Videogiochi > Danganronpa
Segui la storia  |       
Autore: Chainblack    23/12/2017    2 recensioni
In fuga dalla disperazione dilagante della Hope's Peak Academy, sedici talentuosi studenti vengono rapiti e rinchiusi in una località sconosciuta, costretti a partecipare ad un nuova edizione del Gioco al Massacro senza conoscerne il motivo.
Ciò che sanno è che, per scappare da lì, dovranno uccidere un compagno senza farsi scoprire.
Guardandosi le spalle e facendo di tutto per sopravvivere, i sedici ragazzi tenteranno di scoprire la verità sul loro imprigionamento sapendo che non tutti potrebbero giungere illesi fino alla fine.
Ambientata nell'universo narrativo di Danganronpa, questa storia si svolge tra i primi due capitoli della saga.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L'atmosfera burrascosa del processo si acquietò di colpo, come in un lampo.
Il febbricitante e confuso borbottio di Kevin si era lentamente deperito fino a spegnersi, parola dopo parola, fiore dopo fiore.
I rimanenti compagni osservarono come una notevole perdita di colorito accompagnò passo passo la decadenza verbale, facendo di Kevin un ammasso sconvolto di emozioni instabili.
Xavier avrebbe voluto non assistere a quella scena una quarta volta: il momento fatidico si avvicinava inesorabile.
Un compagno aveva commesso un omicidio, e l'atto era stato smascherato. Ancora una volta, tutto ciò che rimaneva da fare era ascoltare ciò che aveva da dire mentre la porta della Sala delle Punizioni torreggiava incombente, ricordando loro di essere lì, che non se ne era mai andata.
Il tempo che stavano trascorrendo non era altro che la calma prima della tempesta finale: un attimo di respiro prima del giudizio.
"Giudizio" era una parola ricorrente nella vita professionale di Judith Flourish, ma mai aveva assaporato un tale disgusto nei confronti di quel vocabolo.
Judith non riuscì a fare a meno di provare pietà per l'Ultimate Botanist, crollato sulle proprie ginocchia, ed al contempo un odio viscerale nei confronti di quel processo senza né giustizia né equità. Un posto che raffigurava un'ente legislativo solo in apparenza, ma che di legale aveva ben poco.
Judith ripensò ad ogni caduto di quell'assurdo gioco al massacro: Alvin, Hayley, Rickard e Kevin non erano che altre vittime di quel sistema infame, considerò lei.
Michael osservò la scena in silenzio, come ogni volta. Gli risultò difficile provare empatia per il carnefice; ma avvertì qualcosa di diverso, quel giorno.
Qualcosa, dentro di lui, che gli impediva di concentrare tutto il proprio odio su Kevin Claythorne.
Qualcosa che, senza nemmeno rendersene conto, gli aveva aperto un punto di vista diverso. Cosa fosse, però, Michael Schwarz lo ignorava.
Anche Karol Clouds, dall'altro lato, stava facendo i conti con una parte di sé particolarmente ambigua e contrastante.
Il greve rantolare di Hillary nel corso dei suoi ultimi momenti erano marchiati a fuoco nella sua mente; un'immagine perennemente impressa che non poteva andarsene.
Karol aveva impiegato ogni fibra del suo cervello per capire chi fosse il responsabile, ma nel trovarselo di fronte non seppe come reagire.
Non seppe se odiarlo o, dando nuovamente retta al proprio talento e alla propria natura, perdonarlo.
Sapeva che Hillary era morta in modo atroce, e l'artefice del suo delitto giaceva a pochi metri da lui, inerte e devastato.
Un conflitto acceso avvenne, silenziosamente, nel cuore dell'Ultimate Teacher.
June Harrier, dal canto suo, sentì le mani contrarsi, ma allo stesso tempo perdendo ogni energia.
Ricordò il malsano piacere provato nel colpire la morbida gota di Michael con tutto il potere del proprio disprezzo: una sensazione piacevole e magnifica, guidata da un sentimento che June sapeva essere errato. In quel momento, le sue mani non si mossero.
Non vi era niente di buono che June riuscisse a provare nel colpire Kevin, nulla di così doloroso come ciò che tutti i presenti stavano sentendo.
Non vi era piacere, pensò June, nel colpire un amico; nonostante questi fosse un assassino.
A quel punto, Pearl e Pierce si fecero avanti; furono gli unici ad avere il coraggio di muovere dei passi verso il guscio vuoto lasciato da Claythorne.
Pearl si chinò in ginocchio, prendendolo per un braccio; Pierce lo aiutò ad alzarsi.
- Kevin, dai... mettiti in piedi - gli disse Pearl - Affrontaci con dignità... -
Un concetto forzato espresso con parole crude, ma sortì il suo effetto.
Gli occhi di Kevin guizzarono verso di loro, ancora spenti e opachi.
- Dignità...? Dovrei... morire con dignità...? - chiese con un filo di voce.
Non vi era risposta che potesse soddisfare quel quesito.
- Nessuno, qui vuole morire. Nemmeno Hillary voleva, eppure... - 
- Già, Hillary... - deglutì Kevin.
Pierce soffocò un pianto liberatorio, tentando in tutti i modi di mostrarsi forte.
- Perché, Kevin...? - sospirò lui - Perché la hai uccisa...!? -
Calò nuovamente un pesante silenzio: Pierce si era fatto carico della domanda più scomoda.
- Perché!? Dimmi perché! - insistette.
- Perché la ho uccisa...? - Kevin strinse i pugni - No... vi sbagliate... non doveva andare a finire così... non doveva...! -
- Volevi uccidere Vivian... - disse Xavier, scuotendo il capo - Hillary è stata una vittima collaterale, ma il tuo piano era di eliminare Vivian. Ma perché, Kevin...? -
- PERCHE'...!? - l'improvviso urlo lasciò tutti sgomenti - Perché, perché!? Perché io ero il PROSSIMO, ECCO PERCHE'! -
Judith intervenne, seppure spaventata.
- Ma di cosa parli...? -
- Ma non capite...!? NON CAPITE!? Tutto sta andando secondo i piani di Monokuma, il gioco al massacro ci ucciderà TUTTI! TUTTI! Perché parlare di fiducia quando CHIUNQUE può essere un assassino!? -
- Ti è dato di volta il cervello... - disse Michael, sprezzante - Sei diventato un burattino del tuo stesso terrore -
- Un terrore FONDATO! - strepitò lui - E' sempre così, OVUNQUE io vada! Sono sempre il più debole, sempre il più gracile! Ma nessuno può aiutarmi, perché qui siamo TUTTI NEMICI! Quanto tempo... eh? Quanto tempo sarebbe passato prima che uno di voi avrebbe tentato di uccidermi!? QUANTO!? E non venitemi a dire cose... cose come... "e' impossibile", oppure "non accadrà più"...! Accadrà di NUOVO! Vi sareste mai aspettati che Alvin, Hayley e Rickard potessero uccidere qualcuno!? NO! PERCHE' CHIUNQUE PUO' UCCIDERE! Ed era solo... solo questione di tempo prima che io diventassi... la nuova... vittima... -
- Hai ucciso una persona... perché avevi paura di morire...? - contemplò Karol.
- Lo trovi così assurdo, Prof? - sbottò Michael - A pensarci adesso, si direbbe che Kevin sia il più umano di tutti noi. Non aveva davvero un motivo alto, nobile o chissà  cosa. Solo paura: paura allo stato puro -
- Da come ne parli sembra quasi tu lo stia giustificando, Mike... - lo imbeccò Xavier.
Michael si voltò di spalle.
- Forse... un po' riesco a capirlo... - rispose l'Ultimate Chemist, prima di tacere definitivamente.
Kevin, scoppiato nuovamente a piangere, tirò su col naso.
- Paura... paura... eh? Ho vissuto tutta la vita ad avere paura della gente... - mormorò - Sapevo che, prima o poi, qualcuno mi avrebbe tradito... così, io... io...! -
- Kevin... - la voce di Pearl si fece strada attraverso le lacrime del ragazzo - Ricordi questo...? -
Con enorme sorpresa dell'Ultimate Botanist, Pearl Crowngale tirò fuori dalla tasca della giacca un piccolo stelo avvolto in carta umidiccia.
Sulla sommità vi erano degli accesi e colorati petali blu, di una tonalità vivace e profonda.
Un'espressione esterrefatta si dipinse sul volto di Kevin.
- Quella... -
- Un'Ortensia Blu. Una di quelle che mi hai regalato, ricordi...? - sussurrò Pearl - Me la desti in segno di gratitudine... ti prego, Kevin, dimmi che non era una menzogna.
Era tutto un trucco per fare in modo che mi fidassi di te? Era quello il tuo scopo? -
Il biondo non rispose; i suoi occhi, però, parlarono per lui.
Ma Pearl Crowngale aveva imparato già da molti anni a dubitare degli sguardi. Le motivazioni di Claythorne rimasero un mistero.
A propria volta, Judith Flourish pregò affinché le parole che l'Ultimate Botanist le aveva rivolto durante le indagini non fossero soltanto frutto di un desiderio di autoconservazione.
- Voglio credere che dentro di te ci sia ancora un briciolo di umanità, Kevin... - disse, appoggiando l'Ortensia tra le mani tremanti dell'assassino - Voglio credere che la morte di Hillary non sia stata inutile... per quanto la mia speranza sia probabilmente vana... -
- "Umanità"... - la voce di Michael riapparve - La poveretta è morta contorcendosi dal dolore...! Un omicidio che ha ben poco di umano, a mio dire...! -
- NO! - la voce di Kevin penetrò la discussione - No, ti sbagli... non doveva andare così... -
- Cosa intendi, Kevin...? - chiese June, speranzosa di trovare anche solo un minuscolo spiraglio di motivazione.
- Avevo mescolato alla cedrata un sonnifero speciale... - raccontò lui - Vivian si sarebbe addormentata... e sarebbe morta senza sentire alcun dolore... pacificamente, senza soffrire... -
Vi fu un momento di pesante silenzio e sconforto.
- Ma Hillary ha assorbito solo le tossine... - deglutì Pierce.
- E immagino che Rickard ne avesse bevuto troppo poco... - commentò Karol, scuotendo la testa.
- Ecco che cos'era quella boccetta in dispensa...! - June sussultò - Tu avevi... -
A quel punto, Kevin si alzò in piedi.
Avvertì gli sguardi di tutti i compagni su di lui, pesanti e colmi di giudizio.
- Io... avevo paura di tutti voi... la ho ancora, sarò onesto - gemette - Ma... non volevo che soffrisse... non volevo provocare nessuna sofferenza... volevo solo... uscire da qui! -
- Anche a costo di ucciderci... - ne seguì Xavier, assistendo ad una confessione completamente fuori dal comune.
L'Ultimate Botanist alzò la testa; il suo volto paonazzo sembrava sul punto di esplodere.
- Sì... ho tentato di uccidervi... - fremette lui - Non potevo stare fermo ed attendere di essere assassinato da uno di voi... o dal traditore -
A quelle parole, l'intero gruppo sussultò.
- Il... traditore! - esclamò Judith - Kevin, hai scoperto qualcosa!? -
- No, certo che no... - rispose, tremando - Ma oramai siamo rimasti in pochi... come diavolo fate a restare calmi sapendo che una delle persone in questa stanza E' UNA SPIA!? Guardateci! Siamo appena OTTO! Potrebbe essere CHIUNQUE! Chiunque di noi potrebbe esserlo...! E se la sta ridendo, adesso che... adesso che sa che sto per MORIRE! -
Nessuno lo aveva dimenticato.
Non uno di loro aveva rimosso dalla mente che il tempo stava pericolosamente scorrendo, ed era poco.
Dalla Sala delle Punizioni si udì un cigolio sospetto e poco rassicurante, e lo schermo principale del tribunale si attivò.
Come previsto, il volto ridanciano di Monokuma fece nuovamente la sua comparsa, portando con sé un alone di sconforto e paura.
- Una performance davvero notevole, Ultimate Botanist! - si congratulò lui - Tu sì che hai compreso il vero spirito di questa scuola: non fidarti di nessuno, abbi paura di tutti! E non dimenticare che uno tra voi è una spia! Davvero splendido, Kevin! Una vera disperazione genuina! Peccato che ti sia andata male... -
- M-Monokuma... - Kevin tremò, sudando copiosamente - No... no, ti prego...! -
- Oh!? Cosa vai pregando!? Sapevi bene a cosa andavi incontro quando hai riempito quella bottiglia di veleno! - lo rimproverò l'orso.
- NO! Io non posso morire, NON VOGLIO! - urlò, cercando disperatamente un'uscita di emergenza inesistente - Devo tornare dal nonno...! Devo... devo dirgli che...! -
- Lo hai detto tu stesso, Kevin! - ribadì Monokuma - Chiunque può tradirti, chiunque può ucciderti! Anche TU, Kevin! Sei diventato ciò di cui avevi paura, e ora ne paghi le conseguenze! -
Gli occhi di Kevin incrociarono istintivamente quelli vicini di Pearl; la ninja riuscì ad intravedere la palese e silenziosa supplica di aiuto rivolta verso di lei.
Ma entrambi sapevano bene che non vi era nulla da fare; persino Judith si trattenne, rimanendo ferma. L'ultimatum di Monokuma era stato chiaro.
Bastò poco prima che gli arti meccanici di cui era munita la Sala delle Punizioni entrassero in azione, ghermendo la loro quarta vittima.
Kevin si ritrovò ad essere trascinato verso un inquietante buio di vuoto ed oblio, le urla soffocate da un braccio meccanizzato.
D'istinto, Judith Floruish avvertì le gambe muovere un passo in avanti: la sua tolleranza stava per raggiungere il limite.
I volti terrorizzati di Hayley e Rickard erano stati sufficienti: vedere Kevin allo stesso modo fu un peso troppo grave da reggere.
Fece per avanzare ancora, quando una stretta poderosa al polso la costrinse a fermarsi.
La mano di Xavier la tenne saldamente a sé.
- Judith, no... - sussurrò lui - Non morirai anche tu. Non così -
L'Ultimate Lawyer fu profondamente combattuta tra il divincolarsi, ignorandolo, e il seguire il buon senso.
La mano le tremò per un istante, ma alla fine si arrese.
- Non devi guardare per forza... - la rassicurò lui.
- No. Invece devo... - disse, trattenendo ogni lacrima.
Lo stridere delle unghie di Kevin sul pavimento continuò fino a che la porta della Sala non si richiuse davanti a lui.
Intravide, nell'ultimo spiraglio di luce rimasto, i volti dei compagni rimasti.
Pierce, divorato dal terrore, e June dal rimorso.
Pearl, vinta dalla pietà, così come Karol che tentava invano di accettarlo.
Michael, voltatosi di lato, con uno sguardo apparentemente triste.
Nessuno, però, mostrò odio. Solo un acuto, doloroso senso di impotenza.
- Ho preparato una punizione speciale per Kevin Claythorne, Ultimate Botanist! - l'eco della voce di Monokuma rimbombò nell'intera stanza.
Ma nessuno poté udire la nefasta frase; le urla del colpevole coprirono ogni altra fonte sonora con uno stridio straziante.
Poi, tutto cessò.
Kevin Claythorne sparì nell'oscurità, senza mai più fare ritorno.
Vi era un peculiare aroma floreale, nell'aria.




Una volta riaperti gli occhi, Kevin si rese conto che il paesaggio era drasticamente cambiato.
Ogni cosa, che fossero colori, profumi e sensazioni, era completamente differente da ciò che era abituato a vedere nella scuola.
Gli sembrò di non essere più nemmeno in quella gigantesca prigione.
Le sua mani tastarono il pavimento: era soffice e fresco. Si trattava di un prato.
Un largo e vasto prato dove crescevano i fiori più disparati e dalle cromature più variegate.
Gli parve quasi di essere in un sogno, una meravigliosa realtà onirica per sfuggire alla dura verità.
O almeno ad un primo sguardo: la vera natura di quel posto non tardò a rivelarsi.
Kevin si rese conto di essere legato saldamente a qualcosa; delle grosse e pesanti catene lo tenevano incollato ad una superficie ruvida e nodosa.
Sentì un prurito lungo la schiena, e guardò in alto.
Ciò a cui era vincolato era il fusto di un enorme albero.
Sopra di lui, in lontananza, scorse le finestre del tribunale dal quale i suoi compagni stavano osservando la scena con espressioni inorridite e terrorizzate.
In mezzo al prato, spuntava un cartello sospetto con sopra incisa una scritta in inchiostro rosso: "GARDEN OF INNOCENCE".
Kevin Claythorne rabbrividì: quel giardino così pacifico altro non era che l'ennesima forma assunta dalla Sala delle Punizioni.
Tentò inutilmente di divincolarsi dalla morsa d'acciaio fino a che un rumore rombante e terrificante non lo sorprese.
Avvertì il tronco vibrare intensamente, fino a vacillare.
Girò lo sguardo; impallidì.
Una gigantesca sega circolare stava tranciando il tronco, sezionandolo orizzontalmente.
La dentatura metallica si fece strada attraverso il legno come fosse burro, avanzando lenta ed inesorabile.
L'Ultimate Botanist forzò ogni muscolo e fibra del proprio corpo nel vano tentativo di liberarsi, per sfuggire alla morte che lo stava per raggiungere.
Graffiò furiosamente il legno, arrivò persino a mordere le catene; ad ogni mossa, la speranza andava attenuandosi.
Bastarono una manciata di secondi prima che avvertisse il metallo incandescente lacerargli le carni.
La sega iniziò a tranciarlo di netto, a partire dalla schiena; lancinanti urla di dolore vennero lanciate lungo tutto il prato, che tra i mille colori che presentava stava iniziando ad assumere un'inquietante tinta rossa.
Grida talmente forti che fecero tremare i vetri insonorizzati della Sala, facendo in modo che i sette sopravvissuti si pentissero ulteriormente di avere avuto il coraggio di guardare.
La tortura andò avanti fino a che la sega, improvvisamente, non cessò di muoversi.
Conficcata a metà nel corpo di Kevin, smise di girare e si arrestò.
Per un attimo fugace, Claythorne riuscì a smettere di gridare, sperando che un qualsiasi miracolo fosse intervenuto a porre fine a quello strazio.
Poi, tra uno sputo di sangue e copiose lacrime, osservò una sagoma scura protrarsi davanti al suo corpo martoriato.
Un'ombra: quella dell'albero.
Avanzò, allungandosi su tutto il prato.
In prima istanza, Kevin non capì. Troppo il dolore, troppa la confusione, così come la paura.
Realizzò solo quando fu troppo tardi: i suoi occhi erano spenti e frastornati. Ebbe il tempo di gridare un'ultima volta.
Avvertì il peso del legno schiacciargli le spalle, e in un paio di attimi si udì un tonfo.
L'albero era crollato in avanti, alzando un polverone di petali, erba e foglie.
Non si udì più niente, a parte lo scrosciare di un fiume rosso che andò a bagnare l'intero tronco collassato.
Un petalo di rosa ondeggiò dolcemente nell'aria, fino a posarsi con delicatezza su una chiazza di erba rossastra.
Non un filò di vento osò soffiare; il giardino rimase immobile, ed eternamente silenzioso.



L'ascensore cessò di muoversi con un arresto lento e silenzioso.
I sette sopravvissuti si ritrovarono a guardare i dormitori con volti stanchi e affaticati, oltre che privi di colore.
In un solo giorno avevano perso cinque persone; l'eclatante velocità con cui il loro numero era andato ad assottigliarsi aveva provocato un disagio crescente e pesante.
Pierce ripensò ancora una volta a ciò che Kevin aveva detto loro: era da tempo che la sua mente aveva estraniato il pensiero del traditore e la sua costante minaccia.
Occupati a risolvere il susseguirsi degli omicidi, gli studenti si erano trovati a dimenticare il dettaglio più importante.
L'Ultimate Sewer si guardò attorno; vi erano sei persone esattamente come lui: ognuno temeva di essere il prossimo ad abbandonare la partita.
- Cosa... cosa facciamo...? - sussurrò debolmente Pierce.
- Che cosa intendi? Abbiamo altra scelta? - sospirò Michael - Torneremo alle nostre attività, aspettando che un altro di noi venga ucciso. Non sono forse queste le regole del gioco? -
- Non è un gioco - 
Il chimico si girò verso Pearl; la sua voce era sprezzante e tagliente.
I suoi occhi gelidi erano tornati a fissarlo, irremovibili.
- Come, prego? -
- Non definirlo "gioco". La morte non è un gioco - disse - E' un massacro unilaterale, niente di più -
- Eppure... chiunque lo abbia organizzato di certo la pensa diversamente... - osservò June - Ci rinchiudono qui, ad ammazzarci tra noi in una sfida perversa. Per chiunque ci sia dietro... è solo un gioco, no...? Le nostre vite, coloro che sono morti... tutto è parte di un gioco? -
- E' il motivo per cui non intendo perdonare coloro che hanno reso possibile tutto questo - spiegò la ninja - Trattano le uccisioni come un diletto. Vedremo se saranno della stessa opinione quando la morte busserà alla loro porta -
A quelle parole, la mano di Pearl si contrasse in maniera visibilmente sospetta.
Judith deglutì a fatica.
- Hai... intenzione di uccidere il direttore di questa pazzia...? - chiese lei, spaventata.
- Mi sembra il minimo - rispose l'altra, senza esitare - Chi non ha rispetto per la morte non merita di vivere in prima istanza. Occhio per occhio -
- Immagino tu abbia ragione, Pearl - intervenne Xavier - Ma non prima di avergli estorto tutta la verità sul perché di questa follia. Dobbiamo comprendere il significato della nostra presenza qui, o coloro che sono morti non troveranno mai pace -
Judith, June e Pierce si trovarono d'accordo. Mostrarono palesemente che la mera sopravvivenza non sarebbe mai bastata loro. 
Andare fino in fondo alla questione divenne un'impellente prerogativa.
Alla fine, anche Pearl decise che avrebbe seguito quella linea di pensiero, ma la sua aura omicida non cessò di gettare paura ed apprensione sul resto del gruppo.
Ad un tratto, una voce discordante si unì al gruppo.
- E' tutto inutile - 
A parlare, come tutti ebbero intuito, era stato Michael.
- Immaginavo avresti fatto bastian contrario anche stavolta - puntualizzò Xavier - Ma perché? -
- Tutti voi state partendo dal presupposto che, ad un certo punto, incontreremo il Mastermind e lo faremo parlare. Ingenui; come sperate di trovarlo? - fece notare lui - Siamo rinchiusi in questa trappola senza uscita, con persone pronte ad ucciderci per scappare. Come pensate che il poter trovare il capo sia fattibile? -
- Oh, credimi. Prima o poi il momento arriverà - lo rassicurò Pearl - Il Mastermind è un essere umano, e in quanto tale potrebbe arrivare a commettere un errore, o un'imprudenza. E, in quel momento, arriverò a torcergli il collo -
- Bah, buona fortuna... ma non contate su di me... - disse il chimico, andandosene - Abbiamo perso fin troppe persone. Girate lo sguardo per cercare il Mastermind, anche solo per un attimo, e potreste ritrovarvi ad essere le prossime vittime -
Detto ciò, l'Ultimate Chemist sparì dietro la porta della propria stanza, lasciando dietro di sé un gruppo tormentato da ancora più dubbi.
- Che tipo... - commentò Pierce.
- Forse è davvero impossibile tentare di convincere Michael a collaborare... - disse Judith, avvilita.
- E' una persona che giudica in base ai risultati, non alle parole - asserì Xavier - Michael è un tipo pragmatico. Se riusciamo a dimostrargli che una via di fuga esiste, potrebbe considerare di unirsi a noi -
L'idea fu considerata bislacca, ma non da scartare. Le abilità di Michael si erano rivelate utili nel corso dei processi, ma il diretto interessato si era trovato ad usarle perché costretto, non per genuina benevolenza.
Si chiesero se fosse mai esistito un Michael Schwarz caritatevole e disponibile nei confronti di qualcuno; ma, dopotutto, le circostanze lo avrebbero difficilmente permesso.
- Ma... come facciamo col traditore? -
La domanda di Pierce era giunta al momento meno opportuno.
Gli altri mostrarono espressioni perplesse e dubbiose.
- Non... non lo so. Non ancora - sospirò Xavier - Ma se davvero uno di noi è un doppiogiochista... allora potrebbe avere informazioni cruciali su come uscire da qui, no? -
- N-non starai dicendo che... - Judith trasalì - Dovremmo concentrarci sul trovare la talpa...? -
- Io... credo che Kevin avesse ragione - rispose il detective - Il traditore ci osserva, e sta conducendo la sfida dove vuole lui -
- Kevin... - gemette Pierce.
La Sala delle Punizioni tornò a far riaffiorare ricordi spiacevoli nella sua mente: li scacciò via, forzandosi a dimenticare.
- Se lo trovassimo... allora forse avremmo una possibilità. Non trovate? -
Nessuno riuscì a rispondere immediatamente a quella proposta, principalmente perché voleva significare un dettaglio cruciale.
Sapevano che tra loro si nascondeva una spia, ma cercarla voleva dire dubitare nuovamente di tutto e tutti; ben poca differenza dalle indagini per i processi di classe.
Xavier notò la loro incertezza: era normale, considerando la situazione.
Ma, in mezzo al mare di confusione ed indecisione, una voce si fece strada e si assestò.
- Sono d'accordo -
Tutti si voltarono: a parlare era stato Karol, in silenzio fino a quel momento.
- Prof...? -
- Dobbiamo trovare il traditore. E' l'unico modo - annuì l'insegnante - Michael ha ragione: il Mastermind non uscirà MAI allo scoperto. Dobbiamo costringerlo a venire fuori, e l'unico modo è smascherare il traditore -
- Karol, aspetta...! - lo implorò Pierce - Ricordi le regole, no...? Per concludere la sfida, dobbiamo... -
- Le ricordo perfettamente. Per far cessare questa follia dobbiamo... uccidere la talpa. O costringerla a confessare, rimembri? Non dobbiamo ucciderla per forza, ma... potrebbe divenire un fattore... necessario -
Judith avvertì un brivido corrergli lungo la schiena.
- Karol... mi stai facendo paura... -
L'insegnante si irrigidì a quelle parole. Abbassò lo sguardo, come a mostrarsi sconfitto.
- Mi... rincresce di provocarti questa sensazione. Ma ho deciso - affermò - Ho fatto troppe promesse che sono stato incapace di rispettare. Hillary è... è morta con la convinzione che la avrei protetta. Kevin è morto anche se ho fatto di tutto per mantenerci uniti. E' chiaro che, in questo mondo assurdo e distorto che ci circonda, le parole di un insegnante non valgono nulla: ciò che contano sono i fatti. E io troverò la spia. La troverò, e ci porterò tutti fuori di qui. Io... DEVO trovarla! -
Finita la frase, l'Ultimate Teacher sparì lungo i corridoi del primo piano.
Incapaci di comprendere ciò che Karol Clouds avesse in mente di fare, il resto della combriccola decise di sciogliersi.
Un altro processo era terminato, e le loro energie erano state drenate così come i loro animi si erano indeboliti.
Era necessario del riposo.
Judith osservò June, Pierce e Pearl sparire nelle loro stanze, lasciandola da sola coi propri pensieri.
Lo sguardo terrorizzato di Kevin fece nuovamente breccia nella sua mente; si chiese se una paura tale potesse realmente spingere qualcuno all'omicidio anche in situazioni più convenzionali.
Per quanto l'assassinio potesse esserlo, considerò lei.
Ad un certo punto, avvertì un tocco familiare sulla sua spalla.
Si voltò di scatto; Xavier non aveva ancora lasciato l'area.
Il suo unico occhio la scrutò attentamente.
- Stai bene? - chiese lui.
Lei tentennò per un istante.
- Io... sì. Ma vedere tutte queste morti è debilitante... -
- E' vero, ma al contempo le stiamo prevenendo - disse - Kevin... quel poveretto era divorato dal terrore. Ma se non lo avessimo scoperto... -
- Saremmo morti tutti noi, sì... - Judith mostrò un sorriso storto ed ironico - Non esiste una risposta giusta, eh? -
- A che cosa? -
- Voglio dire: a prescindere dal risultato, qualcuno muore. Come potremmo dire che un esito è migliore di un altro se qualcuno ci rimette la vita? -
Rimasero in silenzio a pensare.
- No, non c'è una soluzione migliore -
- E' quello che temevo - sospirò lei - Stiamo andando avanti con la confidenza di stare optando per il male minore... ma sarà davvero così? -
- Voglio credere che lo sia, Judith - annuì lui, poco convinto - Altrimenti non sarei in grado di proseguire -
Stettero a rimuginare su quel concetto per diverso tempo.
Era una domanda che entrambi si erano posti da ben prima di quel momento; una domanda che probabilmente non avrebbe mai trovato un responso che potesse soddisfare qualcuno.
- ...Judith? -
La voce di Xavier era stranamente flebile.
- ...sì? -
- Ce l'hai ancora con me? -
L'Ultimate Lawyer mostrò un volto affranto ed imbarazzato.
- No... - sussurrò - Mi dispiace, Xavier. Non... avrei dovuto comportarmi così -
- Ho la mia parte di colpa nella faccenda - puntualizzò lui.
- No, tu hai fatto ciò che dovevi - Flourish perseverò con le proprie argomentazioni - Ero così accecata dal voler proteggere Hayley che... che non sono riuscita a vedere il quadro completo... -
- Ti penti di averla protetta? Io credo che lei fosse grata di avere avuto un'amica tanto fedele -
- Ma così facendo ho messo tutti in pericolo... e quando tu mi hai aperto gli occhi sbattendomi in faccia la verità io... io ti ho detestato...! - ci volle un grande sforzo per quella dolente ammissione di colpevolezza - Ho detestato il fatto che tu fossi riuscito ad essere più forte di me. Hai trovato la verità che io stessa ho cercato di celare perché... ho dato più importanza all'affetto... -
- Mettere il proprio cuore davanti è ciò che ci rende umani, Judith. Così come seguire la logica e il raziocinio - disse lui, contemplativo - Abbiamo mille sfaccettature differenti, siamo talmente diversi. Ma il nostro obiettivo è uno solo: sopravvivere. E so che, su quello, potrò contare su di te. Dico bene? -
Judith soffocò una piccola lacrima.
- Quindi mi perdoni...? -
- Certo, se tu perdonerai me per non averti... compresa prima -
- Non devi prenderti responsabilità che non ti sono dovute, Xavier -
- A volte bisogna farlo... per una giusta causa -
A quel punto, Judith allungò la mano verso quella di Xavier.
Sentì il bisogno di togliersi un pesantissimo peso dallo stomaco, ma le parole non erano facili da pronunciare.
Ad ogni sforzo di aprire la bocca, le sembrava di avere già fallito.
Alla fine, si diede un'ultima scarica di coraggio.
- Xavier, farò di tutto per cercare un modo di farci sopravvivere... ma ho bisogno di chiedertelo - sussurrò.
- A cosa ti riferisci? -
Lei lo guardò nel suo unico occhio con un'intensità tale da fargli immediatamente rendere conto dell'importanza di quella domanda.
- Devo essere assolutamente sicura... so che è una domanda stupida, ma... - deglutì - Xavier, tu non sei... il traditore, vero...? -
Lui la guardò con un'espressione mista tra lo sconcerto e il divertito.
- Avrebbe davvero senso risponderti, Judith? - sospirò lui - E se lo fossi davvero? Pensi che ti risponderei semplicemente di sì? -
- No, immagino di no... ma devo comunque chiedertelo -
- Perché? -
- Non lo so. E' stupido ed irrazionale, me ne rendo conto. Ma... voglio che tu mi dica in faccia che non lo sei. Se sei davvero innocente, dimmelo guardandomi negli occhi. Solo allora sarò... tranquilla... -
Lui si esibì in una smorfia sorridente.
- Anche se gli occhi ingannano, Judith? -
- Non c'è solo il falso, nello sguardo - sorrise lei - Credimi, nella mia breve carriera ho avuto a che fare coi peggiori bugiardi di questo mondo, ma anche con gente onesta e leale. So quello che dico -
Lui si grattò la nuca, volgendo momentaneamente il volto altrove.
Non sapeva cosa Judith stesse cercando di ottenere da una risposta talmente ambigua e priva di un concreto significato, ma intuì che si trattava di un qualcosa di importante per lei.
Non trovò alcun motivo per negarle una risposta sincera.
- No, Judith - le disse, guardandola dritta nelle pupille - Non sono un traditore. Non ho mai voluto tradire nessuno -
Passarono alcuni istanti. Alla fine, Flouirsh lasciò andare un sospiro di sollievo.
Si sforzò di sorridere, ma fu un sorriso caldo e genuino.
- Bene... - annuì - Ti credo -




Michael Schwarz si stravaccò sul letto appena pochi istanti dopo essersi richiuso la porta della propria stanza alle spalle.
Si limitò a togliersi le scarpe, stendendosi di lungo sul materasso e stiracchiandosi gli arti mosci e affaticati.
Si tolse gli occhiali con un pigro movimento delle mani; allungò il braccio e li poggiò sulla sedia al margine del bordo del letto.
I suoi occhi stanchi e spenti rimirarono il soffitto senza alcun motivo apparente.
Gli bastò fissare un punto casuale sulla lampadina penzolante per ritrovare parzialmente un po' di serenità.
La giornata era stata sfiancante sotto ogni punto di vista, fisico e psicologico.
L'enorme quantità di tempo passata ad analizzare tracce di sangue e veleno, inoltre, non aveva aiutato.
I suoi pensieri viaggiarono senza una meta precisa, riattraversando gli eventi di quel giorno fatidico e tragico.
"Cinque persone... in un solo giorno..." pensò "E il prossimo chi sarà? Chi tenterà di uccidere? E chi morirà? Sarò io... il bersaglio successivo? Oppure no?"
Non seppe quanto tempo passò nel corso del suo ragionamento, poiché cadde addormentato dopo poco.
Ad attenderlo, però, vi fu un brusco risveglio: qualcuno batté alla porta numerose volte, facendolo svegliare di soprassalto.
Quasi cadendo dal letto, Michael poggiò un piede a terra recuperando l'equilibrio.
Afferrò al volo gli occhiali e se li sistemò frettolosamente.
Ancora intontito dal sonno, cercò di ristabilire il contatto con la realtà e la propria lucidità.
Credette di aver sognato, ma un ulteriore bussare alla porta di ingresso gli confermò il contrario: vi era davvero qualcuno, là fuori.
Si mise in piedi, tremando come una foglia. Muovendo passi piccoli e leggeri, quasi insonori, si avvicinò alla porta per comprendere a chi fosse venuta la malsana idea di fargli una visita proprio in quel momento così poco opportuno.
La mancanza di uno spioncino si fece sentire; Michael deglutì un pesante grumo di saliva.
- C-chi va là...!? - chiese lui, mostrandosi autoritario.
- M-Michael...? Sono io... - fece la flebile voce oltre l'ingresso.
L'Ultimate Chemist si sarebbe aspettato davvero di tutto, fatta eccezione per quello.
Osservò il proprio riflesso allo specchio come per chiedere a se stesso se stesse ancora sognando o se si trattava del frutto di un elaborato scherzo.
L'apprensione di Michael, però, non calò nemmeno per un istante.
Afferrò al volo una sedia e la spinse contro la porta, poggiandola saldamente contro la maniglia.
Iniziò a fare peso con la propria gamba, premendola sulla sedia in modo da creare una forza contrapposta.
In quel modo, nessuno avrebbe potuto introdursi di forza all'interno della stanza senza che Michael riuscisse a bloccarlo con immediatezza.
A quel punto, si limitò ad aprire la porta di appena un paio di millimetri, quel poco che bastava a far passare un tenue spiraglio di luce.
Gettando lo sguardo fuori, vide ciò che temeva: June Harrier si era inaspettatamente presentata al suo cospetto.
- C-ciao... - fece lei, palesemente rossa in viso.
Anche se non riusciva a vedere completamente il viso del compagno, avvertì la sua smorfia di disprezzo.
- Ma tu guarda... - sibilò lui - O sei venuta ad ammazzarmi, oppure sei davvero tornata da me strisciando con la tua vergogna. Gradirei di più la seconda, ma non me l'aspettavo così presto -
- Simpaticissimo come al solito... - ribatté lei - Q-quindi...? Hai intenzione di farmi stare qui fuori...? -
- Assolutamente sì. La prudenza non è mai troppa, e se sono sopravvissuto fino a questo punto lo devo a ciò. Ora, parla -
L'arciera trattenne ogni commento sarcastico, sgarbato o crudele, per quanto sentisse fossero appropriati; sapeva di ricoprire il ruolo della "persona che aveva torto", e doveva seguire il suo copione immaginario. Capì, inoltre, che anche Michael aveva compreso benissimo la situazione, e se ne stava probabilmente approfittando.
June Harrier tirò un sospiro e decise che, quel giorno, l'Ultimate Chemist avrebbe ricevuto ciò che voleva.
- Volevo chiederti scusa... - disse, mordendosi il labbro - Scusa se ti ho colpito in quel modo... sono stata avventata e... sconsiderata -
- Mi sembra un buon inizio... - commentò lui, ancora nascosto dietro la porta - Vai avanti -
Harrier iniziò a provare sentimenti discordanti. Seppur giunta fin lì per chiedere scusa, provò l'improvviso desiderio di sfondare la porta e dirgli in faccia tutto ciò che pensava di lui.
Ma dovette darla vinta al senso comune ancora una volta.
- E ti chiedo scusa per essere saltata a conclusioni affrettate ed averti aggredito in... ogni modo possibile e conosciuto... - disse in un'unica tirata - Ecco, l'ho detto! Ora posso entrare? -
- Accetto le tue scuse, ma la mia risposta è sempre "No" - borbottò lui - Sai cosa succederebbe se aprissi questa porta? La stessa cosa che è accaduta tra Rickard e Vivian: un bel siparietto tranquillo dove, all'improvviso, ci scappa il morto. E, considerando noi due, le mie probabilità di morire aumenterebbero in modo esponenziale. Quindi: no -
La pazienza di June stava raggiungendo un limite che non doveva essere valicato, ma ancora riuscì a resistere.
- Michael, sono qui a prostrarmi davanti a te con tanto di scuse! - inveì lei - Cosa devo fare per poter parlare normalmente con te!? -
- Magari fallo quando non siamo rivali in un dannato GIOCO AL MASSACRO, per esempio! - rispose lui a tono - Ma non capisci che è con questo atteggiamento che rischi di essere la prossima vittima!? Vuoi diventare un bersaglio!? Morire per mano di qualche idiota qualsiasi, in questo buco infernale...!? -
Fu in quel momento che Michael Schwarz, troppo intento nello spiegare la sua ferrea logica di autoconservazione e sfiducia, commise il fatidico errore: abbassò la guardia.
Bastò un momento prima che un poderoso calcio dell'Ultimate Archer, oramai stufa ed esasperata, non lo fece volare all'indietro assieme alla sedia messa come perno.
Ruzzolò fino alla scrivania, rimettendosi in piedi forsennatamente. Afferrò d'istinto il primo oggetto che gli capitò a tiro da usare come arma per difendersi.
Non appena si rimise in piedi, notò che June stava semplicemente rimettendo in piedi la sedia, con un'espressione ancora vagamente infastidita ma calma.
Non cessando di tremare e di temere per la propria vita, il chimico osservò la scena con confusione e paura.
- C-cosa...!? Cosa stai facendo!? - urlò lui, puntandole contro quella che capì essere un'innocua matita presa in un momento di terrore.
- Mi sto mettendo seduta - sbuffò lei - Ecco fatto: ora come ora avrei avuto mille occasioni per ucciderti e nessun testimone. Ma, ohibò! Eccomi qui, tranquilla ed innocua. Ti basta per dimostrarti che NON voglio ucciderti, maledizione!? -
Lui lasciò cadere sulla scrivania la matita; le mostrò un volto dubbioso e ancora vagamente impaurito. Era convinto che quel calcio avesse avuto un altro obiettivo.
- No. Ma ti ascolto... -
Fu comunque una vittoria considerevole per l'Ultimate Archer, che seppure di sangue caldo non amava la violenza. Quell'esperienza le insegnò che, a volte, un pizzico di maniere forti potevano contribuire a trovare una soluzione.
- Accidenti... certo che, con te, tutto diventa complicato... - si lamentò June, chiudendo la porta.
- E con te diventa tutto più doloroso... - ribatté lui, massaggiandosi il fianco. La caduta non doveva essere stata delle migliori.
Lei ignorò il commento, ma si mostrò vagamente compiaciuta del risultato.
- Beh, che dire...? Avevi ragione, Mike - disse lei all'improvviso - Avrei dovuto raccogliere più prove prima di accusarti... e invece ho rischiato di mandare tutto all'aria... -
- Bah, lascia perdere. Un po' comprendo cosa ti ha spinto... - rispose lui, amareggiato - In una situazione del genere, le persone tendono a ricercare la via d'uscita più semplice. E so benissimo di non essere una persona simpatica -
- N-non dire così! Ok, magari il tuo carattere è... sgradevole - disse, senza curarsi del poco tatto mostrato - Ma è comunque ingiusto prendersela con te a prescindere...! -
- Wow, "sgradevole"... - si mostrò impressionato - Come dire...? Sei stata crudele e gentile allo stesso tempo. Tanto di cappello -
- E piantala! Anzi, mi sembra un ottimo spunto per arrivare al punto della questione - perseverò lei - Michael, ma perché ti comporti così? Cosa ti ha reso così... così...? -
- "Paranoico"? "Solitario"? "Misantropo"? Gli aggettivi su di me si sprecano, e credo che Xavier non abbia mancato di appuntarli -
- Guarda che Xavier ha tentato diverse volte di venirti incontro. A modo suo... - disse, stringendosi tra le spalle - Ma deve pur esserci un motivo alla base di questo tuo carattere, no? Non sei di certo nato con un odio congenito verso l'umanità, dico bene? -
Michael non rispose, ma si rivelò colpito da quell'improvviso interesse.
- A che pro chiedermi qualcosa del genere? Tu mi odi -
- Non ti odio, brutto imbecille! - ribatté, riuscendo nuovamente a sfoggiare la propria ambiguità nel comporre le frasi - Vorrei poterti capire, e magari smettere di avere paura di te. So che in realtà sei TU quello spaventato, ma tutto il gruppo teme il tuo atteggiamento da lupo solitario. Voglio un motivo per potermi fidare di te, capisci? Dopotutto... non siamo forse compagni? -
- No, June. Non siamo "compagni", siamo "rivali" - rispose lui, col volto annerito - E uno di questi giorni potremmo trovarci a doverci assassinare. E, se non erro, tu stessa hai detto di non riuscire più a fidarti degli altri, sbaglio? -
- E'... è vero, lo ho detto in un momento di debolezza... - ammise lei - Ma continuo a voler pensare che Judith e Karol abbiano ragione. Dobbiamo restare uniti -
- E se uno di loro fosse il traditore? -
June trasalì.
- Co...come!? -
- Mi hai capito bene: e se una delle persone che tanto inneggiano alla collaborazione fosse il traditore? Cosa faresti? E se io fossi il traditore? Cielo, potrebbe essere chiunque! Come fai a... come fai a fidarti!? Non hai paura di morire!? Di non rivedere più la tua famiglia o i tuoi amici!? -
L'arciera abbassò lo sguardo. Sorprendentemente, a Michael sembrò quasi che stesse ridendo.
La mancanza di una risposta immediata gli fece comprendere di aver toccato un tasto dolente.
- Famiglia e amici... - rispose lei - Già, già. Magari -
- Che intendi? -
Lei guardò verso il soffitto con espressione neutra.
- Sai, a volte ripenso ai nostri compagni caduti... alle povere Refia, Hayley, Elise, Vivian, Hillary... ma anche ad Alvin, Rickard, Lawrence, Kevin, che di certo non meritavano di morire. E poi penso a me, che sopravvivo senza uno scopo -
- Senza uno...? -
- Forse... beh, a volte mi viene da pensare... - a quel punto, chiuse gli occhi - Forse dovevo morire io... forse sarei dovuta cadere al loro posto -
- Cosa diavolo stai dicendo!? Sei impazzita!? - la additò Michael - E' semplicemente assurdo! -
June sorrise; un sorriso senza energia né emozione.
- Non ho nessuno da cui tornare, Michael. Niente e nessuno - gli confidò, stringendosi tra le proprie braccia - La mia vita era uno schifo. Se anche riuscissi a fuggire finirei da un inferno ad un altro. Non ho nessuno che aspetta il mio ritorno, nessuno che perderà tempo a ricordarmi... -
Michael Schwarz ascoltò il debole sfogo senza pronunciarsi. Ad un certo punto, June Harrier si trovò costretta a lasciare andare qualche lacrima che teneva rinchiusa da troppo tempo. 
- Ecco, adesso lo sai. E' piuttosto patetico essere me... - tirò su col naso - Il mio talento è inutile, sono una buona a nulla... e se anche morissi il mondo andrebbe avanti senza nemmeno vacillare un istante. Ecco il peso che ha la mia vita: zero. Ma allora perché io sono viva e gli altri no? Quante persone stavano aspettando il ritorno di coloro che sono morti? Ma nessuno attende il mio... -
- Ti sbagli -
June alzò la testa di scatto: lo sguardo di Michael era rimasto sprezzante e severo, ma il suo tono tradiva qualcosa di diverso.
Quella frase, breve ma potente, era bastata a gettare un'ombra differente sulla sagoma dell'Ultimate Chemist.
- Come...? -
- Ti ho detto che ti sbagli. C'è una persona molto importante che non vede l'ora che tu esca da qui -
- Di cosa stai parlando...? - chiese lei, esterrefatta - Come potresti saperlo...!? -
- Lo so perché la conosco! - continuò lui, infervorato - SEI TU, IDIOTA! -
La mascella della ragazza quasi la cadde.
- Che!? Io!? -
- Non hai amici? Non hai una famiglia che ti ama? E chi se ne importa! - disse, infuriato - Se non hai persone a cui vuoi bene vuol dire che non hai cercato abbastanza! E preferiresti morire senza averle incontrate!? Devi uscire per TE STESSA, non per un qualunque cretino là fuori! TE. STESSA! Chiaro!? -
- M...ma io... - incespicò a metà frase, non sapendo come comportarsi in una situazione talmente inaspettata.
Un furente Michael Schwarz le stava facendo una predica interminabile giunta da chissà quali meandri del suo animo. 
Evento inaspettato, sì, ma stranamente non malevolo.
- Niente "ma"! Non devi voler sopravvivere per qualcun altro, e non ti azzardare a dire che la tua vita vale meno degli altri! Siamo tutti uguali, pezzi di carne senzienti ambulanti che nascono, vivono e muoiono. E, quando moriremo, saremo altrettanto uguali: polvere decomposta fino a svanire. Non vi è motivo di credere che qualcun altro meriti di vivere e tu no! Devi essere egoista, egocentrica! E, credimi: te lo dice la persona più egoista che tu abbia mai incontrato! -
- M-ma che ti prende!? Perché all'improvviso... tu...? -
- Perché è la verità: chi è da solo deve sopravvivere con l'egocentrismo - disse, e il suo volto si inscurì - Perché chi è da solo... deve avere fede che le cose possano cambiare -
Fu a quel punto che gli occhi di June Harrier assistettero ad un evento normalmente non calcolabile.
Michael avvicinò una seconda sedia alla sua, accomodandosi al suo fianco. Un'azione semplice e completamente nella norma, ma che in quelle circostanze assunse un aspetto nuovo.
Che fosse stato proprio lui ad accorciare le distanze era un qualcosa di imponderabile.
Michael guardò il pavimento con aria assorta; l'arciera si chiese se quel bizzarro sproloquio non nascondesse qualcosa di più profondo.
- Spero... che il concetto fosse chiaro - disse, infine.
- Parli per esperienza? - chiese June, intuendo da dove derivassero quelle parole talmente marcate ed incisive.
Lui fece un'ultima smorfia.
- Chissà...? Cosa te lo fa pensare? -
- Il fatto che, almeno secondo la mia opinione, è la prima volta che ti vedo parlare in modo sincero per il bene di qualcun altro -
L'apparente scherno di June si rivelò essere, in realtà, un commento a caldo pregno di buone intenzioni.
- Forse siamo più simili di quanto non sembri... - constatò il chimico.
- E' possibile... - annuì lei.
Ne seguirono alcuni secondi di silenzio.
June Harrier si voltò verso di lui, poggiandogli delicatamente una mano sulla spalla. Michael Schwarz avvertì una strana sensazione.
Era la prima volta che permetteva deliberatamente a qualcuno anche solo di sfiorarlo.
Qualcosa era cambiato.
- Ne vogliamo parlare? -

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Danganronpa / Vai alla pagina dell'autore: Chainblack