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Autore: SalvamiDaiMostri    23/10/2017    3 recensioni
Siamo in molti a non aver accettato l'epilogo della quarta stagione: con questa stagione cerco di aggiustare un paio di cosette del finale, chiaramente in chiave Johnlock. Cominciamo con John sul fondo del pozzo che si sta inesorabilmente riempiendo d'acuqa aspettando l'arrivo dei soccorsi, e vedremo dove andremo a finire!
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È incredibile quanti danni un’esplosione possa causare all’interno di un appartamento.
È altrettanto incredibile che il periodo necessario a riparare suddetti danni possa essere altrettanto necessario a tante altre piccole cose che hanno bisogno di essere metabolizzate, normalizzate, prima di tornare alla vita di tutti i giorni. E questo tempo, in attesa della ristrutturazione del 221b, per Sherlock, John e la signora Hudson trascorre in modo diverso dal colito. Come se fosse contemporaneamente più veloce e più lento della normalità, come se mancasse qualcosa, come se fossero tutti fuori posto, sospesi, come se non potessero agire con totale naturalezza.
 
Il primo passo fu tornare al lavoro, quantomeno per John che riprese, poco alla volta, a lavorare in ambulatorio, affidando la piccola Rosemary a Sherlock e la signora Hudson durante il giorno: per lui lavorare non si trattava soltanto di una distrazione dalla fredda realtà dei fatti, per John era di un meccanismo necessario a ricominciare a vivere davvero, dopo tutto ciò che era successo. Doveva rendersi utile il più possibile per stare in pace con se stesso, non poteva in altro modo. Quindi le cose migliorarono per lui, un po’ alla volta.
 
Per quanto riguardava Sherlock, anche lui aveva grossi drammi da metabolizzare.
In quegli ultimi due mesi aveva dovuto affrontare momenti terribili. Come guardare negli occhi sua madre nell’istante in cui realizzava che il suo figlio maggiore le aveva mentito sulla morte della sua unica figlia, che ella era ancora viva, ma in uno stato vegetativo in una prigione in mezzo al mare. Aveva dovuto allontanare suo padre da Mycroft dopo non essere riuscito ad evitare che gli tirasse l’unica sberla che il povero uomo avesse mai dato a qualcuno, e cercare di calmarlo e rassicurarlo e guardarlo piangere per la prima volta nella sua vita. Li aveva poi accompagnati a Sherrinford per visitare Euros da dietro a quel vetro, li vide piangere entrambi, l’uno tra le braccia dell’altra nel vedere che la loro bambina era viva, ma che non reagiva a nulla. Aveva dovuto raccontare loro cos’era accaduto, cosa aveva fatto loro, cosa aveva fatto al piccolo Victor Trevor e come mai si trovava in quello stato.
Lei, nel sentire la sua voce, prese il suo violino, senza mai distogliere lo sguardo dal vuoto assoluto. Sherlock aveva dunque preso il suo e avevano cominciato a suonare insieme, ognuno dalla sua parte del vetro, senza parlarsi, una melodia che fuoriusciva direttamente dai loro cuori trasformandosi in musica: aveva trovato quell’ultimo barlume di coscienza che era rimasto in lei e il modo per potervi comunicare. Era ancora viva, nel profondo di quegli occhi vuoti.
Ci sono cose che necessitano di un certo tempo per essere metabolizzate.
È impossibile accelerarne il processo. Ma per Sherlock fu di grande aiuto il rapporto che stava creando con la piccola Rosie. Trascorreva con lei quanto più tempo possibile: giocavano insieme, facevano lunghe passeggiate nel parco, davano da mangiare alle papere, mangiavano insieme, dormivano insieme... E lui poteva osservare come cresceva a vista d’occhio, come ogni giorno imparava qualcosa di nuovo, come la sua memoria si rafforzava prepotentemente, rendendola capace di assimilare un’incredibile quantità di informazioni ogni giorno ed imparare ad applicarle. Il mondo la bombardava costantemente di stimoli e lei reagiva ad essi in modo del tutto spontaneo e meravigliato facendo di se stessa, giorno per giorno, un essere umano più complesso. Tutto ciò per Sherlock era semplicemente straordinario: non aveva mai avuto la possibilità di osservare così a fondo un neonato e seguirne lo sviluppo. Era il più incredibile degli studi che avesse intrapreso, l’esperimento più delicato ed interessante. E gli faceva tremendamente bene al cuore. Sherlock arrivò a pensare che se non avesse avuto accanto a lui la piccola Rosie in quel periodo, probabilmente non sarebbe riuscito a tornare ad essere l’uomo che era.
Si accorse presto di amarla profondamente. La amava, come parte di John.
Ci sono cose che necessitano di un certo tempo per essere metabolizzate, come quei sentimenti che Sherlock provava nei confronti di John che, per quel drammatico periodo appena trascorso, erano rimasti vagamente assopiti in lui per cedere spazio alla compassione, al lutto e a molta tristezza. Chiudeva gli occhi e pensava lui, sentiva il suono della sua voce risalire dal profondo del suo stomaco direttamente fino al cuore che, nei momenti meno opportuni, cominciava a battere furiosamente nel suo pallido petto. L’odore di John, i gesti di John, i suoi occhi, le sue mani... Tornarono ad essere oggetto di venerazione e desiderio costante da parte di Sherlock, che cercava in ogni modo di comportarsi normalmente. Nella sua mente balenavano troppo frequentemente immagini del compagno di avventure che lo facevano improvvisamente arrossire. Vivere di nuovo insieme, con quell’aggiunta di quel nuovo e terribilmente attraente lato paterno, era per il consultive detective uno struggente piacere che cresceva di giorno in giorno.
A volte a Sherlock pareva che John non lo avesse mai lasciato. Come se tutto il periodo dalla sua caduta in avanti fosse stato solo frutto di un brutto sogno: niente Moriarty, niente Mary, niente matrimonio, niente Magnussen, niente mr Smith, niente Euros. Solo loro due, insieme.
Certo, Rosie era la prova concreta del fatto che questo non era vero. E del fatto che anche dalle situazioni peggiori possono nascere cose meravigliose, ed anche per questo era importante. Lei era l’incarnazione del tempo che era passato, testimone dei terribili avvenimenti che li avevano tenuti lontani, che avevano minacciato le loro vite e la loro felicità. Rosie dava a tutto ciò un senso, uno straordinario perché.
Sherlock si ritrovò a pensare che nulla, in tutta la sua vita, lo aveva reso altrettanto felice quanto la consapevolezza che ora lui, John e la sua bambina vivevano insieme.
 
Ci sono cose che necessitano di un certo tempo per essere metabolizzate, ma quando questo tempo passa, arriva il momento di agire davvero.
 
Un pomeriggio, mentre se ne stavano entrambi a guardare la piccola giocare in salone nella palestrina per neonati, arrivò un sms al cellulare di Sherlock. John poté vedere il suo sorriso mutarsi in disagio:
“Che succede?” domandò
“I lavori al 221b sono finiti. Mi chiedono quando posso andare a vedere la casa con la signora Hudson...” rispose allore il consultive detective.
“Ma è grandioso Sherlock!” sorrise allora John, senza essere del tutto certo del motivo per cui Sherlock non fosse felice della noticia.
“Si... Certo.”
Tutto sarebbe finito, John sarebbe di nuovo uscito dalla sua vita e si sarebbe portato con sè la bambina. Perchè avrebbe dovuto fare diversamente? Lui era un ospite, come aveva fatto a dimenticarsene? Dormiva sul divano, per l’amor del cielo. Quella non era la vita vera, era stata una fase, sarebbe dovuto tornare con i piedi per terra prima o poi: lui sarebbe tornato al 221b e avrebbo continuato la sua vita solitaria, mentre John avrebbe vissuto la sua in quella casa, solo, con la sua bambina.
John vide nell’espressione di Sherlock il suo turbamento, ma non volle disturbarlo: sentì che nulla di ciò che sarebbe stato capace di dirgli lo avrebbe distolto dai pensieri che stava sperimentando. Perció lo lasciò in pace.
 
L’indomani andarono tutti insieme al 221b, John portava Rosie in un marsupio.
La porta di ingresso non era quella a cui erano abituati, ma qualcosa di poco più complesso di un asse di legno con un catenaccio: non era altro che qualcosa di temporaneo, ma ai vecchi coinquilini fece un brutto effetto non trovarsi davanti alla cara e vecchia porta nera e lucida, con quei numeri metallici impressi a fuoco nei loro cuori.
Li accolse un muratore. Li fece entrare, e si ritrovarono con un’immagine alla quale non erano del tutto preparati: ogni ambiente della casa era del tutto nudo, spoglio. Non c’erano mobili nè colori alle pareti, nessun oggetto, nessuna testimonianza del loro passato. Come se un’enorme gomma li avesse cancellati dalla storia di quelle mura. Sherlock si avvicinò al muro del salone e accarezzó la parete liscia e bianca, perfetta.
Mancavano i fori di proiettile che aveva fatto quel giorno, perchè il muro se l’era meritato.
E le poltrone... Cos’era quel salone senza quelle poltrone? Era stato Mycroft ad occuparsi della ristrutturazione, e Sherlock si rese conto di non sapere se le loro poltrone fossero sopravvissute all’esplosione. Di certo ne dubitava. Mancavano poi i libri, il teschio con le cuffie, il divano, la cucina piena di rifiuti tossici e strumenti da laboratorio. C’erano solo stanze nude e piene di polvere, e non della polvere eloquente, quella che parlava a Sherlock delle loro vite: era una polvere falsa, tutta uguale, muta. Tutto era diverso. Nulla di riconoscibile al di fuori delle finestre che davano su Baker street.
“C’è un bel po’ di lavoro da fare... Ma è sempre il caro vecchio appartamento...” concluse John sorridendo, cercando di darsi forza. Ma Sherlock non rispose, guardandosi intorno pensieroso. John decise che era arrivato il momento: “Quanto mi è mancato questo posto...” ancora nulla dall’amico, dunque decise di essere più diretto: “Ascoltami Sherlock...” lui si rivolse verso John, ancora incupito “Io ci ho riflettuto parecchio e... Io non credo di voler vivere più in quella casa.” Sherlock sgranò gli occhi: non poteva credere che lo stesse dicendo davvero. “Non credo che mi sia mai piaciuta davvero. E poi, penso che io e Rosie ci sentiremmo soli in una casa così grande... Lo so che è chiedere molto ma-”
“John, tu non devi chiederlo affatto.” Lo interruppe Sherock: “Questa è casa tua, non ha mai smesso di esserlo.” John sorrise, ma insistette:
“Ma certo che devo! Adesso siamo in due...” disse accarezzando la testolina di sua figlia “Non sarà più come prima...”
“Certo che no. Rosie sarà una coinquilina molto più stimolante di quanto tu sia mai stato.” Risero entrambi e John diede una sonora pacca sulla spalla a Sherlock stringendola poi forte:
“Grazie Sherlock, davvero...”
John proprio non si rendeva conto che, in quel momento, il più grato tra i due era proprio Sherlock.
 
Quando giunse il momento di riarredare l’appartamento, sia Sherlock che John furono felici di collaborare: era loro precisa intenzione ricreare gli spazi così come erano il giorno in cui avevano lasciato il 221b. Scoprirono a malincuore che le poltrone non erano sopravvissute all’esplosione, ma riuscirono a trovarne un paio simili alle originali, così come la così strana carta da parati ed un quadro raffigurante un teschio. Il cranio di bue che era sempre stato appeso alla parete del salone era stato quasi miracolosamente rinvenuto tra le macerie, l’unico degli oggetti tra i più iconici del loro passato ad essere sopravvissuto: fu il primo che sistemarono al suo posto dopo che le pareti si furono asciugate, con le cuffie.
Naturalmente furono necessari dei cambiamenti: Rosie avrebbe condiviso la stanza con John finché non sarebbe diventata abbastanza grande da poter dormire da sola, ma quando fosse arrivato il momento, lei o John si sarebbero trasferiti al piano di sotto, il 221c dove così tanti anni prima avevano trovato le scarpe di Carl Powers. Per lei, avrebbero evitato di comprare un tavolino troppo basso con spigoli appuntiti come quello che avevano un tempo, ma uno tondeggiante e leggermente più alto, per evitare che potesse farsi male. Allo stesso modo alla base e alla fine delle scale era necessario installare dei cancelli a prova di bimbo, per evitare che cadesse e così via.
Chiaramente, a lavori ultimati, Sherlock non potè resistere alla tentazione di sparare nuovamente al muro e John, dal canto suo, comprò una bomboletta di vernice gialla per disegnare, lí dov’era un tempo, lo simile giallo.
John avrebbe voluto vendere la casa che aveva comprato con Mary, ma Sherlock glie lo impedì: in futuro sarebbe potuta servire e nel frattempo avrebbe potuto affittarla ed avere così un’entrata fissa ogni mese, soprattutto quando avrebbero estinto il mutuo.
Quando tutto fu sistemato, fu una gioia poter tornare a vivere tutti insieme al 221b.
Per festeggiare, Sherlock pensò di comprare le cifre del numero cívico. Andò poi a prendere John dopo il lavoro insieme a Rosie e li affissero tutti insieme, con la Signora Hudson ed il propietraio dello Speedy’s che, grato dell’aiuto che Mycroft aveva dato anche a lui nelle riparazioni, aprì una bottiglia di spumante e ne servì a tutti.
Cenarono insieme alla signora Hudson con il camino acceso e la piccola Rosie che, seduta sul suo seggiolone, si spalmava pappetta di spinaci su tutta la faccia.
Finito di cenare, mentre John e la signora Hudson finivano un bicchiere di brandy ridendo dei tempi passati seduti sul divano, Sherlock prelevó la bambina che stava giocando sul tappeto con una serie di palline e animaletti di gomma, per portarla a fare il bagnetto.
Quando la signora scese per andare a dormire, John raggiunse Sherlock e sua figlia nel bagno: si trovò Sherlock inginocchiato a terra davanti alla vasca da bagno, con la camicia blu con le maniche raccolte fino alle sopra ai gomiti, tutta bagnata sul petto, che faceva giocare la bambina con una barchetta pirata nell’acqua piena di schiuma. Non essendo stato notato, restò per qualche minuto a contemplare la scena, sorridendo:
Non si sarebbe mai aspettato che Sherlock avrebbe potuto sviluppare un rapporto simile con un neonato. Realizzó forse proprio in quel momento, che sin da quando era morta Mary, Sherlock lo aveva aiutato tantissimo con Rosie, davvero non sapeva che cosa avrebbe fatto senza di lui, senza il suo appoggio.
Era in momenti come quello, in cui vedeva Sherlock giocare con la sua bambina, con quel sorriso e quel fare paterno, che non poteva evitare di tornare a pensare a lui a quel modo in cui tante volte si era proibito di pensare. La ferita della morte di sua moglie fosse ancora così viva e dolorosa, ma non poteva ignorare il tuffo al cuore che provava nel guardarlo, sempre più spesso. E si odiava per questo. Per scacciare quel pensiero si avvicinò alla coppia e contribuí a concludere il rito del bagnetto, che includeva uscire dall’acqua, asciugarsi per bene, mettere l’olio profumato, poi il pannolino, poi il pigiama, salire in camera da letto e con le luci abbassate e il carillón che suonava una ninnananna cercare di farla dormire.
Si diedero il cambio un paio di volte, fino a che la piccola si addormentó tra le braccia di Sherlock. Questo la adagió nel lettino con estrema delicatezza.
“Sei davvero bravo.” Sussurró John, Sherlock sobbalzò “Proprio portato, direi.” si avvicinò alla culla anche lui “È bellissima…” commentò.
“Quando dorme!” rispose Sherlock, alzando le sopracciglia sarcastico.
Risero entrambi.
“Somiglia a sua madre…” commentò John e Sherlock sospirò.
“Ha i tuoi occhi.” puntualizzò
“Lo so...” passò forse un minuto di silenzio in cui il carillon concluse la sua melodia. Sherlock sussurrò allora:
“Allora tolgo il disturbo.” fece per andare di sotto, ma John gli afferrò il braccio. Fece quindi scivolare la mano all’indietro fino ad arrivare a prendere la sua.
“Sherlock io…” lo guardò intensamente negli occhi, ma poi, arrossendo, distolse lo sguardo e disse solo “Buonanotte.” lasciando cadere la mano. Sherlock sospirò, di nuovo. Guardò a terra. Le parole gli uscirono dalla bocca senza che se ne rendesse nemmeno conto:
“È sbagliato che io sia felice per tutto questo, John?” domandò. L’altro lo guardò confuso “Stimavo immensamente Mary, ma… Averti di nuovo qui, a casa... Avervi entrambi qui... Mi rende così felice. È come se non avessi mai desiderato altro.” Sospirò “Questo è… Sbagliato?”
John proprio non sapeva cosa rispondere, perchè lui stesso si era spesso posto la stessa domanda negli ultimi mesi.
“Non lo so...” rispose tornando a guardare il viso angelico di RoseMary, assopita “Forse. Forse lo è. Anche se… Non credo che essere felici possa mai essere davvero sbagliato o irrispettoso.” Sherlock sospirò e fece per uscire dalla stanza di nuovo “Per quel che vale, Sherlock...” lo interruppe John “Non posso fare a meno di essere immensamente felice anch’io di essere tornato.”
Sherlock si voltò e gli sorrise:
“Buonanotte, John.”
“Buonanotte, Sherlock.”
 

 


Eccoci qui, di nuovo, scusate per il ritardo… Non è facile trovare il tempo per scrivere in questi giorni. Sta volta c’è poco da commentare: a dirla tutta sono più o meno cose che devono essere successe anche nella serie canon perchè Sherlock e John effettivamente mettono a posto il 221b, il cranio di bue è davvero sopravvissuto all’esplosione e John (VIVA DIO) torna a vivere al 221b insieme alla bambina. Persino il dettaglio del tavolino senza spigoli è vero: fateci attenzione la prossima volta che vedete quel flash future! Inoltre vediamo la sfuriata a Mycroft da parte dei genitori e loro che vanno ad ascoltarla suonare il violino insieme a Sherlock. Per il resto sono sentimenti non detti, quindi ci stanno tutti. Nulla di straordinario sta volta: spero di non aver deluso le aspettative di nessuno! Io come sempre vi ringrazio di aver letto fino a qui e vi rimando al prossimo capitolo. Fatemi sapere la vostra opinione in recensione, mi raccomando! Con affetto, un abbraccio _SalvamiDaiMostri
   
 
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