Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: EffyLou    01/10/2017    2 recensioni
Johann Trollmann è un pugile, beniamino del popolo tedesco negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Indisciplinato, imprevedibile, borioso. Non sono i suoi difetti più grandi. Johann Rukeli Trollmann appartiene ad un popolo scomodo: è uno zingaro. Conquista le platee di Germania e fa innamorare le donne tedesche.
Nella sofferenza che porterà il Nazismo, il suo unico punto fermo e pilastro incrollabile è Frieda. Johann tocca l'apice e il fondo, assaggia il successo e la disperazione, conosce la serenità e la guerra. La derisione nazista si scontra con l'orgoglio di uno zingaro, che proprio non vuole saperne di abbassare la testa a quelle umiliazioni.
C'è solo un modo per far tacere quell'anima in rivolta: ridurlo ad un numero e darlo in pasto al Porajmos, l'Olocausto del popolo zingaro.
- - - - - -
I veri combattenti non temevano la loro ultima battaglia, e se c'era una cosa che Rukeli aveva sempre fatto, era dimostrare di non temere neppure il Diavolo. Neppure il Nazismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
12. Nachruf


Aveva parlato con Zirzow e Leyendecker riguardo la lettera di Seeling, nel pomeriggio. Entrambi erano rimasti sconcertati da come stavano andando le cose. Come ad intuire la situazione, il giorno dopo aver ricevuto la lettera dell’ex campione tedesco, una squadra di camice brune fece irruzione nella palestra. Controllarono un po’ ovunque, in caso fosse tutto a norma. Le Sturmabteilung (SA) erano il reparto d’assalto dei militari d’élite di Hitler.
Avevano richiesto i fascicoli di tutti i pugili che si allenavano lì, Leyendecker glieli aveva passati senza troppe cerimonie. Passarono un’ora nell’ufficio dell’allenatore a studiare i fascicoli dei ragazzi, controllando che fosse tutto a norma.
Quando uscirono, Leyendecker era scuro in viso. Fece alcuni nomi, tra cui quello di Hans Seekirchen.
«Dovete andare via, ragazzi, non potete più stare qui.» aveva detto.
Johann guardò l’amico e poi Kaspar.
«Che cosa? E perché?» aveva protestato Hans.
«Perché siete ebrei. Gli ebrei non possono più boxare, è contro la legge.» aveva risposto uno delle camice brune, rigido.
Hans e gli altri ragazzi restarono impietriti. Non fecero in tempo a dire nient’altro, li avevano fatti uscire in fila dopo avergli fatto togliere i guantoni.
Quello che doveva essere il capo delle camice brune lì presenti, si rivolse a Leyendecker dopo aver scoccato un’occhiata a Johann, che cercava di guardare fuori le finestre dove stessero portando i suoi amici.
«Quel suo pugile, lì… Trollmann. Sappiamo che presto combatterà per il titolo. Contiamo di vedere un combattimento pulito e onesto, in pieno spirito del Faustkampf
«State dicendo che Trollmann combatte slealmente? Trollmann
«Quei suoi trucchetti non sono onesti, e il suo sgambettare ovunque sul ring è un modo scorretto di sottrarsi allo scontro, Herr Leyendecker, lei lo sa.»
L’allenatore scosse il capo. «Johann si allena duramente, è una vita che tira di boxe. Ha un grande talento e…»
«Talento? Quello zingaro lì? Noi abbiamo visto solo un clown del ring. – ridacchiò in modo composto. – Confidiamo nel suo buonsenso. A presto.»
Quando le SA e i loro amici furono fuori, c’era il gelo nella palestra. Nessuno disse più nulla, qualcuno se ne andò a casa.
Johann rimase. Leyendecker gli andò vicino.
«Prima i comunisti, ora gli ebrei. Johann. – lo richiamò l’allenatore, il volto segnato dalla preoccupazione. – Devi andare via.»
Le raccomandazioni di un padre al suo unico figlio.
«Devo combattere per il titolo.» replicò, distratto.
«E poi te ne devi andare. Mi hai capito, ragazzo? Vattene.»
«È solo politica, vecchio. – mormorò lui, mollando un gancio rabbioso al sacco nonostante il tono calmo. – Non ci vorrà molto che tutta questa follia sarà acqua passata.»
«Lo hai visto anche tu. Non è più politica, sta diventando una questione sociale. E tu sei uno zingaro.»
Johann si fermò di colpo. I suoi occhi neri brillarono di rabbia, fulminarono l’allenatore. Leyendecker si sentì al cospetto di un lupo affamato, lo sguardo selvaggio. Quegli occhi. Il baratro più profondo non poteva essere scuro come le iridi di Rukeli. Inghiottivano la luce delle lampade sul soffitto come un buco nero. Indietreggiò di un passo.
«Lo so che sono uno zingaro, me lo ricordate tutti da quando sono a Berlino. Non fate altro che riempirvi la bocca con questa parola. – un gancio al sacco, oscillò senza contegno. – Non ha niente a che fare con me tutta questa storia. Io faccio sport, sono un atleta. Solo perché sono zingaro non significa che io sia un delinquente o chissà cosa.»
«Ma possibile che non lo capisci? Ha a che fare con te eccome! Nemmeno Hans e gli altri ragazzi erano delinquenti, ma erano ebrei, mi capisci? Gli zingari sono sempre stati una questione sociale, come lo è ora quella degli ebrei. A quella gente non interessa il caso singolo, ma l’insieme. Pensi che non verranno a bussare alla tua porta, un giorno? – ora Leyendecker urlava, disperato. – Te ne devi andare, Johann! Fa’ il tuo incontro, ma non ha valore per quella gente, sarà propaganda. Fa’ quello che devi. Ma poi vattene! Te ne devi andare!»
Un montante sinistro fece traballare il sacco. Si sganciò dai cardini, cadde pesantemente sul pavimento della palestra. Non si curò di tirarlo su e rimetterlo a posto. I pochi pugili rimasti ad allenarsi si erano fermati di colpo.
Si sfilò i guantoni, li lanciò addosso alla parete. Si voltò verso Leyendecker.
«Io non me ne vado. Sono nato qui, cresciuto qui. Sono tedesco, ho il diritto di stare in Germania. Questa gente non è nessuno per dirmi come devo vivere, cosa devo e non devo fare, e come lo devo fare.» sputò a terra, come se il suo vero obbiettivo in realtà fosse il nazionalsocialismo. Si avviò verso l’uscita.
«Ti farai ammazzare, Johann!» gli urlò l’allenatore, in un ultimo atto di disperazione per cercare di convincere il suo pugile.
Il ragazzo si voltò, allargò le braccia. «Forse. Ma non mi piegheranno.»

 
* * * 

26 maggio 1933

Kozerthaus, Hannover.
Otto Klockemann pesava otto chili in più rispetto a Johann Trollmann.
«Respira, stancalo. Con lui non puoi giocare.» gli diceva Leyendecker al suo angolo.
Erano previste otto riprese. Ma Rukeli aveva tanta di quella rabbia in corpo che si accanì sull’avversario come se fosse un nemico. Non l’aveva mai fatto.
Klockemann si era spaventato, cedeva terreno, veniva divorato dal lupo. Al secondo round, Gipsy vinse per knock-out tecnico.
La Kozerthaus esplose in urla di gioia. Era la voce della sua gente, della sua città. C’era tutta la sua famiglia a vederlo. Persino le sue sorelle con i mariti e i figli.
Quando incrociò gli occhi di sua madre tra il pubblico, la rabbia abbandonò il suo corpo. Rilassò le spalle, si sciolse in un sorriso. Si avvicinò a Klockemann, gli strinse la mano con un sorriso di scuse ma non gli disse nulla.
Johann per primo era rimasto sconcertato da sé stesso: mai si era accanito così con un avversario. Mai come se fosse un nemico. Non li aveva mai colpiti con odio, come loro colpivano lui. Stavolta si era lasciato andare a quel fuoco rabbioso. Non l’avrebbe più permesso.
Rukeli si avvicinò alla platea, alla sua famiglia, prese in braccio la figlia di sua sorella Kerscher.
Dorette, chiamata Goldi, aveva otto anni ed era una bomba di vivacità. Come sua madre da bambina, d’altronde. Johann ricordò quei giorni con un sorriso, mentre portava sua nipote in giro per il ring, tenendola su una spalla.
E i sinti di Hannover ridevano, cantavano, battevano le mani mentre lui restava sul ring.
Era giovane e immortale.
 
 
Il giorno dopo tornò a Berlino. Non tornò a casa subito.
Sentiva di voler parlare con Edmund Bilda. Di cosa esattamente, non sapeva dirlo. Ma la morte di Schnipplo, e la sua generale assenza nella vita del ragazzo, lo portarono a desiderare un padre.
Leyendecker era stato suo padre in quegli anni, Zirzow uno zio severo. Ma nessuno dei due era padre sul serio.
Suonò il citofono, gli aprirono subito.
Edmund lo accolse con un gran sorriso confortevole. Ivan non c’era.
«Johann! Posso offrirti qualcosa?»
«Sono apposto, grazie.»
Si sedette su una delle sedia della cucina. Il signor Bilda posò una scodella di ciliegie sul tavolo.
Johann guardò le foto di Frieda e sua madre appese sulle pareti della cucina. Avevano molte foto insieme. C’erano anche le foto di Edmund e sua moglie da giovani, il giorno del loro matrimonio, in momenti galanti.
«Si chiamava Agnes, era tedesca. ─ mormorò Edmund con un sorriso triste. – Non c’è giorno in cui io non pensi a lei.»
Johann abbassò lo sguardo, non sapeva cosa dire. Sapeva della madre di Frieda. Sapeva che era tedesca, una pura “ariana” come sarebbe stata etichettata in quei giorni.
«Frieda non ne parla mai volentieri, non credo che le manchi. – continuò l’altro. – Aveva sette anni quando è morta. Forse è bene così. Se un genitore lascia un figlio quando è ancora piccolo, forse è meglio: in futuro non sentirà la sua mancanza.»
«Io… credo che a Frieda sia mancata una figura materna. Tutto ciò che sa fare, il suo stesso carattere, sono forgiati da personalità maschili.» commentò Johann, sommesso.
«Hai ragione. Hildi l’ha aiutata molto in questo: le ha insegnato a truccarsi, a vestirsi, a cucire, a rapportarsi con i ragazzi. Le ha fatto scoprire il suo lato femminile. – sospirò. – Frieda è sempre stata così autentica, così libera. Mi ha fatto diventare matto, soprattutto durante l’adolescenza. Ma è dotata di una sensibilità molto particolare, Johann. Una sensibilità ed un’empatia molto profonde.»
«Me ne sono accorto. – sorrise. – Dal semplice fatto che riesce ad entrare in empatia con il suo cavallo, Alfie.»
«Non è solo questo. Si fa carico delle emozioni di chi ha intorno, non lo fa apposta, è troppo empatica. Tutta la positività che raccoglie da chi la circonda le fa bene, il problema è quando assorbe la negatività. Si autodistrugge senza accorgersene. Oh, e non parlerà mai delle sue sofferenze. Non ti dirà proprio niente, si autodistruggerà in silenzio piuttosto che dirti quanto soffre. Te lo sto dicendo perché sei molto vicino a lei, dovrai fare attenzione a queste cose. – prese una pausa, gli sorrise. ─ Sei un bravo ragazzo, e ti ama. Non le è mai importato niente dell’amore, poi sei arrivato tu.»
Era tranquillo, perché non stavano vivendo alcuna brutta situazione. Sapeva del suo brutto difetto di non parlare di ciò che la angosciava, non lo dava neanche a vedere, ma dopo quasi cinque anni aveva imparato a conoscerla.
Sorrise per l’ultima frase di Edmund. Nemmeno a lui era mai importato niente delle romanticherie, sapeva solo che piaceva alle donne e perché non divertirsi con loro, allora? Quando si sarebbe presentata quella giusta per lui, se ne sarebbe accorto, ma fino ad allora erano tutte sue. Poi aveva visto Frieda. Solo per i suoi occhi, le mostrò il suo cuore.
«Ti ha mai detto come ci siamo conosciuti?»
Edmund scoppiò a ridere, annuendo. «Quella ragazza… È tutta pepe, quando ci si mette.»
«Maledizione, l’ho notato!»
«So che combatterai per il titolo nazionale.» esordì l’uomo.
Il signor Bilda stava andando a toccare un argomento delicato per Rukeli. Forse era per quello che sentiva il bisogno di parlare con lui.
«Sì, è una grande opportunità.» sussurrò.
«Ragazzo mio, qualsiasi cosa ti turba per quella serata, scacciala via. Devi concentrarti e far vedere ai tedeschi che i sinti non sono solo musicanti o circensi. – gli strinse la spalla. – Niente sarà come prima, comunque andrà quella serata. Ecco perché devi far in modo che vada bene.»
«Signor Bilda… Sarà propaganda.»
Gli occhi di Edmund si incollarono a quelli del pugile.
Azzurri come il cielo, profondi, senza limiti. Ma era un cielo diverso da quello di Frieda.
Mentre lei aveva lo sguardo limpido, leggero, frizzante… Suo padre aveva gli occhi antichi, provati, pesanti. Il peso degli anni e dell’esperienza, delle difficoltà superate.
«Un motivo in più per virare la situazione a tuo favore. – lo fissò. – Ascoltami, ragazzo. Cercheranno di portarti via l’orgoglio, di portarti via l’anima, tenteranno di prendere il controllo. Credimi, ci proveranno. Quando tutto ti sembrerà cadere, fermati. Respira. Ascolta la tua testa, ascolta il tuo cuore. Ricordati chi sei e riprendi il controllo. È come la boxe: il più bravo resta in piedi. In quel ring intangibile combatterai una battaglia tremenda, ragazzo mio. Porta con te l’orgoglio del tuo intero popolo.»
Nel match contro l’ingiustizia, il pregiudizio, nel match contro un governo ed un’ideologia razzista, chi era il più bravo?  Chi restava in piedi?
Johann avrebbe combattuto contro quella bestia nera fino alla fine della sua vita e oltre.
 
 
Tornò a casa per pranzo. Un rinnovato spirito di libertà e di ribellione gli bolliva nelle vene. Piegarsi mai.
Aprì la porta di casa e un profumo di spezzatino e patate gli invase le narici. Frieda fischiettava una canzone mai sentita prima, e andava di qua e di là per la cucina, roteando come una ballerina. La gonna che si gonfiava leggermente ad ogni piroetta. Assaggiò lo spezzatino e rifletté sul sapore. Non sapeva decidere se fosse buono o meno. La vide alzare le spalle senza particolare attenzione e afferrare la pentola dalle maniglie. Si voltò per fare i piatti.
Incrociò lo sguardo divertito di Johann. Era appoggiato con la spalla sul muro, le mani nelle tasche dei pantaloni neri.
«Bella coreografia.» le sorrise.
Lei lasciò la pentola sul tavolo e andò ad abbracciarlo. Gli riempì il viso di baci.
«Com’è andata? Mangiamo.»
Si allentò il colletto della camicia, sbottonando un paio di bottoni. Si accomodarono a tavola e iniziò a raccontarle di Klockemann. Le disse di Goldi, delle sue sorelle. Non le disse di Edmund.
A Johann piacque lo spezzatino di Frieda. Non era molto brava a cucinare, ma s’impegnava duramente per imparare. Quand’era sola studiava libri di ricette e dava inizio agli esperimenti. Stava migliorando, e quello spezzatino ne era la prova.
«È buonissimo. Sei stata brava.» le sorrise, pulendosi i lati delle bocca.
Un sorriso raggiante si aprì sul volto di Frieda. «Davvero? Non lo dici tanto per dire, vero?»
«Se faceva schifo te l'avrei detto, lo sai. Andiamo al cinema stasera? – le chiese. – Voglio portarti all’Haus Vaterland. Voglio ballare con te tutta la notte e bere birra mentre facciamo i nostri discorsi mistici da ubriachi.»
Lei scoppiò a ridere. «Tu sei matto, domani ho il turno di mattina! A bere birra ci vengo ma dovrai trovarti un’altra signorina con cui ballare tutta la notte.» lo sfidò.
Johann assottigliò lo sguardo, si leccò il labbro. «Va bene, allora. Spero di trovarci Hildi, pronta per me.»
«Non ti biasimo. Anch’io mi tradirei per lei.» scoppiò a ridere di nuovo.
Frieda cominciò a sparecchiare, mise i piatti a mollo nell’acqua del lavandino.
Lui arricciò il naso, con un sorriso. «Non mi piace questa cosa, io non ti tradirei mai. Nemmeno per Hedy Lamarr, e solo questo dovrebbe bastarti.»
«Hedy Lamarr ha diciannove anni! Dicono sia ninfomane.» la buttò lì.
«Ti assicuro che per me non è assolutamente un problema.»
Frieda gli scoccò un’occhiata di divertito disappunto mentre si sciugava le mani su un panno.
Johann sbuffò dal naso, sporgendo le labbra come se meditasse. «Va bene, biondina, non faremo tardi stasera. Dopo, invece, voglio andare a pescare.»
«Hai voglia di fare tante cose oggi, eh? – gli arrivò dietro, gli passò le mani sul petto e lo strinse dolcemente in un abbraccio. – E io?»
Gli sussurrò nell’orecchio.  Le sue labbra sul lobo, il fiato fresco. Un brivido gli percorse il corpo.
Si passò la lingua sui denti, le afferrò uno dei polsi. «Tu cosa?» 
«Non ci sono nei tuoi piani giornalieri?» lo provocò, la voce suadente. Le sue labbra premevano lente e sensuali sul collo del pugile.
Fanculo Hedy Lamarr.
Johann si alzò in piedi, la inchiodò al banco della cucina. La sollevò, la fece sedere lì, tra i fornelli e il lavandino. Le teneva le mani sui fianchi.
«Tu ci sei in ogni progetto, in ogni sogno, in ogni intenzione.» 

 
* * *

Box-Sport, edizione del 6 giugno 1933 – Presentazione del match per il titolo nazionale categoria mediomassimi, Trollmann-Witt, 9 giugno ’33.
I punti di attrazione di questo periodo sono chiaramente Adolf Witt di Kiel e Heinrich Trollmann di Hannover. Ognuno di loro ha un proprio seguito.
Witt è sostenuto da coloro che vogliono vedere un picchiatore forte, coraggioso, sempre pericoloso.
Trollmann aveva molti sostenitori, in particolare tra coloro che non riuscivano ad accettare le nuove direttive per combattere date dalla federazione, sostenitori che apprezzavano la teatralità del suo stile e la sua imprevedibilità zingaresca. Si divertivano per la sua originalità. Non hanno mai avuto la minima sensibilità per il grande istinto che Trollmann ha dimostrato come pugile e che consiste nella più preziosa qualità di questo combattente. Risulta quindi chiaro che il talento di Trollmann sia stato portato su binari deviati. Si voleva un clown del ring e si applaudiva quando Gipsy dava dimostrazioni che avevano poco a che fare con il pugilato. Al contrario non lo si accettava quando combatteva seriamente, lealmente e determinato come una furia a vincere.
Il pubblico, non prendendolo seriamente, ha stracciato a questo giovane la possibilità di avere un’incredibile carriera sportiva.
Trollmann aveva le carte in regola per diventare campione Europeo, probabilmente anche mondiale, ma il pubblico l’ha deviato.

 
Leyendecker finì di leggere l’articolo e alzò gli occhi su Trollmann, le labbra serrate e le sopracciglia inarcate. «Beh, questa è… una capriola stravagante. Ti rappresentano come traviato dai tuoi stessi sostenitori.»
Johann, che stava eseguendo una sessione di addominali disteso su un tappetino, si fermò e posò i gomiti sulle ginocchia divaricate. Dalla cute colò un rivolo di sudore ai lati del viso.
«Parlano di me al passato, come se non ci fossi più o non fossi più un pugile. L’hai notato? Puzza di necrologio, e non si parla male di un morto.»
«Tu dici?»
Alzò le spalle, tornando ai suoi addominali. «Rileggilo e te ne accorgi. Di Witt parlano al presente, di me al passato. Questi mi stanno facendo le scarpe, prendono le misure per la bara.» 






A N G O L O A U T R I C E
Ce l'ho fatta ad aggiornare. Amen. 
In questi giorni sto facendo una revisione alla storia perciò i capitoli già postati finora sono stati lievemente modificati. Per modificati intendo che qua e là potrebbero esserci piccole aggiunte, piccole modifiche, etc. 
L'aggiunta più importante che ho apportato, è stato inserire gli spezzoni di articoli di Box-Sport dell'epoca che parlano di Trollmann. Li ho presi dal libro di Roger Repplinger, Buttati giù, zingaro (edizioni UPRE ROMA), che ha fatto un'approfonditissima ricerca e ricostruzione della vita di Rukeli riportando, oltre a questi articoli, le testimonianze dei familiari in vita e gli aneddoti più famosi. Quegli articoli ho cercato di trovarli da me, ma purtroppo i miei unici mezzi sono internet e i libri, mentre Repplinger disponeva di tutta la Germania per cercare il "fantasma" di Rukeli HAHAH

Ad ogni modo, consiglio di leggerli! Si trovano nei capitoli
- cap. 6, Solo buone intenzioni
- cap. 9, Io non gioco
- cap. 10, Figlio della guerra
Vi ricordo che Box-Sport era una rivista che andò ad "arianizzarsi" ed era da sempre abbastanza razzista, pertanto si schierava di solito dalla parte dell'avversario di Rukeli. Se si "complimentava" con Trollmann era perché cercava di dar vedere una certa neutralità.

Non ricevo molti feedback e sto andando un po' alla cieca (?). Se leggete, mi farebbe piacere avere un'opinione ç__ç
Alla prossima! ♥


 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: EffyLou