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Autore: EffyLou    08/11/2017    1 recensioni
Johann Trollmann è un pugile, beniamino del popolo tedesco negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Indisciplinato, imprevedibile, borioso. Non sono i suoi difetti più grandi. Johann Rukeli Trollmann appartiene ad un popolo scomodo: è uno zingaro. Conquista le platee di Germania e fa innamorare le donne tedesche.
Nella sofferenza che porterà il Nazismo, il suo unico punto fermo e pilastro incrollabile è Frieda. Johann tocca l'apice e il fondo, assaggia il successo e la disperazione, conosce la serenità e la guerra. La derisione nazista si scontra con l'orgoglio di uno zingaro, che proprio non vuole saperne di abbassare la testa a quelle umiliazioni.
C'è solo un modo per far tacere quell'anima in rivolta: ridurlo ad un numero e darlo in pasto al Porajmos, l'Olocausto del popolo zingaro.
- - - - - -
I veri combattenti non temevano la loro ultima battaglia, e se c'era una cosa che Rukeli aveva sempre fatto, era dimostrare di non temere neppure il Diavolo. Neppure il Nazismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
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 Seconda parte
L'uomo
Mesi al tappeto anche Adolf Witt l'ariano,
ma la Federazione rese quel trionfo vano.
M'impose la sconfitta nell'incontro successivo, 
poi la deportazione mi rese inoffensivo.


C.F.F. ─ Come fiori


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17. Kontrolle verlieren 



 
Box-Sport, edizione del 24 luglio 1933 – Incontro Eder-Trollmann, 21 luglio 1933.
Eder ha offerto un match fantastico e correttezza vuole che si riconosca che Trollmann si sia impegnato a fondo presentandosi sul ring come un vero combattente per far dimenticare la catastrofica prestazione fornita contro Witt nel cosiddetto incontro per il titolo dei mediomassimi.
Il ragazzo di Hannover, che come al solito non ha saputo rinunciare a portare sul ring una nota di colore presentandosi con i capelli tinti di biondo, ha iniziato a percorrere un nuovo cammino. Ogni sua superficialità viene dimenticata di fronte alla prestazione di Trollmann. Usciva dall’angolo per combattere. Sapeva che con questa impostazione sarebbe stato severamente punito. E tuttavia lo ha fatto, seguendo le istruzioni ufficiali. Trollmann affondava a bandiere spiegate. Nell’apoteosi finale tuttavia tornava il vero Trollmann, perché la pretesa sua e di Zirzow che gli ultimi due colpi al corpo che lo hanno mandato al tappeto fossero stati portati sotto la cintura, gli ha procurato fischi in quantità. Tuttavia ha saputo riparare al danno congratulandosi con grande sportività con Eder per la vittoria e riconoscendo così con chiarezza la sconfitta.
Molti hanno giudicato la teatralità di Trollmann, nel suo presentarsi con i capelli tinti, come una pagliacciata grottesca e di cattivo gusto. A tal proposito, vi riportiamo qui una breve poesia scritta da Fritz Hoffmann e dedicata appunto a Trollmann:


Il “biondo” Gipsy,
una volta era uno zingaro.
Nessuno era bello come lui!
Ricci neri come la notte,
non arricciati dal parrucchiere,
gli stanno bene, a pennello.
Non era proprio un eroe,
sospiravano quelle dame
che venivano per lui.
Ha una brutta ciocca -
e intendevano la sua criniera,
che gli sta ricciuta sulla testa.
Oddio, com’è interessante!


Una volta c’era uno zingaro.
Nessuno era furbo come lui!
Un geniale apprendista stregone
pieno di magica strategia.
Un demonio che andando a zig zag
strisciava sempre lungo il muro.
Una volpe, super astuta,
che si allargava come un pavone,
con soffi e nitriti da stallone selvaggio.
Poi di colpo come un cavatappi
Si divincola tra le corde con arte.
Oddio com’è interessante!


C’era una volta uno zingaro.
Adesso non è più nessuno!
Perché a forza di colpi di sole
si è esposto troppo a lungo.
Come si è rovinato,
persino la sua arte è scolorita.
Ciò che una volta era geniale,
è oro finto e apparenza senza sostanza.
Della volpe resta solo l’ombra del colore,
troppo bello per essere vero.
Così “una” piena di rabbia lo sgridò,
e di interessante solo Eder trovò.


Mah, c’era una volta uno zingaro?
 
* * * *
 
 
Frieda non si era più fatta vedere in ospedale. Aveva tagliato i contatti con tutti, persino con Gilda.
Le due settimane e mezzo in cui Johann era in ospedale, non fece altro che pensare a lei. Chissà se n’era andata, chissà se l’avrebbe dimenticato. Chissà se era al sicuro, ora. Il lupo che proteggeva la sua compagna, il suo piccolo branco.
Aveva raccontato a Gilda di ciò che le aveva detto, lei aveva pianto e lo aveva abbracciato, comprendendo il gesto e le sue parole, comprendendo l’amore che Johann provava per la sua amica. I sensi di colpa e il dolore che gli avevano provocato quegli occhi, quello sguardo… aveva il cuore stretto in una morsa. Aveva perso la boxe, aveva lasciato andare l’amore. Gli restavano gli amici, ma per quanto? Gli restavano le sue radici, ma per quanto?
Avrebbe perso ogni cosa, e lo sapeva. La sensazione di essere stato inghiottito da un ciclone, ti essere in balìa delle rapide che inevitabilmente l’avrebbero fatto scontrare su scogli acuminati. Sentiva di star perdendo il controllo della sua vita e questo, più di tutto, lo mandava nel panico.
Passava le giornate con Kaspar e Ivan. Il ragazzone non parlava della cugina, e Johann non faceva domande. I due lo scorrazzavano in giro per il giardino dell’ospedale con la sedia a rotelle. Le costole non riuscivano ancora a sostenere il peso del corpo. Si divertiva con loro, lo facevano ridere e lui faceva ridere loro nonostante tutto.
Si stava riprendendo bene. L’occhio era fuori pericolo, ci vedeva ancora bene come prima. Gli erano rimaste piccoli cicatrici bianche sul volto. Un sopracciglio aveva la coda spezzettata dalle cicatrici che lo tagliavano, altre due erano sotto l’occhio destro, un’altra sotto quello sinistro, un’altra ancora tagliava orizzontalmente il naso, un’altra sulla guancia destra, vicino al lato della bocca.
Ogni tanto gli arrivavano dei fiori con delle dediche da parte di coloro che erano rimasti fedele alla leggenda di Gipsy e amici.
Da parte di Hans, da parte di Edmund Bilda, da parte di Paul e Max, da parte dei suoi fratelli, persino da parte di Seeling e Schmeling. Con tanto di biglietti.
“Al campione, al pugile più grande di sempre” quello del signor Bilda.
“Rimettiti in fretta, testardo d’uno zingaro” quello di Max e Paul.
“Vediamoci su un altro ring. Che ne dici, oltreoceano?” da Seeling e Schmeling.
«Manco fossi morto.» aveva commentato, con un sorriso.
Ma da Frieda niente.
Uscito dall’ospedale dopo il periodo di ricovero, era tornato a casa. Non c’era odore di lavanda. I vestiti di Frieda nell’armadio erano spariti, così come tutte le sue cose. Non c’era più traccia di lei. Come se non fosse mai stata lì. Come se non fosse mai esistita, mai entrata nella vita di Johann. Né un oggetto dimenticato, né un vago profumo di lei, né un biglietto. Niente. Quello che era stato il loro nido, il loro posto nel mondo, ora sembrava vuoto e privo di ogni ricordo.
Era andato a cercarla al Der Blume.
Hildi gli aveva detto che aveva lasciato il posto da circa due settimane e mezzo, e anche lei. I nazionalsocialisti se la prendevano con comunisti ed ebrei, e quello era un pub pieno di manifesti marxisti. Chi ci lavorava rischiava parecchio. Le chiese se sapesse qualcosa, ma lei aveva detto di no. Frieda aveva tagliato i rapporti anche con Hildi.
Era andato a cercarla al maneggio. Non l’aveva trovata.
Poi era andato a casa sua. Edmund Bilda l’aveva accolto calorosamente.
«Io so perché l’hai fatto, ragazzo mio, e credimi se ti dico che avrei fatto la stessa cosa al tuo posto. Amare è proteggere. Ma lei... Non l’ha presa molto bene.»
Il padre ricordava bene il giorno in cui la sua unica e amata figlia era tornata a casa. Il cuore infranto e pioggia che scendeva dagli occhi di cielo. Aveva lanciato al muro un paio di vasi, rovesciato il tavolo della cucina. Quando i due uomini erano tornati, avevano trovato la casa a soqquadro, una valigia davanti alla porta di casa, e la ragazza sdraiata sul sofà. Una sigaretta accesa tra le dita, gli occhi gonfi di lacrime, arrossati, le guance umide, il trucco colato. Era partita la mattina dopo, senza dormire né mangiare. Senza dire una parola a nessuno, né un cenno, né un saluto, né la vaga promessa di rivedersi un giorno. Aveva telefonato dopo una settimana, lasciando l’indirizzo a cui inviare le lettere e scusandosi.
«Dove è andata?» chiese Johann, riscuotendo il signor Bilda dal ricordo.
«A Praga. Dalla sorella di Agnes, sua zia Rosa.»
Si era sentito morire. Era così lontana dalle sue braccia.
Frieda aveva scritto una lettera a suo padre. Un foglio di carta con alcune righe scritte a matita, la calligrafia rotonda ma disordinata. Informazioni brevi ed essenziali.
Lo informava dicendogli della zia, della casa, del lavoro che aveva trovato.
Johann si era sentito sereno, perché lei era al sicuro. Si era trascritto l’indirizzo. Non era certo di volerle scrivere, avrebbe voluto che lei si dimenticasse di lui. Ma sarebbe stata l’unica cosa che gli restava di Frieda.

 
* * * *
 
 
Box-Sport, edizione del 4 settembre 1933 – Incontro Trollmann-Sabbotke, 1° settembre 1933.
A ravvivare la serata con una sorpresa ci ha pensato Gipsy Trollmann! Lo zingaro contro Sabbotke, cominciò con lo stile consueto: finte, schivate, colpi fulminei da ogni direzione. Per la delusione del pubblico e dello stesso Trollmann, Sabbotke accusava anche i colpi più leggeri così fino al quarto round si è sviluppato uno dei soliti combattimenti di Trollmann in cui sembra una bestia che gioca con la preda prima di massacrarla, in cui non si sa se ci si deve arrabbiare, ridere oppure ammirare la sua istintiva ed abile boxe.
Nel quinto round Sabbotke sferrò un pesante colpo a Trollmann, mandandolo al tappeto, e così un paio di volte, ma presto l’uomo colpito tornò con una scarica violenta di pugni. I pugni che si abbatterono su Sabbotke erano così tanti, così vari, e così veloci, che quello non poté farci niente.
Trollmann dominò il ring per i round successivi, poi Sabbotke rispose di nuovo, Trollmann era intontito ma poi ebbe un ritorno di fiamma. Infine Sabbotke, raccogliendo tutte le sue energie, riesce ad arrivare al round conclusivo, ed entrambi ricevono ovazioni dal pubblico di Berlino.
Forse ora Trollmann ha capito che deve combattere per avere successo. Il più bel record non conta niente se dalla propria parte non si ha il pubblico.


Box-Sport, edizione del 9 ottobre 1933 – Incontro Trollmann-Boelck, 8 ottobre 1933.
A guardare l’aspetto e il peso di Trollmann, sembra che l’aria di Berlino non gli faccia granché bene. Ma anche un Trollmann in una forma diversa (anche se non ha avuto occasione di dimostrare quale) non avrebbe avuto molto da offrire contro questo Boelck.

Box-Sport, edizione del 30 ottobre 1933 – Incontro Trollmann-Boja, 27 ottobre 1933.
Poi il match conclusivo, grottesco, più un finale allegro che un match sportivamente apprezzabile.
Trollmann (71,2) entrato nel parterre in uniforme da SA, saltava, ballava, impegnava l’avversario, fintava come al solito, il vecchio Boja (71,7) spigoloso e legnoso nei movimenti, l’esatto contrario dell’imprevedibile Trollmann, colpiva con movimenti rigidi e lenti ma pesanti. E l’incredibile accadde. Trollmann andò al tappeto fino al “nove” del knock-down, poi scapò così in fretta che quasi travolse l’arbitro e si assistette ad abbracci, trattenute, “cravatte” da lotta più che un pugilato accettabile. Boja ottenne la vittoria ai punti e il pubblico applaudì per la grottesca esibizione finale.


Box-Sport, edizione del 6 novembre 1933 – Incontro Trollmann-Eybel, campionato dei pesi medi Domogoergen-Boelck, 5 novembre 1933.
Nell’incontro conclusivo Trollmann (Berlino, 71,3) ha dimostrato di essere almeno un po’ allenato.
Eybel non si è lasciato influenzare dal famoso teatro di Trollmann, ma dalla terza ripresa ha dovuto incassare colpi pesantissimi che lo hanno costretto ad arrancare sanguinante verso la sconfitta. Trollmann immaginava questo incontro più difficile, probabilmente. Ha di nuovo usato i suoi trucchi, le sue meschinità cambiando l’abito come il colore dei capelli, inseguendo il suo avversario come un gatto fa col topo, giravolte, colpi dati e ricevuti, carezze derisorie e colpi portati con sapienza e incredibile potenza. Era una tipica rappresentazione alla Trollmann e il suono del gong faceva l’effetto del sipario di una rappresentazione teatrale.


Lo scontro con Eybel fu l’ultima vittoria di Trollmann, e fu segnata da urla provenienti dal
pubblico.
«Bisogna fare uno spezzatino con questo ceffo zingaro!»
«Trollmann buttati giù altrimenti ti veniamo a prendere!»
«Porco zingaro, vattene in Valacchia!»
Parole che pesavano nell’animo già devastato di Johann. Ormai non si arrabbiava neanche più. Era sconsolato, amareggiato. Alla premiazione gettò la corona d’alloro in un angolo, sotto lo sguardo mortificato di Zirzow e Leyendecker che non lo riconoscevano più. Nonostante l’allegria e l’ironia che portava sul ring, Johann non era più niente di tutto ciò. Si era spento come una candela.
Se fino a quella sera aveva ancora dubbi, ora non ne aveva più: vincere era ormai sinonimo di pericolo.
Era uno sportivo a cui avevano ormai precluso la possibilità di dimostrare quanto valeva, perciò non gli restava che fare show e indicare con decoro che sarebbe stato in grado di dimostrare il suo valore se solo glielo avessero permesso.
Trollmann aveva capito che doveva solo perdere se non voleva essere poi multato dalle SA – o addirittura bastonato. Ma nonostante la paura e l’insicurezza, non rinunciò alla sua satira e al suo spettacolo sul ring: combatteva vestito con una divisa delle SA a noleggio, salutava la folla con il gesto del profeta, si tinse di biondo per un periodo e si truccava il viso col talco per schiarire la carnagione.
I suoi avversari non erano quelli sul ring, erano quelli fuori. Appostati sugli spalti, come una bestia nera, pronti a deriderlo ed insultarlo ad ogni incontro. Istigavano la folla, alimentavano un odio irrazionale nei confronti dello zingaro. Il pubblico invadeva il ring, lo aggrediva, gli lanciava oggetti di ogni sorta e lui tornava sempre a casa ferito dalle bottiglie di vetro che gli lanciavano contro e sporco di cibo, salse e uova. Era difficile concludere un incontro, e concluderlo senza andare al tappeto, in quelle condizioni. A volte si buttava giù volontariamente. Venne sconfitto anche da avversari che aveva abbattuto più di una volta.
I suoi incontri diventarono match marginali, non più principali e fulcri delle serate; le notizie sul giornale che lo riguardavano erano brevi, mere curiosità.
Johann Rukeli Trollmann, probabilmente l’uomo e il pugile mediomassimo più apprezzato e temuto della Germania ora non era altro che uno zingaro qualsiasi, un fenomeno da baraccone. Persino Ernst Zirzow era stato costretto ad abbandonare Rukeli, nell’inverno del ’33. Leyendecker continuò a seguirlo fino a quando non ritirarono la licenza al ragazzo e venne intimato al vecchio di girargli alla larga se ci teneva alla vita.
A marzo del ’34 terminarono definitivamente i suoi incontri ufficiali, e fino ad aprile, per arrivare a fine mese, prese parte a incontri di pugilato nel luna park al mercato Pötte di Hannover. Rischiava di perdere la licenza, ma che differenza faceva ormai? Una settimana prima, uno di questi suoi incontri venne annunciato platealmente. Ciò attirò suoi sostenitori, ma anche suoi nemici che interruppero l’incontro lanciandogli bottiglie e cibi vari. Chi non aveva smesso di apprezzare Gipsy Trollmann si schierò in sua difesa, provocando una rissa.
Il 24 maggio 1934, gli ritirarono definitivamente la licenza di pugile professionista.

 
Scriveva lettere che avrebbe voluto inviare a Frieda, ma non se la sentiva. Le teneva nascoste in una scatola in fondo all’armadio della sua nuova casa a Hannover.
Era stato costretto a vendere quella a Berlino. Un trio di studenti universitari erano andati ad abitare lì. Lui si era spostato ad Hannover, portandosi dietro solo vestiti, libri e sofferenze, stava in affitto a casa di una signora anziana a cieca, ma con la voglia di vivere di un ragazzino di tredici anni.
La signora Berger aveva ottantadue anni, era vedova e affetta da diabete, una volta era una maestra di una scuola elementare. Aveva folti capelli bianchi sulla testa, ricci, era magra e ricurva, sempre appoggiata al suo fedele bastone che le faceva da guida. Aveva anche un cane, un pastore tedesco di nome Ulma. La signora Berger aveva dei figli, ma erano morti durante la Grande Guerra e i suoi nipoti ora vivevano a Parigi. Qualche volta l’andavano a trovare. La sua badante era una ragazza di trentacinque anni austriaca, Clara, che abitava porta a porta; capelli biondi e occhi verdi, paffuta. A Johann ricordava una ciambella ricoperta di zucchero sia per la corporatura e sia per la sua dolcezza.
«A me non frega niente se eri un campione, ragazzo. – gli aveva detto la signora Berger quando era arrivato. – Ora che vivi qui, dovrai fare la tua parte. E anche un po’ quella di Clara. Lei si occuperà di cambiarmi il pannolone ma tu dovrai almeno pensare alle faccende domestiche!»
«Sfida accettata.»
«Che sfida e sfida! Non farmi arrabbiare!»
E aveva agitato il bastone.
Johann, ridotto ai lavori forzati, spalava carbone ad Hainholz, il quartiere settentrionale della città, e puliva aeroplani all’aeroporto di Vahrenheide. La paga era misera, bastava a malapena per il sussidio. La signora Berger gli disse di non preoccuparsi di questo, alla spesa ci avrebbe pensato lei con i suoi soldi. Ma lo stipendio di Johann non gli permetteva nemmeno di pagarle l’affitto.
Anche in questo, la signora Berger gli aveva detto che non c’era problema, si era affezionata al ragazzo. Lui cercava di pagare in tempo comunque. Per questo la notte aveva cominciato a lavorare come cameriere nelle bettole della città vecchia, a Kreuzklappe.
«Dai, muoviti, campione! Veloce come quando scappavi sul ring!»
Gli urlavano. Lui non fiatava e faceva il suo lavoro. Con tutte le umiliazioni che aveva subìto, si aggrappava ancora alla sua dignità e al suo orgoglio.
Al suo datore di lavoro piaceva Johann, era un bravo ragazzo e buon lavoratore, e gli dava sempre qualche soldo in più nella busta paga. Era mansueto, docile. Sorrideva ai clienti e si muoveva come un gatto tra i tavoli. Era veloce con le ordinazioni e cordiale in ogni circostanza. E poi, nonostante tutto, continuava a piacere le donne, che da quando lui lavorava lì, erano sempre più presenti nel locale. Giusto per vedere Gipsy Trollmann ancora una volta e parlarci con la scusa di prendere ordinazioni.

Si svegliava all’alba, lavava aeroplani, pranzava in una mensa pubblica per senzatetto, poi spalava carbone ad Hainholz fino al tramonto. Tornava a casa, si dava una ripulita, cenava, e dopo andava a Kreuzklappe fino alle tre del mattino.
E di nuovo ricominciava il giro. Aveva solo un giorno libero, la domenica, e lo passava a casa per aiutare Clara e la signora Berger. Qualche volta faceva un giro in città, giocava a calcio con i ragazzini per strada, andava a salutare sua madre.
Friederike pensava che Johann avesse una casa tutta sua. Nessuno sapeva che era in affitto da una signora anziana e cieca. Non aveva detto niente, non voleva che i suoi fratelli cercassero di tappare i buchi della vita di Rukeli. Ce la faceva da solo, era l’arte dell’arrangiarsi e gli veniva piuttosto bene, munito anche di una certa dose di fortuna e carisma.
E poi si divertiva dalla signora Berger.

«Secondo me tu sei finta cieca.» la provocò Johann una sera.
«Secondo me tu ti diverti a prendere le mazzate, invece.» replicò.
Ogni volta che il ragazzo scherzava, lei si divertiva a dargli leggere bastonate sulle gambe. Lui si faceva sempre trovare, non ci provava a schivarle.
Una volta, la signora Berger gli chiese se poteva “guardarlo”. Con le mani antiche, passò le dita sul suo viso. Il mento squadrato, gli zigomi alti, i lineamenti duri, il naso all’insù, le labbra carnose. Le sopracciglia ben disegnate, la palpebra che calava leggermente e gli conferiva quel taglio da lupo. I bei riccioli neri, folti, tagliati più corti dietro e ai lati. L’orecchio a cui mancava quel pezzo di cartilagine, le cicatrici sul viso sparse e leggermente in rilievo.
«Ragazzi belli come te sono difficili da trovare. - aveva sussurrato, accasciandosi sulla poltrona. – Ci credo che le donne fanno ancora a gara per averti. Tu e la tua testa ricciuta strappate ancora sottovesti in quantità. Scommetto che la signorina media si presterebbe volentieri agli esperimenti sull’ibridazione della razza.»
Johann strabuzzò gli occhi alle parole della signora Berger, e poi scoppiò in una risata prorompente, delle sue.
«Ma dai! Ma come ti vengono! Non ci faccio più molto caso ormai.»
«Tu eri Gipsy Trollmann. Il divo. Le donne ti venivano dietro e tu non ne rifiutavi neanche una, me lo ricordo sai, e lo fanno ancora. Ma non eri fidanzato?»
Clara notò lo sguardo di Johann passare dall’ilarità alla malinconia, mentre accarezzava la testa di Ulma.
«Signora Berger, non credo sia un tasto da toccare.» provò a dire la domestica, conciliante.
«Se n’è andata vero? Se ne vanno tutti, ragazzo. Chi per scelta, chi no.»
«Lei aveva paura qui in Germania, mi aveva chiesto di andare via insieme. Le ho detto di no, le ho detto che doveva andarsene da sola e che non l’avrei fermata.» spiegò lui, lentamente.
Quanto tempo era passato? Da quanto tempo non vedeva Frieda?
Gli mancava da impazzire.
Gli mancava parlare di cose importanti e fare progetti insieme a lei, sembrava tutto più cupo e più pesante senza la sua presenza frizzantina. Si stava dimenticando della sua voce, della sua risata, delle sue espressioni e dei suoi sorrisi. Stava dimenticando la sua pelle, le sue abitudini, il suo essere così piccola tra le sue braccia. L’unica foto di lei che aveva la ritraeva da lontano, ed era praticamente nascosta dietro il suo cavallo. Gli piaceva pensare che lei fosse dietro Alfie, gli piaceva ricordarla così: al maneggio, tra la paglia e i suoi animali.
Sentì lo stomaco rigirarsi, la bile salire. Neanche c’era stato un addio. Il tempo stava estirpando il suo ricordo, non voleva.
«Ora è a Praga.» sussurrò.
«Ti manca?»
Johann sentì lacrime bollenti riempirgli gli occhi. Clara lo guardava con la fronte aggrottata, gli fece una carezza affettuosa sulla spalla.
«Che importanza ha? È al sicuro, lontana dalla Germania. È l’unica cosa che conta.»
La signora Berger lo scimmiottò ripetendo le sue parole. «Ma sentilo. Per un titolo diventi una belva, ma quando si tratta di combattere per amore sembri un pesce. Maledizione, quanto costa un biglietto per Praga?»








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Okay allora questo capitolo è lunghissimo. Ho sfoltito, ma più di così non ho voluto perché è un po' un riepilogo di quello che successe da luglio 1933 all'estate seguente. Ho usato gli articoli di Box-Sport per scandire il tempo che passa, nella mia testa sono come quei spezzoni di film con le pagine di giornale per legare due periodi distinti, non so se mi spiego hahah
Questa parte ha elementi romanzati: Johann è tornato ad Hannover ma non è stato in affitto da nessuno, Frieda nella reale vicenda non è ancora comparsa perciò tutto quello che la riguarda è inventato.

Se spulciate, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate! Per il resto io vi saluto e vi do il benvenuta nell'altalenante seconda parte di Wie Blumen, eheh!
Alla prossima!

   
 
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