella massa venne finalmente fuori. Iwaizumi raccontò tutto a Tomoko dal principio, fissando con insistenza la scrivania della ragazza, cercando di imprimere nella sua mente tutti i più piccoli dettagli: il colore del cestino, com’erano disposti i libri, la lampada piena di adesivi di Hello Kitty. Se la sua mente registrava quelle piccolissime cose, allora non aveva bisogno di registrare quello che stava facendo in quel momento, come se fosse qualcun altro a parlare attraverso lui. Parlò anche delle cose più futili, spesso in maniera sconnessa, spesso grattandosi la nuca, ma i suoi occhi erano sempre spalancati, e sembravano quelli di un malato sotto l’effetto di un qualche farmaco.
Non vide quale reazione ebbe Tomoko quando gli raccontò del bacio. Non vide l’espressione che aveva lei quando parlò di come si era sentito quella mattina al parco, di come si era sentito nel vedere Oikawa giocare con sua figlia, di come si era sentito quando l’altro stava per baciarlo di nuovo in aeroporto. Tomoko spostò lo sguardo per terra, mordendo il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.
Era sempre stato così con Hajime. Non l’aveva mai guardata veramente.
Quando il ragazzo ebbe finito, poté finalmente riprendere fiato e voltarsi verso di lei, nella speranza di sapere quale fosse la sua opinione in merito a tutto quel casino. Sul momento, lei non seppe cose dire, ed era quasi sicura di essersi persa qualche pezzo; poi chiese, prendendosi di coraggio: «Quindi, mi stai dicendo che ti piace Oikawa...?»
Fu percosso da una scarica elettrica, mentre guardava negli occhi la sua amica, e ancora una volta si vide passare davanti diverse immagini di Oikawa, come se stesse guardando delle fotografie: lui che scoppiava a ridere al ristorante, al parco, davanti la sua macchina rossa…
«Hai un certo fascino, lo sai?»
«Lo sai, se non sapessi che sei la persona più eterosessuale della terra, probabilmente sospetterei che tu ci stia provando con me!»

«No...» rispose, deglutendo, per poi scuotere la testa. «No, è assolutamente fuori discussione.»
La ragazza abbassò la testa riccioluta. Era la prima volta che si ritrova a non sapere distinguere quello che stesse dicendo il ragazzo, se stesse dicendo la verità o stesse solo prendendo in giro se stesso. Sembrava veramente convinto di quello che aveva appena detto, eppure da quello che le aveva raccontato, provava esattamente le stesse cose che provava…
«È perché si tratta di un ragazzo?» chiese, deglutendo fiotti di saliva. «Hai paura che Minori-san ti possa vietare di vedere Akane?»
Tomoko aveva centrato il punto. Era come se quella paura fosse diventata l’ossessione di Hajime, un chiodo fisso nella sua mente che non riusciva ad abbandonarlo. Era come se volesse vietarsi di essere felice per il bene di sua figlia. Era come se preferisse farsi del male, riducendosi in quelle condizioni, pur di sapere che avrebbe potuto rivedere Akane.
E lo sapeva, lo sapeva che si stava comportando da perfetto egoista, di star facendo del male anche ad Oikawa, ma non riusciva a pensare ad altro se non a sua figlia. La sentiva lontana ogni giorno, l’idea che potessero persino vietargli di vederla lo mandava in paranoia.
Sbloccò il telefono, trovandosi davanti la fotografia con sua figlia, facendo poi tornare lo schermo nero. L’amica si accorse di quel gesto, e prese un bel respiro prima di ricominciare a parlare.
«Perché semplicemente non glielo dici?»
«Dirle cosa esattamente…?» Come avrebbe potuto raccontare una cosa del genere a Minori? E se la sua famiglia l’avesse condizionata al tal punto da negargli la possibilità di vedere Akane? E se Akane non avesse più voluto vederlo perché provava attrazione per un…
«Dirle che ti piace Oikawa-san.» Quelle parole erano state degli spilli roventi sulla lingua di Tomoko, e facevano male.
«Tomoko…» cominciò Hajime, non riuscendo più a controllare i sentimenti che brulicavano dentro di lui e che si manifestavano sotto forma di pesanti respiri. «Ti ho già detto che non provo nulla per lui…»
«Eppure i sintomi sono quelli…» disse, abbassando lo sguardo, e si rese conto di essersi lasciata sfuggire un singhiozzo.
«Posso sapere come fai ad esserne così sicura?» Hajime non si era reso conto di avere alzato la voce, ed era la prima volta che succedeva con lei. Non riusciva più a controllarsi, non aveva più un freno, e sapeva che quando si riduceva così le cose non potevano che degenerare. «Sei mai stata innamorata di qualcuno per poterlo dire con assoluta certezza?»
Tomoko non rispose a quelle parole. Semplicemente, si alzò, la testa ancora china, cercando di nascondere i singhiozzi e le lacrime che le rigavano le guance. Aprì la porta, ritrovandosi poi nella sala da pranzo, sotto lo sguardo sconvolto della madre, che aveva sentito le urla dall’altra stanza.
«Tomoko!» la richiamò Iwaizumi, afferrandole poi il polso per farla voltare.
L’espressione che vide lo lasciò di stucco. Era rossa in viso, gli occhi erano gonfi e il labbro inferiore era leggermente spaccato; ma soprattutto, quello che vide nei suoi occhi fu solo sofferenza, e non poté non paragonarla all’espressione che gli rivolse Tooru quella sera, quando credeva che non si sarebbero più rivisti.
«HAJIME!»
«Non hai mai capito quello che io provo per te, vero…?» disse, liberandosi dalla stretta del ragazzo con uno strattone, e adesso era lei che aveva alzato la voce, sotto lo sguardo sbigottito del ragazzo e della madre. «Io sono innamorata di te praticamente da quando ti ho conosciuto, e tu vieni a parlami di quello che credi di provare per quel ragazzo, come credi che dovrei sentimi io?»
Era come se gli avessero gettato addosso una secchiata di acqua gelida, come se fosse stato sotto un velo per tutto il tempo e adesso riuscisse finalmente a vedere la verità. I sorrisi impacciati, i messaggi, il rossore sulle gote della ragazza quando le faceva un complimento: tutto adesso aveva un senso, come se il quadro si fosse finalmente completato da solo.
E come quella sera con Oikawa, anche questa volta Hajime si ritrovò a non sapere che cosa dire. Rimase con la bocca semiaperta, gli occhi spalancati e lucidi. Aveva appena litigato con una delle persone più importati della sua vita, aveva appena scoperto che questa era innamorata di lui e che era stato troppo impegnato da altro per potersene accorgere. Perché? Perché non se n’era accorto prima? Forse la sua vita non sarebbe andata così a rotoli…
Cercò di dire qualcosa, questa volta ci provò sul serio, ma non ne ebbe il tempo. Tomoko tornò in direzione della sua stanza, dandogli una spallata, e urlando: «Dio, Hajime, sei proprio un idiota!»
Realizzò quello che era appena successo quando sentì la porta sbattere, e si voltò, con l’intenzione di andare da lei e di cercare di chiarire.
«Iwaizumi-kun.» Quasi non riconobbe la voce della madre di Tomoko quando lo richiamò, e il suo sguardo lo fece sentire ancora più colpevole. Non ebbe bisogno di altro, Hajime, per capire che forse era il caso che lasciasse quella casa il prima possibile.






Aveva camminato per tutto il pianerottolo come se fosse uno zombie, la sua mente che cercava di rielaborare quanto era appena successo.
Iwaizumi si chiese che cosa avesse mai fatto di male nella sua vita per meritarsi tutto questo, per ritrovarsi invischiato in una situazione così intricata, per ritrovarsi a dover litigare con Tomoko e con Oikawa. Per la prima volta nella sua vita, chiese al destino se ce l’avesse veramente con lui, e lui non poteva sapere che l’aveva osservato per tutto il tempo, tra il compiaciuto e il divertito, sotto le sembianze di una giovane donna.
Adesso, mentre era seduto in macchina, Hajime desiderò con tutto se stesso di poter tornare alla sua vecchia vita, quella fatta solo delle serate passate su Skype con Akane e delle battute scherzose fatte con Tomoko-san. Magari sarebbe riuscito ad accorgersene, finalmente. E senza rendersene pienamente conto, desiderò di poter tornare ad avere una vita senza Oikawa Tooru.
Prese il cellulare, e quasi in automatico compose un numero. Aspettò un paio di minuti, prima che qualcuno rispondesse. «Pronto?»
Rimase in silenzio un attimo. «Ciao zia.»
«Hajime, sei tu? Tesoro, non sai quanto mi faccia piacere sentirti!» disse la donna, utilizzando quel tono di voce docile che un po’ gli ricordava sua madre. «Come stai? Tutto bene?»
«Sì, sto bene…» Ci pensò un attimo, prendendo un profondo respiro, gli angoli degli occhi che pizzicavano e la mano libera chiusa a pugno e tremante. «Cioè, in realtà non sto proprio benissimo…»
Sua zia era diversa da sua madre. Era una donna più caparbia, un’avventuriera, per questa ragione se n’era andata da Miyagi quando era molto giovane. Dopo la morte della sorella, sembrava che non potesse più riprendersi, e l’affidamento di Hajime non aveva fatto altro che peggiorare le cose, lo sgridava in continuazione. Quella volta che, però, il ragazzino si sfogò in quel modo, scoppiando a piangere senza potersi più fermare, qualcosa era scattato in lei. Alla fine, condividevano esattamente lo stesso dolore.
L’aveva cresciuto, in fin dei conti, e Hajime spesso pensava che non le dimostrava mai quanto le fosse sinceramente grato.
«Posso passare a trovarti…?» chiese, alla fine, con voce rotta. Era per questo che l’aveva chiamata, perché lei era l’unica persona che l’aveva già visto sfogarsi, più e più volte. Perché, nonostante tutto, era pur sempre parte della sua casa.
Non poteva vederla, ma sapeva benissimo che la donna stava sorridendo. «Certo, ne sarei felice! Stasera sono sola a casa, lo zio torna tardi…» S’interruppe un attimo. «Non ho ancora cucinato, preparo il tuo piatto preferito, che ne dici?»
Il ragazzo si ritrovò a sorridere, le labbra che tremolavano e la testa reclinata sul poggiatesta. «Sì, perfetto… grazie.»
«Hajime? Poi ci facciamo una bella chiacchierata, intesi?»
Non lo disse con l’intento di rimproverarlo. Anzi, in un certo senso gli tornò in mente la voce di sua madre quando gli disse di chiedere scusa a Oikawa. Quella era stata l’ultima volta che l’aveva sentita parlare così, con quella voce che sembrava tra il dispiaciuto e il preoccupato. E in quel momento, sua zia aveva parlato esattamente allo stesso modo.
Sentì il peso di tutto quello che era successo in quegli ultimi mesi fluire via con prepotenza, e Hajime si sentì nuovamente un bambino fragile che si rintanava sotto le coperte a piangere.
Chiuse gli occhi, una lacrima che sfuggì al suo controllo. Poi sorrise. «Intesi.»


 



~
 




 
[14 gennaio 2017]






Decisamente, quella sera era stata una delle più brutte della sua vita, non ricordava quando era stata l’ultima volta che si era sentito così, uno straccio con le gambe.
Sua zia l’aveva accolto a braccia aperte – letteralmente –, abbracciandolo, non prima di aver fatto un mezzo passa di danza, agitando le spalle; Hajime si era ritrovato ad alzare gli occhi al cielo e a ricambiare la stretta, senza però smettere di sorridere.
Era un bene che sua zia fosse fatta così, altrimenti non sapeva se avrebbe retto dinanzi a un ennesimo sguardo preoccupato: probabilmente, sarebbe scoppiato in un altro moto di rabbia.
La donna profumava di casa e del bagnoschiuma che utilizzava di solito, e il ragazzo fu colto improvvisamente dalla nostalgia. Non gli era mai capitato di rimpiangere, anche solo per un secondo, il periodo che aveva vissuto in quella casa, con i suoi cugini che spesso lo guardavano come se fosse un guscio vuoto, un fiore appassito. In quel momento, però, Hajime era tornato improvvisamente un bambino, bisognoso di quell’affetto materno che era venuto a mancare e che aveva riposto nella donna che aveva abbracciato.
Cenarono in tutta tranquillità, e inizialmente parlò solo la donna, raccontandogli le novità dell’ultimo periodo, ogni tanto distraendosi per guardare quello che dicevano sui notiziari. Solo a fine pasto decise di spegnere la televisione e di smettere di parlare, lasciando spazio a suo nipote, offrendogli una tazza di gyokuro.
Fu diverso rispetto a quello che successe qualche ora prima con Tomoko, non aveva i nervi tesissimi, non si sentiva come se stesse confessando di essere un omicida. Accoccolato sul divano vecchio di diversi anni, Hajime non si era sentito giudicato da nessuno, e si chiese perché non andasse a trovare più spesso sua zia. 
Era sempre così, del resto, la sua famiglia non l’aveva mai giudicato veramente; nemmeno Minori l’aveva mai fatto. Le persone che lo circondavano non l’avevano mai giudicato, realizzò in quel momento Hajime, almeno fino ad allora.
Non era sicuro di volere sapere cosa pensassero Oikawa e Tomoko di lui, in questo momento, come non era sicuro di volere sapere come avrebbero reagito tutti nello scoprire che – forse – provava qualcosa per un altro uomo.
Sbuffò, una nuvoletta bianca che uscì dalla sua bocca, il naso rosso e che strofinava sulla sciarpa che sua zia gli aveva relegato, assieme ai guanti. Aveva nevicato un’altra volta, e adesso le strade erano ricoperte da uno strato bianco, qualche fiocco che continuava a cadere tutt’ora.
Aveva raccontato tutto a sua zia, per filo e per segno, cercando di essere il più coerente possibile, e partendo da quando aveva incontrato Oikawa al bar, in quella giornata di settembre. Lei aveva annuito, senza interromperlo, se non per chiedere qualcosa cui Hajime poteva rispondere con un semplice sì o un no. Solo quando ebbe finito, espresse la sua opinione, e il ragazzo scoprì che la donna aveva sempre sospettato che lui avesse un interesse per lo stesso sesso, poiché con le donne non ci sapeva proprio fare. Ed era vero che anche suo zio era una schiappa – a detta anche della donna – ma non ne aveva mai visti come lui. Hajime non sapeva se prendere quelle parole sul ridere o se rimanere assolutamente sbigottito da questa nuova rivelazione. La donna continuò, sostenendo che avrebbe dovuto rivedere Oikawa se voleva veramente capire quello che sentiva per lui; se non fosse successo niente, allora voleva dire che si era lasciato intenerire dal modo con cui si era comportato con Akane. E, ovviamente, avrebbe dovuto parlare al più presto con Tomoko.
Tirò fuori il telefono dalla tasca, sbloccandolo con la mano guantata, e la schermata di Line gli apparve davanti, con tutte le diverse chat. Aveva mandato una serie di messaggi alla ragazza in quei giorni, ma senza ottenere alcun risultato: aveva visualizzato, ma non aveva risposto. In successione, c’era la chat di Oikawa, l’ultimo messaggio che indicava l’orario in cui si sarebbero dovuti incontrare davanti al cinema. Gliel’aveva pur sempre promesso, non poteva rimangiarsi quello che aveva detto, non era da lui.
Ripensò a quello che disse sua zia, al fatto che non avesse alcun problema con la sua presunta omosessualità – ammesso che fosse veramente omosessuale. Di certo non si aspettava quella reazione così controllata, come se la cosa le fosse scivolata di dosso, senza arrecarle alcun fastidio; Hajime credeva che, come minimo, avrebbe fatto una faccia scioccata o che avrebbe storto il naso. Possibile che fosse un problema solo per lui?
Il visino sorridente di Akane gli apparve davanti, e si disse che no, sicuramente non sarebbe stato un problema solo suo. Alzò lo sguardo verso l’alto, notando che stava ricominciando a fioccare con più insistenza, e qualche fiocco di neve andò bagnare la punta del suo naso e lo zigomo destro. Forse invitare Oikawa a uscire era stata una pessima idea. Insomma, dopo quello che era successo in aeroporto, c’era la netta possibilità che una scena come quella si ripresentasse.
«Iwaizumi-kun!» Sul momento, riuscì a captare quella voce, sapendo benissimo a chi apparteneva, ma non si rese minimamente conto che stava chiamando lui fino a quando non si fece sempre più vicina. Si girò poco dopo, trovando Tooru proprio accanto a lui, un mezzo sorriso che faceva capolino dalle sue labbra. «Ciao…»
Hajime sbatté gli occhi verdi. Per messaggi, Oikawa era sembrato sempre il solito, anche se le battutine scadenti e i messaggi invasivi e inutili si facevano sempre meno frequenti, ma non sembrava che fosse rimasto troppo turbato dal suo rifiuto. E anche adesso, trovandoselo davanti, non sembrava diverso dall’ultima volta che l’aveva visto. Certo, c’era sempre dell’imbarazzo – soprattutto dopo quanto successo – tra loro due, ma tutto era esattamente come quella sera a cena: si guardavano a malapena negli occhi e si scambiavano giusto due parole in croce.
Iwaizumi non poteva sapere che, nonostante quel rifiuto, nonostante sentisse un dolore atroce al petto ogni volta che non incrociava il suo sguardo, Oikawa aveva deciso di non rinunciare a lui. Forse, sarebbe riuscito a fargli cambiare idea, e quel messaggio per lui era stata come una manna dal cielo.
«Come sta Akane?» chiese poi, e il giovane padre lo guardò di traverso.
Il respiro, per una frazione di secondo, gli si fermò in gola, incontrando gli occhi del ragazzo, sinceramente interessati alle condizioni della bambina, e dovette scostare subito lo sguardo. «Bene» rispose, senza aggiungere altro.
Il castano abbassò la testa, giochicchiando con la neve usando la punta delle sue scarpe. Come al solito, Iwa-chan si comportava con una certa reticenza nei suoi confronti.
Abbassò la manica della giacca e della felpa, facendo vedere al ragazzo il nastro blu e giallo che portava al polso. «Hai visto che lo porto?»
Iwaizumi spostò lo sguardo dal nastro al volto sorridente del giovane, il cuore che temeva sarebbe schizzato fuori all’improvviso, mentre ripensava a come sua figlia gli avesse gettato le braccia al collo.
Akane era sempre stata gentile con la gente, ma gli abbracci… Quelli erano riservati alle persone speciali, lei lo diceva sempre. Quando si abbraccia una persona è perché la si vuole confortare quando è triste, o per dimostrarle tutto l’affetto che si prova nei suoi confronti. Se Akane aveva abbracciato Oikawa, voleva dire che voleva sia confortarlo sia fargli sapere che si era affezionata veramente a lui; e non si parla di un affetto qualsiasi, ma di uno vero e sincero.
«Vedo» disse, dandogli poi le spalle e aprendo la porta a vetri del cinema. «Andiamo?»
Il sorriso di Tooru sparì quasi subito, annuendo appena e seguendo il ragazzo dentro l’edificio. Per loro fortuna, non c’era parecchia gente quella sera, forse per via del brutto tempo, e riuscirono a sbrigare la faccenda dei biglietti in pochi minuti.
Si sedettero senza spiccare una parola, il che era strano, visto che Oikawa stava andando a vedere un film di Star Wars; come minimo, avrebbe dovuto straparlare da quel momento, fino alla conclusione del film.
Non che non fosse eccitato, e forse era questo che gli aveva dato un po’ più di coraggio, ma era quasi sicuro che, a quest’ora, sarebbe stato tutto diverso se lui non si fosse dichiarato, quella sera. Lui avrebbe cominciato a fare delle supposizioni su come sarebbe stata la pellicola, e probabilmente Iwa-chan avrebbe borbottato qualcosa di qua e di là, magari chiedendogli cose che non si ricordava dei precedenti film. Ma avrebbero riso, avrebbero scherzato, l’avrebbe fatto esasperare parlando durante il film. Non ci sarebbe stata quell’aria tesa e un sedile a separarli.
Fece un rumoroso sospiro, e temette che il giornalista se ne fosse accorto quando lo richiamò poco dopo. «Oikawa?»
Trasalì. «Sì?» disse con voce stridula.
Lo vide armeggiare con i suoi guanti neri, nel tentativo di toglierli, prima di parlare. «Posso sapere perché non mi hai chiamato usando il tuo solito nomignolo?»
Ci pensava già da un po’. Era come se si fosse talmente abituato a sentirsi chiamare in quel modo, che gli era risultato strano quando non era successo. E anche se continuava a dargli fastidio, era come se una parte di lui reclamasse con tutta se stessa quello stupido nomignolo che utilizzava con lui, solo con lui.
Il ragazzo spalancò gli occhi, artigliando il bracciolo del sedile con le sue lunghe dita, quasi racchiudendolo a pugno. Era ben conscio di averlo chiamato in un altro modo, e si era morso la lingua più di una volta prima di farlo. Pensava di non avere più il diritto di chiamarlo così, non dopo quello che era successo, non dopo che era stato rifiutato più di una volta…
«Credevo ti desse fastidio…» balbettò, la lingua attaccata al palato.
L’altro alzò appena le spalle. «Ho finito con l’abituarmi ad essere chiamato così da te.»
Il castano osservò il profilo del giornalista, che finalmente era riuscito a liberare la sue mani dall’impiccio dei guanti, e lo trovò serio, concentrato su chissà che cosa; eppure, quella affermazione non l’aveva detta per offenderlo. Lo… pensava veramente.
Poco prima che le luci si spegnessero, anche Hajime spostò lo sguardo su Tooru. Stava sorridendo.
Stava sorridendo per davvero.






Non passò molto prima che Oikawa cominciasse ad esaltarsi, cercando di trattenersi, anche se la sua sedia tremava assieme a lui, e Hajime si era ritrovato a riconsiderare la sanità mentale di quel giovane ventitreenne; probabilmente, aveva ancora un’età mentale di circa dieci anni.
Aveva guardato il film con un certo interesse – anche perché era l’unica distrazione all’interno della sala –, ma lui e Oikawa non si scambiarono nemmeno una parola durante la visione, solo il setter si lasciò a qualche commento abbastanza vivace, accompagnato dai restanti nerd presenti in sala. Sembrava come se, per un attimo, avesse dimenticato quello che era successo tra loro due e tutto fosse tornato al suo posto, come doveva essere. Che poi, doveva essere così? Loro due dovevano rimanere soltanto amici? O meglio, loro due potevano rimanere solo amici?
Era talmente concentrato su queste domande, da non essersi accorto che erano rimasti solo loro due in sala, lo schermo adesso completamente nero e le luci accese.
«Pensavo ci fosse qualche scena dopo i titoli di coda…» sbuffò il ragazzo, stropicciando la giacca come se fosse un bambino capriccioso che aveva appena chiesto alla madre le caramelle.
Il giornalista si guardò intorno, in trance, per poi rivolgersi al ragazzo. «Mi hai fatto stare qui per niente?»
«Iwa-chan, lo sanno tutti che bisogna rimanere in sala fino alla fine dei titoli di coda!» esclamò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Potresti perderti una clip importante!»
Non ricordava quando era stata l’ultima volta che si rivolgeva così a lui, che il ragazzo gli parlava con la sua solita vocetta petulante ma che, comunque, stava a significare che stava veramente bene. Era come se fossero tornati improvvisamente indietro nel tempo, a quando erano andati al cinema la prima volta, a quando Hajime gli aveva raccontato dei suoi genitori, a quando erano scoppiati a ridere dopo la battutaccia di Tooru.
Erano tornati ad essere loro due, a comportarsi come facevano sempre, non erano solo due individui che sembravano non conoscersi affatto. E per la prima volta, il ragazzo realizzò che il setter era entrato con una facilità oltremodo disarmante nella sua vita, come mai nessuno aveva fatto, nemmeno Minori. Era passato del tempo prima che cominciassero a conoscersi, lui e la sua ex-moglie, ma Tooru aveva imparato a capirlo fin da subito.
Scosse la testa, prendendo le sue cose e alzandosi. «Tu non sei affatto normale…» borbottò, indossando la giacca a vento e lasciando il ragazzo indietro; quest’ultimo lo raggiunse poco dopo, incespicando di tanto in tanto nei suoi stessi piedi.
Fuori, la temperatura era gelida, probabilmente sotto lo zero, e Oikawa si strinse nel suo cappotto blu, infilando immediatamente le mani dentro le tasche. Il giornalista era già fuori e stava osservando i fiocchi di neve che, con movenze delicate, scendevano sulle strade e sui loro indumenti.
Non era successo nulla. Quello che aveva provato l’altra volta all’aeroporto non era successo. Sua zia aveva ragione, si era solo lasciato prendere dal momento, da sua figlia che sorrideva al giovane alzatore, dalle belle parole che quest’ultimo aveva detto su di lei.
«Allora ti è piaciuto?» Sussultò, spostando poi lo sguardo su Oikawa, che non faceva altro che saltellare sul posto, non solo perché era contento ma anche per potersi riscaldare.
Quegli occhi così taglienti facevano male, e se avesse potuto vedere il suo cuore, Oikawa era quasi certo che l’avrebbe trovato squarciato e che gocciolava sangue. L’euforia era appena fluita via e il dolore era tornato, eppure continuava a sorridere lo stesso. Come faceva sempre. Perché era pur sempre con Iwa-chan, aveva un’occasione per poter ritentare. Si era già messo in posizione, in attesa che la palla arrivasse e lui potesse fare un’alzata perfetta. Il fischio dell’arbitro aveva annunciato l’inizio del secondo set.
Il ragazzo tornò a fissare davanti a sé, mordicchiandosi la zip della giacca. «Non è male. Devo dire che c’è molta più azione rispetto agli altri, secondo me» disse.
«Lo so!» esclamò, forse con una certa enfasi, tanto che Iwaizumi spalancò gli occhi per la sorpresa. «E hai visto com’era fatta bene la principessa Leia? Mi è persino venuto un principio di nostalgia…»
Ci mancò poco che si asciugasse una finta lacrima con l’indice, l’altro che l’osservava sconcertato, come se stesse parlando con un alieno e non con un qualsiasi abitante di Tokyo. Decisamente, Oikawa Tooru era un nerd e tendeva a mostrare la sua vera natura di rado, quando poteva sproloquiare su qualcosa senza sentirsi giudicato. O quando poteva condividere qualcosa con qualcuno, e Hajime fu improvvisamente colto da questa consapevolezza: come lui si era aperto con il giovane setter, anche Oikawa aveva mostrato tutto se stesso, senza sorrisi falsi, senza smancerie inutili, come faceva di solito con le sue fan.
Le persone erano solite vederlo come l’atleta irraggiungibile, che tutti bramavano, che sorrideva sempre alle telecamere e che sapeva sempre che parole usare. Iwaizumi, invece, lo vedeva come quel ragazzo che, adesso, stava parlando di un film di fantascienza e che indossava una felpa con su scritto: “May the force be with you”. Lo vedeva come quel ragazzo che non era mai cresciuto, come il bambino con il batuffolo dentro il naso, e stava continuando a ridere nonostante dentro stesse marcendo.
C’era un mondo dietro il giocatore di pallavolo che stava oltre la rete, e la gente non ne era a conoscenza, forse solo i suoi amici più stretti. Non sapeva bene perché, ma venne pervaso da un moto di gelosia, come se gli altri non meritassero veramente di conoscere Tooru per quello che era. Come se solo lui lo meritasse veramente.
Scosse la testa, lo sconcerto che era stato sostituito da una sensazione calda e appiccicosa che quasi lo rivestiva. Stava succedendo di nuovo…
Dannazione, non doveva succedere di nuovo!
«Io dovrei andare» disse, in un sussurro, e la sua voce ebbe la capacità di far tornare il setter sulla Terra, mentre stava ancora parlando di galassie lontane lontane e di altre cose che lui non stette a sentire.
Con gli occhi che ancora brillavano dall’eccitazione – ma con le labbra che tremavano per via del dolore – Oikawa lo guardò, con la sua solita espressione da bambino. «Oh» disse. «Dove hai posteggiato?»
Fece un cenno con la testa. «Oltre il ponte.»
«Anche io!» esclamò, e Hajime ebbe l’istinto di stringere i pugni fino a sentire la pelle entrare in contatto con le unghia. «Possiamo fare la strada assieme…»
In principio, voleva voltarsi e scappare il più lontano possibile: dai suoi problemi, dalla sua vita disastrosa, da quello che sentiva, da Oikawa… E arrivato a questo punto, all’idea di dovere scappare da lui, Iwaizumi non era più sicuro di quello che voleva fare.
Voleva… voleva sul serio fuggire da lui e non saperne più niente?
Maledizione!
Alzò le spalle, come a dire che la cosa non gli interessava, continuando a martoriare la zip della giacca coi denti. «Okay…» brontolò.
Oikawa sorrise, piazzandosi vicino a lui, ma lasciando comunque un margine di spazio. Un punto per lui.
Quella sera era stato il setter a decidere in quale cinema andare, in una delle zone più trafficate di Tokyo e non troppo lontano da dove abitava lui – anche se per Iwaizumi significava percorrere metà città. Ci teneva particolarmente a vedere il film in quel cinema, aveva le sale più belle e con l’audio migliore, per cui aveva chiesto al giornalista se per lui andasse bene; lui aveva risposto che, in fondo, un cinema valeva l’altro.
Salirono le scale, entrambi in assoluto silenzio, il rumore di una sirena che si protraeva in lontananza. Lo scalpitio dei passi della gente era diventata una specie di nenia per Tooru, che osservava il giovane che gli stava accanto di tanto in tanto, di sottecchi, nella speranza che dicesse qualcosa; o che a lui venisse qualcosa da dire, che non fosse inerente al film, o al fatto che il tempo stava peggiorando, o che c’era un sacco di gente quella sera.
Aprì appena la bocca con l’intento di parlare, quando fu colto da uno starnuto improvviso. Fu in quel momento che l’altro si fermò di botto, guardandolo allo stesso modo di un pediatra che squadra un bambino malato.
«Ti sei preso il raffreddore…?» chiese, con una voce che arrivò distorta alle orecchie di Oikawa, quasi come se fosse scocciata.
Il ragazzo non rispose, tirando su col naso, e aspettandosi un altro starnuto da un momento all’altro. Non successe niente. Qualcuno stava sparlando alle sue spalle, ne era quasi sicuro.
«Come mai sei senza sciarpa?» continuò l’altro, e Oikawa non seppe come prendere quell’ultima domanda: lo domandava solo per curiosità o perché ci teneva veramente a lui?
Si passò un dito sotto il naso. «L’ho dimenticata…»
Ci fu un attimo in cui il tempo, per il castano, si fermò. La gente non esisteva, il rumore delle macchine lontane non esisteva, erano solo lui e Iwa-chan, proprio come quella volta in aeroporto. Sentì solo il suo verso esasperato, e prima di rendersene conto il ragazzo gli aveva gettato al collo la sua sciarpa nera e gliela stava allacciando.
«Sei impossibile…» mormorò tra sé e sé, senza guardarlo negli occhi.
Oikawa aveva una visuale perfetta, in quel modo, e poteva vedere i lineamenti duri di Iwa-chan ingentilirsi improvvisamente; come quando si rivolgeva a sua figlia, e chissà quante volte aveva vissuto scene come quella nella sua vita.
«Me l’ha fatta mia zia, quindi poi dovrai ridarmela. Ci tengo.»
Aveva un buon profumo. Sapeva di casa, d’affetto e di sapone. E poi, aveva il profumo del dopobarba che utilizzava Iwa-chan, un profumo che era capace di inebriarlo in meno di venti secondi.
Sentì la testa farsi più leggera, come se non dovesse più sostenere il peso del cervello, come se fosse vuota da tutti i suoi pensieri, e adesso le sensazioni si erano ampliate, si erano fatte più forti.
Iwaizumi si rese conto di quello che aveva appena fatto solo quando alzò lo sguardo su di lui. Il suo sguardo si fece scioccato quasi quanto quello del setter. Oltre ad essere molto – troppo – vicini, Hajime si era accorto di un piccolo dettaglio che gli aveva mozzato il respiro.
Oikawa stava arrossendo. La sua pelle bianco latte si era arrossata, lasciando due chiazze rosee all’altezza degli zigomi e delle guance. Non era mai successo prima, per quanto lui si fosse confessato da più di un mese, adesso.
In teoria, è normale avere una reazione del genere con la persona per cui si prova qualcosa, ma era come se Oikawa tendesse a nascondere certe cose dietro a una risata nervosa o una battuta di troppo. O forse, il rifiuto era stato troppo immediato e il dolore troppo grande che non ne aveva avuto il tempo.
Il giornalista lasciò la presa sulla sciarpa con uno scatto, allontanandosi di un paio di centimetri da lui, e adesso gli occhi color cioccolato di Oikawa erano bassi, come se avesse compreso benissimo il perché di quella reazione. Come se si stesse maledicendo mentalmente.
E ancora una volta, il cuore di Hajime si fermò, i polmoni smisero di funzionare e il cervello era completamente annebbiato da una sensazione calda e piacevole, che quasi lo faceva scivolare in un sonno profondo.
Se succedeva un’altra volta, allora voleva dire che era sul serio spacciato e che non c’era modo di tornare indietro: così gli aveva detto sua zia.
Se succedeva un’altra volta, allora voleva dire che lui si era…
Istintivamente, la sua mano andò a stringere il suo cellulare, ricordandogli della foto che ogni giorno aveva sotto gli occhi, insieme a tante altre. Ricordandogli che aveva delle priorità, che era padre, e che tutto quello che faceva lo faceva per Akane.
Si schiarì la voce, fissando l’asfalto innevato, per poi tornare sui suoi passi, lasciando Tooru indietro.
Lo raggiunse poco dopo, anche lui senza dire niente, mordicchiandosi il labbro inferiore fino spaccarlo. Percorsero gli ultimi metri entrambi in un totale stato di trance, e si resero conto di star scendendo i gradini solo poco tempo dopo, quando i loro piedi incontrarono la solida terra. 
Tra loro due, ci fu solo silenzio, perché il resto del mondo continuava a non esserci, non c’erano i rumori dei clacson, le occhiate indiscrete della gente, i fiocchi di neve, nulla. C’erano solo loro due.
Fu Oikawa a rompere il silenzio per primo. «Io… avrei la macchina di là» disse, indicando alle sue spalle.
L’altro annuì, già pronto a salutarlo in tutta fretta e a recarsi dalla parte opposta; cosa che di fatto fece, rendendosi conto che alla fine stava scappando per davvero.
Aveva fatto giusto i primi passi – anche se sembravano più le falcate di un soldato –quando si sentì chiamare. «Iwa-chan!» 
Non era sicuro di riuscire ad affrontare ancora il suo sguardo, il suo viso segnato da solchi profondi come fossi. Faceva male.
Prese un bel respiro, dicendosi mentalmente che altri due minuti in più non avrebbero fatto niente, ma si sbagliava. Non appena si girò nuovamente in direzione del setter, si ritrovò faccia a faccia con un’espressione determinatissima, e che Hajime non gli aveva mai visto, neanche quando era in campo.
Metà viso era coperto dalla sua sciarpa, eppure lo scintillio dei suoi occhi si vedeva oltre quegli occhiali fasulli.
«Ho preso una decisione» cominciò, e si sentiva come quando si trovava alla battuta, in uno di quei momenti in cui era in perfetta forma e credeva di poter sfondare il pavimento con un solo colpo. «Io non voglio rinunciare a te, né come amico né… come qualsiasi altra cosa. Perciò, voglio sapere se tu sei ancora disposto a volermi vedere… e a restare al mio fianco.»
Se prima i polmoni di Hajime avevano smesso di funzionare, adesso erano totalmente collassati, erano diventati una poltiglia informe; il suo cuore, invece, rischiava di esplodere da un momento all’altro, come se fosse una mina antiuomo. I suoi occhi erano totalmente spalancati, l’iride si confondeva con la cornea, e tutto sembrava che non avesse più un senso, come se il pianeta avesse cominciato a girare al contrario o fosse tutto sottosopra.
Quella volta, al parco, avrebbe voluto dire a Tooru che doveva dimenticarlo, farsene una ragione e andare avanti con la sua vita; avrebbe sicuramente trovato qualcun altro – che fosse una ragazza o un ragazzo – disposto ad amarlo e a cadere ai suoi piedi. Ma adesso, con tutto quello che sentiva dentro, con lo stomaco che faceva su e giù al ritmo del suo respiro, Hajime non ne era più tanto sicuro. Era come se volesse dirglielo, ma allo stesso tempo qualcosa lo bloccava: la saliva che era rimasta in gola, la mancanza di ossigeno al cervello, il sangue che sembrava fluire più velocemente.
«Tooru…» Il nome del ragazzo venne pronunciato come un rantolo dalle sue labbra.
«Non devi rispondermi adesso» lo interruppe l’altro. «Ti chiedo solo di pensarci.»
Iwaizumi non seppe cosa dire, e sentì un fastidiosissimo formicolio lungo tutto il corpo, che quasi lo faceva tremare più del freddo pungente di quella sera.
«Ti prego…» e l’espressione ferita che aveva caratterizzato il volto di Tooru in quei giorni si ripresentò nuovamente, accentuata dalla presenza della sciarpa.
Rimase immobile per dei secondi che parvero secoli, non sapendo cosa dire, il suo cervello completamente in tilt e sotto il controllo delle sue emozioni. Le stesse emozioni che sentiva adesso per Oikawa e che stava schiacciando con tutto ste stesso, in modo che diventassero polvere.
Alla fine, senza che lo volesse veramente, riuscì a formulare due semplici parole. «Ci penserò.»





Fuori faceva troppo freddo per uscire.
Tomoko osservò il cielo plumbeo dalla finestra, la televisione accesa e sintonizzata su un documentario sugli insetti stecco. Sua madre era andata a letto presto, stranamente, anche se aveva fatto di tutto per convincerla a mollare quelle tavole e a riposarsi un po’. Bevve un sorso di tè, le mani posate sulla ceramica calda della tazza. Scorse con poco interesse alcuni tweet, senza leggerli per davvero, per poi andare a controllare se le fosse arrivato qualche messaggio su Line. E l’ultima chat che vide fu proprio quella di Iwaizumi, in cui le chiedeva se potessero vedersi e chiarire la faccenda.
Ma lei voleva davvero chiarire? Voleva davvero rivederlo?
Non ne era poi così sicura.
Sua madre, per quanto si animasse molto facilmente in situazioni del genere, era stata insolitamente calma e paziente, l’aveva fatta piangere sulla sua spalla, aveva sciolto i nodi sui suoi capelli riccioluti. E, infine, le aveva detto che non tutto era perduto, che c’era stato solo un piccolo malinteso, ma che capitano in tutte le migliori relazioni. Lei le aveva suggerito di ridargli un’altra possibilità, anche solo per spiegare le sue ragioni.
Il problema era che, per quanto Tomoko ce la mettesse tutta per cercare di rispondere ai suoi messaggi, non ci riusciva. Per questa ragione, li visualizzava ma non rispondeva.
Aprì nuovamente la chat con un profondo sospiro, la tastiera digitale che apparve quasi subito, e il suo cervello stava già cominciando a lavorare su quello che avrebbe dovuto scrivergli quando qualcuno suonò al campanello.
Guardò l’orologio: era quasi mezzanotte, chi diavolo poteva essere a quest’ora?
Si recò a piccoli passi verso la porta, guardando poi dall’occhiello il nuovo venuto.
E vide Iwaizumi.
Si girò di scatto, quasi tenendosi alla porta, il panico che cominciò a salirle dentro sotto forma di bile. Era una sensazione orrenda. Prese dei profondi respiri, contando fino a dieci, scacciando pensieri riguardanti il fatto che era in pigiama e che sembrasse avere una pecora al posto dei capelli.
Aprì appena l’uscio della porta, cercando di apparire il più seria possibile, anche se una parte di lei era felice di rivederlo. Il ragazzo fece un mezzo sorriso che quasi la fece sciogliere.
«Ciao» disse, un braccio appoggiato allo stipite della porta.
«Ciao…» rispose, a voce bassa.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Hajime continuò. «Ti posso parlare?»
La ragazza indugiò un attimo, prima di aprire completamente la porta, e adesso si trovava di fronte al ragazzo, il cuore che le era direttamente schizzato in gola dall’emozione. Sì, le era mancato da morire.
«Ecco, volevo chiederti scusa. Sono stato pessimo a dirti quelle cose… E che io non avrei mai immaginato che tu…» s’interruppe, e la ragazza continuò per lui.
«Nessun problema, Hajime. Sospettavo che tu non avessi capito nulla, e poi anch’io mi sono comportata male, perciò – tentò di ridere come faceva sempre, ma probabilmente sembrava solo un’isterica – siamo tutte e due degli idioti, no?»
Il ragazzo sorrise, abbassando la testa, come a dire che in un certo senso condivideva l’idea dell’amica. «Spero che tu voglia continuare a frequentarmi…»
«Hai problemi col fatto che tu mi piaccia…?»
«Solo se tu ne hai.»
«Perfetto, allora vorrà dire che mi avrai per i piedi per un altro po’!»
E questa volta, Tomoko rise nel suo solito modo cristallino, come se quell’atmosfera cupa che si era venuta a creare tra loro due si fosse finalmente dissolta, allo stesso modo di una nube temporalesca.
Iwaizumi, intanto, la stava osservando, il suo viso che si rabbuiò di colpo. Stava arrossendo. Mentre parlava e rideva, Tomoko stava arrossendo. Proprio come aveva fatto Oikawa pochi minuti prima. Eppure, Hajime non stava provando le stesse cose, tutto era normale, come sempre, ed era quasi certo che per lei, invece, regnava il caos in quel momento.
Si chiese insistentemente perché, perché con Oikawa, perché doveva capitare a lui, e altri mille perché che non ottenevano comunque risposta. Sentì il necessario bisogno di dimenticare quello che era successo quella sera; sentì il necessario bisogno di dimenticare quella promessa che forse non avrebbe mantenuto, lo sguardo del setter, le sue gote rosse mentre lo guardava.
Forse fu per questa ragione che, senza rendersene conto, aveva calato le labbra su quelle di Tomoko. Si trattò di una cosa rapida, nulla di eclatante, ma per Tomoko quei pochi secondi erano stati i più belli della sua vita; e anche i più dolorosi, perché sapeva che Hajime non lo stava facendo perché lo voleva veramente, ma perché voleva dimenticare qualcun altro.
Si staccarono quasi subito, e come aveva previsto dentro di sé tutto era rimasto come era prima, ogni cosa era al suo posto. Questo, però, non gli impedì di respirare con affanno.
«Perdonami…» mormorò, guardandola negli occhi, trovandovi solo dello stupore e della confusione nel suo sguardo.
Indietreggiò, masticando un’imprecazione, e senza neanche salutare l’amica un’ultima volta, si voltò, tornando indietro. Tomoko, però, decise di non richiamarlo, la sua mente che cercava di dare una spiegazione a quello che era appena accaduto.
Iwaizumi l’aveva appena baciata, senza alcun trasporto, senza alcun sentimento, e le sue labbra erano gelate, non per via del freddo, ma per via di qualcos’altro. La paura, forse? Il rimorso per quello che stava facendo? O il senso di colpa?
Questo lei non poteva saperlo con certezza, ma di una cosa era sicura: se Hajime avesse deciso di continuare in questo modo, l’avrebbe fatto non perché era seriamente interessato a lei, ma perché voleva cercare di capire che cosa provava veramente, e non di certo per lei.
Forse alcuni avrebbero pensato che era un atteggiamento un po’ meschino, da parte sua, ma non per Tomoko: lui non voleva ferirla veramente.
E poi, in quel momento, mentre l’osservava allontanarsi in tutta fretta, le dita che andavano a stringere le sua labbra, anche lei aveva fatto un pensiero egoista.
Se avesse avuto la possibilità di passare più tempo con Iwaizumi, allora forse gli avrebbe fatto cambiare idea…





Il destino è un po’ come i bambini, poi si stufano di giocare sempre allo stesso gioco, bisogna inserire qualche elemento originale per farli divertire.
In questo caso, l’inserimento di un nuovo personaggio rendeva la cosa ancora più divertente. E mentre accarezzava i soffici capelli ricci della sua nuova bambola, si disse che questo nuovo gioco aveva tutte le carte in regola per essere uno dei migliori.


 

 
[Funny how the heart can be deceiving
More than just a couple times
Why do we fall in love so easy
Even when it’s not right]






Delucidazioni:
*appare da una porticina*
Non volete mica farmi male, vero…?
*una folla inferocita la insegue*
Tornando seri, siete liberissimi di odiarmi, perché in realtà Tomoko non si merita tutto questo, IO LE VOGLIO UN MONDO DI BENE, OKAY? *piange*
E so che alcuni avevano già dei sospetti sulla sua cotta stratosferica per Hajime, per cui… SORPRESA, avevate indovinato! :’)
Il bacio finale era DAVVERO necessario? Sì, ai fini dell’angst che ho causato a voi e a me stessa :)))))
*si accoltella*
Per il resto, che altro dire? Il gyokuro è un tè verde molto particolare e un antidepressivo naturale; amo la zia Hajime, nella mia testa è una gran figa, dovevate saperlo; il film che sono andati a vedere Oikawa e Iwaizumi è Star Wars: Rogue One, e stavolta non ci sono problemi di date, poiché l’ho fatta combaciare con la data in cui sono andata a vederlo io con mio padre; per chi l’ha visto, ci sono scene alla fine dei titoli di coda? Perché noi siamo rimasti fino alla fine, come dei bravi nerd, ma non c’è stato nulla, non so, mi è venuto ugualmente il dubbio; QUALCUNO DISEGNI OIKAWA CON QUELLA FELPA, GRAZIE; quando Oikawa dice che la principessa Leia era fatta “bene”, si riferisce al fatto che l’hanno creata con la computer grafica; la canzone usata per questa storia è Try di Pink, sempre perché io riscopro canzoni…
Che dire, da adesso in poi l’angst sarà sempre maggiore, anche se avremo la comparsa di alcuni personaggi che alleggeriranno il carico ;)
Non odiatemi, ci vediamo ad un prossimo aggiornamento <3
_Lady di inchiostro_

l'uccellino cinguetta
  
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