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Autore: Martocchia    18/09/2017    0 recensioni
Ojos de Cielo è il racconto di un amore, di due ragazzi, ma anche la storia di una canzone e di quante sue simili essa possa contenere. Questo è il racconto di come la musica possa radicarsi così in profondità da diventare linguaggio e linfa vitale, legame di un amore fresco come le rose bagnate dalla rugiada.
I primi capitoli potrebbero lasciarvi un po' interdetti, ma vi invito a proseguire, ad andare oltre ciò che appare e ad immedesimarvi nei personaggi che ho creato, i quali non sono poi tanto lontani dalla realtà...
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Nelle settimane successive è un continuo andirivieni dall’ospedale. Al mattino scuola, al pomeriggio da mia nonna, di sera e spesso anche di notte studio a casa. Il mio corpo continua a dirmi che non ce la fa e che se faccio un passo in più crollerà, ma non glielo permetto, non posso. Rinuncio alle mie quotidiane visite all’ospedale solo per le prove del musical: lì riesco a sfogarmi, a buttare fuori tutta la stanchezza e la frustrazione per questa situazione attraverso il canto.
Tutti continuano dirmi che devo riposarmi, ma non capiscono che ogni volta che mi fermo, anche per un solo secondo, il dolore si fa così forte da lacerarmi completamente, spaccandomi a metà, perché il mio cuore sa che la mia nonnina non si sveglierà. Posso raccontarmi qualsiasi bugia, ma la realtà è chiara. Non fermarmi è l’unico modo per rendere questa tremenda certezza più sfuggevole, astratta.
Marco e Luca sono gli unici a non dirmi niente: sono preoccupati da morire, lo capisco da come mi guardano, ma non osano contraddirmi. Hanno capito e sanno che ho solo bisogno di tempo. Intanto mi stanno accanto come possono: fanno a turno ad accompagnarmi all’ospedale e mi tengono compagnia mentre guardo mia nonna immobile sul letto. Il suo petto si alza e si abbassa, come se stesse semplicemente dormendo, eppure quegli occhi non si vogliono riaprire. Le sue mani sono ancora calde, ma non le muove, neppure di un millimetro. I miei due amici cercano di distrarmi da questi particolari, che mi fanno cadere in una tristezza acuta, un pozzo che sembra non avere fondo. Continuo a cadere da giorni e settimane e non vedo più luce sopra di me. È estenuante.
Ogni tanto riescono a venire tutti e due insieme a me e allora riesco ad essere più serena, studiamo insieme e riescono anche a farmi sorridere quando bisticciano fra di loro come cane e gatto.

È proprio in uno di questi giorni, quando sono più propensa a parlare e a non chiudermi a riccio nel mio pozzo silenzioso, che viene a trovarmi il don. Marco e Luca sono andati via da pochi minuti e io sto leggendo, seduta su una sedia di fianco al letto della nonna, quando sento bussare sullo stipite della porta aperta. Alzo lo sguardo sorpresa e, riconoscendo il mio amico sacerdote, gli sorrido.

-Ciao don. -.

-Ciao Clara, posso entrare? – mi chiede educatamente.

-Certo, accomodati pure. -. Chiudo il libro che stavo leggendo, lo appoggio sul comodino e avvicino al letto un’altra sedia. Il don si siede e mi stringe una mano, poi guarda mia nonna.

-Come sta? -.

-Non è cambiato nulla. È stabile, ma non si sveglia. Non sanno neanche se avverrà. -. Annuisce senza dire nulla, poi mi rivolge la fatidica domanda:
-E tu? Come stai? Sinceramente. – aggiunge alla fine. Significa che “bene” non è la risposta giusta.
Sospiro.
-Onestamente. Non lo so, non voglio saperlo. Mi riempio di cose da fare per non pensarci. -.

-Lo sai che questo non ti aiuta affatto, vero? -.

-Sì, lo so. – rispondo semplicemente.

-Secondo me sai esattamente come stai. – dice dopo un breve silenzio.
 Come al solito lui sa leggermi più di quanto sia in grado di fare io stessa.

-Mi sembra di essere un bicchiere di cristallo in bilico sul bordo di un tavolo. Se faccio solo un passo falso cado e mi distruggo in mille pezzi. -. Faccio una breve pausa, poi alzo lo sguardo sul prete davanti a me: gli voglio un mondo di bene… Lui mi ha sempre detto le cose così come sono, senza girarci troppo intorno e senza ricamarci sopra. Mi ha sempre detto direttamente anche le cose più difficili da mandare giù, ma è anche per questo che ha la mia totale fiducia. Ricordo come ieri la mia prima confessione con lui: è la prima persona a cui ho raccontato come mi facesse sentire davvero essere presa in giro e trattata male da più piccola. Ha accolto le mie parole e le mie lacrime e ha saputo alleggerirmi del peso enorme che mi portavo dietro da troppo tempo. Ora è tempo di aprirmi nuovamente con lui.
-Lei non si sveglierà. – dico, guardandolo dritto negli occhi. Non è una domanda, ma un’affermazione vera e propria. Lui non distoglie gli occhi dai miei e non ribatte cercando di togliermi questo pensiero dalla testa. Se lo dico è perché lo so.
-E questo come ti fa sentire? – chiede solo.

-Impotente. Posso solo stare qui a guardarla morire, ogni giorno di più. Se fossi io nel suo stato non vorrei che le persone che amo debbano sopportare questo. È qualcosa che consuma dentro, consuma anima e cuore fino a voler solo gridare e prendere a pugni tutto e tutti. Vorrei aver avuto più tempo con lei… Sembra una frase fatta, ma alla fine è vero. -.

-Clara, però non vorresti avere accanto qualcuno se stessi per morire? -.

-Non lo so… Vorrei che mi ricordassero con il sorriso, non immobile in un letto d’ospedale, attaccata a decine di tubicini. Alla fine comunque si muore da soli. -.

-Questo non è vero. Lo sai che Qualcuno di sicuro ti starà vicino fino a quel momento che, ricordati, non è la fine, ma il fine. Tua nonna ti starà sempre accanto, non ti dimenticherai del suo sorriso o della sua voce. Sarà sempre lì e tu potrai sempre parlarle, lei ti sentirà e ti risponderà e se ascolterai con il cuore potrai sentirla anche tu. Lo so che è dura, soprattutto se non hai mai perso nessuno, ma ce la si fa in un modo o nell’altro. Tu non sei fatta di cristallo, sei forte e tua nonna è di certo fiera di te. Ma non spingerti al limite: puoi piangere e lasciarti andare, nessuno te ne farà una colpa. -.
Lo abbraccio di slancio, mentre le lacrime incominciano a scendere calde e silenziose. Il don mi accoglie fra le sue braccia e mi coccola senza dire una parola, massaggiandomi la schiena con movimenti circolari. Dopo essermi sfogata giusto un po’ mi allontano da lui e gli chiedo:
-Secondo te se le parlassi mi sentirebbe? -.
Il don mi sorride e dandomi un buffetto sulla guancia risponde:
-Sono sicuro di sì. Secondo me sa perfettamente che tu sei qui con lei. -.
Allora stringo dolcemente una mano della nonna fra le mie, mi avvicino a lei e sussurro piano:
-Ti voglio bene nonna. Non te l’ho mei detto abbastanza, ma ti voglio bene. Non ti lascio, rimango qui con te. -.

   
 
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