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Autore: EffyLou    02/12/2017    1 recensioni
Johann Trollmann è un pugile, beniamino del popolo tedesco negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Indisciplinato, imprevedibile, borioso. Non sono i suoi difetti più grandi. Johann Rukeli Trollmann appartiene ad un popolo scomodo: è uno zingaro. Conquista le platee di Germania e fa innamorare le donne tedesche.
Nella sofferenza che porterà il Nazismo, il suo unico punto fermo e pilastro incrollabile è Frieda. Johann tocca l'apice e il fondo, assaggia il successo e la disperazione, conosce la serenità e la guerra. La derisione nazista si scontra con l'orgoglio di uno zingaro, che proprio non vuole saperne di abbassare la testa a quelle umiliazioni.
C'è solo un modo per far tacere quell'anima in rivolta: ridurlo ad un numero e darlo in pasto al Porajmos, l'Olocausto del popolo zingaro.
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I veri combattenti non temevano la loro ultima battaglia, e se c'era una cosa che Rukeli aveva sempre fatto, era dimostrare di non temere neppure il Diavolo. Neppure il Nazismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
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22. Niemand ist wie Gipsy


 

Johann apprezzava le rotondità che aveva assunto il corpo di Frieda e la sicurezza con cui le sfoggiava. La trovava sensuale, dolce.
Kaspar e Gilda erano andati a trovarli, avevano un lettino come regalo. L’amico pugile gli raccontò di Leyendecker, della palestra, degli allenamenti: «È invecchiato. – aveva sorriso. – Ci fa sputare sangue, più di prima. Gli manchi, ma le camice brune gli hanno intimato di non farti entrare in palestra»
Anche Hildi e Bruno avevano fatto visita al maneggio e avevano portato un passeggino.
Johann si era fatto mettere il turno fisso in panetteria, perciò lavorava dall’alba all’ora di pranzo.
Quando tornava a casa, trovava Frieda che armeggiava con pentole e stoviglie. Aveva davvero imparato a cucinare, in quell’anno e mezzo trascorso a Praga. Era diventata brava. Aveva imparato a cucire bene, tanto che per la figlia di Kaspar e Gilda, o per i nipoti di Johann, cuciva sempre qualcosa da regalare loro.
Dopo pranzo riposavano insieme. Poi pala alla mano, e si occupavano delle stalle dei cavalli.
Lui stava sempre un po’ in pensiero, non voleva far sforzare Frieda. Lei non sembrava accusare la fatica o il peso della pancia, era ancora sostenibile.
Quando Alfie l’aveva rivista, le aveva leccato la faccia e poi aveva avvicinato il muso al grembo della sua compagna d’avventure. Era montata in sella con l’aiuto di Johann, ed aveva fatto un giro per il campo innevato. Il bambino cullato dai movimenti ondeggianti del cavallo.
La sera dopo cena scendevano in città, si sedevano in un bar e Johann ordinava due limonate lisce. Parlavano a lungo passeggiando mano nella mano, discorsi importanti oppure solo dispetti e frecciatine.
Per strada, qualcuno riconosceva il pugile, lo guardava da lontano. Sguardi che Rukeli non aveva intenzione di incrociare ma che sentiva bruciare sulla pelle.
A casa, tra le lenzuola, si discuteva di cose importanti. Del futuro, di progetti, mentre sgranocchiavano biscotti. Quando il bambino si muoveva, Johann appoggiava l’orecchio sulla pelle tesa della pancia. Gli piaceva e si rilassava, lasciava scie di baci sulla porcellana, a volte parlava con le labbra premute sulla pelle sperando che lo sentisse, e Frieda rideva perché gli faceva il solletico.
Poi cominciò a scalciare, la pancia a pesare, le contrazioni a infastidirla. Frieda si ritrovò quasi impossibilitata ad occuparsi delle stalle. Ci pensava Johann, aiutato da Kaspar e Bruno quasi ogni giorno, mentre le ragazze erano dentro. Con l’aumentare della grandezza della pancia, Frieda non poté neanche più guidare: se prima poteva spacciarla per una pancia da bevitore o semplicemente grasso, ora si vedeva che non era niente di tutto ciò e i suoi travestimenti non avevano senso. Rukeli si fece insegnare da Kaspar, così quando divenne abbastanza bravo, cominciò a scendere in città più spesso per comprare cibo, vestitini da neonato, regali a Frieda, stoffe e libri. Certo, aveva la moto, ma con l’inverno o quando doveva fare spese, preferiva prendere la macchina.
La quotidianità che stavano vivendo era diversa ora, rispetto alla convivenza a Schluterstraße. Si consideravano una famiglia anche prima, ma stavolta c’era un figlio ad unirli. Non avevano più parlato di matrimonio.
Johann però, in segreto, stava mettendo da parte un quarto del suo stipendio da quando era arrivato a Berlino. Non aveva ancora racimolato molto, neanche i soldi per le fedi. Si ritrovò a vendere alcuni vecchi abiti ad un mercatino dell’usato. Non li indossava più, ma erano in ottimo stato ed erano di buona fattura. Durante i tempi d’oro del campione, quando vinceva borse molto alte, poteva permettersi certi lussi. Vendendo quegli abiti estirpava un altro pezzo del suo passato trionfale, ora doloroso.
 
Quel pomeriggio Frieda era a casa con Hildi e Gilda. Johann si era sentito di troppo così aveva preso la macchina ed era sceso in città. Guidò fino a Charlottenburg, alla vecchia palestra.
Bussò alla pesante porta principale di lamiera. Gunter, il vecchio segretario, si affacciò dai vetrini in alto per sbirciare. Da quando i nazisti erano al potere, bisognava stare attenti a tutto. Ma non riusciva a credere ai suoi occhi, urlò a Leyendecker. L’allenatore si fiondò fuori.
L’ultima volta che l’aveva visto, Johann era solo un ragazzo sgangherato e senza un briciolo di buonsenso. Ora invece era un uomo. Un uomo sgangherato e privo di buonsenso. D’altronde il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Lo strinse per le spalle. Lo trovò ancora ben solido, nonostante non si allenasse da quasi due anni.
L’aveva guardato con affetto, un padre che rivede suo figlio consapevole delle innumerevoli umiliazioni e sofferenze a cui aveva dovuto far fronte ma che, nonostante tutto, aveva ancora una dignità e un orgoglio saldi. Il solito sguardo di sfida, il solito atteggiamento borioso, il solito sorriso da latin lover.
«Dovresti andare ad Hollywood. Li cercano, quelli con la faccia da stronzetto come la tua» gli disse.
«Invierò il curriculum» replicò con sorrisetto strafottente.
Leyendecker si era invecchiato. Aveva più rughe, i capelli bianchi. Non era passato molto tempo, ma lo stress che aveva vissuto anche lui dopo la caduta del suo campione era stato un brutto colpo.
Gli diede una pacca sulla schiena, e andarono alla caffetteria vicino alla palestra.
Si misero a chiacchierare davanti a tazzine di caffè fumante e sigarette accese.
«Beh, insomma, come te la passi, ragazzo?»
«Ci sono stati alti e bassi. Mi guardo indietro e vedo una montagna russa».
Gli raccontò brevemente del lavoro forzato, di Kreuzklappe, della signora Berger. Gli parlò dei venti giorni a Praga, della nuova convivenza con Frieda in campagna.
«Sono molto contento che sei riuscito a far pace con Frieda. Insomma, non riuscivo proprio a vederti senza di lei, dopo tutto quel tempo insieme!»
Johann sorrise, sbuffando un po’ di fumo dalle narici. «Sto per diventare padre, vecchio».
Leyendecker ammutolì. Fece un rapido conto dell’età del ragazzo. Ventisette anni, compiuti alla fine di dicembre. Erano a febbraio inoltrato. Sicuramente era in ritardo rispetto ad altri ragazzi della sua età, di solito mettevano su famiglia molto prima. Ma Johann era così, senza regole. Faceva le cose solo quando se lo sentiva, senza curarsi degli altri.
«Frieda partorirà a marzo. Forse aprile. – prese una boccata dalla sigaretta. – Non ho idea se sarò un buon padre, ma il pupo verrà amato incondizionatamente».
Persino quando fumava aveva quell’atteggiamento borioso. Leyendecker lo riscopriva ora. L’eterna fanciullezza dell’animo di Rukeli. Non era cambiato. Maturato, cresciuto, ma di fondo era sempre il solito.
«E ti sei sposato?»
Scosse la testa. «Non ancora»
«Quando?»
«Quando sarà tutto pronto» borbottò, spegnendo la sigaretta nel posacenere. Non aveva intenzione di dirgli che non aveva i soldi.
«Certo. Non perché sei uno squattrinato» lo incalzò, eloquente.
Johann roteò gli occhi. «E tu come te la passi? Chi vuoi portare al titolo?»
Leyendecker si adombrò. «Nessuno. Sono tutti atleti validi, in palestra. Ma nessuno di loro è abbastanza in gamba da meritare il titolo. Nessuno là dentro ha il tuo talento, Gipsy»
«Kaspar è un osso duro. Potresti concentrarti su di lui. Se lo alleni secondo il Faustkampf, creeresti un Eder dei pesi massimi» si rigirava la tazzina di caffè tra le dita.
«L’avrei fatto. Ci sono diverse cose che a Kaspar mancano per diventare un pugile abbastanza valido da ottenere il titolo»
«Non ti fossilizzare su quello che sono stato io, vecchio. – gli sorrise, dispettoso. – Lui ha il suo stile, potrebbe diventare campione».
Quello che sono stato.
Una morsa al cuore che riaprì le ferite di entrambi. Il passato glorioso di Gipsy Trollmann.
Quello che era stato, e che mai sarebbe potuto tornare ad essere.
«Non capisci. Tu potevi avere il suo stesso stile ma saresti riuscito ad arrivare al titolo, perché avevi altre cose che ti differenziano da lui. – si preparò all’elenco. – Tu sei furbo come una maledetta volpe, intelligente, capivi il pugile che avevi davanti, leggevi i loro corpi e le loro espressioni e ti muovevi di conseguenza. Hai sempre avuto un istinto incredibile e capacità d’osservazione senza eguali. Notavi tutto. Ogni dettaglio invisibile, ogni movimento impercettibile, capivi le situazioni e anticipavi. Dare pugni e non prenderli. Tu giocavi, ti divertivi, ma eri dannatamente bravo e vincevi. Non posso allenare un pugile per diventare campione se non ha le tue stesse capacità d’osservazione. Kaspar abbassa la testa e carica come un toro, non guarda. Per lui gli avversari sono tutti uguali, come i sacchi in palestra».
Johann sorrise mestamente. Le parole del vecchio allenatore gli strinsero il cuore come una morsa.
La boxe era la sua vita. La sua ambizione. A ventuno anni aveva abbandonato la sua famiglia e i vicoli della città che l’aveva visto crescere per raggiungere la grande città di Berlino, per inseguire il suo sogno che era la boxe, andando contro tutto e tutti. Per cinque intensi e faticosi anni, costellati di gloria, aveva vissuto il sogno, alla fine aveva toccato l’apice e il fondo.
Ma ora… Si era ridotto ad un fantoccio senza ideali a causa del Reich. In cuor suo lo sapeva, sapeva che nessuno boxava come lui. Nessuno dei suoi compagni guardava l’avversario con l’attenzione con cui li guardava Johann. Nessuno di loro aveva il magnifico gioco di gambe di Gipsy, né la sua velocità, né la sua teatralità. Né tantomeno il suo carisma e il suo ascendente sulle masse: l’unico uomo che nonostante fosse zingaro sia stato amato dalle folle come un divo, in un Paese in cui il popolo si proclamava “razza superiore” già dagli inizi del Novecento.
«E Zirzow?» chiese, alzando gli occhi su Leyendecker.
«Se n’è andato. Non mi ha detto dove. “Lontano da questo posto di merda” è l’ultima cosa che gli ho sentito dire. È successo subito dopo che te l’hanno tolto come manager. Non vuole più organizzare gli incontri di nessuno, vuole stare lontano dalla boxe. La batosta che ha preso con te è stata dura. Si era affezionato troppo».
Rovinando la vita a Rukeli, l’avevano rovinata anche ai pilastri della sua formazione professionale.
Zirzow e Leyendecker facevano la bella vita con le borse dell’ex campione. Si erano ridotti in stracci anche loro. Distruggendo il campione, avevano distrutto molti altri. E sarebbe stato così anche in futuro.
«È strano, è la prima volta che non sono con Zirzow. – aggiunse l’allenatore. – Ci conosciamo dai miei esordi. È stato il mio manager quando anch’io ero pugile. Era come un fratello» sorrise, malinconico.
«Oddio, vecchio, sei diventato un sentimentale»
«Ah, Gipsy, non hai idea. Più si invecchia e più è peggio, vedrai!»
«Mi spiace, io non invecchierò. Non così almeno» allungò le gambe intorpidite.
«Se non ti sbrighi ad andartene dalla Germania non invecchierai sul serio»
«Quella gente non sarà al potere per sempre, il loro governo cadrà prima o poi»
«Tu scherzi col fuoco, non impari mai. Quella gente fa sul serio» si era avvicinato col busto.
Johann non si scomponeva. «Io non ho paura»
«Lo so, lo so bene. – sospirò. ─ Ma ora non si tratta più solo di te, capito? Ora se non arrivano a te direttamente, potrebbero accanirsi sulla tua famiglia, Frieda e tuo figlio»
Questo lo fece vacillare. «Loro non possono essere toccati più di tanto, Frieda è mezza ariana e il pupo sarà solo un neonato. Solo gli zingari che abitano nelle carovane vengono presi. La mia famiglia non è nemmeno stata minacciata o che so io, sono anni che abitano ad Hannover, non sono nomadi».
Leyendecker lasciò cadere il discorso di fronte alla solita, ottusa testardaggine del ragazzo. No, non era cambiato affatto. Ma forse diventare padre avrebbe limato quella sfumatura del suo carattere.
«Salutami Frieda» si limitò a dire, schiacciando ciò che restava della sua sigaretta nel posacenere.
Il vecchio allenatore se ne andò, uscì dalla caffetteria, senza proferire più parola. Né un saluto, né la vacua promessa di rivedersi un giorno.
Un pezzo del suo passato che se ne andava. Di Johann Rukeli Trollmann era rimasta solo l’ombra di ciò che fu.
Non poteva farsi prendere dai ricordi ora. Facevano male, troppo, e la ferita nel cuore era ancora aperta. Era stata solo sedata. Ma ora lo attendeva un altro tipo di vita. La prospettiva della famiglia lo rendeva sereno, placava la sua anima nomade, irrequieta.










 
* * * *
 
Capitolo breve ma che volevo postare al più presto.
Johann tendeva a prendere sottogamba alcune situazioni, e questa in particolare forse perché si sentiva intoccabile: dopotutto era uno zingaro che per anni era stato perfettamente integrato nella società tedesca, ed era un campione. E cosa fatale: non credeva nella cattiveria umana, era molto ingenuo sotto questo punto di vista.

Oggi rincontriamo Leyendecker che elogia Gipsy un'ultima volta e lo esorta ad andarsene, a fargli capire la situazione. Ma ormai lo conosciamo quel capoccione, e sappiamo che non muoverà un muscolo. 

Fatemi sapere cosa ne pensate se vi va eeee nel frattempo grazie a tutti per aver speso un po' del vostro tempo a leggere queste (dis)avventure e aver conosciuto Johann! Io come sempre spero di riuscirvi a fare entrare, almeno un po', in empatia con lui - in particolare.
Alla prossima! ♥
   
 
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