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Autore: heliodor    08/12/2017    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il messaggio

I messaggeri partirono il giorno dopo. Cavalieri scortati da lame d'argento nelle loro scintillanti armature lasciarono la fortezza e cavalcarono in ogni direzione.
Joyce li osservò dall'alto di una torre, mentre pranzava con Jhazar.
"Quanto ci metteranno ad arrivare?" chiese tornando a sedersi. Non aveva toccato cibo e non aveva fame.
"Tra otto o dieci giorni saranno tutti qui, non temere."
"Ma è un'eternità" protestò Joyce. Oren non aveva tutto quel tempo e lei se ne stava lì a ingozzarsi.
Jhazar scrollò le spalle.
Un valletto portò un messaggio per lui da parte di Selena.
"Scusami" disse Jhazar alzandosi. "Ma devo andare."
Joyce attese che si fosse allontanato per alzarsi a sua volta.
Fin dalla sera prima aveva pensato a come andarsene dalla fortezza. Non era la prima volta che pianificava la sua fuga da un luogo e ormai era abituata a pensare in quei termini.
Tuttavia, le altre volte aveva, oltre a uno scopo, anche una meta da raggiungere. Londolin o la pura e semplice libertà erano una motivazione valida.
In quel caso, anche lasciando la fortezza non avrebbe saputo dove andare.
Non aveva idea di dove fosse suo padre e il suo esercito, né di dove si trovassero Bryce e Vyncent.
Jhazar non voleva condividere con lei quella informazione per non metterla in pericolo. Joyce pensava che non si fidasse di lei. Ancora non era convinto di chi fosse.
Era rinchiusa in una prigione senza sbarre. Poteva uscire ed entrare quando voleva ma senza un luogo in cui andare era inutile evadere.
Doveva scoprire dove si trovava l'esercito dell'alleanza.
Era l'unico modo per dare un senso a tutto quello.
L'unica persona cui poteva chiedere qualcosa era Zefyr.
Il ragazzo era rimasto alla fortezza, consegnato dal padre per qualche motivo che Joyce ignorava.
In quel momento non aveva importanza.
Chiese a un valletto dove si trovasse. Il servitore lo ignorava, ma corse via per informarsi.
Quando tornò le disse: "Il capitano Zefyr è nei suoi alloggi."
Joyce si fece spiegare la strada e si recò nell'ala della fortezza dove alloggiavano gli ufficiali delle truppe.
Erano stanze piccole e scomode, più simili a celle che alloggi.
Joyce passò davanti alle camerate piantonate dai soldati, ognuno dei quali, se non era intento a lucidare l'armatura o riposarsi, si addestrava nel cortile.
Trovò Zefyr intento a scrivere qualcosa su di una pergamena.
"Ti disturbo?" chiese Joyce.
Lui sembrò sorpreso di vederla lì. "Come mi hai trovato?"
"Ho chiesto in giro" rispose Joyce senza fornire altri particolari.
Zefyr annuì. "In fondo non è un segreto. Passato una buona nottata?"
"Sì, ma ho dormito poco."
"Anche io. Venire quasi decapitati da un dardo magico ti toglie il sonno."
"Sì, ma non è di questo che volevo parlarti."
"Sentiamo" fece lui interessato.
"Che cosa sai dell'alleanza?"
"Come mai ti interessa tanto?"
"Zio Jhazar ne parla continuamente, ma non scende mai nei particolari. Io mi annoio a morte e vorrei saperne di più."
"Vuoi fare impressione su di lui?"
"Non voglio che mi consideri una ragazzina senza cervello" disse Joyce imbronciando le labbra.
"Non lo sembri affatto" disse Zefyr alzandosi. "Vieni, facciamo due passi."
La scortò fuori dalle camerate, nell'ampio cortile della fortezza. Era spoglio e brullo come una distesa di terra battuta bruciata dal sole, ma era un posto tranquillo e silenzioso.
In breve si allontanarono dalla fortezza.
"Qui andrà bene. Siamo abbastanza lontani" disse Zefyr.
Joyce si guardò attorno. Erano al centro del cortile. "Come mai così lontano?"
"Quando si parla dell'alleanza è meglio che nessun altro ascolti quello che dici."
"È pericoloso parlarne?"
"Gajza ha parecchie spie, anche tra le lame d'argento. Non vorrei che uno dei miei andasse a dirle qualcosa di sbagliato."
"Non ti fidi di loro?"
"Mio padre mi ha insegnato a non fidarmi di nessuno."
"Neanche di me?" chiese Joyce con fare civettuolo.
"Tu non sembri pericolosa" disse Zefyr arrossendo.
Neanche immagini quanto lo sono, pensò Joyce. "Non sono così innocua" protestò. "Allora, che puoi dirmi di così segreto sull'alleanza?"
Zefyr prese a camminare per il cortile e lei lo seguì. "Che cosa vuoi sapere di preciso?"
Joyce rifletté prima di parlare. "Non lo so. Che cosa fanno. Quanti sono. Dove sono. Perché combattono contro Malag." Cercò di mescolare informazioni inutili a quelle che le interessavano davvero.
"Quello che posso dirti è che non sono a Malinor."
"E dove?"
"Da qualche parte nella regione a ovest dei grandi laghi."
Joyce ignorava la geografia del vecchio continente, ma Zefyr dava per scontato che lei sapesse di cosa stava parlando. Si limitò ad annuire. "Perché sono lì?"
"Nessuno lo sa. I piani di re Andew sono segreti e noi non siamo suoi alleati. Non ancora, almeno."
"Giusto. E se dovesse scoppiare la guerra, tu dovrai partire?" Non sapeva perché le era venuta in mente quella domanda, ma in quel momento le sembrò carino farla.
"Io farò la mia parte, come tutte le lame d'argento."
"Parlami di te" disse Joyce.
"Non c'è molto da dire, in verità" disse lui stringendosi nelle spalle. "Che cosa vuoi sapere di preciso?"
"Dove sei nato, dove sei cresciuto."
"Sono nato in un piccolo villaggio sul fiume, più o meno a metà strada tra Bergar e Azgamoor."
Quei nomi non le dicevano niente, ma per qualche motivo desiderava saperne di più.
"Non li hai mai sentiti nominare, vero?"
"No" ammise Joyce.
"Lo sapevo."
"E sei cresciuta ad Azm... come si chiama?"
"No, certo che no. Azgamoor è una città sacra. È proibito andarci."
"Perché?"
"Solo quelli del Culto dell'Unico sono ammessi."
"Allora sei cresciuto a Bergar?"
"Nemmeno. In verità non lo ricordo con precisione. Ci spostavamo parecchio seguendo la compagnia."
"Quindi hai viaggiato molto."
"Più o meno."
Un valletto si avvicinò di corsa, li raggiunse e si fermò, in attesa del permesso di parlare.
"Che succede?" chiese Zefyr.
"Tamisa Jasmyna è attesa da sua eminenza Selena."
Joyce scambiò una rapida occhiata con Zefyr.
"Sarà per via di quello che è successo ieri" disse Zefyr. "Meglio non farla attendere."
Rientrarono nella fortezza e si separarono solo davanti alla porta dello studio di Selena.
"Tamisa, aspetta qui" disse il valletto entrando.
Joyce attese con le mani incrociate dietro la schiena. Per ingannare il tempo si mise a osservare un arazzo, senza rendersi conto che qualcuno la stava osservando.
Quando se ne accorse, incrociò lo sguardo di una vecchia dall'aria severa. Sedeva su una sedia di legno, sotto una finestra dalla quale si intravedeva una fetta del cielo azzurro sopra la fortezza.
La vecchia le fece un cenno con la mano. "Vieni" disse con voce sottile. "Avvicinati."
Joyce non sapeva come comportarsi con l'anziana. Nessuno l'aveva presentata e non aveva idea di come si chiamasse e come dovesse rivolgersi a lei. Aveva paura di commettere un errore e rovinare i negoziati di Jhazar.
Doveva essere prudente.
"Tamisa" disse la vecchia. "Fatti vedere bene. I miei occhi sono vecchi."
Joyce si avvicinò. "Salve" disse senza sapere cos'altro aggiungere.
"Io sono Lucine" disse la vecchia.
"Piacere di conoscervi..." qual'era il termine per "signora" nella lingua locale? "Stovoi Lucine."
"Stovoi" disse la vecchia sorridendo. "Il termine adatto a me è bama Lucine, se proprio vuoi saperlo. A Nazedir usiamo sei termini diversi per indicare la provenienza, dalla più nobile alla più misera."
"Capisco."
"Oh, no. Non capisci affatto. Ma capirai. Dimmi, ti trovi bene nella fortezza? Ti sei messa a tuo agio?"
"Sì, bama" rispose con cortesia.
"Magnifico. Immagino tu abbia già conosciuto la mia adorabile nipote, tamisa Eryen."
"Sì, bama" ripeté. Era il caso di dirle cos'era successo la sera prima? Decise di mantenere il riserbo. Era pur sempre un'anziana.
"Ieri sera ti ho osservata a lungo" disse Lucine.
Joyce se n'era accorta. Le capitava sempre quando qualcuno la osservava.
"Non sapevo che Jhazar avesse una nipote così adorabile. E in età da marito."
"Grazie" disse Joyce.
"Se avessi un nipote dell'età giusta, lo avrei convinto a rivedere il vostro accordo matrimoniale. Dicono che andrai in sposa al giovane Agrin Besfort di Karnarjon."
"È così." Joyce aveva impiegato qualche ora per imparare a memoria tutta la storia. Doveva essere convincente con chiunque le chiedesse spiegazioni.
Lucine annuì. "È un vero peccato, piccola mia."
"Perché, bama Lucine?"
"Non ti hanno avvertita, tamisa Jasmyna? Non esiste nessun Besfort a Karnarjon."
"Io vi assicuro che..."
"Sono troppo vecchia per questi giochi" disse Lucine cambiando tono. "Ma non troppo da comprendere che possono essere pericolosi, soprattutto per una ragazzina come te."
Joyce all'improvviso sentiva il desiderio di andarsene via da lì. Quella discussione stava prendendo una piega che non le piaceva affatto.
"Jhazar ci crede stupidi fino a questo punto?"
"Lui non..."
"Sta tranquilla, non intendo rovinare il vostro piano, anche se è destinato a fallire."
"Non c'è nessun piano" protestò Joyce.
"Forse Jhazar non te ne ha parlato, ma lui ha di sicuro qualcosa in mente. Quando meno te lo aspetti, lo metterà in atto. E per te non sarà affatto salutare."
La stava minacciando?
"Bama Lucine, io non ne so assolutamente niente." Joyce non sapeva se fidarsi o no delle sue parole. In fondo la vecchia Lucine la stava avvertendo di un pericolo e non sembrava intenzionata a denunciarla.
"Anche Gajza lo sa. Non è stupida. Selena invece vuole credere a Jhazar. Lei vorrebbe fare la guerra contro Malag, ma ha paura."
"Di cosa?"
"Di chi, vorrai dire."
La porta dello studio si aprì e il valletto si affacciò. "Tamisa Jasmyna?"
Joyce fece un rapido cenno di saluto a Lucine e raggiunse l'entrata dello studio.
All'interno c'era una stanza inondata di luce proveniente da una grande finestra. Appena sotto di essa vi era una scrivania di legno massiccio. A destra, lungo la parete, una libreria con parecchi volumi dall'aspetto antico.
A sinistra, gli immancabili arazzi con sopra ricamate scene di caccia e di battaglia.
Stovoi Selena attendeva in un angolo, l'espressione serena. "Scusami se ti ho fatta attendere, ma stava finendo di scrivere una lettera."
Joyce fece un leggero inchino. "Volevi vedermi?"
"Lasciamo perdere le formalità. Ieri sera Eryen ha avuto una delle sue solite... crisi, diciamo così. Ormai le capitano sempre più spesso."
Ha cercato di decapitarmi, pensò Joyce. Io non la chiamerei crisi.
"Ovviamente sono mortificata e non so come scusarmi, perciò non lo farò. Mia nipote è abbastanza grande ormai e deve prendersi le sue responsabilità. Se ci sarà la guerra, andrà a combattere con gli altri membri del circolo."
Contro chi? Si chiese Joyce. Tuttavia, anche saperla combattere al fianco di Bryce e Vyncent non la faceva sentire tranquilla. Eryen sembrava un tipo imprevedibile.
"Gajza ha fatto tutto quello che poteva per... ma  è stato tutto inutile. Il sangue è più forte, in certi casi."
Joyce non aveva idea di cosa stesse dicendo, ma si limitò ad annuire in maniera educata.
Selena sospirò. "Che impegni hai per domani mattina?"
"Nessuno, Stovoi."
"Molto bene. Perché verrai in città con noi. Non si tratta di una gita di piacere. C'è un processo e io devo presenziare in quanto giudice. Eryen mi accompagnerà, ma non devi preoccuparti. La terremo a bada e ha imparato la lezione."
Joyce non era affatto contenta, ma annuì di nuovo. "Sarà un piacere, Stovoi."
"Sei proprio una ragazza educata" disse Selena senza mostrare alcun entusiasmo. "Volevo dirti solo questo. Torna alle tue occupazioni."
Joyce si congedò con un leggero inchino e uscì dallo studio.
Fuori, bama Lucine era sparita.
Joyce tornò con passo lento verso la sua stanza. Non riusciva a capire il motivo per cui Selena la volesse a quel processo. Lei non sapeva niente di leggi, specie di Nazedir.
Non sapeva nemmeno di cosa avrebbero discusso.
Mentre tornava alla sua stanza passò davanti a quella di Jhazar. Un valletto sostava davanti alla porta mentre nella mano stringeva qualcosa.
"Tamisa" disse il ragazzo riconoscendola.
Joyce si avvicinò.
"Sai dirmi dove posso trovare daquiri Jhazar?"
"Non lo so" disse Joyce. "È uscito presto stamattina e non è ancora tornato. Hai provato a bussare?"
"Sono venti minuti che aspetto che mi apra."
"La porta è chiusa a chiave?" Joyce provò ad aprirla senza riuscirci.
Il valletto sembrava nervoso.
"Quel messaggio è per mio zio?"
Il valletto annuì.
"Puoi darlo a me. Glielo consegnerò non appena lo vedrò."
Il valletto esitò. "Mi è stato detto di consegnarlo solo nelle mani di daquiri Jhazar."
Un messaggio, pensò Joyce. Forse veniva da suo padre o da qualcuno che gli era vicino? All'improvviso decise che doveva scoprirlo. Jhazar sapeva molte cose e molte gliele nascondeva. Lui diceva che era per il suo bene ma le parole di Lucine... che la stesse davvero sfruttando per i suoi fini?
In fondo aveva solo la sua parola. Da quello che lei ricordava, lui si era sempre opposto all'alleanza. Perché aveva cambiato idea così all'improvviso?
E se non avesse affatto cambiato idea e stesse cercando di sabotare l'accordo con Nazedir?
Quel pensiero la terrorizzò per le conseguenze che tutto quello poteva avere sul destino delle persone a lei care.
"Io sono sua nipote" disse Joyce con tono sprezzante. "Puoi dare a me il messaggio."
"Ma tamisa..."
"Pensi che potrei tradire la mia lealtà verso Jhazar? Mi credi capace di tradire il mio stesso sangue? Attento a quello che dici."
"No, tamisa, no..."
"Allora?"
Joyce allungò la mano impaziente.
Il valletto osservò la pergamena stretta nel palmo e poi la mano di Joyce. Le diede il messaggio.
"Vi prego tamisa, fate in modo che giunga nelle mani di daquiri Jhazar."
"Non temere" disse Joyce sicura.
Il valletto girò sui tacchi e si allontanò senza voltarsi.
Joyce soppesò la pergamena nella mano e tornò alla sua stanza, quindi chiuse la porta a chiave e gettò il messaggio sul tavolo.
Lo esaminò con cura. La pergamena era simile a quell usata a Valonde, la conosceva bene. Era chiusa da un sigillo di ceralacca rosa sul quale era stato impresso il simbolo di uno strano uccello.
Aveva già visto quel segno, una volta, nello studio di suo padre.
Era in calce a un messaggio che aveva ricevuto dal circolo supremo per un incontro segreto.
Anche Jhazar ne faceva parte? O era entrato in possesso di quel messaggio per caso?
Il sigillo era intatto, quindi nessuno l'aveva letto. Joyce mise la pergamena controluce sperando di riuscire a leggere qualche parola, ma la carta era troppo spessa per vedervi attraverso.
Frustrata, ripose il messaggio sul tavolo e si stese sul letto. Doveva riflettere e prendere una decisione.
Poteva rompere il sigillo e leggere quello che c'era scritto. Qualunque cosa fosse, era sicura che riguardasse suo padre.
Solo che non poteva usare quella scusa con Jhazar. Quello non era il simbolo che usava re Andew, ma quello più misterioso del circolo supremo.
Si supponeva che lei non ne sapesse niente e così doveva restare.
Il valletto l'aveva vista e riconosciuta. Se avesse fattto sparire il messaggio e poi lui fosse andato per qualche motivo a riferirlo a Jhazar... non poteva correre quel rischio.
Doveva consegnare la pergamena col sigillo intatto, eppure doveva anche riuscire a leggerlo.
L'unica possibilità era farlo dopo che l'avesse aperto e letto Jhazar stesso.
Solo così avrebbe allontanato da sé ogni sospetto.
Ma come poteva fare?
Era sicura che dopo aver dato il messaggio a Jhazar, lui lo avrebbe letto e poi fato sparire in qualche modo. Forse non subito, forse non il giorno stesso, ma era sicura che non l'avrebbe rivisto mai più.
Doveva agire nel poco tempo che sarebbe passato dal momento che lui avrebbe aperto e letto il messaggio a quello in cui lo avrebbe fatto sparire.
Doveva agire quella notte stessa, se necessario. Anche se il rischio di essere scoperta era alto, sapeva di doverlo correre. Per suo padre e per le persone che amava.

Nota: complice la febbre a 38 con vomito e raffreddore, ho saltato un capitolo. Poco male, lo recuperiamo domani.

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