Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: EffyLou    01/11/2017    1 recensioni
Johann Trollmann è un pugile, beniamino del popolo tedesco negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Indisciplinato, imprevedibile, borioso. Non sono i suoi difetti più grandi. Johann Rukeli Trollmann appartiene ad un popolo scomodo: è uno zingaro. Conquista le platee di Germania e fa innamorare le donne tedesche.
Nella sofferenza che porterà il Nazismo, il suo unico punto fermo e pilastro incrollabile è Frieda. Johann tocca l'apice e il fondo, assaggia il successo e la disperazione, conosce la serenità e la guerra. La derisione nazista si scontra con l'orgoglio di uno zingaro, che proprio non vuole saperne di abbassare la testa a quelle umiliazioni.
C'è solo un modo per far tacere quell'anima in rivolta: ridurlo ad un numero e darlo in pasto al Porajmos, l'Olocausto del popolo zingaro.
- - - - - -
I veri combattenti non temevano la loro ultima battaglia, e se c'era una cosa che Rukeli aveva sempre fatto, era dimostrare di non temere neppure il Diavolo. Neppure il Nazismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
15. Der Wolf unter den Löwen
 
 
Johann che sfuriava in palestra. Che prendeva a pugni il muro senza fasce e senza guanti.
Johann che spaccava l’intonaco e sbriciolava i mattoni della parete.
Kaspar che lo teneva fermo cercando di bloccargli le braccia. Lo zingaro che se l’era sgrullato di dosso come se fosse polvere. Un ultimo pugno al muro, messo male, gli fece prendere una storta al polso. Le nocche livide, rosse di sangue, la pelle squarciata.
Leyendecker che gli portava un secchio col ghiaccio e bende per medicare le nocche.
Zirzow spiegò la situazione a Kaspar, che si era visto l’amico sfuriare e prendersela con le pareti della palestra dopo che l’omino panciuto era uscito.
Johann con le mani infilate nel ghiaccio, rossastro dal sangue. La testa china, il secchio tra le gambe divaricate.
«Non ci devi andare, Johann.» gli disse Zirzow.
«Sarà umiliante. – aggiunse Leyendecker. – Ritirati, non lasciarti umiliare così, ragazzo. Puoi andare via dalla Germania, come hanno fatto Hans, Schmeling, Seeling. Costruirti una nuova carriera all’estero.»
Ci stava riprovando. Lo doveva salvare.
«No.» rispose, inflessibile.
«È una trappola, ma possibile che non lo capisci?»
«No, sei tu che non capisci. – alzò gli occhi su di lui. – Io ci voglio cascare in questa trappola. Ma non come dicono loro. Ci cadrò, ma come dico io.»
Gli occhi di Johann. Brillavano di rabbia, selvaggi e indomabili. Leyendecker riusciva a percepire il battito del suo cuore sinti, il fuoco scorrergli nelle vene sotto la pelle d’ambra. Vedeva in lui la determinazione di un uomo che non riusciva a sottostare alle regole dei gagé, di un uomo che portava sul ring l’orgoglio di un popolo intero; un uomo fiero, che restava stoico in ogni situazione… come un albero.
Lo capì: capì che Rukeli non si sarebbe piegato ai nazisti, che avrebbe sempre trovato un modo di protestare o ribellarsi se gli si fosse presentata l’occasione.
Anche se ha torto marcio, anche se sa che insistere lo porterà alla rovina, se non tiene il punto fino alla fine… si sente perduto.
Aveva lasciato appesa la discussione a questa promessa.
Nessuno cercò di convincerlo a non salire sul ring di Eder.
Con Witt avevano cercato di fare propaganda sfruttando la differenza elevata tra peso e altezza dei due. I lineamenti nordici di Witt, da puro ariano, con le sue caratteristiche da vero pugile tedesco.
Uno dei migliori che meglio incarnava l’ideale del Deutscher Faustkampf.
Stavolta puntavano ad altro. Puntavano a dimostrare in modo più evidente l’inferiorità dello zingaro. Gli mettevano contro un peso welter: sessantasei chili, sei in meno di Johann; centosettanta centimetri, tredici in meno dello zingaro.
Ma avrebbe vinto, era una sconfitta organizzata a tavolino.
Un peso mediomassimo più alto della media dei pugili della sua categoria, che si faceva stracciare da un peso welter notevolmente più basso. Una propaganda migliore, per promuovere la pura razza, non esisteva.
Sarebbe filato tutto liscio. Rukeli Trollmann cancellato dai cuori della gente e dalle pagine di giornale, la razza zingara messa a tacere di nuovo, ricordando qual è il loro posto. Ai margini.
 Alla fine avevano chiamato il numero che Heyl aveva lasciato: lo zingaro accettava l’incontro.
L’avevano fissato per il 21 luglio, alla birreria Bock. Dove tutto era cominciato.
Dove tutto sarebbe finito.



Era tornato a casa nel pomeriggio. Da Frieda.
In realtà, l’aveva incontrata sotto il portone. Era appena tornata anche lei. Gli aveva fatto un gran sorriso, che lui non era stato in grado di non ricambiare nonostante il pessimo umore.
«Dove sei stata?» le chiese, appendendo il cappello sull’attaccapanni.
Lei indicò il sacchetto della spesa con la testa. «Al mercato.»
Cominciò a sistemare il contenuto del sacchetto. Lui l’aiutò, mettendo a posto le cose nei punti più alti della dispensa. Fu allora che la ragazza notò le mani di Rukeli. Le nocche fasciate.
«Non hai niente da dirmi?»
«No, perché?»
Conosceva Frieda. Si sarebbe caricata le sue emozioni sulle spalle. Sarebbe stata male per lui. Doveva provarci a salvarla.
«Ah no? – gli afferrò il polso, tirando su la mano, le sopracciglia inarcate. – Niente?»
«Sono caduto, ho strusciato le mani per non sbattere la faccia. – alzò le spalle. – Mi sono anche slogato un polso per questo.»
«Sei caduto.» ripeté lei, scettica, le braccia incrociate al petto. Un sopracciglio alzato.
Era la prima volta che le mentiva. Come aveva fatto a dire una bugia di fronte a quegli occhi? Si dicono le bugie per proteggere chi si ama. Lui la stava proteggendo da sé stessa, dai suoi crolli emotivi, dalla sua auto distruzione.
Annuì, convinto. Lei storse le labbra, squadrandolo. Non indagò oltre, Johann si lasciò andare ad un sospiro di sollievo. Si era accorta che mentiva, conosceva il suo cavaliere nero, e lui lo sapeva. Ma ormai il danno era fatto.
Frieda si chiuse in un ermetismo esemplare mentre massaggiava l’impasto del pane sul tavolino. Aveva imparato a farlo. Gliel’aveva insegnato Johann. Lui lo faceva più buono, ma quello della ragazza non era male. Le veniva morbido, la crosta croccante.
Rukeli, invece, si era messo a raccogliere i panni stesi fuori dal balcone. Le lanciava occhiate, la studiava da lontano. Era di pessimo umore, ma in qualche modo il mutismo in cui si era chiusa la ragazza lo faceva distrarre. Pensava a come attirare la sua attenzione.
Si avvicinò come una pantera al tavolo. «È pronto per essere infornato?»
Le chiese, cercando di attaccare bottone.
Lei affondò la punta del dito, poi lo portò alla bocca succhiando via i rimasugli d’impasto che le erano rimasti attaccati.
«Sì, penso di sì. Opinioni dell’esperto?» lo incalzò, acida.
«Anche secondo me è pronto.»
«Bene.»
«Molto bene.»
«Benissimo.»
«Ottimo.»
Frieda gli lanciò un’occhiata di traverso.
Si chinò, mise nel forno la teglia col pane. Poi cominciò a ripulire il tavolo dalla farina e i pezzi d’impasto appiccicati sul legno lucido, sotto gli occhi attenti di Johann.
«Che fai, mi tieni il broncio?»
«Non ci parlo con i bugiardi.» replicò, distratta.
«Non ti fidi di me?»
Lei gli lanciò un’occhiata di fuoco. «Non osare rigirarti la frittata come ti pare, Johann Trollmann. Non sono stupida, lo so quando dici le bugie.» sventolava l’indice all’altezza del suo sguardo.
Rukeli alzò un sopracciglio. L’afferrò per i fianchi, se la caricò su una spalla come un sacco di patate.
«Mettimi giù!»
«No.»
Le tolse il grembiule di dosso, gettandolo davanti la porta della camera. Scoppiò a ridere alle proteste di Frieda.
«Non farmi resistenza.»
Tutti i muscoli sul basso ventre della ragazza si contorsero in un formicolio, a quelle parole.
«Io non ci parlo con te.» provò a dire.
Ma quando lui l’adagiò sul letto, tutte le sue difese crollarono.
«Per favore, sii sincero. Cosa è successo?» gli sfiorò le mani, le nocche.
Johann, a carponi su di lei. Un ciuffo riccio che scendeva, i muscoli delle braccia tesi, gli occhi improvvisamente cupi e torbidi come petrolio.
«Non mi va di parlarne ora.»
Anche le sue difese crollarono di fronte allo sguardo di Frieda. Così innocente, così limpido. Knock-out.
«Ti fanno male?»
«Non quanto vorrei. Ci sono ferite che fanno più male.»
«È per questo che non vuoi dirmi niente?»
«Anche. – la baciò con dolcezza. – Perdonami.»
Lei sorrise, come un gatto che fa le fusa prima di sfoderare gli artigli.
«Non capisco il tuo umore. – mormorò, alzando le mani verso il suo viso per accarezzarlo. – Sei triste e arrabbiato, oppure su di giri? Con me sei giocherellone, ma non ti senti allegro.»
«Sei pericolosa, amore mio, mi senti troppo.»
Si sedette sul bordo del letto, la fece accomodare sulle sue gambe come una bambina a cui bisogna raccontare una storia. Ma Johann non voleva dirle nulla.
Le infilò una mano sotto la camicetta, dietro, e le accarezzò la schiena con la punta delle dita. Un tocco rovente, carezze lente, che la facevano impazzire. Sotto i polpastrelli sentiva la sua pelle liscia, la linea della spina dorsale che curvava armoniosa, il solco. Sulla parte bassa della schiena, le fossette di Venere.
«Non dovrei?»
«Forse no. – ammise lui. – Non in questo periodo. Stai male, ti fai carico di un peso troppo grande. Hai già le tue emozioni, le tue sofferenze, non puoi prenderti anche il mio fardello. Resterai schiacciata.»
«Non lo faccio apposta.» sussurrò, accoccolandosi sulla sua spalla.
Johann la strinse a sé. «Se potessi comandare questa dote… lo faresti? Ti prenderesti il mio fardello lo stesso? Perché io vorrei non permettertelo.»
«Solo se poi tu non lo avresti più.»
Lui si mosse nervosamente, senza ben sapere cosa rispondere.
«Mi faranno combattere di nuovo.» le confessò, di getto.
«Quando?»
«Presto. Contro un peso welter.»
Frieda lo scrutò attentamente. «E perché la cosa ti preoccupa? Hai abbattuto pesi massimi che pesavano anche quindici chili più di te. Perché un peso welter ti spaventa?»
«Perché devo combattere come un cazzo di ariano. – brontolò. – Non posso boxare secondo il mio stile: fermo in mezzo al ring, con la guardia bassa. E quell’Eder è un picchiatore. Chiedono allo zingaro di boxare come un ariano, e perdere pure nel farlo.»
Frieda gli si accoccolò con la testa tra la spalla e il collo, toccandogli la schiena poté sentire tutti i suoi muscoli tesi dal nervoso. «Stanno chiedendo ad un’aquila di combattere contro il coccodrillo, ad un lupo di combattere nella gabbia dei leoni.»
Johann si morse il labbro inferiore, abbozzando un sorriso amaro. «I leoni saranno pure grossi e pericolosi, ma sono loro che si esibiscono nei circhi, non i lupi. Sono loro i clown del ring, non io.»

 
* * * 
 
 
Con l’avvicinarsi della data dell’incontro, Johann si era chiuso in sé stesso. Nulla traspariva dagli occhi neri, non una parola di troppo veniva pronunciata. Le discussioni erano diventate monosillabiche, atone. Chi era più vicino al pugile, faticava a riconoscerlo.
Lui sempre così allegro, ottimista e chiacchierone.
L’allenatore Walter Leyendecker aveva tentato un’ultima volta di far ragionare il campione. Non doveva andare, sarebbe stato umiliante, era una trappola.
Johann Rukeli Trollmann aveva ribadito che voleva cadere in quella trappola, gli stava bene. Avrebbe affrontato quelle ombre. Ma a modo suo, come diceva lui.
In palestra non si era più allenato, si limitava a scaricare la tensione su un sacco veloce e saltare la corda dietro uno dei piloni centrali. Leyendecker si era chiesto come avesse intenzione di affrontare il match, quello sgangherato d’uno zingaro.
Non aveva infierito. Nessuno aveva detto più niente. Chi cercava di affrontare questo argomento, veniva sistematicamente ignorato.
Con Kaspar non parlava. Ma neanche con Frieda. L’aveva tagliata quasi totalmente fuori dalla sua sfera emotiva. Le uniche volte che le mostrava un filo d’emozione, era quando i loro occhi si incontravano e lui non riusciva a fare a meno di farle un sorriso. Oppure quando facevano l’amore.
Ma non era più un’esperienza così piacevole. In quel frangente, Johann tirava fuori una rabbia repressa che a volte la spaventava.
Johann non era abituato a non esternare niente. Ma era come se qualcosa in lui si fosse spezzato, come se le fiamme che gli bruciavano le vene si fossero estinte, come se fosse morto.
Qualsiasi emozioni che s’insinuava nel suo cuore, la seppelliva prontamente. Per sé stesso, soprattutto, ma anche per Frieda. Non le avrebbe caricato addosso la sua negatività, era stata già male abbastanza anche sul piano fisico. Con il vomito, sonni profondi e continui, singhiozzi sommessi e disperati nel cuore della notte.
La sentiva quando piangeva. Sentiva quei respiri strozzati e tremanti, nel tentativo di riprendere fiato e non svegliarlo al tempo stesso. La sentiva, ma non la toccava. Non ce la faceva. Sapeva d’averle fatto male, sapeva che lei era diventata restia a toccarlo anche solo per dargli un bacio. Aveva paura del lupo che le dormiva vicino la notte.
Per la prima volta in quegli anni, erano distanti.


_________________________
NOTE
Mi dispiace di rifilarvi questo capitolo GNE. È di passaggio, nel prossimo ci sarà il match Trollmann-Eder.
A proposito, il prossimo capitolo potrebbe tardare un po' ad arrivare, come questo alla fine.Ma semplicemente perché devo praticamente riscriverlo daccapo: non mi piaceva già prima della revisione generale che ho fatto fino ad ora, quindi va cambiato.

Io scappo, perché in questi giorni sto davvero a pezzi e ho il cervello che è tutto un "Error 404", per capirci. Cercherò di farmi viva al più presto.
Alla prossima! ♥
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: EffyLou