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Autore: Belarus    07/10/2017    2 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates.
Note: Ho saltato un aggiornamento, sono una persona orribile. E l’ho fatto per una causa così stupida che persino io stento ancora a credere sia stato possibile… mi sono ustionata con il forno di casa. Ridete. Vi autorizzo. Il medico del pronto soccorso lo ha fatto, fatelo anche voi. Ad ogni modo le mie sante(?) manine stanno bene adesso e mi sono rimessa in carreggiata con una sgommata di romanticismo da paura… per lo più mia, perché non so come sia possibile che io scriva simili scempiaggini facendo volontariamente del male a quella povera anima di Law che spero abbia avuto un lieto compleanno e stia erigendo la più monumentale threesome involontaria che si sia mai vista nella storia dell’umanità. Non lo è, non lo sarà né dovrebbe esserlo. Raddrizzerò il tiro, promesso (soprattutto a Kidd).
Ne approfitto per ringraziarvi tutti, chi legge, passa, recensisce, se ne va, ritorna, muore ed emigra, perché molti anni fa ho cominciato questa storia e la scrivo ancora grazie al vostro supporto. Sono cambiate tante, troppe cose dalla sera in cui la pubblicai, ma mi ostino a continuarla perché ho promesso e ormai è diventata per me una di quelle imprese che vanno ad ogni costo portate a termine per diventare grandi. Grazie per l’aiuto, vi voglio bene! Sul serio.



CAPITOLO LXXXI






Essere al centro dell’attenzione non era mai stato un suo desiderio, le volte in cui era accaduto il contrario poteva contarle sulla punta delle dita di una mano. Eccezion fatta per quelle Aya avrebbe serenamente accettato di sprofondare nell’indifferenza più totale e restarsene ad osservare il mondo proseguire con o senza di lei. Le metteva angoscia sentire troppi occhi su di sé, dover badare a cosa dire o fare nel terrore di sbagliare e peggio ancora doversi dimostrare un peso da portare. Se avesse partecipato ad una seduta di analisi le avrebbero di certo diagnosticato un qualche trauma infantile provocato dalla sua famiglia da cui cercava ossessivamente di sottrarsi con scarso successo ora anche grazie a quel maniaco del controllo di Law.
Inamovibile nella sua espressione glaciale, la puntava tra il tumulto generale come se si stesse trattando di una guerra da dover vincere ad ogni costo e non avesse di fronte lei, di cui aveva chiari propositi e volontà.
Perché se c’era una cosa che lei e Law avevano imparato a fare dovendo condividere lo spazio angusto del Polar Tang, quella era stata capirsi con un’occhiata senza troppi giri di parole e Aya era certa che non fosse accaduto il contrario proprio lì, in quelle circostanze quando tutti andavano di fretta.
«Non è necessario che stiate qui, non accadrà nient’altro.» assicurò paziente, passandogli accanto per fermarsi un passo più in là nel tentativo di rimarcare visibilmente il concetto.
Era sempre possibile però che avesse fatto finta di nulla, tendeva ad ignorare con presunzione quasi infantile ciò che non gli andava giù per fare poi di testa propria. Per agirare l’ostacolo a volte occorreva indirizzarlo per vie traverse – sempre badando a non insultare la sua intelligenza, il ché era una sfida troppo spesso impari – o insistere finché non lo si portava all’esasperazione, un po’ come aveva consolidato il suo equipaggio. Aya non era certa di poter riuscire in nessuna delle due imprese, ma confidava nell’accondiscendenza che di rado in Law aveva fatto capolino quando era lei a domandare qualcosa. D’altro canto lui era l’unico in mezzo a quel bizzarro gruppetto a sapere davvero ciò che significava per lei farcela da sola, sarebbe stato comprensivo come aveva fatto al porto qualche ora prima.
«L’intera città vi ha visti precipitare. Certo che succederà qualcos’altro.» ribatté cinico tuttavia e Aya gli rivolse un sorriso tra l’eloquente ed il supplichevole.
«Cercheranno me, non voi. Posso occuparmene tranquillamente io.» rimarcò limpida, provando a chiudere la questione con della sana ragionevolezza che senz’altro avrebbe fatto breccia nella sua mente pratica.
«È evidente che tu possa farcela da sola se vai in giro con certa gente.» lo sentì però notare e se Law non fosse stato Law e lei non avesse avuto la triste e matematica certezza che avesse appena fatto degenerare la loro sino a quel momento innocua discussione, sarebbe quasi potuto passare per un complimento.
Per un qualche tragico scherzo del destino anche il resto della compagnia annusò il disastro imminente e mentre dagli Heart si sollevava un verso di panico strozzato, Amaro lanciava ammutolito occhiate da lui a lei e Shizaru sgranava gli occhi senza sapere come far fronte a cosa, Celya piantò un tacco al suolo lanciando saette dagli occhi.
«Che hai detto barba da capra?!» ringhiò furiosa con una pericolosa sfumatura dorata del corpo, ma Aya riuscì a trattenerla per tempo con un gesto distratto della mano prima di replicare.
Law era una persona straordinaria come poche e della cui compagnia potevano dire di godere davvero – nel senso pacifico del termine – solo un ristretto gruppo di persone al mondo. Si apparteneva ad una sorta di club d’elité il cui diritto d’accesso competeva solo ed esclusivamente lui, di cui ciò nonostante una volta dentro si veniva ripagati cento volte delle fatiche fatte. Era capace di slanci di gentilezza e premura inconcepibili, ma l’altra faccia della medaglia alla quale ci si doveva abituare era la sua dote innata di colpire con simili frecciatine.
«Sono stata in compagnia di gente che si presume sia peggiore.» lo rimbeccò, cercando di mostrarsi paziente benché le avesse appena mollato un colpo basso tirando in causa Celya, Amaro e Shizaru.
Attorno a loro, una volta sparita la Huesuera di miele, la gente cominciò ad agitarsi e i toni si sollevarono pian piano in un coro concitato che la raggiunse solo di striscio presa com’era dalla conversazione. Allenato ad accorgersi del malumore di una folla sul punto di esplodere grazie ad anni di turni e pattuglie, Shizaru si ridestò dal torpore e provò a parlare per avvertirla dello stato della situazione, ma putroppo non fece in tempo neanche quella volta.
«È per merito delle prodezze di Eustass-ya se adesso ci troviamo in questa situazione.» sibilò velenoso e la bocca dell’ex marines si richiuse di scatto, unico questa volta a sapere quanto sbagliata potesse suonarle quella frase.
Sentì chiaramente la sua mano stringerlesi attorno al polso ancora sporco di miele per trattenerla, forse nel timore che rifilasse un calcio nello stomaco a Law com’era accaduto con lui quando si era azzardato a tirare in ballo Kidd durante il loro incontro nell’Ekaruma. Nessuno vi badò, neppure lei, ma per quanto elettrica si stesse facendo l’atmosfera in quella piccola cerchia che avevano creato tra la confusione degli abitanti di Down Under, andò comunque meglio di allora dato che rimase immobile al proprio posto sebbene il desiderio fosse stato il medesimo.
Allora si era trattato di difendere a spada tratta la reputazione di chi era stato per lei l’unica ancora di salvezza, adesso era Aya a sentirsi davvero attaccata benché per qualche assurda ragione Trafalgar si fosse messo in testa di ficcarci dentro anche Kidd. Non si trattava più di eccessiva premura, del sarcasmo affilato di cui era dotato, di una arigata meiwaku che li teneva bloccati lì su quel livello, era un’accusa al suo giudizio, ai suoi propositi e mai dopo ciò che era successo avrebbe pensato di sentirla da Law.
«Io so perfettamente quello che faccio, non allargare le critiche ad altri.» scandì perentoria, scoccandogli un’occhiata che lo rabbuiò all’istante.
Non aveva idea di come fossero giunti a quel punto, non riusciva a capacitarsi del fatto che un’insegna luminescente, per quanto dalle dimensioni titaniche, fosse stata in grado di portare Law a dirle certe cose dopo il totale appoggio che le aveva dato poche ore addietro. Le sembrava d’essere perseguitata dalla sfortuna, di non poter mai essere all’altezza delle aspettative di chi le stava a cuore e di dover sempre tirar dritto per la propria strada da sola. Purtroppo però non aveva più tempo per piangersi addosso, per sistemare o dimostrare nulla, aveva promesso a sé stessa di fare ciò che Ko aveva fatto per lei e se a Law quello non stava più bene, se ne sarebbe dovuto fare una ragione da sé.
Bepo poco più in là abbassò sconfortato le orecchie rotonde nel vederli guardarsi a quel modo e accanto ad un Penguin ammutolito, Shachi aprì bocca senza riuscire a pronunciare neppure un verso sotto l’ombra di Jean Bart. Shizaru, forse continuò a tenerla per il polso per tutto il tempo o forse la prese di nuovo in quel momento, Aya non se ne accorse e non badò neppure ad Amaro che dall’alto dei suoi buoni propositi per lei fu il primo a frapporsi alla folla in tumulto che li aveva circondati.
«Non vorrei interrompervi di nuovo, ma credo sia meglio concentrarsi altrove ora…» li richiamò serio, armato di un rinnovato coraggio e della canna da pesca estratta dall’astuccio sulla schiena – unico oggetto che aveva portato via dal banco da farmacista –.
L’intero livello sembrava essersi raccolto attorno a loro per accerchiarli, mentre erano distratti e in ognuno dei volti che Aya si ritrovò in contropiede ad osservare non vi era alcun segno di buone intenzioni. Immobili e seri li puntavano con rimprovero dai più piccoli ai più anziani, in un improvviso silenzio trepidante che non le lasciò sperare nulla di buono. Rimasero in quelle pose rigide finché qualcuno non si fece avanti, un uomo tozzo e dalla pancia cadente che le puntò un pugno armato contro per indicarla in mezzo agli altri.
«Quella donna sta progettando di distruggere Down Under insieme alla ciurma del Capitano Kidd!» la incolpò con l’ombra d’un sorriso viscido sulle labbra tumefatte e nel mezzo di quel tribunale improvviso ad Aya parve di ricevere uno schiaffo in pieno viso.
Poteva comprendere e rassegnarsi ad essere mescolata al caos che la ciurma di Kidd creava ad ogni approdo, ma questa era un’altra faccenda. Doveva essere stata organizzata una congiura ai suoi danni quando aveva abbandonato Marijoa, perché era semplicemente impossibile che in luoghi tanto diversi per clima, tradizioni ed abitudini, ci fosse sempre chi la accusava di voler distruggere la serenità delle vite altrui.
Rintronata dalla calunnia inattesa sgranò appena le iridi ambrate guardando quella folla inferocita, ma Celya le si parò immediatamente davanti superando persino Law, la cui kikoku era già per una porzione in bella mostra dietro di lei a mò d’avvertimento per il passo successivo.
«State zitti idioti! Aya non vuole distruggere la città e non puntatele quelle luride salsicce contro! Non dovreste nemmeno guardarla!» li rimproverò imperiosa, squadrandoli con le mani sui fianchi perfetti.
Dalla gente si alzò subito un mormorio per quelle parole. Forse non si aspettavano che qualcuno prendesse le sue difese, magari davano già tutti per scontato che le cose fossero andate a quel modo e adesso si trovavano in preda a della giustificata confusione considerando il modo in cui si sbirciavano gli uni gli altri. Qualcuno accennò persino a rilassare i pugni tesi sotto la minaccia dello sguardo di Celya, ma l’uomo che l’aveva accusata si fece di nuovo sentire avanzando persino verso l’ex mercante d’arte del Karyukai.
«La difendi Vedova?! Difendi chi ci minaccia il bene di tutti noi? Potrebbe essere scambiato per tradimento, per una violazione e le violazioni vanno punite… spostati e lasciaci fare il nostro dovere. Non vuoi essere punita vero?» la avvertì viscido, allungando la spada sino alla collana che Aya le aveva regalato.
Nel vederlo tanto vicino a lei e addirittura minaccioso fu certa di sentirlo urlare da un secondo all’altro per colpa di una pronta e poco caritatevole reazione di cui Celya era sempre capace contro il genere maschile, ma l’uomo continuò inaspettatamente ad esibire il proprio ghigno tumefatto e nel momento in cui la sua nuova amica abbassò appena il capo castano Aya capì che qualcosa non tornava. L’uomo ballonzolò oltre la sua figura con un cenno verso la folla affinché si unisse a lui e reagendo al posto di Celya, Law attivò la propria room.
«Questo è quello di cui avresti dovuto preoccuparti.» le rimproverò una volta ancora greve, mentre il resto degli Heart si rimboccava le maniche delle divise per affrontare una simile folla inferocita.
Sollevò lo sguardo sul suo assorta finché la battaglia non cominciò e nel caos che le si gonfiava attorno, tra centinaia di volti rabbiosi che tentavano di agguantarla malgrado la room che la circondava intravide quello contratto in un dispiacere rabbioso di Celya. Per un effimero momento la vide ancora ferma, osservare indietro con le mani liquefatte e solo allora si ricordò del loro primo incontro. Due uomini riuscirono a superare Shizaru, intento a tenerne a bada altri e le si avventarono addosso con l’intenzione di trascinarla giù per colpirla, ma Aya si abbassò in tempo per poi affondare nei loro addomi con un pugno e una ginocchiata. Sebbene Law stesse facendo di tutto per limitare il numero di figure in grado di superare la sua prima linea di difesa, non mancarono di arrivarne altri e per un tempo insopportabile Aya si diede da fare con tutte le proprie energie per sbarazzarsene. Quando finalmente riuscì a prendere aria, grazie all’aiuto di Amaro la cui canna si stava rivelando incredibilmente efficace in battaglia, tornò ad allungare lo sguardo sulla sua compagna di viaggio.
«Celya stiamo andando via, non possono farti nulla!» le ricordò in un urlo.
Trafalgar si girò a guardarla con il viso buio nel sentire d’improvviso la sua voce, ma Aya ebbe il timore che fosse stato l’unico ad ascoltare il suo richiamo tra quel fracasso tremendo che era scoppiato. Perse di vista la figura di Celya in mezzo a tutte quelle teste rabbiose e non poté vederla risvegliarsi dal torpore furioso nel quale le regole di quel posto che tanto le stava stretto l’avevano fatta sprofondare obbligandola a tradirla.
«… sto andando via… levati di torno branco di nullità. Honey wall!» la sentì però sbottare dopo qualche secondo e una massa di miele investì la folla alle spalle, trascinandola via come uno tsunami.
Brillante e dorata la marea sgusciò tra loro per impantanare solo coloro che le erano davvero nemici e nel giro di pochi istanti Aya tornò ad ammirare la figura entusiasta di Celya, tra i barcollanti abitanti della città e i cacciatori di taglie che crollavano sul suolo appiccicoso ad ogni tentativo di movimento. Le rivolse uno sguardo di approvazione, mentre ancora nelle posizioni da combattimento gli altri ammiravano l’efficacia del rogia e solo quando l’onda si fu estinta Celya ricambiò.
«Sognavo di farlo da una vita!» confessò, compiaciuta a tal punto da far quasi paura.
Sapeva quanto fosse duro per Celya abbandonare tutto e farlo in maniera irreversibile malgrado la vita le avesse reso Down Under un luogo per lo più di brutti ricordi, per cui non poté far altro che regalarle in segno d’appoggio un sorriso di sincera felicità.
«Sei davvero fantas-» provarono a complimentarsi Shachi e Penguin, ma con rinnovato umore Celya gli troncò le parole con un solo lampo degli occhi azzurri.
«Sparite pidocchi.» ordinò spaventosa, facendoli squittire addolorati sul posto benché non avesse torto mai loro un capello.
«Sumimasen…» si scusò in lontananza Bepo quasi fosse stato rimproverato anche lui.
Nel voltarsi a guardarlo, magari per rassicurarlo sul fatto che Celya non nutrisse il medesimo odio per gli orsi maschi – sempre per quanto lei ne sapeva –, si trovò davanti Shizaru e seppe ancor prima che parlasse, dalla sua espressione e dal vociare che tornava a sollevarsi, che la quiete guadagnata era terminata.
«Signorina dobbiamo approfittarne ora! Presto!» la incoraggiò, osservando oltre le sue spalle.
Aya lo imitò, passando per una volta sopra il proprio nome omesso e vide in lontananza una nuova folla farsi avanti dalla parte opposta del geyser, mentre dalla marea di miele di Celya qualche cacciatore di taglie riusciva con fatica già a sollevarsi. Qualcuno aveva perso le armi, qualcun altro una parte dei propri vestiti, ma si sarebbero organizzati per riprendere l’inseguimento e lei non poteva più permettersi di perdere tempo prezioso.
Kidd stava ancora combattendo con quel famigerato Mediatore lo sapeva, tuttavia non poteva crogiolarsi nella certezza che l’avrebbe sconfitto andandosene in giro serena con Shizaru dietro. Quel tipo dicevano avesse altri uomini a sua disposizione per risolvere le faccende importanti e Aya voleva ad ogni costo uscire da Down Under prima che qualcuno di loro le si presentasse davanti. Se fosse successo non avrebbe potuto lasciarlo indietro, gli aveva affidato Celya ed Amaro, aveva fatto una promessa e adesso gli era anche debitrice. Dovevano uscire di lì tutti.
Convinta della propria decisione, fece ricorso al proprio autocontrollo e mentre Shizaru la anticipava in direzione delle gallerie per controllare che fossero sgombre, si volse di nuovo verso Law che impugnava ancora la nodachi.
«Andate. Hai la mia parola che non ci sarà nessun’altro intoppo.» promise, sperando che ciò potesse finalmente convincerlo a proseguire per la propria strada senza ulteriori preoccupazioni.
Trafalgar la fissò per un lungo momento sentendola rivolgerglisi con una tale serietà e Aya ebbe l’impressione che un ghigno avesse voluto far capolino sulle sue labbra, ma l’ombra che gli attraversò lo sguardo grigio lo cancellò ancor prima che potesse mostrarsi davvero. Diffidente come non lo aveva mai visto nemmeno quando non erano altro che perfetti sconosciuti, ripose con un gesto fluidio la kikoku nel fodero e accennò un no.
«Non serve, stiamo andando nella stessa direzione. Posso controllare da me.» annunciò secco, lasciandola raggelata sin dentro le ossa finché Celya non la richiamò per proseguire.
Silenziosa gli diede con rammarico le spalle e si avviò di corsa verso le gallerie aperte, sprofondando nei cunicoli giallastri di Down Under senza l’intenzione di guardare se lui fosse ancora dietro di lei o no.
Avrebbe controllato che non ci fossero altri incidenti da sé perché evidentemente la sua parola non valeva abbastanza da rassicurarlo, almeno non in quella particolare circostanza e poteva essere solo una la ragione per cui d’improvviso aveva preso a comportarsi a quel modo. La sua vendetta lo aveva risucchiato anche lì e lei non poteva che mettersi da parte. Sapeva di non poterlo fare desistere, di non essere in grado di trascinarlo fuori da quella follia che si era messo in testa, le stava bene, ma per quanto si fosse rassegnata a tutto ciò non era pronta a sentirsi guardare come un pericolo da lui.



La differenza che esisteva tra il baccano perenne del mercato di Down Under, con le sue migliaia di voci esaltate dagli affari portati a termine tra gli sbuffi del geyser, e le gallerie torride ed aggrovigliate che vi conducevano, poteva suscitare meraviglia o per contro angoscia. I passi, persino i più leggeri, riecheggiavano tra le pareti come tonfi e l’aspetto identico di tutti i cunicoli causava del serio disorientamento se non si sapeva dove cercare indicazioni. Si aveva sempre la sensazione d’essere spiati da qualcuno o da qualcosa, si cominciavano a percepire gli spostamenti d’aria più lievi e ogni tanto il cigolare d’una porta pesante che poteva trovarsi un metro più in là o dieci sopra la propria testa. Non era il genere di luogo nel quale si passeggiava serenamente, specie se come nel loro caso si aveva un intero livello della città contro e chissà quanti altri nemici a dargli la caccia.
«Certo che è strano… avremmo dovuto averceli dietro a quest’ora o almeno sentirli arrivare.» mormorò Shachi, guardandosi alle spalle con l’aria di chi parla per scaramanzia.
«Forse ci stanno organizzando un’imboscata! Magari arriveranno da un’altra galleria per prenderci alle spalle!» bofonchiò Bepo più avanti, a muso gonfio e con la nodachi tra le zampe riuscendo nel tentativo non voluto di farlo drizzare per l’ansia nella divisa impolverata.
Dalla cima – o quasi, escludendo Aya che con il labbro tra i denti pareva condurre una maratona e Celya che la scortava – della colonna che avevano creato inevitabilmente dopo essersi addentrati nelle gallerie, Amaro scosse il capo aggiustando sulle spalle la sacca di provviste che si era offerto di sottrarre al peso di quelle che gravavano su Jean Bart per cameratismo.
«Non avete visto la porta sbarrata quattro angoli più indietro? Si sono chiuse, siamo stati fortunati… forse.» fece presente, mollando quell’ultima nefanda parola lì come se stesse chiacchierando del tempo per un picnic.
Forse l’uomo che si occupava di quelle decisioni, il Mediatore come lo chiamavano, stava avendo difficoltà nel tenere a bada Eustass-ya e per sicurezza non reputava fosse il caso di permettere spostamenti anche minimi tra i livelli o magari era scattato un qualche allarme riguardante il loro improvvisato gruppo in fuga. Era chiaro, comunque, che se le gallerie continuavano a venir chiuse e riaperte ignorando la tabella oraria fissa che vigeva la situazione non poteva essere certo buona, ma quel piccolo avverbio piombò su Shachi come una randellata.
«Che vorresti dire con forse?!» gemette in stato d’allerta, dando comunque voce alla preoccupazione del resto dei suoi compagni di ciurma.
Amaro, a quella domanda apparentemente ovvia, contrasse il volto solcato dalla cicatrice in un’espressione tirata che a Law piacque meno di ciò che gli era sfuggito e gli provocò un fremito delle dita tatuate.
«Che faremmo meglio ad approfittarne. La sicurezza a Down Under non è una faccenda da poco.» chiarì laconico, omettendo ciò su cui al momento non era necessario star troppo a rimuginare per avvantaggiarsi.
Con un sorriso d’incoraggiamento agli Heart riprese in fretta il proprio passo fermo per colmare in parte il divario tra il loro gruppo ed Aya più avanti, ignorando con intenzione gli sguardi incerti di Bepo e Shachi per accostarsi nuovamente a Shizaru che attendeva con il bagaglio in spalla e un occhio altrove.
Trafalgar non ebbe bisogno di sentirgli dire altro per rammentare ciò che Aohiro-ya gli aveva raccomandato prima che andassero via dal Karyukai Emporium. Per quanto splendido e miracoloso potesse apparire al giudizio dei visitatori con le sue migliaia di desideri realizzati e prodigi compiuti, Down Under non era il genere di città nella quale si poteva stare a cuor leggero. I pericoli erano milioni e non venivano necessariamente da chi ci si aspettava arrivassero. Le regole, ideate presumibilmente per una civile convivenza, laggiù erano leggi da tirannia e gli uomini che si occupavano di farle rispettare non avevano ripensamenti né mezze misure nello svolgere il loro compito, bastava un gesto di troppo o una frase fraintesa per trovarsi legalmente giustiziati in un vicolo. Il ché, per quanto bene avesse imparato a difendersi, non appariva a Law certo conciliante date le sin troppe infrazioni che avevano compiuto quel giorno.
Crucciato da quel pensiero allungò d’istinto lo sguardo una decina di metri più avanti, fissando la schiena di Aya in parte scoperta dal vestito turchese che aveva indosso per il viaggio dove s’intravedeva una porzione della cicatrice. Ostinata continuava a camminare con Celya accanto senza lanciare mai uno sguardo dietro, come se tutto ciò che importava dovesse ancora raggiungerlo e non ci fosse ragione di preoccuparsi d’altro. Un respiro pesante minacciò di sfuggirgli nel guardarla e un po’ come Shizaru-ya, optò nel dividere la propria attenzione tra lei e il gruppetto che gli stava attorno.
«Sicuro di guidarci nella direzione giusta? Noi siamo scesi da quell’altro corridoio, me lo ricordo perfettamente.» sentì Penguin rimuginare pensieroso in direzione di Amaro, indicando una galleria larga non più di due metri che avevano appena superato e di cui Trafalgar si rammentò solo in quell’istante.
Jean Bart aveva avuto parecchie difficoltà nell’attraversarla al loro arrivo, adesso che ci ripensava. Il percorso dalla zona bassa di Sanko, dove avevano ormeggiato il sottomarino, al pass dal quale avevano avuto accesso gli era chiaro in mente, ma non si aspettava fossero già tanto vicini all’uscita. Probabilmente era stato distratto dai cunicoli alternativi che avevano imboccato o da Aya, che minacciava di sparire dietro il primo bivio disponibile.
«Quello porta direttamente fuori, al pass numero due. Linea blu, vedete?» indicò Amaro, proseguendo tuttavia dopo appena un’occhiata a ciò che il navigatore degli Heart aveva notato.
«Dovremmo uscire di lì piuttosto che vagare per i livelli. Sarebbe più sicuro.» propose Penguin, accostandolo per ricevere di slancio in risposta un no secco del capo.
«I pass sono chiusi, non si attraversano senza un permesso. Dobbiamo salire ancora.» ribadì Amaro e Law indovinò le scapole del suo navigatore avvicinarsi sotto la divisa, segno che era stato toccato un tasto dolente in una questione che lui reputava seria e per Penguin prendere una strada piuttosto che un’altra lo era parecchio.
«Potrebbero averli riaperti come hanno fatto con le gallerie.» ipotizzò piccato, riuscendo appena a terminare la frase prima che Amaro tornasse a scuotere il capo.
«Stiamo parlando di due cose molto diverse, credimi. Soprattutto nello stato d’allerta in cui è la città adesso.» specificò, sembrando così saputo da far imbizzarrire il pinguino sul cappello di Penguin.
«Aye, aye, ma così andremo in contro ad altra gente infuriata!» lo vide sbottare Law tirando fuori le mani dalle tasche della divisa e seppe per certo che aveva perso la pazienza, benché Amaro non parve accorgersene.
«Non è sicuro, fidatevi. A destra.» troncò con uno slancio del tono per farsi udire anche più avanti. Shizaru-ya rimase in silenzio ad osservare, mentre Penguin stringeva i pugni per trattenersi, un po’ come il resto degli Heart consapevoli di quanto importante fosse per il loro compagno far bene il proprio dovere.
Quando il raptus omicida l’ebbe abbandonato, Law lo vide voltarsi indietro a guardarlo alla ricerca di una risposta sul da farsi, ma lui s’era già mosso per andargli in contro e superarlo. Allungando il passo oltrepassò l’intero gruppo ed imboccata un paio di metri più avanti la galleria indicata da Amaro, si avvicinò ad Aya per ragionare sul da farsi. L’impresa tuttavia gli riuscì in maniera parziale, poiché Celya-ya gli bloccò la strada con lampo dello sguardo.
«Cosa vuoi Barba da capra?! Non puoi avvicinarti come e quando ti pare a lei!» sentenziò torva, facendogli sollevare un sopracciglio per la sgradita sorpresa del nomignolo che presto venne surclassata dal resto.
«Non ho bisogno del permesso di nessuno per parlarle. Spostati.» sibilò freddo, scoccandole la medesima occhiataccia che lei gli stava riservando nell’intravedere Aya proseguire.
«Le tue stronzate da sbruffone puoi appoggiarle altrove o lo farò io.» minacciò affatto intimorita e la serietà con la quale lo fece diede a Trafalgar la certezza che lo stesse accusando di qualcosa di imperdonabile.
In altre circostanze sarebbe stato per lui un divertimento e l’unica opzione attuabile quella di scontrarsi con Celya-ya, di cui suo malgrado non poteva che riconoscere le doti in combattimento, ma farla a pezzi esercitando il proprio haki era inattuabile al momento. Erano in qualche strano ed inconcepibile modo per lui alleati, non sarebbe stato gentile e avrebbe fatto infuriare Aya.
Fermo al proprio posto a fronteggiare quella eccentrica guardia del corpo che era diventata Celya-ya, assottigliò lo sguardo grigio rimuginando su un modo non drastico per toglierla di torno, ma Aya lo anticipò da lontano.
«Celya…» chiamò in un sospiro distante, fermandosi finalmente sebbene senza voltarsi.
La pelle della Vedova perse di colpo la sua tonalità dorata e dopo un ultimo lampo degli occhi che avrebbe ucciso chiunque altro, Law la vide piegare le labbra perfette in un sorriso velenoso nel mormorargli un «Tu prova soltanto a fare più di quanto puoi permetterti…» e poi cedergli il passo. Impassibile approfittò del varco, chiedendosi tra sé e sé se non l’avesse scelta come amica per l’affinità di carattere con quella testa calda di Eustass-ya, ma il pensiero morì lì dov’era nato quando si accostò ad Aya e lei riprese a camminare cocciuta.
«Penguin crede dovremmo prendere un’altra direzione.» riportò, avvertendo subito una sensazione spiacevole premere sulle proprie spalle.
Le occhiate con cui l’ex mercante d’arte del Karyukai lo stava trapassando avrebbero potuto avere una rilevanza notevole se Law non ne fosse stato totalmente immune e non avesse la già totale certezza, senza dover indagare più di tanto, che si trattasse del silenzio tra lui ed Aya. Non che non fosse abituato a stare in sua compagnia pur non chiacchierando, ma si era sempre trattato di un silenzio differente nel quale entrambi erano a proprio agio. Quello era pesante, teso ed incombente, quasi dovesse infrangersi da un momento all’altro nel peggiore dei modi.
Aya lo prolungò per qualche istante, forse senza volerlo davvero, ma a Law parve impiegare più del dovuto o del consueto per rispondere a ciò che aveva detto.
«Amaro dorme in queste gallerie quasi ogni sera, io e gli altri continueremo per di qui.» annunciò piatta, fissando ostinata il fondo non visibile della galleria nella quale si trovavano e la sua cocciutaggine lo innervosì.
«Non ti fidi più delle indicazioni di Penguin adesso? Quel tipo non è neanche un navigatore.» notò.
Non aveva nulla contro Amaro-ya, ma per contro avrebbe messo ad occhi chiusi la propria vita nelle mani di Penguin e avendo trascorso sei mesi a bordo del Polar Tang anche lei avrebbe dovuto avere un’opinione differente. Non gli sembrava sensato che stesse facendo tanto affidamento su qualcuno che aveva incontrato dopo così tanti anni e tali circostanze, piuttosto che sul suo navigatore. Specie nella situazione in cui erano.
«Pen non ha mai sbagliato. Se è riuscito a portarvi fin qui sarà in grado anche di farvi uscire, ne sono convinta.» ribatté serafica, sottraendosi alla discussione con una maestria che se in altre occasioni lo avrebbe divertito in quella particolare circostanza gli diede la certezza di non star discutendo con lei in maniera amichevole.
Una fitta al petto lo attraversò improvvisa facendogli irrigidire i muscoli e la osservò dall’alto di quei pochi centimetri che li separavano, quasi la stesse vedendo davvero solo ora. Aveva il labbro inferiore arrossato dai morsi, gli occhi fissi su un punto vuoto che non meritava certo il rammarico che gli veniva riservato e camminava quasi dovesse marciare per una guerra piuttosto che come era solita fare, in un movimento continuo, poggiando appena il piede per andarsene già altrove. Era arrabbiata, si ritrovò a notare con sorpresa Law dato che mai avrebbe pensato di poterla vedere in quello stato e lo era con lui, constatò d’improvviso avvertendo una nuova fitta.
Aveva voltato le spalle al proprio proposito d’andarsene per recuperarla da una morte certa che gli aveva guadagnato Eustass-ya, non voleva far altro che aiutarla benché si fosse di mantenersi distaccato ed era infuriata con lui. Gli sembrava di subire un assalto, un piano studiato a tavolino per demolirlo e fargli rimpiangere d’aver abbassato le difese per affezionarsi a qualcun altro ancora.
«Di là! C’è qualcosa!» lanciò l’allarme da lontano la voce di Amaro vedendoli insieme.
«Dove?! Cosa?!» strillarono Penguin, Bepo e Shachi, mettendo in allerta anche il resto del gruppo.
Dopo un breve controllo che non riuscì a distrarlo dai propri problemi Law ignorò il richiamo e imitandolo anche Aya tornò a camminare impassibile.
Di qualsiasi cosa stesse farneticando l’aveva detta con poca convinzione e non ne sembrava convinto neppure lui, mentre ritornava indietro.
«Dobbiamo uscire tutti di qui. Sarebbe più ragionevole cooperare per farlo invece di darci contro.» le fece presente greve, premendo sulle ultime due parole con uno slancio di autocontrollo poco riuscito nel riprendere il discorso che era stato interrotto.
«Allora magari potresti farti andar bene le indicazioni che ti vengono date, giusto per cooperare.» la sentì proporre piatta e la frecciatina lo colse così stranamente impreparato da lasciarlo per un attimo ammutolito.
Non poteva credere stesse accadendo davvero. Com’era possibile che stesse litigando con Aya? Com’era soltanto attuabile un’eventualità del genere? Aya?! L’aveva vista passare sopra a così tante cose con una pazienza così smisurata da non crederla neppure capace d’arrabbiarsi o portare avanti un litigio. Era ancora capace di provare affetto per la sua famiglia malgrado avessero tentato di ucciderla ripetutamente, aveva perdonato il marine che le dava la caccia, trascorreva giorno e notte circondata da una delle ciurme con la peggior reputazione in circolazione, con l’individuo più rissoso che avesse mai messo piede sul pianeta, ma si infuriava con lui?! Per cosa poi?!
Trascorso lo sbigottimento per l’eccezionalità dell’evento, immobile al proprio posto nel vederla proseguire inarrestabile non riuscì di colpo più a trattenersi.
«Quello che sta tirando dritto per la propria strada non sono io.» osservò duro, spingendola a voltarsi per la prima volta da quando l’aveva raggiunta.
«No, ti sei fermato a controllare che non causassi un cataclisma capace di rovinare i tuoi piani.» gli sputò in faccia e lo fece con una fermezza nella voce che gelò persino lui.
Muto la fissò ad occhi sgranati, mentre lo puntava d’improvviso distante chissà quanto dall’Aya che aveva imparato a sopportare al proprio fianco, malgrado a dividerli ci fossero realmente solo pochi metri. Le aveva visto mostrare un tale distacco altre volte, eppure si sentì rivoltare lo stomaco e un groppo gli si creò in gola tanto insopportabile da fargli fremere le dita tatuate per strapparlo via a carne viva.
Trafalgar aveva sopportato molte, forse troppe, cose nella propria insperata vita e parecchie delle più orribili gli erano capitate quando era appena un bambino. Si era visto guardare come un mostro, una piaga umana, un assassino, un folle e non avrebbe mai creduto di non poter passar sopra ad una semplice occhiata, ma quella che gli stava riservando Aya gli serrò il petto in una morsa dolorosa per l’assurdità crudele dell’equivoco.
Aya non lo aveva mai guardato a quel modo. Lei sorrideva quando lo guardava e le si arricciava il naso. Non poteva smettere di farlo ora, adesso che Law aveva imparato con suo sommo rammarico a desiderare di vederle quell’espressione, per uno scherzo del caso che minacciava di rovinare tutto.
Non ricevendo alcuna risposta immediata la vide tornare a voltarsi, ma prima che potesse davvero riuscirvi le parole gli uscirono di bocca di getto, il ché per uno come lui era una rarità non da poco.
«I miei piani non hanno nulla a che vedere con tutto questo. Ho ottenuto già le informazioni che mi servivano, quindi a meno che tu non abbia sul serio intenzione di farti uccidere e mi costringa a venirti a recuperare con tragici risultati, niente mi impedirà di portarli a termine. Se controllo è per evitare di perdere qualcun altro per uno stupido errore!» sbottò irritato, perdendo definitivamente la calma.
Aveva dato per scontato che non sarebbe accaduto, ma giunti a quel punto, nello stato d’esaurimento psicologico nel quale era piombato già solo negli ultimi due giorni e che svariati sintomi suo malgrado preannunciavano sin dalla convivenza a bordo del Polar Tang, c’era ben poco da negare: Aya era diventata affar suo. Aveva imparato a sopportarla, apprezzarla e chissà cos’altro in quei tre anni di conoscenza, dimenticandosi o forse trovando risposta alle ragioni che lo avevano spinto inizialmente ad indagare sul suo conto. Poteva – pur non sapendo come in realtà – sopportare l’idea che andasse per mare con Eustass-ya, cacciandosi in pericoli inutili pur di stargli accanto, ma non avrebbe permesso che succedesse con lui nei paraggi. Aveva già perso la persona più importante della sua orrida vita per una distrazione, se fosse accaduto qualcosa anche a lei quando si trovavano nel medesimo luogo non si sarebbe mai perdonato. Che senso avrebbe dovuto avere d’altronde vendicare Corazon se non era in grado di proteggere chi gli restava?
Frastornata dal tono e da ciò che le aveva scaraventato contro, Aya rimase in silenzio ad occhi sgranati per un tempo interminabile, reggendo lo sguardo greve con cui Law se ne stava immobile. Quando lui diede per ovvio ormai d’aver parlato troppo ed inutilmente, cominciando a maledirsi più o meno apertamente per aver ceduto, i denti le si serrarono sul labbro inferiore di scatto. Troppo preso dalle ingurie a proprio danno, Trafalgar se la ritrovò appesa al collo senza sapere neppure quando si fosse mossa per farlo, ma per quanto d’un placebo si trattasse, il profumo di tè e mare diede pace ai dolori che lo avevano scombussolato.
«Cos’era quella cosa laggiù?!» strepitò da lontano Amaro per distrarre l’attenzione del resto del gruppetto, ritornando ad indicare un punto dal lato opposto del corridoio con una prontezza impareggiabile.
«Non c’è niente!» appurò Penguin scocciato, serrando le braccia sulla divisa.
«Credevo d’aver visto qualcosa… forse-» provò ad insistere, ma Celya sollevò minacciosa una mano in aria.
«La vuoi finire adesso inutile morto di fame?!» ringhiò spazientita, mentre Shizaru cercava di calmare gli animi prima che venisse commesso un omicidio di gruppo.
«Se c’è qualcosa è meglio raggiungere di nuovo la Signorina Aya…» propose con un sospiro pesante.
Trafalgar non sentì né i ripetuti allarmi nei quali Amaro si lanciò né una parola di quella mancata rissa, quando l’irritazione scemò lentamente i riccioli di Aya che gli pizzicavano il naso e il suo mento nell’incavo del collo, furono abbastanza convincenti da deviare persino la sua attenzione rinnovata.
«Io non ho più bisogno d’essere protetta.» s’udì rimproverare con voce soffocata.
«Mai detto che tu ne abbia bisogno.» precisò, vedendola sollevare subito il viso con un ritrovato sorriso.
Per quanto velato dal malumore passato, un ghigno gli esplose sulle labbra in risposta e si accorse solo in ritardo – senza sapere da quanto o come – che le sue mani le erano scivolate sulla schiena, quando dai suoi uomini eruppe un verso soffocato simile ad una sirena d’allarme nel vederli che lo obbligò a fare un passo indietro. Cercando come possibile di riprendere il controllo che aveva mandato a farsi benedire da un po’, strinse omicida le nocche, sistemando ciò che Aya aveva arruffato su di lui, per poi voltarsi indietro a fulminarli prima che si facessero venire in mente di straparlare immaginando chissà quale grande storia d’amore da film rosa.
«Continueremo per di qui.» troncò inclemente, sortendo purtroppo meno riscontro del consueto persino su Jean Bart.
Shachi aprì e chiuse la bocca in una serie di versi sconnessi, Penguin – che avrebbe dovuto inferocirsi – persistette a fissarlo con un sorrisetto subdolo pronto ad esplodere e sebbene Bepo annuisse sull’attenti, il suo entusiasmo avrebbe dato a Trafalgar parecchio di ché preoccuparsi se un’improvviso boato non li avesse investiti in pieno.



Nascosta dalla pelliccia di Kidd, non riuscì a vedere se quell’uomo al servizio di Nau avesse tentato la fuga o meno, ma poco importava d’altronde ormai cosa avesse provato a fare per sottrarsi alla presa di Killer prima di raggiungere il ponte della nave. Quando anche lei – riassettata dal tentato attacco ai propri abiti – uscì dall’ombra del rosso per tornare a respirare l’aria salmastra, la ciurma era tutta lì, raccolta contro i parapetti quasi stesse attendendo il momento in cui il vicecapitano dei pirati di Kidd avrebbe scaraventato senza la minima gentilezza quel clandestino sul legno umido.
«Non è il caso d’essere scontrosi, sono solo un povero ospite… per quanto capisco bene d’aver interrotto il momento sbagliato ed essere indesiderato… sono desolato! Le mie più sincere scuse-» scherzò con un sorriso studiato, rialzandosi sulle ginocchia a mani sollevate.
Nessuno si mosse per aiutarlo o diede segno di preoccuparsi per quella prima botta assestatagli. Tutti però insistettero a guardarlo dall’alto in basso e sorda all’allusione che quello sconosciuto aveva appena gettato goliardicamente sul ponte per risollevare le proprie sorti, anche Aya lo fece. A debita distanza, ferma sulla soglia delle scale, lo osservò accovacciato in mezzo a tutti gli uomini della ciurma e per quanto il suo istinto non le suggerisse alcuna buona opinione su di lui, ne provò un po’ pena.
«Evita di darti pena in chiacchiere inutili. Qui nessuno ti sta dando ospitalità Basque, sei salito a bordo senza permesso. Sbaglio Killer?» domandò retorico Kidd, piazzandoglisi di fronte con una mano già posata sulla pistola.
«Affatto.» confermò metallico il biondo poco più in là, serrando le braccia armate sul petto.
Se lo sarebbero mangiati vivo nei prossimi dieci minuti, era evidente. Giusto il tempo di giocarci un po’ o di togliergli la voglia di chiacchierare. Non c’erano altri scenari possibili quando il proposito comune era così palese.
«Motivo per cui sei un ladro.» sentì dedurre a Kidd, mentre lo squadrava dai suoi due metri passati quasi volesse decidere da che parte cominciare a sbranarlo.
Con disarmante sangue freddo Basque annuì accondiscendente ad una tale logica, ma Aya lo vide comunque girarsi appena per ribattere con un gesto innocente delle braccia.
«Senza aver rubato nulla non lo sono in realtà e si dà il caso che abbia le tasche vuote.» fece presente a sua discolpa, forse credendola una furbizia divertente.
Kidd tuttavia gli si fermò accanto con una smorfia e dalla sua bocca non eruppe alcuna risata.
«Questo fa di te solo un pessimo ladro o un grosso coglione.» lo insultò senza mezzi termini.
Chiunque altro avrebbe avuto un minimo d’esitazione, Basque tuttavia si limitò mestamente a fare spallucce e dal basso della propria posizione si impuntò nel voler portare avanti quella inesistente negoziazione.
Lei aveva appurato da un po’ che sorvolare su alcune mazzate di Kidd poteva rivelarsi la strategia vincente, d’altro canto era così che era andata avanti per tre anni, ma da lì al farsi concedere la grazia passava troppo.
«La maggior parte degli uomini non ha le tue capacità purtroppo. Io mi do da fare come posso per sopravvivere, ma adesso che Pilar è morto mi sarà più facile guadagnare di che vivere.» spiegò, con un cenno di gratitudine del capo che Kidd ignorò come l’intero discorso.
«E avevi in programma di farlo con i frutti che ho a bordo.» gracchiò irritato, spingendo solo con l’incrinazione della voce Killer ad allungare le falci e il resto dei propri uomini ad armarsi.
Il cigolio nefasto del metallo che si diffuse per quella reazione comune o forse dovuta solo al frutto del diavolo che Kidd aveva mangiato, lasciò Basque in silenzio per qualche secondo.
Ad Aya, che adesso lo aveva di fronte senza nessuno ad impedirle la visuale, sembrò di vederlo riflettere sul da farsi, con il naso tatuato rivolto al pavimento e le mani accanto alle spalle in segno di resa. Immobile se ne rimase a pensare, finché forse non reputò di trovare la carta vincente sulla quale scommettere la propria vita.
«Ignoravo te li fossi procurati, come avrei mai potuto saperlo o immaginarlo d’altronde?! Inoltre sono in debito con te per aver accettato di distruggere il regno di Pilar e aver liberato Redunda-» provò a discolparsi, con una razionalità tale per cui non gli si sarebbe davvero potuto rimproverare alcunché.
La mano di Kidd però scattò ancor prima che il sermone potesse terminare e Basque si ritrovò issato per la nuca con uno strattone che minacciò di rompergli il collo su due piedi.
La logica o apparenza che si volesse chiamare in quel caso, avrebbe convinto molti, non Kidd. Persino ad Aya, pur non avendo ben chiaro di cosa stessero farneticando, era evidente che quell’uomo mentiva per salvarsi o perlomeno che tentava di rigirare a proprio vantaggio la situazione. Kidd non tollerava certi atteggiamenti, avrebbe agito con una predisposizione d’animo migliore persino se quel tipo avesse provato a colpirlo.
«Tu non hai orgoglio per questo sopravvivi sempre… o quasi.» ringhiò ripugnato.
Nel tirarlo in piedi, Basque, che a fatica raggiungeva il suo bicipide in altezza, impiegò un momento di troppo per prendere l’equilibrio ed Aya sgranò d’istinto appena gli occhi.
Aveva fatto l’abitudine alle maniere rozze di Kidd, gli aveva visto rompere più di qualche osso ed era stata spettatrice in teatri più sporchi e disseminati di cadaveri di quello, ma dopo ciò che aveva fatto a Pilar ed il litigio che avevano appena avuto non avrebbe potuto controllarsi più di così. Le doleva la testa al solo pensiero che potesse infilzarlo sull’albero maestro o appenderlo per il collo rotto alla polena, perché sapeva per certo che quell’uomo non avrebbe fatto una bella fine e per quanto avesse giurato di rimanere fuori da simili affari, non le andava di vedere ancora. Era stanca, ne aveva avuto abbastanza per quel giorno.
Si morse il labbro sforzandosi di tener fede alla propria promessa e fu sul punto di voltarsi per tornare di sotto, lasciando che sul ponte facessero ciò che più gli andava, ma la voce di Kidd la fermò sul posto.
«Chiamano noi feccia… dicono che siamo senza scrupoli, incapaci di giustizia… ma su quelli come te nemmeno una parola! Non si preoccupano di voi, della marmaglia del tuo stampo che appesta ogni angolo delle loro città, dei palazzi da cui governano la loro perfetta società con i vostri raggiri, le vostre bugie e i sotterfugi. Noi qui ci comportiamo diversamente.» annunciò e Aya lo vide guardare verso di lei, forse pensando anche lui a ciò che non si erano detti poco prima nella stiva.
«… n-non era mia inten-zione insultarti… permettimi di… farmi perdonare aiutandoti di nuovo. P-posso esserti utile nella ricerca dello One Piece e nelle battaglie future, non conosci questo ma-re-» provò un’ultima volta Basque, interrompendo il silenzio con voce rauca per la posizione.
Kidd parve ridestarsi di colpo da quel momento di stasi e mollata la presa sul collo, lo rigirò di fronte a sé torcendogli il braccio dietro la schiena sino farlo esplodere in un sonoro crack che rimbombò per il ponte insieme all’urlo del suo possessore.
«Il nostro accordo è terminato. Devi avere le idee confuse dal tanfo di marcio. Forse è meglio rinfrescartele un po’… sei pallido.» lo additò, mollandolo ai piedi di Killer affinché terminasse il lavoro. Quasi far da sé quella volta non gli andasse affatto.
Aya lo studiò in silenzio, mentre avvolto nella sua pelliccia rovinata dallo scontro seguiva le mosse dei propri uomini intenti ad incatenare il loro sfortunato clandestino. Ebbe l’impressione che persistesse a non voltarsi di nuovo per non continuare quel loro tacito dibattito e si strinse nei vestiti, tornando di sotto con passo misurato e con le orecchie tappate affinché le voci della sua modesta vittoria non la raggiungessero.


Prima ancora che i suoi occhi tornassero ad aprirsi ebbe la certezza d’essere già passata da quella situazione sgradevole, di trovarsi nel pieno d’un orrido deja vù. Glielo preannunciavano il pizzicore alla gola per il polverone che si era sollevato, le gambe ingarbugliate in qualcosa che le impediva di cadere al suolo benché la posizione non fosse delle più stabili e quell’odore pungente di foresta bagnata tutto intorno. A Down Under non c’erano alberi né vegetazione. Aveva visto qualche bonsai curatissimo e costosissimo sulle bancarelle, una o due piantine canterine come sistema d’allarme in alcuni negozi, qualche barattolo d’erba medicinale, ma non erano comunque abbastanza da giustificare quell’atmosfera umidiccia e iperossigenata che d’improvviso s’era fatta strada nelle gallerie. C’era erba ovunque invece e quando Aya riuscì finalmente a liberarsene, le parve di rivedere lo spettacolo messo su da Akala all’interno del palazzo di Arumi.
«… sono morti.» mormorò a sé stessa, quasi per rendere la cosa nuovamente reale.
Per quanto simile potesse sembrarle non poteva in alcun modo trattarsi di ciò che aveva vissuto su Redunda. Aveva visto il cadavere di Pilar appeso ad un palo insieme alla sua ciurma, lei stessa aveva dato alle fiamme il palazzo rosso di Arumi riducendolo ad un ammasso annerito di cenere. Non c’era alcun margine di possibilità che quegli uomini fossero sopravvissuti e d’altro canto non ci sarebbe stata ragione per cui tornassero ad attaccare dopo tutto quel tempo, lì a Down Under. Eppure quella che la circondava era erba e per quanto la logica le suggerisse il contrario, Aya era certa con ogni fibbra di sé stessa che si trattasse di quell’erba. Si muoveva.
Osservò silenziosa il tappeto verde ondeggiare impercettibilmente accanto ai suoi piedi e con i sensi in allerta, cercò subito di individuare i propri compagni.
Fino a pochi istanti prima Law era stato ad appena qualche centimetro da lei, malgrado ciò pareva essersi dileguato nel nulla e sebbene più distanti, non si vedeva né sentiva traccia neppure del resto degli Heart o degli altri.
Sapendo quanto indispensabile fosse non perdere tempo prezioso, continuò a cercarli avanzando con cautela nella boscaglia con scarsi risultati finché da un punto preciso sopra di lei non avvertì distintamente qualcosa di sgradevole e si girò di colpo aspettandosi di vedere una chioma bluastra o i denti d’oro di Pilar.
L’uomo che stava appollaiato su un fascio d’erba simile ad un ramo però non corrispondeva affatto alle sue aspettative né Aya ricordò d’averlo mai incrociato o solamente intravisto a Redunda. Stretto nel proprio giubbotto arancione con le ginocchia coperte da un pantalone militare che toccavano il petto ampio, la fissava in silenzio trapassandola da parte con gli occhi sottili come fessure. Si riusciva appena a distinguere le iridi scure, ma l’intenzione con cui le utilizzava la spinse ad irrigidirsi prima ancora che potesse parlare.
«Il Drago inesistente, Aya Mononobe.» la riconobbe chissà come, con il tono basso e disgustato di chi identifica la specie di un insetto infestante e potenzialmente nocivo.
«Gomen, non credo di conoscerti.» si scusò fredda, piegando il capo più per squadrarlo che per una riverenza.
Non doveva trattarsi di uno dei tanti cacciatori di taglie che l’avevano presa di mira, non ne aveva l’aspetto né tantomeno lo lasciava sospettare, ma era chiaro benché se ne stesse immobile là sopra che non avesse intenzione di chiacchiere amabilmente su quel prato improvvisato.
«Il mio nome è Park Semì. Controllore del pass numero quattro.» si presentò, sollevando appena il chonmage nero pece in un atto di autorità che le strappò un assenso di finta cortesia.
Aveva appreso che un tale ruolo a Down Under, considerato la seconda carica più importante dopo quella del misterioso Mediatore cui tutti facevano riferimento, veniva visto con immenso rispetto. Chi era scelto come controllore dedicava la propria vita a combattere in prima fila per la libertà del mercato, tenendo lontano chiunque fosse considerato un pericolo per il bene della comunità e una simile responsabilità non era improbabile che suscitasse in qualcuno anche simili atteggiamenti. Sebbene Aya nutrisse seri dubbi – certezze anzi – che l’avversione di quel tale Park Semì nei suoi confronti fosse solo comune arroganza da uomo di potere.
«Se sei un controllore allora è il caso tu sappia che sta succedendo qualcosa qui dentro. L’erba che vedi è stata creata da un frutto del diavolo che dovrebbe appartenere a Big Mom al momento.» decise comunque di metterlo al corrente, nella speranza magari che deviasse le proprie attenzioni altrove e tenesse fede al compito che gli era stato assegnato.
Dall’alto del cumulo d’erba su cui si era accomodato l’uomo non batté ciglio né diede segno di provare la minima preoccupazione per ciò che gli era stato comunicato. Insistette a squadrarla ripugnato dalle sue fessure e la sua bocca altrettanto sottile si piegò anzi in una smorfia di avversione palese.
«Le gallerie di Down Under sono prive di tutto e Charlotte Linlin è alleata del Dio della Fortuna. Gli unici pericoli sono la Marina e gli statisti rivoltosi che provano ad abbattere la nostra democrazia.» sentenziò greve, scandendo ogni sillaba affinché rimanesse impressa quale verità incontrovertibile da non discutere.
Affatto intimorita da una tale folle prevaricazione o dall’evidente irrealtà di ciò che farneticava e pretendeva venisse accolto di buon grado, Aya gli riservò un falso sorriso di circostanza trattenendo il moto d’avversione che le aveva infiammato il petto e fatto fremere le mani.
«Ovviamente…» concesse umile, assecondandolo quel tanto che bastava.
Chiunque si occupasse di scegliere i controllori aveva fatto con lui un enorme e pericoloso buco nell’acqua, ma allo stato attuale delle cose Aya non aveva abbastanza tempo per fermarsi a riflettere su chi dovesse essere considerato degno di rivestire cariche di potere o no. Il mondo era pieno di incapaci e folli che tenevano in mano le vite di migliaia di innocenti, nessuno meglio di lei poteva saperlo dopo averci vissuto in mezzo e per quanto ancora ne rimanesse tristemente delusa aveva imparato ormai a passarvi in qualche modo sopra. Kidd aveva ragione, non era con le parole che si potevano risolvere certe questioni sfortunatamente e soprattutto non quando c’erano pericoli ben peggiori a piovere dal nulla. In quel momento la priorità era venire a capo di quel orrendo deja vù e se dall’alto della sua presunta autorità quel tipo si limitava a guardarla soltanto, poteva anche starsene a crogiolarsi nelle sue follie per un altro po’.
Dall’alto della sua presunta autorità Park Semì però non parve della stessa opinione e al suo sorriso, Aya lo vide incupirsi con astio finchè, dal varco nelle gallerie da cui era sbucata fuori in un esplosione l’erba, una figura non si fece zoppicante avanti, macchiando il tappeto verde con il sangue che gli colava giù dal fianco aperto.
«Park mi serve una via d’uscita sicura- ah ma guarda chi si rivede! È un piacere incontrarsi di nuovo!» sputacchiò con voce rauca verso di lei non appena l’ebbe vista, fermandosi curvo con la mano sulle costole che lentamente si riformavano in fili solidi d’erba.
Questa volta la sua memoria impiegò poco a riconoscerlo e ogni dubbio in merito a cosa stesse succedendo o perché il controllore del pass numero quattro se ne fregasse apertamente le si dissolse in quel preciso istante. Aggrottò la fronte nel vedergli esibire malgrado le ferite la medesima espressione viscida che le aveva rivolto la prima ed unica volta in cui si erano incontrati e decidendo già di metter via le buone maniere per fargli rimpiangere ciò che aveva fatto a Kidd, strinse i pugni.
«Tu sei l’uomo che lavorava per Pilar, il ladro dei frutti.» lo additò, provocandogli una piccola incrinazione di fastidio nello sguardo che non si premurò di nascondere solo per lei.
«Basque cara e collaboravo con Pilar. Lieto di sapere che stai bene.» precisò, cercando con una smorfia di rimettersi dritto quando il sangue smise finalmente di scorrere a fiotti.
Un moto di rabbia la investì in pieno per quell’ultima falsa cortesia e solo grazie all’autocontrollo esercitato negli anni riuscì a trattenersi dal non rimediare alla morte mancata di quel verme lì su due piedi.
Perché era stato principalmente per causa di Basque se sotto la pioggia di Serranilla aveva dovuto trascinare Kidd, mezzo morto e privo di un braccio, sino alla nave. Era stato per colpa sua se adesso lui era costretto a trascorrere le giornate in un covo che non voleva invece che per mare. Ed era per colpa sua se Big Mom gli aveva dichiarato guerra quando ancora erano appena entrati nel Nuovo Mondo. Non le importava di sé stessa, di quello che aveva dovuto passare, non più, ma non gli avrebbe mai perdonato quello che aveva fatto a Kidd.
Per quanto a lei fosse evidente a cosa avesse alluso, allentò la presa delle mani e gli concesse un’occhiata di gelo.
Non si sarebbe fatta trascinare a fondo dalle provocazioni di un uomo come lui, semmai lo si potesse definire tale.
«Davvero? Ci sei tu dietro tutto. A partire dai cacciatori di taglie.» notò secca, rifiutandosi di giocare.
Non sapeva come avesse potuto rintracciarli dato che l’esistenza di Down Under non era segreta solo per poche fortunate persone al mondo, ma sapeva che quell’uomo era a conoscenza dei piani di spostamento di Kidd. Da lì ad ingaggiare qualche cacciatore di taglie e corrompere un controllore per fare piazza pulita della ciurma occorreva relativamente poco se si temeva di subire la vendetta di chi si era tentato di uccidere.
Basque le concesse solo uno sguardo più prolungato a quella constatazione quando il rombo lontano d’una nuova esplosione li raggiunse, rivolgendo subito dopo un cenno veloce al controllore in giubbotto arancio.
«L’intelligenza è una grande virtù! Nel tuo caso purtroppo inutile e ritardataria… vorrei trattenermi, come vedi però non posso. Park sbarazzatene, ma non farla a pezzi. La useremo qualora Servais non riuscisse nell’impresa di abbattere “il futuro Re dei Pirati” e magari ad opera finita potremmo ricavarci anche qualcos’altro…» troncò ripugnante, dandole un ultimo sguardo veloce da capo e piedi.
Era la seconda volta da quando si trovava in quel presunto paradiso che qualcuno la guardava a quel modo, quasi la stesse valutando per una vendita futura e il fastidio fu tale che la voce le venne fuori priva di emozione.
«Kidd ti ucciderà.» lo informò atona.
Per una volta, nonostante le buone intenzioni che aveva sempre avuto persino nei confronti di quel verme, avrebbe voluto farlo lei stessa, ma sapeva di non poterne avere occasione e che allontanarsi da ciò che si era proposta avrebbe gravato più che sulle sue spalle su quelle di Celya ed Amaro che magari la stavano cercando adesso.
«Avrebbe dovuto farlo quando poteva, dovresti saperlo bene.» ribatté velenoso Basque, allontanandosi zoppicante.
Si morse il labbro sino a sentirlo bagnarsi di sangue alla sua ultima provocazione e lo guardò svanire nella direzione indicata, finendo per concentrarsi in ritardo su Park Semì, che di fronte a lei allargava con la sua espressione disgustata le braccia d’improvviso simili ad ali sottili d’insetto.
Ovunque si fosse rintanato Kidd l’avrebbe trovato e ripagato del debito che avevano, ne era certa. A lei toccava occuparsi di chi aveva ancora speranza, di chi lo meritava e per quanto difficile le fosse in quel momento, per farlo doveva togliere di mezzo quell’ammasso di corruzione che insisteva a squadrarla dall’alto in basso come se volesse schiacciarla con un piede.
«Higurashi.» lo sentì pronunciare con la sua inflessione e sulle spalle la copertura delle ali divenne nera.
Il petto lentamente mutò in un addome marrone rotondo e con esso il resto del corpo subì la propria metamorfosi, trasformandolo grazie a quello che doveva essere uno Zoo-Zoo in una gigantesca cicala nella quale si riconoscevano ancora, in un miscuglio raccapricciante, le sue fattezze da uomo. Quando tutto fu terminato e Aya se lo ritrovò innanzi, tre volte più grosso di sé stessa, le ali d’un giallo trasparente si spalancarono e senza attendere oltre il fracasso del suo richiamo riempì la galleria colma d’erba. Il baccano fu tale da spingerla a portare le mani alle orecchie all’istante e la testa parve minacciare di scoppiarle, facendola rannicchiare su se stessa alla ricerca di un riparo dai decibel di troppo che le venivano rivolti contro.
Aveva imparato a combattere e aveva persino litigato con Law per difendere quelle sue misere capacità, ma non aveva in sé le risorse per far fronte a qualcosa di simile. Non poteva contare su un frutto con cui contrattaccare, su una forza eccezionale o armi particolari. Ciò che aveva a disposizione erano calci e pugni, ma erano inutili se rimaneva a quella distanza e non poteva avvicinarsi senza rischiare di farsi scoppiare i timpani.
Nella confusione del momento, si ritrovò senza nemmeno accorgersene con le ginocchia al suolo e leggendo in quella sua reazione una prossima resa incondizionata Park Semì allargò ulteriormente le proprie ali. Dolorante per l’ulteriore acuirsi del suono Aya spalancò gli occhi e chissà per quale istinto di sopravvivenza staccò le mani dalle orecchie per strappare un po’ d’erba con cui tapparle. Il controllore le rivolse un ghigno di pena per quel vano tentativo, ma per quanto sciocca fosse stata quella reazione Aya si ritrovò a provare sollievo per l’accenno di pace che quelle palline verdi le diedero. Rinvigorita o forse soltanto di nuovo in grado di muoversi, Aya ne approfittò per contrattaccare e in una breve corsa, adottata più per ridurre il tempo d’avvicinamento che per altro, riuscì con sua stessa sorpresa a colpirlo all’addome.
«Ramasun Sok!» affondò, stringendo il labbro tra i denti per farsi forza.
Il colpo fu inaspettatamente così efficace da ribaltare Park Semì di qualche metro più indietro e con il lamento con il quale cadde il rumore cessò. Con il fiato corto e la testa che pulsava, Aya non poté fare altro che tornare ad abbassare il proprio pugno per guardarlo riverso sull’erba privo persino di respiro. Per dei lunghi interminabili minuti se ne stette lì ferma con il petto che si alzava ed abbassava, finché non parve ormai evidente che quel grosso insetto non si sarebbe più mosso da dove lo aveva scaraventato. Incredula attese di vederlo tornare umano, segno decisivo della sconfitta di uno Zoo-Zoo da quanto aveva appreso grazie allo scontro di Kidd e Pilar, ma nulla accadeva e in quella immobilità generale Aya si poggiò ad un ammasso d’erba scoprendo d’essere finita contro una delle pareti della galleria. Approfittò allora dell’appiglio e decisa si mosse per controllare più da vicino cosa stesse accadendo, dato che malgrado le proprie speranze era certa di non aver sortito un risultato tale con un unico colpo. Bastarono pochi passi però perché ciò divenisse una certezza e Park Semì si risolevasse di slancio esplodendo di nuovo nel proprio insopportabile fracasso.
«Bakudan!» annunciò quasi non avesse subito alcun danno e la troppa vicinanza, annullò del tutto l’effetto dei tappi che aveva improvvisato alle orecchie.
Con un verso di dolore si aggrappò alla parete pur di tenersi in piedi e la sua mente ebbe un ultimo barlume di lucidità, quando vide due delle piccole zampe del controllore porsi a riparo delle proprie. Realizzò solo in quel momento che quel fracasso doveva essere troppo persino per chi lo produceva e che in quelle condizioni il primo a non sentir nulla doveva essere proprio lui. Confusa e dolorante, si sforzò di pensare a qualcosa che potesse giocare a suo favore grazie al piccolo handicap di cui Park Semì era naturalmente dotato, ma tutto ciò che riuscì a pensare fu che sarebbe stato facile colpirlo alle spalle senza che se ne accorgesse. Lei purtroppo non aveva modo di spostarsi ad una velocità tale da non farsi seguire con lo sguardo né in quel momento possedeva altro alleato oltre alla parete che la stava tenendo in piedi. Quell’ultimo pensiero la illuminò di colpo e senza pensarci oltre, tirando a sorte e concentrando tutte le proprie energie, scagliò un calcio contro la galleria. Semì si esibì in un nuovo ghigno, credendo che avesse ormai perso il senso dell’orientamento e attaccasse a casaccio, ma Aya avvertì chiaramente al tocco la crepa che correva svelta lungo la parete. Indietreggiò di slancio, incespicando nei propri passi sino a cadere sull’erba da cui si era rialzata e con gli occhi che pizzicavano, osservò speranzosa finché il tetto sopra di lei non perse stabilità e crollò su sé stesso schiacciando la gigantesca cicala che vi aveva fatto la propria tana sotto.
«Honey pillow!» «Shambles!» ordinarono due voci nel caos del crollo e quando qualche minuto dopo, Aya riuscì finalmente a riaprire gli occhi lucidi per il dolore alle orecchie, si sentì sollevata dal vederli tutti interi e insieme.
«Aya-sama la smetta di farci preoccupare!» la rimproverarono allarmati gli Heart ronzandole attorno, mentre Amaro le rigirava la testa da un lato all’altro per controllarla e Shizaru si tratteneva a fatica dal commettere un seppuku per averla persa di vista così tante volte in così poco tempo.
«E voi piantatela di starle addosso! Fa quello che le pare!» li ammutolì Celya, rifilando uno scappellotto persino a Shizaru ed Amaro.
Si sarebbe volentieri abbandonata ad una risata per quella scenetta, ma era ancora seduta su dell’erba e quello scontro imprevisto, per quanto breve, le aveva reso chiaro quanto grave fosse la situazione.
Se il passato di Shizaru – che dopo il colpo s’era rianimato – non era ancora stato scoperto dai controllori, dall’altra parte avevano da affrontare qualcuno che non gli avrebbe permesso di dare l’allarme e che pareva intenzionato a vendere cara la pelle. Senza le dovute attenzioni e un piano per arginare i cacciatori di taglie del posto, uscire da Down Under poteva rivelarsi impossibile
Presa da quei pensieri, mentre Celya insisteva a bacchettare il resto del gruppetto, sentì qualcuno alle proprie spalle e si girò a controllare, pur sapendo già chi fosse. Scuro e a denti ancora serrati, Law si abbandonò ad un sospiro pesante prima di accovacciarsi di fronte a lei e posarle entrambe le mani sulle orecchie per aiutarla là dove ad Amaro era stato impedito.
«Lo hai tolto di mezzo?» le domandò in un borbottio e Aya annuì appena, seguendo con lo sguardo le sue dita che le scostavano i capelli.
«Non c’è tempo per rimettere a posto qualsiasi cosa non vada là dentro Law…» provò a fermarlo, ma l’impresa sfumò quando gli vide esplodere di colpo sul viso un ghigno.
«…ci vorrebbero anni temo.» la pungolò sarcastico, perdendo l’espressione da funerale.
Ad occhi sgranati Aya lo fissò ammutolita, per un attimo incerta sulle proprie capacità uditive, ma le mani di Law erano di nuovo al proprio posto e dubitava fortemente lo sarebbero state se così fosse stato.
«Hai ritrovato il tuo scoppiettante buon’umore?!» chiese piccata, mentre lo vedeva rialzarsi.
«Merito tuo, mentirei se negassi.» ghignò falsamente modesto, porgendole la mano affinché si alzasse.










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Note dell’autrice:
Ho saltato lo scorso aggiornamento, per cui anche le note che avrebbero dovuto esserci, non lamentatevi per queste sono stata chiara?! Si chiama contrappasso, mes amis, prendetevela con Dante che l’ha inventato.

- Aya: L’ho fatta arrabbiare oui. Con Law, oui. Non è una cosa umanamente possibile arrabbiarsi con quel pezzo di manzo di Torao, lo so benissimo cosa credete?! Ma Aya è Aya, sopporta sino all’inverosimile però su certe cose non transige e l’insistenza di Law nel volerla accompagnare, con l’implicazione del malinteso che si era creato, le era parsa un tradimento alla sua fiducia. Per lei è tremendo scoprire di non godere realmente – perché a parole Kidd gliene ha rifilate di peggiori – della stima di quei pochi che le stanno a cuore, è fatta così e dato che è moralmente disumana in alcune circostanze, se n’è infischiata di quel pezzo di manzo. Scelta discutibile, je sais… sapete come si dice no (non so se dice anche qui in realtà)? Dio dà il pane a chi non ha denti.
- Park Semì: Ennesimo OC. Di troppo, per cui l’ho tolto di mezzo. Maybe… Il suo nome è l’unione tra il cognome più diffuso della penisola coreana ossia Park e la parola giapponese Semi, che vuol dire cicala. Ha mangiato il frutto Min Min che gli permette di trasformarsi in questo adorabile e chiassoso insetto, è uno dei controllori di Down Under, ma è stato corrotto con successo da Basque che si trova liberamente in città grazie alla sua copertura. Il pass che gestisce è il n°4, che in Giappone non porta bene per niente.
- Higurashi: è una specie particolare di cicala per lo più diffusa in Giappone, che è solita trascorrere dai due ai tre anni sotto terra per poi uscirne alla ricerca di un partner con cui suicidarsi. Non esagero.
-Bakudan: Oooh… le Bakudan sono la croce e delizia estiva dei giapponesi! I bambini ne vanno matti, i turisti meno ed è grazie a loro se negli anime e nei dorama trovate quel tipico suono “min min miiiiin” che indica la stagione estiva. Letteralmente il nome di questi odiosi insetti vuol dire “bombe cicala”, perché? No, non esplodono sugli alberi, semplicemente hanno l’abitudine di farsi cadere a terra in stato comatoso per poi ricominciare di colpo a far chiasso quando uno meno se lo aspetta. Sono causa di parecchi principi di infarto. Adorabili no?! I giapponesi hanno gusti strani, si sa.
- Seppuku: Ai più è noto come “Arakiri”, il famoso suicidio rituale nipponico, ma il termine corretto in realtà è questo, poiché il più diffuso arakiri vuol dire semplicemente trafiggere. In Giappone non è più una pratica così pubblica e quotidiana come lo era ai tempi dei signori feudali e dei samurai, ma ha ancora un grande valore poiché l’atto della separazione volontaria dalla vita terrena in questo paese non è visto come peccato, quanto piuttosto come atto di sommo coraggio. “Il viaggiatore che decide come terminare il proprio viaggio” lo definisce Will Ferguson… ad ogni modo, Shizaru è una scimmia d’onore e Aya è la sua missione di vita, tutti i colpi che gli sta infliggendo in questo periodo di vicinanza insperata lo stanno mettendo a dura prova. Non si ucciderà davvero, tranquilli, lo faccio penare ancora. Non ci sarebbe gusto altrimenti.


  
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