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Autore: Yellow Canadair    25/09/2017    4 recensioni
Kaku cercò di incoraggiare Rob Lucci: « Andrà tutto bene, anche se ti hanno portato via le mani. Caro Vegapunk è dalla nostra parte, sta aiutando Hattori, ha aiutato me e Jabura, e aiuterà anche te. Ci deve la vita, e sta collaborando. Andrà tutto bene »
Al ritrovamento del One Piece, i poteri dei Frutti del Diavolo sono scomparsi e i possessori sono svenuti. Il Governo Mondiale è caduto, e i suoi membri sono stati usati per degli osceni esperimenti.
Il CP0, smantellato e separato, a fatica si riunisce, e trova riparo fra le montagne, dove nessuno può udire le grida di dolore di coloro ai quali gli esperimenti hanno portato via parti del proprio corpo.
[Futuro distopico] [Post-One Piece] [Arti che saltano] [Vegapunk... Caro Vegapunk]
Questa storia partecipa al contest “Humans + (prosthetic kink contest)” a cura di Fanwriter.it!
Genere: Angst, Science-fiction, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jabura, Kaku, Kumadori, Rob Lucci, Vegapunk
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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★Iniziativa: Questa storia partecipa al contest “Humans +” a cura di Fanwriter.it!

★Numero Parole: 1776

★Prompt/Traccia: Bambini curiosi

 

 

Bambini Tondi

 

Kaku si era seduto sul bordo di un abbeveratoio di pietra, in una stradina laterale che portava alla piazzetta del paese; la vedeva da lontano, bianca di neve, e aspettava con pazienza che la piccola drogheria aprisse.

Erano da poco passate le otto del mattino, e lui e Lilian erano rimasti nel paesino invernale della Grand Line dove viveva Caro Vegapunk, che in quelle ore stava operando Rob Lucci.

« Servono queste cose » gli aveva detto la pilota, porgendogli un foglietto scritto a matita « Vuoi pensarci tu? Non posso lasciare il furgone incustodito… » gli aveva chiesto il favore.

I soldi stavano finendo, e quella lista era magra e scarna; però Kaku l’aveva presa dalle mani della segretaria e si era avviato in paese prima ancora che i negozi aprissero.

Lei era rimasta rintanata nella vecchia stalla dove avevano nascosto nottetempo il furgone, pronta a difenderlo in caso di pericolo, e con un orecchio sempre teso al lumacofono che c’era dentro per ricevere notizie da Fukuro, in missione per localizzare Califa e Blueno, e da Jabura e Kumadori, rimasti al rifugio.

Kaku lesse la grafia rotonda e chiara: roba di routine, piccoli oggetti e rifornimenti che servivano per sopravvivere in quel rifugio di pietra un altro po’. Certo, era un rischio comprare le cose alla luce del giorno, ma con un furto si sarebbero esposti ancora di più: in un paesello di poche anime dove tutti si conoscevano, tutti si sarebbero messi in allarme in un amen, e loro stavano cercando di rimanere nascosti. Ecco perché se ne stavano acquattati nel furgone, non andavano troppo in giro, e si spostavano di notte.

E lui aspettava che aprisse il droghiere, sperando che non ci fossero molte persone in giro a quell’ora del mattino.

Gli venne sete, e guardò dentro l’abbeveratoio di pietra che lo sorreggeva: ghiacciato. Sospirò, incrociò le braccia e si tirò il berretto sugli occhi per ripararsi dal riverbero della neve che invadeva le strade.

Accavallò le gambe di metallo. Era ancora stranissimo conviverci. La prima cosa che faceva al mattino, appena sveglio, era montarsele addosso. In fretta, prima che il suo cervello avesse tempo di realizzare che le sue vere gambe, dal ginocchio in giù, non esistevano, e che il cuore scappasse al galoppo per il panico e il raccapriccio di una disgrazia alla quale  non riusciva a rassegnarsi. Quando si alzava in piedi, riusciva a convincersi che andasse tutto bene, muoveva qualche passo e… e camminava. Tutto sommato già quella era una vittoria. Saltare e usare il Geppo era ancora difficile, ma un giorno ci sarebbe riuscito. Magari in futuro Caro sarebbe potuta tornare in un vero laboratorio degno del suo nome, e gli avrebbe costruito delle protesi migliori, senza riciclare pezzi di aereo.

Le lame di metallo che uscivano dai suoi calzoni corti rilucevano nella neve, colpite dal sole gelido. Sotto al “piede”, che piede non era perché non somigliava neanche lontanamente alla sua controparte anatomica, era stato aggiunta una sorta di soletta di gomma, residuo delle ruote dell’aereo, per non farlo scivolare sulla neve o sul ghiaccio.

A Kaku non piaceva.

Tutta quella situazione era… sbagliata.

Non avere le sue gambe era sbagliato.

Svegliarsi e non potersi alzare dal letto, era sbagliato.

I moncherini, ciò che rimaneva delle sue meravigliose gambe che lo facevano schizzare nei cieli di Water Seven, erano orribili, mutili, pieni di cicatrici, erano sbagliati.

Strinse i pugni, guardò verso il cielo. Almeno le mani le aveva ancora… forse Rob era stato decisamente più sfortunato di lui.

Quella faccenda, le amputazioni, il Governo caduto, il vivere alla macchia… quando erano scappati da Enies Lobby avevano creduto di aver toccato il fondo, e invece non erano state che le prove generali per un futuro ancora più terribile.

Memori di quella esperienza, aiutarsi a vicenda, da subito, era stata la salvezza più grande. Tutti sapevano già esattamente cosa poteva confortare l’altro, tutti sapevano dove mettere le mani in caso di panico, tutti sapevano gestire la vita tra i monti senza contare sul Governo, che per loro era stata una vera e propria madre: cibo gratis, letti gratis, come lottare, come comportarsi, come vivere. Adesso tutto era solo nelle loro mani, e per di più con degli handicap così pesanti da chiedersi continuamente se avrebbero potuto sopportarli o sarebbero scoppiati, e le loro menti avrebbero ceduto.

E senza Frutti del Diavolo. Erano ormai nove anni che Kaku conviveva con il Cow-Cow, gli rodeva parecchio essere riuscito a dominarlo, a risvegliarlo, per poi perderlo pochi mesi dopo. Accidenti! E per Lucci e Jabura doveva essere stato ancora peggio: per Jabura, poi, quel potere era parte integrante della propria identità.

Basta, Kaku non ci voleva pensare. Voleva allontanare quei pensieri che lo facevano annegare, che lo svegliavano nella notte e non lo facevano riaddormentare.

Alzò il berretto e guardò davanti a sé, in quei metri di neve che c’erano davanti ai suoi nuovi piedi.

E c’era un bambino.

Kaku sgranò gli occhi. Che errore che aveva commesso! Assorbito dai suoi cupi pensieri, la sua Ambizione della Percezione non l’aveva sentito arrivare!

Per fortuna non sembrava un nemico ostile, era solo un mocciosetto.

Avrà avuto tre anni al massimo. Era… tondo.

Così infagottato in strati di lana e cappotti, con il berretto, i guanti, la sciarpina e gli stivaletti, da risultare assolutamente… tondo. Kaku pensò che, se l’avesse spinto, quello sarebbe rotolato fino alla piazzetta senza farsi un graffio.

Il suo faccino era rosso per il freddo, gli occhietti erano neri, leggermente a mandorla, e guardavano rapiti le gambe di Kaku.

Ne arrivò un altro, di bambino. Una femmina, forse, visto che era vestita di rosa, ma era dello stesso modello del primo bambino: tonda e infagottata.

Il bambino le indicò con una mano (intera, non con l’indice solo, perché aveva i guanti con un’unica tasca per tutte le dita) le gambe di Kaku e anche lei, spalancata la boccuccia, si fermò a guardarle in catalessi.

Lo 007 si guardò attorno: non avevano dei genitori, quei due cosi, non c’era una scuola da qualche parte in quel paese? Era leggermente in imbarazzo, così sotto i riflettori, ma non voleva allontanarsi perché prima o poi il droghiere avrebbe aperto, e lui voleva tornare al furgone.

Scavallò le gambe e le accavallò di nuovo, al contrario.

Per la prima volta i bambini sembrarono notare che, attaccata a quelle strane cose metalliche, c’era una persona.

Lo guardarono in faccia e spalancarono gli occhioni neri.

Anche Kaku si sorprese, ma non disse nulla, rimase asserragliato tra il cappellino e il bavero del giaccone da neve.

« Sei una slitta? » disse il Bambino Tondo.

Kaku aprì la bocca per rispondere, ma la Bambina Tonda assestò uno spintone al Bambino Tondo ed esclamò: « Stronzo! »

Ma che bambina dolcissima.

« Non si dicono queste cose! È maleducazione! »

Ma che bambina coerente.

« Lo dico a mamma, che hai detto quella parola! » disse Bimbo Tondo, restituendole lo spintone.

Kaku li osservava, ben lungi dal separali o intervenire.

Il maschietto tornò a guardare verso di lui. « Sei una slitta? »

« No » riuscì a rispondere stavolta l’agente « Mi prendi in giro? »

« Ma hai i piedi come quelli delle slitte! » disse stavolta la bambina.

Kaku si innervosì. Ma erano solo bambini invadenti, non erano minacce. Guardò verso il droghiere, la cui saracinesca si ostinava a rimanere chiusa.

« Beh, sono fatti così. Non sono una slitta » disse il ragazzo.

La Bambina Tonda si accovacciò per guardarli meglio, senza toccarli « Oh! » disse « Sono di ferro! »

« Sei nato così? Con i piedi di ferro? » chiese il fratellino.

La conversazione stava prendendo una piega strana e non piacevole, pensò Kaku. Che diavolo doveva dire? A lui non piaceva parlarne con i suoi compagni, figuriamoci con due mocciosi sconosciuti!

« No » disse evasivo. Era abituato a mentire, però c’erano momenti in cui non ne valeva la pena. Mentire voleva anche dire immaginare una bugia, darle delle note di verismo, e Kaku in quel momento non aveva voglia di inventare una spiegazione alle sue protesi. Non ci voleva pensare per niente.

« Perché non hai più i piedi? » chiese il bambino.

L’agente segreto si stava innervosendo, e pensò di allontanarsi da quei due ficcanaso. Si guardò attorno, in cerca di un altro luogo da cui tener d’occhio il negozio.

Poi la bambina chiese una cosa, triste triste: « Succederà anche a noi? »

« Come papà? » completò il piccolo.

Kaku si voltò verso i due bambini. Lo guardavano serissimi. Si inginocchiò per terra -le protesi lo assecondarono dolcemente- per stare alla loro stessa altezza « No » disse. «  Nessuno vi porterà via niente… che è successo a vostro padre? »

Lunghi anni di spionaggio gli facevano fiutare notizie rilevanti lontane chilometri.

« Non c’è più » disse la Bambina Tonda.

« È a lavorare lontano lontano. Ha mandato una lettera alla mamma. Mamma lo diceva a nonna… »

« E che c’era scritto, nella lettera? » chiese Kaku, sforzandosi di pazientare.

« A papà hanno tolto le gambe » pianse la femminuccia. « Non può tornare a casa »

Kaku non volle tirare troppo la corda, avrebbe scoperto senza problemi di chi fossero figli quei due bambini. Ma quanta gente era stata sequestrata, dal Governo? Cosa c’era in atto, mentre loro erano annidati in quell’angolo di mondo a leccarsi le ferite a vicenda?

« Mamma si arrabbia che te l’abbiamo detto » disse il maschietto.

« Sono bravissimo a mantenere i segreti, non ti preoccupare » promise Kaku sorridendo.

« Anche a me li hanno tolti » disse triste la Bambina Tonda.

Kaku si stranì. « No, li hai. » ne era sicuro: erano coperti dai doposci, ma di sicuro in quegli stivaletti c’erano dei piedi.

« No, me li hanno tolti. E anche a mio fratello. Hanno tolto tutto. »

Kaku sentì un brivido lungo la schiena, ma la domanda successiva lo distrasse: « Posso toccarli? » indicò i piedi di Kaku.

« No » disse lui, ritraendosi. « Meglio di no. » si addolcì subito, perché la bambina si era turbata.

I due rimasero qualche istante a guardare le protesi, Bambino Tondo si stese nella neve per guardare anche la suola di gomma.

« Sei fortunato » disse infine Bambina Tonda « Perché non ti vengono i piedi freddi! »

La saracinesca della drogheria venne sollevata con un gran fracasso, e Kaku si voltò in quella direzione.

Quando tornò a guardare verso i due mocciosi, erano scomparsi.

E, notò Kaku, i loro piedi non avevano lasciato neppure una minuscola impronta nella neve.

 

 

 

 

 

Dietro le quinte...

Che fine hanno fatto i Bambini Tondi? Chi erano? Forse Kaku non lo scoprirà mai...

Anche lui, come Lucci e Jabura, è impegnato a combattere contro la realtà che lo strattona e lo costringe a fare i conti con due piedi artificiali. A lui non piacciono, non li vuole, le gambe erano il suo biglietto da visita: chi lo dimentica, a Water Seven, quando solcava i cieli saltando e tutti lo guardavano dal basso? E a Enies Lobby, che fronteggiò Zoro a spade e gioco di gambe? Ma il destino l'autrice è una sadica bastarda, e gliele ha tolte. Ora sta a lui rimettersi in piedi fare il primo passo tornare in sella.

Grazie per seguire questa piccola raccolta e grazie a Fanwriter.it per la bella iniziativa ♥ lasciatemi una recensione per favore, è la prima volta che scrivo così tanto di Kaku e mi piacerebbe sapere se secondo voi è convincente! Grazie tantissimo!

A prestissimo,

Yellow Canadair

 

 

 

  
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