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Autore: iamnotgoodwithnames    28/11/2017    1 recensioni
"Al cuore non si comanda, non c’ha mai creduto ai modi di dire, non li ha mai voluti prendere neppure in considerazione, assurde frasi dette, ripetute così tante volte, da così tante bocche diverse, da perdere significato; da diventare banali cliché.
Eppure, alla fine, c’è rimasto incastrato anche lui in uno stupido cliché.
Al cuore non si comanda, si ripete, cercando di perdersi nel buglio di sogni che non sono mai piacevoli, cercando di dimenticare che, suo malgrado, la sua intera vita, per colpa di due iridi d’un pungente azzurro cielo, è diventata un banalissimo, insopportabile, cliché."
[Theo x Liam][Introspettiva][Slow Build][Spoiler!6A][Slice Of Life][Missing Moments][OC][OFC x Greenberg / Mason x Corey]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Corey, Liam, Liam Dunbar, Mason, Nuovo personaggio, Theo Raeken
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Moonbeams Bonds'
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~ Chapter Sixteen : I Don't Want To Lie, I've Been Relying On You ~
 


Casa Dunbar, ore 5.00 

C
’è sempre stata la rabbia, distruttiva, intensa, a predominare sopra ogni altra emozione, è istintivo, quand’era bambino il patrigno gli spiegò che, a volte, poteva capitare di sentirsi così tanto arrabbiati da voler sfogare, in qualche modo, tutta l’energia e, per alcuni, era più difficile e potevano fare del male a loro stessi o agli altri se non imparavano a gestirsi; ma Liam non riusciva mai a capire ciò che il patrigno cercava di dirgli.
Comprese poi, quando divenne grande, quando i cuscini spennati, strappati, si tramutarono in peluche smembrati, ridotti a brandelli di peluria artificiale ed imbottitura, quando le nocche cominciarono a tingersi di rosso, macchiando le mura della camera, distruggendo specchi colpevoli di riflettere l’immagina di un volto deturpato dalla rabbia, quando lo espulsero da scuola; fu allora che tutto divenne più chiaro.
Era come se qualcosa, qualche sinapsi o neurone, non funzionasse come dovere ed ogni singola, anche la più minima, situazione di stress emotivo, si tramutasse in furente ira che bruciava ogni cellula del corpo ed infiamma la pelle al punto da costringerlo a lasciar esplodere le fiamme prima di restarne bruciato.

Impiegò anni, ore di terapia, soldi in medicine, prima di riuscire a trovare un barlume di controllo che gli permettesse di condurre una vita sana, o quanto meno non nociva per sé e per le persone che gli gravitavano attorno che rischiavano, ogni volta, di divenire vittime indesiderate d’un esplosione e cominciò a sentirsi una mina vagante, una bomba ad orologeria mal funzionante.
L’ansia divenne una compagnia giornaliera, un’ombra che lo seguiva ovunque andasse, ricordandogli in ogni istante che qualsiasi persona, qualsiasi situazione, era un pericolo costante da evitare e Liam iniziò a chiudersi in casa, passando le giornate a guardare documentari storici, leggere libri, giocare con videogame in cui poteva picchiare avversari senza sentirsi colpevole, chiuso nella solitudine a distrarsi dal mondo.

L’unica eccezione è sempre stata Mason.

Forse perché era così diverso da lui, calmo, pacato, persino cauto e fu facile, per entrambi, attrarsi come poli opposti, da una parte c’era l’impulsività, la rabbia e dall’altra la pacatezza, la tranquillità; insieme, in qualche modo,  si bilanciavano.
Con lui Liam si sentiva un ragazzo come chiunque, persino quando litigavano riusciva a trovare il controllo necessario per colpire il muro, Mason si spaventava, ma sapeva che non aveva nulla da temere, se così non fosse stato il suo naso sarebbe già stato rotto più d’una volta e l’ambulanza lo avrebbe già scortato all’ospedale in più occasioni; come Brett, una mattina, al campus estivo, quando commise l’errore di provocarlo.
E poi, quando Liam aveva finalmente imparato, trovando la forza necessaria per controllarsi, le cose precipitarono rovinosamente, costringendolo a ripartire dalle basi; ed incolpò Scott.

Se ne vergogna persino, ora che quei giorni sembrano essere ricordi lontani, ma quando tutta la verità, sul sovrannaturale, il morso, la licantropia, la luna piena e ciò in cui era stato trasformato divenne realtà, odiò ed incolpò Scott McCall per avergli causato la peggiore ed irrimediabile delle disgrazie possibili ed averlo reso ciò che aveva, a lungo, sperato di non essere mai; una minaccia, un pericolo costante.

Si sentì un mostro, per così tanti giorni, e si sentì tale anche quando poi, col tempo, apprese maggiori informazioni ed il legame con quello che, gli dissero, essere il suo Alpha s’intensificò, ci vollero mesi, altre ore di terapia e medicinali, inefficaci ormai, prima di riuscire ad accettare la nuova realtà che gli si palesava dinnanzi ed anche in quei giorni, malgrado l’instabilità, malgrado la paura e la confusione, Mason era lì; era lì con lui a sostenerlo e sorreggerlo.

Ed ora che ogni singolo libro giace al suolo, tra assi di legno di quella che un tempo era una libreria, ora che le nocche guariscono lente dai graffi e le iridi brillando gialle, ora che la stanza è un campo di guerra, le medicine non funzionano e Liam è solo, raggomitolato tra le ginocchia, accasciato al suolo come un reduce di battaglia, artigli conficcati tra i capelli e fiato erratico, i genitori lontani miglia e parole d’abbondono a riecheggiare tra la mente; Mason non c’è.

Forse ha perso persino lui, per cosa poi?

Per inseguire un illusione, si grida contro il mannaro, per rincorrere una chimera, ringhia stringendo la nuca tra le dita e lacrime tra le ciglia.

Come la spiegherà quella crepa nel muro, affianco allo stipite della porta?

Come riparerà la libreria ridotta a macerie di legno?

Cosa racconterà alla madre quando, tra due giorni, tornerà e Liam non vorrà lasciare la camera, annegando tra le coperte?

La colpa, questa volta, è solo sua.

Avrebbe dovuto saperlo, sin dall’inizio, da quella prima volta in cui incontrò quelle dannate iridi glauche, dal primo istante in cui sentì quell’odore, inconfondibile, quando si lasciò ingannare; avrebbe dovuto capirlo, le persone non cambiano.

Dovrebbe cominciare a crederci, dovrebbe ripeterselo sino allo sfinimento.

Si è lasciato intrappolare, per l’ultima volta si dice cercando di stabilizzare il respiro, da quel dannato inganno universale che è l’amore.

Si è lasciato ingannare, per l’ultima volta si ripete raccogliendo le forze necessarie a strisciare sino al telefono, dalle parole di una bocca che non è mai stata in grado di dire la verità.

Forse se Hayden non se ne fosse mai andata, se fosse rimasta con lui, tutto sarebbe stato diverso.
Cerca di incolparla, ma conosce bene, sin troppo bene, la verità, ed ingannarsi riflettendosi negli occhi di Hayden non funzionava neppure prima che la chimera precipitasse in un cratere tra la terra e non funziona neppure ora che da qual buco Liam lo ha testardamente protetto, ignorando valide motivazioni per rispedirlo all’inferno, e non funzionerà neppure domani; né tra tre giorni.

Non funzionerà mai.

E quel che succede, conosce i meccanismi che muovono gli ingranaggi della sua mente, ha impiegato anni, mesi, a capire cosa lo spingesse a cercare, sempre, le iridi glauche della chimera e, col senno di poi, rivalutando la sua unica relazione sentimentale, degna di nota, avrebbe dovuto comprenderlo meglio tutto quell’odio che provava per Theo; è così che inizia, è così che la mente lo avverte che sta per cadere nella trappola universale dell’amore.
Avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione, ma distratto Liam lo è sempre stato, certi segnali, basilari, sono sempre stati un mistero ed ora che si ritrova a ripercorrere le fasi che l’hanno portato a distruggere la libreria, gli resta una sola speranza : che Mason risponda. 

L’incessante attesa logora lentamente, ogni suono si prolunga tra i timpani del mannaro, trascinandosi come una melodia stanca, le dita tremano strette attorno al cellulare, finché la voce, impastata dal sonno, dell’amico non sopraggiunge dall’altro lato della cornetta; Liam deve aver perso, tra le tante cose, anche la cognizione del tempo


“hai idea di che ore sono?”


Biascica infatti Mason, l’eco di uno sbadiglio in lontananza, il mannaro poggia la schiena al bordo del letto


“mi... – soffia debolmente, reclinando la nuca al materasso – ...scusa…sono un’idiota”


Fissa il bianco soffitto, le iridi vagano da un punto indefinito all’altro, senza riuscire a trovare nulla che possa distrarlo dal caotico groviglio di parole che s’intrecciano tra le corde vocale, costringendolo a tossicchiare un singulto


“Liam – la voce dell'umano è un suono sottile, preoccupato, forse non tutto è perduto – cos'è successo?”


Inspira il mannaro, cercando di sbrogliare il nodo alla gola, deglutendo rumorosamente, gli occhi bruciano di lacrime inespresse, socchiude gli occhi lasciando fuoriuscire parole tremule in un sospiro amaro


“avevi ragione – dice, salsedine pizzica tra le guance, incastrandosi tra crepe nelle labbra screpolate – avevi ragione”


Silenzio, insopportabile silenzio è tutto ciò che ne segue, interrotto solamente da rumori distanti, di coperte gettate a terra e passi frettolosi, una confusione gracchiante di azioni che il mannaro può solo intuire e che trovano risposta nel respiro affannato dell’amico


“tra dieci minuti sono lì – lo informa, il tintinnio di chiavi ed il suono d’una porta che si chiude piano, minimizzando il rumore – Liam…avrei preferito sbagliarmi”


Il mannaro trattiene il respiro, nel vano tentativo di nascondere singhiozzi che ne scuotono le spalle, ma il sapore delle lacrime che scivolano furtive tra gli zigomi, perdendosi tra le labbra, inasprisce la lingua e le parole che fuoriescono in un sussurro strozzato


“anch’io”


Riesce soltanto a dire, prima di lasciar cadere il cellulare al materasso, non interrompe neppure la chiamata, resta immobile, una statua vuota, la nuca così pesante che ha il timore di poter perdere l’equilibrio e scivolare al suolo nel tentativo di alzarsi dalla scomoda posizione assunta, ma le gambe sono macigni distesi al suolo e le spalle zavorre che lo inchiodano al bordo del letto; neppure lo sguardo riesce più a spostarsi da quella chiazza grigiastra che accerchia il lampadario pendente al soffitto.

Minuti, forse più dei dieci promessi, trascorrono prima che il campanello trilli lieve ed altrettanti ne trascorrono prima che Liam riesca a sollevarsi, forzando i talloni al pavimento, tra i libri sparsi, strisciando lungo la parete, arrivando faticosamente alla porta d’ingresso e deve avere un aspetto decisamente stanco, forse sfinito, perché gli occhi di Mason indugiano, guardandolo come si guarderebbe uno morto che cammina; comparso dal nulla


“mi dispiace – è lui, il primo a spezzare il silenzio, richiudendosi la porta alle spalle – non volevo…sono stato…un stronzo”

“ma avevi ragione – sembra tutto ciò che il mannaro è in grado di ripetere, seguendolo, stanca sagoma, sino al salotto – su tutto”

“Liam…”

“no, non…  – le parole, come frammenti di specchi che rifletto immagini distorte, sono suoni confusi – avevi ragione, sono un’idiota…ho creduto…era cambiato…era…e poi…una menzogna dietro l’altra…tutto quello che ha detto, sono stronzate, non gli credo…lui…noi…”


Mason non ha mai desiderato tanto intensamente come ora d’essersi sbagliato, avrebbe preferito doversi scusare, dover ammettere che Theo era cambiato, davvero, poter dare ragione a Corey, a Liam, schierarsi dalla parte dell’amico contro il branco intero ed accettare, lentamente, una relazione che, infondo, aveva già intuito sarebbe nata, prima o poi.
Ed ora, specchiandosi in quelle iridi azzurre velate di lacrime, farebbe di tutto per poter riavvolgere il tempo e fare qualcosa, qualsiasi cosa, per impedire tutto questo.
Istintivo stringe il mannaro in un abbraccio fraterno, non lo ha mai visto tanto fragile, eppure hanno superato così tante difficoltà, così tanti ostacoli, fa male vederlo così fragile 


“risolveremo tutto”


Liam soffoca un sorriso triste, scivolando dalle braccia dell’amico, iridi rosse, gonfie, cieli carichi di pioggia, scuote il capo, mordendosi il labbro tremulo


“non è un mostro – dice, senza sapere neppure a cosa esattamente voglia riferirsi – o una catastrofe sovrannaturale, non puoi risolverla, non c’è niente da risolvere, non c’è…non c’è più niente”

“andrai avanti, come hai sempre fatto, non puoi lasciarti abbattere da quello stron…”

“non siamo mai stati niente?”


Le parole dell’umano si bloccano tra la trachea, deglutisce rumorosamente, quella domanda rivolta all’eco di un uomo che non c’è ed il peso di quelle iridi di cieli in tempesta lo costringono a distogliere lo sguardo, cercando qualcosa nella stanza che gli impedisca di urlargli contro che, in fondo, una parte di sé, crede ancora che sia meglio così; soffrirà, ma forse meglio ora che poi, quando inevitabilmente Theo l’avrebbe abbandonato dopo chissà quanti mesi, usandolo come un giocattolo perché, la verità è che, Mason non riesce a credere al cambiamento della chimera.
Non ci riesce, non ora che ne vede, per la millesima volta, i disastrosi effetti del passaggio, nel peggiore degli scenari, avrebbe potuto sorvolare sui passati crimini, ma questo, questo non può perdonarlo, non Mason; maledice il giorno in cui ha permesso all’amico di distruggere quella dannata spada.


“Liam – tenta, cauto – starai meglio, ora ti sembra impossibile, ma credimi starai meglio senza di lui”


Non sfugge un bagliore di fulmini nella tempesta che s’agita tra le iridi azzurre del mannaro, incastra le unghie ai palmi, trattenendo lo scalpitare furioso della rabbia, sua e del lupo che ulula, graffia, ferisce sottocute, un dolore incalcolabile, che nessuna parola mai sarebbe in grado di esprimere


“non ho controllo, Mason – ringhia tra i denti, respingendo artigli che premono tra i polpastrelli – la rabbia…io…non ho controllo, non riesco ad averne…è…lui...è riuscito a calmarmi, una sera, è bastato...l’odore, sapere che era…senza è come se…tutto è troppo, non riesco…mi sembra di poter esplodere da un momento all’altro come quando ero a Devenfort…è…l’odore, la voce, pensare a…è come se mancasse…”

“come se ti mancasse un’ancora?”


Un’intuizione timorosa dischiude le labbra dell’umano, com’ha fatto ad ignorarlo?
Come può essere stato tanto cieco?
Persio prima che Hayden lasciasse Beacon Hills, persino mentre si frequentavano, il controllo di Liam mostrava chiari segnali di cedimento, quando poi se n'è andata tutto è rovinosamente precipitato, sino al giorno in cui Theo non comparve, inaspettatamente, nelle loro vite; di nuovo.


“è la tua ancora?”


Una constatazione così ovvia, si dice Mason, che avrebbe preferito omettere, avrebbe fatto meno male tacere delle lacrime, rivoli silenziosi d’amara consapevolezza, che scivolano tra le gote arrossate del mannaro, che sfiorano le labbra gonfie di morsi, aggiungendo un motivo in più per odiare Theo Raeken come l’umano non ha mai odiato nessun altro prima d’ora


“non hai bisogno di lui – esclama, sicuro, poggiando una mano alla spalla dell’amico – puoi essere l’ancora di te stesso, lui non ti serve”


Credergli, per Liam, è impossibile.
Non è mai stato in grado di controllarsi, ne è consapevole, non c’è mai riuscito, è sempre stato difficile e la sola forza di volontà non è mai bastata, né prima né dopo la trasformazione in licantropo, eppure con Theo è differente, come tutte le cose che lo riguardano, riusciva a trovare un modo, a tratti incomprensibile, per essere la sua unica eccezione, punto debole e di forza, con lui riusciva ad incanalare la rabbia, a controllare il disturbo intermittente esplosivo, a placare l’agitazione; con lui ne era in grado come mai era riuscito prima


“Mason – soffia piano, quasi spaventato, incastrando le iridi a quelle dell’amico che trema impercettibilmente, già consapevole di quel che seguirà – io…credo, no…io so, so che…io…”


È terribilmente doloroso permettere a quelle singole lettere di lasciare quell’angolo tra le corde vocali che si sono scavate da giorni ed emergere, spaventosamente fragili, terribilmente spezzate, dinnanzi alla persona sbagliata, ad essere udite da orecchie errate, ma deve dirlo Liam, se vuole liberarsene prima che lo soffochino


“io lo…lo…”

“lo so – lo interrompe Mason, egoisticamente impreparato a sentire quel verbo,
 rivolto ad uomo che non lo ha mai meritato,  fuoriuscire dalle labbra del mannaro, avvicinandolo a sé, lasciando che poggi la fronte nell’incavo del collo – lo so, Liam”


La schiena di quest’ultimo è scossa da fremiti e singulti, lacrime scavano solchi salati tra zigomi già secchi, inumidendo la sottile maglietta dell’umano che stringe, istintivo, le braccia attorno al busto del mannaro e, in qui sussulti mozzati, in quel respiro stanco, privo d’energie, prosciugato da un’insondabile dolore si dirada l’eco d’una verità senza voce da troppo sepolta e l’aria si avvolge di densa melanconica tristezza; cristallizzandosi in un bozzo che fa mancare il respiro.


Campo Gypsy, ore 5.20
 
 Il primo raggio solare filtra tenue tra le tende della piccola finestrella, una linea sottile di luce illumina le coperte ed Esmeralda stiracchia le gambe, intorpidite, non è riuscita a dormire, ha passato la notte insonne a monitorare il respiro della chimera, ancora dormiente, alla sua destra.
Non è la paura dell’abbandono, d’appassire come un fiore secco privato dell’acqua, non è la paura di morire ad averla tenuta sveglia sono stati i sussulti, l’agitarsi tormentato di Theo, da mesi non lo sentiva più lottare contro incubi che, ora, hanno volti, nomi, un contesto così vivido che persino la mente di Esmeralda ne è spaventata quando chiude gli stanchi occhi e conosce, più di quanto vorrebbe, la causa di una drastica ricaduta.
Vede quel legame, quell’intenso filo dorato, spesso e brillante, perdere lucentezza, tinteggiarsi lentamente di grigio, sbiadire nella nebbia dei legami distrutti e non può permettere a quell’unico filo di speranza che resta alla chimera di dissolversi e rinsecchire come tutti gli altri che ne circondano l’aura straziata, è già sin troppo spezzata e frastagliata quell’essenza martoriata.

Deve fare qualcosa, e non è solo la natura ad imporglielo, è il suo stesso desiderio ad obbligarla ad agire, un dovere morale ed un bisogno quasi fisiologico quello di aiutare la chimera che, col trascorrere del tempo, è diventato parte della famiglia; qualcuno che non può e non vuole perdere.

Scivola cauta tra le coperte, poggiando lieve i piedi al suolo, rabbrividendo per alcuni istanti al contatto con la fredda superficie, raccoglie silenziosa gli abiti lasciati al bordo del letto la sera precedente, nel tempo di una breve doccia si cambia, controllando poi che la chimera dorma ancora, sospira un sorriso di dolce tristezza prima di lasciare la roulotte; la borsa pende a tracolla dalla spalla destra e le gambe si muovono rapide seguendo quel filo dorato che volteggia a mezz’aria, sa dove deve andare.

Col senno di poi avrebbe potuto chiedere ad uno dei suoi fratelli di farsi portare dall’altro lato della città, inspira affaticata Esmeralda, ritrovandosi a fissare una porta in bianco legno rifinito, in un quartiere elegante che non credeva neppure esistesse, indugiando incerta al campanello; riflettendoci avrebbe anche potuto attendere qualche ora.
No, si dice risoluta, decidendo di suonare, piuttosto correrà il rischio di svegliarlo alle sette del mattino, d’un pigro mercoledì estivo, ma non può attendere oltre.
Attende minuti, prima di ripetere la procedura, intenzionata ad insistere finché non otterrà risposta e quando, finalmente, la porta si apre il sorriso, speranzoso, che aveva scivola rovinosamente dalle labbra non appena le iridi nocciola s’incontrano con quell’azzurro di cieli spenti, privi di luce.


“ciao, scusami per il disturbo ma... – si sforza di ricreare un sorriso che, tuttavia, non riesce ad assumere la forma corretta – posso entrare? Devo parlarti, urgentemente”


Il mannaro solleva le spalle, tanto debolmente da darle l’impressione che non si sia neppure mosso, ma poi le fa spazio, invitandola silenziosamente ad avanzare, richiudendole la porta alle spalle non appena Esmeralda prende posto al divano nella sala principale; gambe tamburano al pavimento impazienti ed agitate


“non ti sarai mica dimenticato di me, mi offenderei un po’ sai”


L’ironia, le ha detto Bianca una volta, è sempre un buon punto d’inizio, ma la malinconia nel volto del mannaro è invalicabile e la gitana inspira, sbattendo le lunghe ciglia nere


“immagino tu sappia perché sono qui – comincia pacata, giocherellando con la cerniera della borsa nocciola – e...negli ultimi mesi lui è...è diventato parte della famiglia e so quanto ha sofferto, so quanto orribile è stata la sua vita prima di…”


S’arresta improvvisamente chiedendosi quanto sappia quel ragazzo dagli occhi tristi di Theo, quanto gli abbia raccontato e quanto invece gli abbia nascosto, del suo passato, di quel che è stato e di quello che è diventato, avrebbe dovuto chiederlo, in qualche modo, ma la disattenzione è sempre stato un punto debole, la sorella non manca mai di farglielo notare, sospira decidendo che, comunque, deve proseguire, non può arretrare 


“prima di incontrarti – le iridi del mannaro vibrano d’impercettibile tristezza e l’istinto della gita le implora di allungare la mano e liberarlo, per quanto può, da tutto quel dolore intrappolato, ma si costringe a desistere – so quanto è testardo ed orgoglioso, si è convinto di non meritarti, ha paura, paura di…di rovinare tutto e si costringe a…a rinunciare, pensa di…pensa che sia meglio così, che sia meglio per te, lui…”

“a che serve dirmelo?”


Sibila il mannaro, vittima di una rabbia trattenuta, preda d’emozioni contrastanti che giocano con la sua mente, che ne annebbiano di lacrime i pensieri, le iridi chiare, la vista resa cieca da una patina di dolore che ne sta indurendo il cuore ed Esmeralda trattiene, ancora una volta, l’istinto di sfiorarne la spalla e catturarne quanto più possibile di quella densa tristezza che lo rende pietra intoccabile


“perché  – esclama, iridi di cioccolato fuso si incastrano in mari saturi di gocce salate – perché so quanto…quanto voi due…il legame che…non può rinunciare a te solo perché è spaventato da una paura irrazionale e tu…tu non puoi permettergli di lasciarti così, senza…senza…dovete lottare, entrambi”


Conclude, la voce di qualche ottava troppo elevata, le dita strette tra di loro, nel tentativo di placare l’impellente necessita di assorbire quel dolore e gli occhi sicuri di chi sa di condurre una giusta battaglia.
Liam s’irrigidisce, stringendo i pugni lungo i fianchi, una stilla di sangue picchietta al suo riecheggiando nel silenzio, catturando l’attenzione della castana, e prima che il lupo prevarichi la parte razionale ed umana volta le spalle alla gitana, rifugiandosi in cucina, secondi dopo l’eco d’un pugno che s’infrange alla parete, facendo tremare lo stipite della porta, fa sobbalzare Esmeralda


“Liam – sussulta, affrettandosi a soccorrere il mannaro – stai…”


Le parole muoiono in gola e la gitana maledice, ancora, la distrazione per non essersi accorta, prima, che anche quel ragazzo dai capelli biondo miele nascondeva un segreto sovrannaturale, come lei, come Theo, forse come l’intera città si dice espirando un tiepido sorriso bonario


“va tutto bene – gli dice pacata, portando in avanti i palmi delle mani, cercando di ricordare quello che Bianca le ha raccontato dei licantropi privi di controllo – non ho paura”


Nelle iridi giallo topazio accesso di Liam c’è così tanta confusione che Esmeralda non ha neppure bisogno di seguirne l’aura agitarsi sgraziata sotto l’influsso d’emozioni contrastanti, rabbia, smarrimento, dolore e timore ne animano la sagoma e la castana comprende che è il mannaro ad aver paura; paura di poterla ferire


“non mi farai male – lo rassicura, in un soffio gentile – va tutto bene, so cosa sei, sono come te…cioè non proprio così, specie diversa, ma…il sovrannaturale non mi spaventa”


Decide di optare per una sintesi estrema di quel che è la sua natura, rilassando gli avambracci, avvicinandosi cauta a Liam che resta, come statua di fragile vetro, immobile, i canini ne graffiano il labbro inferiore, le iridi topazio scrutano confuse la sagoma della giovane, le nocche ancora serrate con ferrea ira alla parete ed una crepa che si dirama al di sotto


“voglio aiutarti – le dita di Esmeralda possono quasi sfiorarne la spalla tesa – per favore, fidati di me”


Liam inspira ed è il lupo a suggergli di ascoltarle quella voce gentile, a ricordargli che se la chimera si è fidata allora può farlo anche lui, quella giovane dal tocco di brezza fresca ed ossigeno non rappresenta un pericolo, non può rappresentarne, c’è l’odore di Theo incastrato tra la pelle della castana ed il lupo si placa sotto quel lieve contatto creatosi e, lentamente, gli artigli si ritraggono, i canini si ridimensionano e le iridi degradano verso il naturale colore


“meglio?”


Il mannaro riesce soltanto ad annuire, ancora confuso, ci sarebbero così tante cose che vorrebbe chiederle, così tante domanda da fare, ma la mente riesce a concentrare l’attenzione soltanto alla traccia, esigua, dell’odore di Theo che aleggia debole nell’aria e Liam si chiede se sia stato questo ad aiutarlo o se, invece, sia stato merito del tocco, la voce calma, della gitana che gli sorride dolcemente


“io non… – boccheggia agitato il mannaro, ritraendo il pugno dall’impronta di nocche nel muro – mi dispiace, io…”

“non devi scusarti  – scuote bonariamente il capo la castana, distendendo le braccia ai fianchi – è stata colpa mia, non avrei dovuto essere così…dura, ma...non voglio che Theo soffra, non voglio che nessuno di voi due soffra, ma se lui…se lui non lotterà per se stesso, per voi, accadrà e…ti prego, non permetterglielo”

“non so cosa…io…che dovrei fare?”


Tituba in un soffio tremulo, stringendosi nelle spalle, respingendo lacrime che non hanno mai smesso di solcarne il volto dalla notte precedente, trattenendo il respiro nel vano tentativo di contrastare singulti di dolorosi dubbi


“puoi convincerlo, puoi fargli capire che ti merita – nelle iridi nocciola di Esmeralda si dirada una luce di speranza che s’incastra tra gli occhi gonfi di stanche lacrime del mannaro – ti prego Liam, devi…forse siamo le uniche due persona al mondo che gli restano che non vogliono vederlo soffrire, ti prego…devi venire con me”


Ed il cuore del mannaro bussa tra le costole, chiedendo prepotentemente d’essere ascoltato, ed il lupo graffia, ringhia la verità che ha letto nelle parole della gitana, e l’istinto, un disperato bisogno, un sentimento che non ha mai avuto possibilità d’esprimere, prega d’essere accolto, seguire Esmeralda e lottare, con ogni singola forza che gli resta, per tutto ciò a cui non è disposto a rinunciare;  non ora che sentiva così vicina la feclitià. 

 


 
Buonsalve, 
siamo già al capitolo sedici, mi fa strano, non ero mai riuscita ad arrivare così lontana e infatti sono piena di dubbi. 
Ad esempio non so se sia troppo presto per questione "ancora" o se abbiamo avuto troppo poco tempo insieme (le già citate tre settimane, più il periodo della Caccia Selvaggia che ho ipotizzato essere di qualche giorno abbondante) per poter già parlare di certi sentimenti, insomma tendo ad essere un paradosso, uno strano incricio tra frettolosa e lentissima e giunti quasi alla fine sono assalita da dubbi. 
Comunque spero che, almeno a voi, non sia sembrato orribile questo capitolo e che la storia possa continuare ad interessarvi comunque. 

Per chiunque fosse potenzialmente interessato ho scritto una One Shot che si collega a tutta questa storia qua, lo dico tanto per darvi notizie inutili; ma comunque, in caso, ve la linko : https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3724067&i=1

Ringrazio i silenziosi lettori, tutti coloro che hanno aggiunto tra preferite/ricordate/seguite e le magnifiche recensioni. 

Spero di non aver deluso troppo, grazie ancora, 
alla prossima 

 
   
 
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