Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: ___Page    09/02/2018    3 recensioni
«Iva tu… non l’hai già acquistata vero?» chiedo in un soffio e un angolo della sua bocca si contrae in un tic.
«A chili» conferma.
«Se non dovessimo trovare un’utilità per questo prodotto, il danno ammonterebbe a una cifra considerevole.»
«Ci serve più tempo!»
«Non lo abbiamo. Ci serve che la questione si riveli un affare entro Settembre o qualcuno del consiglio potrebbe… contrariarsi, diciamo. E la presentazione è programmata per Luglio. E deve essere l’affare dell’anno.»
***
Grazie alla geniale trovata di Iva ora mi ritrovo con il mio migliore amico che si sposa tra sei settimane, Sabo da gestire, un matrimonio da aiutare a organizzare e un progetto assurdo, impossibile, irrealizzabile dal cui successo dipende il futuro lavorativo mio, dei miei due collaboratori/amici, di un’altra buona fetta di colleghi e del mio capo.
Fantastico! Sono al settimo cielo!
***
«Ehi non mi piace che si usi quel termine per me!» protesta.
«Cosa?! Mestruato?!» domando con sfida, ma lui scuote la testa «Irritante?» riprovo, sollevando le sopracciglia, ma lui nega di nuovo «Gay?!» chiedo ancora. Incredula, lo guardo annuire solenne.
«Precisamente.»
No, io non ce la posso fare.
«Izo tu sei gay!!!»
Genere: Comico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Koala, Nami, Nefertari Bibi, Trafalgar Law, Usop | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Due anni fa, per finire uno dei primi grossi progetti che ci avevano affidato, grazie alle ridicole tempistiche di Iva, io, Nami e Usopp stavamo lavorando qui a casa mia e di Nami, quando ci siamo beccati tutti e tre l’influenza che quell’anno picchiava più duro del solito.
Sanji aveva appena avviato il catering e si era accapparato un servizio che avrebbe potuto decretare il successo o il fallimento dell’impresa e non poteva assolutamente rischiare di ammalarsi, così eravamo rimasti qui tutti e tre, in quarantena per una lunga settimana, cercando di lavorare lo stesso tra un colpo di tosse e una soffiata di naso.
Pareva di stare in un lazzaretto e entro la fine di suddetta settimana sembrava fosso scoppiata una bomba dal disordine che c’era.
Negli ultimi due giorni nessuno di noi ha avuto la febbre. Negli ultimi due giorni non abbiamo neppure provato a farci neanche del riso in bianco come quella volta, quindi nessuno di noi ha sporcato stoviglie che poi non ha pulito. Eppure questa casa sembra molto peggio di un lazzaretto e noi molto più che malati.
Siamo distrutti, Usopp più di tutti.
«Si è portato qui anche Ryuunosuke» spiego, al telefono con Robin che risponde con un pacato “m-mh” ma so benissimo che ha colto la gravità della situazione che questo apparentemente superficiale dettaglio convoglia.
Non è la prima volta che Usopp e Sanji hanno un litigio pesante. Non è la prima volta che Usopp si presenta alla porta del nostro appartamento con un borsone e gli occhi da cucciolo bastonato. Ma se abbiamo sempre saputo che non era poi così grave, che il trasferimento era solo una tattica per sfuggire alla tensione e non una scelta definitiva era precisamente per lui, Ryuunosuke.
E il fatto che ieri, mentre Sanji non c’era, abbia deciso di portarsi via da casa loro, insieme al resto della sua roba, anche Ryuunosuke, la dice fin troppo lunga su quanto sia effettivamente grave questa rottura.
«Mikan e Nekozaemon come l’hanno presa?»  
«Mikan gli ha soffiato contro, Nekozaemon gli ha dato due zampate per convincerlo a giocare ma sai com’è, è un’inguana. Quando ha capito che era inutile è venuto a chiedere da mangiare. Tutto nella norma insomma»
La ascolto ridere sommessamente e un sorriso tirato riesce a fare capolino anche sulle mie labbra, ma è destinato ad avere vita breve. «E tu come stai?»
Mi irrigidisco. Io come sto.
Vediamo, nell’ultimo giorno e mezzo ho mangiato solo una ciotola di cereali, pianto tutte le mie lacrime, accumulato una quantità di kleenex che riciclati potrebbero salvare la foresta pluviale, pensato di chiamare Law per scusarmi per essere sparita venerdì sera, pensato di chiamare Law per fare quattro chiacchiere, guardato sette diverse commedie romantiche e pianto per il finale di tutte, pensato di chiamare Law per dirgli che… provo qualcosa per lui, pensato di chiamare Law per dirgli che sì, sì sposare Bibi è un errore.
«Bene! Insomma sai sono ancora un po’… scossa, ma ci sto lavorando. Sento che sono già a buon punto per… superarla. Insomma dopotutto non è nulla di serio, è solo… solo… e-e-e tu cosa mi racconti?»
Riesco a vederla con l’occhio della mente arcuare entrambe le sopracciglia. Cosa potrebbe mai raccontarmi? A parte come sta Sabo, ovviamente. Se non è venuta qui da noi è perché è stata ed è tutt’ora troppo presa con lui, lo so con certezza, e né io né Nami ci sogneremmo mai di risentirci per questo.
Noi saremo anche tutti e tre pesti ma ci siamo l’uno per l’altro. Sabo, di contro, non può certo confessare la propria situazione ai suoi fratelli e con me fuori gioco gli resta solo Robin.
Ma anche se servirebbe a dirottare il discorso, non voglio chiederle di Sabo. La sua situazione è così simile alla mia, parlare di lui, significherebbe parlare di Bibi e del matrimonio e di Law e… il-il solo pensiero…
«Ti racconto che devo andare. Mi spiace tesoro, io…»
«No!» la interrompo, dominando a stento la voce. «Vai tranquilla, davvero. Anche io dovevo staccare tanto» riesco a dire prima di sentire l’impellente necessità di mandare giù il groppo in gola mentre mi asciugo una solitaria lacrima.
«Ci sentiamo presto allora»
«A presto, Robin. Ti voglio bene» chiudo la telefonata e abbasso gli occhi sul monitor del telefonino, più per abitudine che per sincero interesse a controllare eventuali messaggi.
Se non che qualcosa effettivamente attira la mia attenzione. Il simbolo di una chiamata persa nell’angolo in alto a destra. Abbasso la tendina e il cuore mi perde un battito. Di nuovo.
Non è una chiamata, sono tre. Tutte di Law. E con le cinque di ieri fanno otto in neanche due giorni e la cosa mi sta rendendo davvero difficile resistere all’impulso di richiamarlo e dirgli ogni cosa, dirgli perché me ne sono andata, dirgli che non voglio che parta, che non voglio che si sposi, dirgli che…
No!
No Koala, no. Non fare stronzate.
Chiudo gli occhi e prendo un profondo respiro mentre, senza neanche guardare, cancello le notifiche.
«So che lei si comporta come se fosse tutto okay ma andiamo! Chi vuole prendere in giro? Anche se sorride in modo convincente non c’è modo che io ci caschi e mi convinca che è solo un’infatuazione!»
La voce di Izou dal salotto mi raggiunge fino in cucina. Lui e Marco sono arrivati senza avvisare, due ore fa, a metà mattina, tipo esercito della salvezza, con mezza videoteca e una scorta di Häagen Dazs tale per cui se dovesse esserci un’invasione zombie potremmo tranquillamente barricarci in casa e resisteremmo per settimane, senza alcun bisogno di avventurarci fuori per procacciarci del cibo. 
Può sembrare invadente detta così ma la verità è che siamo loro grati come non mai. Per essere preoccupati per noi, per averci comunque concesso tutto ieri per elaborare i nostri lutti, per averci portato il solo genere di cibo – quello spazzatura – in grado di stimolare almeno un po’ il nostro appetito, per non avere palesemente alcuna intenzione di levare le tende prima di sera.
Per essere due veri amici, insomma.
«No, cari miei, con me non attacca. Quanto è vero che sono gay, Koala è perdutamente inn…»  
«Non t’azzardare!» tuono, sulla porta della sala che non mi ero nemmeno accorta di aver raggiunto, in fretta e furia. «Non dire la parola con la “I”! E nemmeno quella con la “A”! Perché non è così, chiaro?!» prendo un profondo respiro e li fronteggio tutti e quattro, fronteggio le loro occhiate. Tutti scettici. Persino Marco che ha la solita maschera di calma, persino Usopp con gli occhi gonfi come una rana per il troppo piangere riescono ad apparire scettici.
Dio, quanto sono patetica!
«Io…» comincio con voce tremante e vagamente isterica ma convinta. «…provo qualcosa per Law. Qualcosa di molto, molto forte ma…» sollevo l’indice in un gesto autoritario. «…non è assolutamente la parola con la “A”. Assolutamente! Okay?!»
Continuano a fissarmi senza dire niente.
«Vi ho chiesto se è okay?!» sbraito e finalmente si decidono ad annuire. Espiro rumorosamente dal naso e proprio in quel momento, qualcuno suona il nostro campanello. «Bene»annuisco anche io, soddisfatta, e mi liscio la canottiera sull’addome a palmi pieni prima di dirigermi decisa alla porta, per aprire all’inatteso ospite.
Ma fatti due passi verso l’ingresso mi immobilizzo, atterita. Perché potrebbe essere lui. E non perché sono paranoica e in piena privazione di sonno ma perché è assolutamente verosimile. Non sarebbe affatto la prima volta che uno dei due si precipita a casa dell’altro per colpa di un paio di chiamate perse e qui sono anche ben lungi dall’essere solo un paio.
Non ci sarebbe niente di strano se dopo otto tentativi a vuoto Law si fosse precipitato qui e il solo pensiero che non sarebbe affatto strano mi fa acellerare i battiti, mi provoca una piacevole sensazione di calore come quando ti accorgi di quanto qualcuno tiene a te e mi terrorrizza a morte.
Non sono pronta. Non sono ancora pronta per affrontarlo, non ho ancora pienamente metabolizzato che… che provo qualcosa per lui che non è affatto la parola con la “A”, figuriamoci se posso essere in grado di parlarci o anche solo guardarlo in faccia. Stare nella stessa stanza con lui. Respirare la sua stessa aria.
No, non ce la faccio.
Una mano si posa sulla mia spalla. In iperventilazione, stacco gli occhi sgranati dalla porta e li poso su Nami che ha raggiunto il mio fianco e mi guarda con un misto di affetto e determinazione.
«Apro io» mi dice e ci metto un paio di secondi a reagire con un cenno del capo, prima di rifugiarmi in fretta in salotto.
Se dovesse essere lui, non uscirò da questa stanza e non permetterò agli altri di uscire. Non resterò sola con lui, non oggi, costi quel che costi.
Chiudo gli occhi, pronta alla valanga che mi cadrà dritta in testa quando sentirò la sua voce. Ma quello che sento invece distintamente, dopo il click della serratura, è Nami che trattiene il fiato sconvolta. Riapro gli occhi di scatto.
«Cosa ci fai qui?» chiede piano Nami, dopo un lungo attimo di silenzio, la voce tremante, con una punta di colpa e una punta di speranza.
Io e Izou ci scambiamo un’occhiata allarmata.
«Sto cercando Usopp» risponde una voce nota dal pianerottolo.
Zoro.
In modalità gestione crisi, mi riprecipito all’ingresso e mi affretto a prendere il posto di Nami, che rimane immobile dietro di me ancora alcuni istanti, prima di allontanarsi con passo quasi robotico e tornare in salotto.
«Ehi, Zoro! Ciao!»
«Ciao Koala. Usopp è qui?»
Socchiudo gli occhi e lo studio un attimo, la postura rigida e lievemente ingobbita, il viso tirato, le occhiaie marcate, un velo di barba sulle guance. A quanto pare si è appena aggiunto un nuovo membro all’esercito dei devastati.
Titubo un istante e lancio un’occhiata sopra la mia spalla, verso Nami che, rannicchiata sulla poltrona concava, fissa testarda Ryuunosuke dentro il suo terrario. Ho la sensazione che questi due si stiano macerando l’anima per colpa di un enorme malinteso e che abbiano nove possibilità su dieci di risolvere tutto con una semplice chiacchierata, che è esattamente il contrario della situazione in cui ci troviamo invece io e Usopp, e mi domando se si rendono conto di quanto sarebbe semplice e di che coppia di idioti sono. Ma non so nel dettaglio cosa sia successo tra loro, a parte che hanno litigato, e sono veramente l’ultima persona al mondo che può dare dell’idiota a qualcuno in faccende di cuore perciò…
Tuttavia, questa è pur sempre anche casa mia, Zoro sta cercando un amico e non sta meglio di Nami, perciò, anche se moralmente sono al cento per cento con lei, non ho intenzione di lasciarlo qui sul pianerottolo.
«Sì, è qui. Entra pure» lo invito, scostandomi per farlo passare.
Zoro ciondola da un piede all’altro poi ficca le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta e varca la soglia di casa come se fosse il passaggio per un’altra dimensione. Pare quasi sollevato quando si accorge di essere ancora tutto intero e che nessuno gli ha sparato e mi precede di poco verso il salotto.
Non mi sfugge come si irrigidisce quando vede Marco, né l’occhiata di fuoco che gli lancia e che lui ricambia con apparente disinteresse. «Ciao ragazzi» si decide poi a salutare con un cenno del capo.
«Ehi Zoro. Tutto bene, amico? Successo qualcosa?» s’informa Usopp, balzando in piedi. Avanza verso di noi ed è a circa metà salotto quando Zoro gli risponde: «Tutto bene. È Sanji che è messo male»
Usopp si immobilizza, l’espressione tra il terrorizzato e lo sconvolto. Persino Nami stacca gli occhi dal terrario per girarli su Zoro, imitata da me. Per un attimo provo il forte impulso di prenderlo e ribaltarlo al suolo. Come gli è venuto in mente?! Come si permette?!
Ma poi mi ricordo che Zoro non sa e che, se anche sapesse, è Usopp che ha lasciato Sanji, anche se per delle ottime ragioni.  
«Non sappiamo cosa sia successo» continua Zoro, apparentemente ignaro delle nostre espressioni. «Ieri sera Chopper è venuto da voi per parlare con te, dice che non rispondevi al telefono e ha trovato Sanji in condizioni pietose. Io e Rufy ci siamo precipitati e abbiamo dormito tutti e tre a casa vostra ma non siamo riusciti a farlo reagire o tirargli fuori il problema. Tu sei sempre riuscito a farlo parlare e credo sia più grave di quanto immaginiamo. Non c’è stato verso di farlo mangiare e soprattutto di farlo cucinare. Non si è messo ai fornelli nemmeno per Ch…»
Zoro si zittisce di colpo e sgrana gli occhi, incredulo. C’è un solo modo per descrivere quanto appena successo. Un attimo prima Usopp era al centro del salotto, l’attimo dopo non c’era più. Non fosse che un paio di fogli sono sfuggiti fuori dal blocco da disegno che aveva in mano e stanno ancora svolazzando a mezz’aria, penserei  che non è mai stato qui e che siamo vittime di un’allucinazione di gruppo. Lancio un’occhiata verso il davanzale per controllare che ci siano effettivamente terrario e Ryuunosuke, giusto per levarmi qualsiasi dubbio.
«Usopp!» lo chiama Nami, seguendolo di gran carriera, non senza un’occhiata assassina a Zoro.
Faccio appello a tutto il mio autocontrollo per riuscire a trattenermi giusto il tempo di chiedere a Izou se può per favore offrire qualcosa a Zoro, prima di schizzare a mia volta all’inseguimento. Raggiungo la camera di Nami – dove Usopp ha depositato le sue cose – in quattro falcate – siamo pur sempre due ragazze di non ancora trent’anni che vivono insieme, università style. La casa è ovviamente piccola – e mi fermo sulla soglia. Io e Nami ci scambiamo una sconsolata occhiata e avanziamo decise verso Usopp che, mani tremanti e respiro affannato, sta racattando alla meno peggio vestiti e cianfrusaglie di vario genere e cerca di ficcare tutto in un unico borsone, contro ogni evidente legge fisica riguardante il volume e la forma dei solidi.
«Usopp»
«Cosa stai facendo?»
«Ragazze scusate, è stato… è stato stupido venire qui, mi sono fatto prendere dalla foga come sempre, io…» si gira a guardarci con un sorriso che non imbroglierebbe un cieco. Okay, un sorriso che potrebbe imbrogliare persino mio padre ma che non attacca con noi due. «Sì, lo so. Prima pensa poi agisci. Eh!» si stringe nelle spalle, le braccia piegate, i palmi verso l’alto, e lancia un’occhiata al soffitto, troppo teatrale. «Sono colpevole di troppa impulsività, lo ammetto, che ci volete fare? Le persone creative agiscono d’istinto, sono due cose che vanno a bracc… che… che fai, Nami?» si innervosisce quando Nami lo raggiunge e posa decisa le mani sulle sue spalle per detenerlo da ciò che sta facendo.
«Usopp, no» mormora serissima, mentre anche io mi accosto e gli sfilo con delicatezza il borsone dalla mano. Si gira terrorizzato verso di me e io gli lancio un’occhiata mortificata ma ferma. Non può tornare a casa ora, non in queste condizioni.
Odio intromettermi a questo modo ma ieri ce lo ha fatto promettere e posso giurare, in tanti anni di amicizia, non lo avevo mai visto così lucido e padrone di se stesso. Ci ha fatto promettere di fermarlo se avesse cercato di tornare da Sanji in preda ad un attacco di panico, che è precisamente quello che sta succedendo.
«Hai portato via anche Ryuunosuke» gli ricordo e solo dirlo ad alta voce mi stringe il cuore e lo stomaco. Mi accorgo dalla sua espressione che è lo stesso anche per lui.
«S-sì è vero ma… ma… andiamo ragazze!» ci riprova, stirando ancora di più le labbra, gli occhi che implorano. «Io voglio solo… S-Sanji, lui… lui…»
«Lo sappiamo» annuisco piano e Nami aumenta la presa sulle sue spalle. «Usopp non puoi cedere così. Adesso sei spaventato e sei preoccupato per lui ma… non puoi ricominciare a vivere a quel modo, lo sai anche tu che non puoi. Non è sano» insiste Nami e io osservo quasi con orrore l’espressione di Usopp che cambia.
Perché Nami ha ragione e Usopp lo sa, così come lo so io. Non era sano per lui e questo non cambierà magicamente solo perché Sanji ha bisogno di lui e lui vuole disperatamente stargli accanto.
No, le cose non diventano giuste quando sono intrinsecamente sbagliate solo perché si vuole disperatamente stare accanto a una persona. Rimangono sbagliate. Continuano a essere cose di cui bisogna liberarsi. Anche se è intollerabile, anche se fa paura, anche se il solo pensiero ti toglie il sonno e l’appetito, prende il tuo intero mondo e lo mette a soqquadro, ti soffoca.
«Ma…» Usopp tenta un’ultima debole protesta, sposta lo sguardo da Nami a me, a Nami, sconfitto e tira su con il naso mentre i suoi occhi si fanno sempre più lucidi. «Mi manca...» riesce a sussurrare con la gola annodata.
Io e Nami deglutiamo a vuoto prima di annullare la distanza e stringerlo in un abbraccio a tre. Infilo il capo nell’incavo del suo collo e stringo la sua maglietta sulla schiena. Mi viene da piangere.
Perché anche a me manca. Dio, quanto mi manca.
«A-ehm, scusate se interrompo il momento threesome, non è da me, di solito starei ad assistere con estremo interesse ma mi serve la rossa un momento»
«Che vuoi, Izou?» mugugna Nami, senza staccarsi da Usopp.
«Potresti venire a mettere il guinziaglio al tuo uomo? Fissa Marco in un modo che non mi piace neanche un po’»
Nami si fa rigida come un tronco alla menzione del “suo uomo” e anche senza vederla sappiamo che ha sgranato gli occhi e fissa un punto nel vuoto mentre, dentro la sua testa, un esercito di caccia sta sganciando bombe senza posa. Lentamente, sciogliamo l’intreccio dei nostri arti e facciamo un passo indietro per poterla guardare.
Il disastro adesso è lei e Usopp torna prontamente in sé, le passa una mano intorno alle spalle e le mormora un “Andiamo”. Perché anche lui, come Izou e come me e come d’altra parte persino Nami stessa, sappiamo tutti che l’unica in grado di gestire Zoro è proprio lei. Con un sospiro rassegnato si fa guidare da Usopp, mugugnando qualcosa su quanto gli costerà il suo intervento per evitargli il carcere per omicidio.
Izou non si muove finché non esco a mia volta dalla camera e, con mio lieve stupore, mi affianca. Viste le pericolose condizioni in cui Marco sembra versare al momento, pensavo si sarebbe precipitato a controllare ma invece si adatta al mio passo e, in rigoroso silenzio, mi segue in cucina e si siede al tavolo con me, fissandomi senza dire nulla.
Per un po’ cerco di non farci caso, grattando con l’unghia la tovaglia di tela cerata.
È già abbastanza difficile così, scendere a patti con la realtà di aver perso il mio punto di riferimento, la prima persona a cui penso quando mi sveglio, la voce che voglio sentire quando rispondo al telefono, il volto capace di migliorarmi la giornata e farmi sentire come se nulla, mai, potrebbe andare storto. Averlo perso perché sono stata troppo cieca, per aver negato, per negare ancora quanto io sia follemente, pazzamente, irrimediabilmente inn…
«Se continui così rischi di trasformare quella povera foglia in un trasferello»
Mi fermo e alzo gli occhi su di lui, che mi guarda con una tale serietà e preoccupazione da lasciarmi a bocca aperta e, stavolta, la mia sorpresa non ha nulla di ironico. È pura, sincera, piena. Non ha intenzione di attaccarmi nessuna menata. Non ha intenzione di obbligarmi a parlare. È disposto, se necessario, a stare seduto qui in assoluto silenzio per tutto il tempo che io vorrò, al solo scopo di non lasciarmi sola.
«Sai, forse dopotutto non sono poi così contraria a quelle lezioni di autoerotismo» provo a scherzare con un sorriso forzato che lui ricambia, con troppo affetto e troppa malinconia. Così tante che con orrore sento gli occhi riempirsi di lacrime.
Ma lui continua a sorridere imperterrito e io non posso più ignorarlo.
Non posso ignorare la sua pregnante presenza, il suo fermo intento a guardarmi le spalle, a prendere il posto di qualcuno che sa che non potrà mai davvero sostituire, solo per me, per il mio benessere. Non posso ignorare questa sensazione come di un pallone che si gonfia al centro del mio petto fino a rischiare di farmi esplodere se non lo faccio prima esplodere io. 
Chiudo gli occhi e scuoto appena il capo. «Mi sento così stupida, Izou!» deglutisco pesantemente e ricaccio indietro le lacrime come meglio posso. «Non so nemmeno da quanto, io…» sbuffo una risata per niente divertita. «Non ho mai avuto una relazione stabile, neppure al liceo ho mai avuto un ragazzo per più di due settimane e sai perché?»
«Perché sei lesbica» risponde come se fosse ovvio.
«Ma che stai dicendo?!»
Si acciglia perplesso. «Sembrava sensato»
«Perché c’era lui! Tutti i ragazzi che ho avuto sono stati sempre e solo occasionali perché al di là dell’attrazione fisica non trovavo mai niente perché nessuno, nessuno poteva reggere il confronto con lui. Lui è stato la mia relazione stabile per tutti questi anni, è sempre stato tutto quello di cui avevo bisogno e dopo aver vissuto nell’ignoranza per tre lustri me ne accorgo ora che ormai sono completamente presa e lui sta per sposare un’altra?! Quanto posso essere stupida!» ormai sono un fiume in piena. Però mi sta facendo bene, cavolo perché non l’ho fatto prima?! «Se me ne fossi accorta, se non fossi stata così cieca, se non mi fossi ripetuta mille volte che non importava quanto mi attraesse perché era il mio migliore amico e con il proprio migliore amico non si può forse mi sarei accorta prima! Avrei potuto fare qualcosa, provare a conquistarlo quando potevo o frenarmi prima che diventasse a…»
Ammutolisco quando la mano di Izou si posa sulla mia. «Non fartene una colpa» mi ammonisce serio. «Non è qualcosa che puoi davvero controllare, non illuderti che se te ne fossi resa conto ti saresti potuta salvare. Non lo decidi tu, succede e basta. E poi, siamo sinceri…» sono così basita da quello che ho appena sentito che non la vedo proprio arrivare, la stronzata priva di tatto, vera per carità, ma decisamente fuori luogo al momento se il suo obbiettivo è consolarmi. «…chi potrebbe mai resistere a quei tatuaggi?»
Ecco appunto. Mi porto una mano allo stomaco che comincia a sfarfallare con violenza.
«Izou…» lo chiamo con aria miserabile.
«…uno studio anatomico prima di farli perché seguono precisi la linea dei muscoli, sono una cosa…»
«Izou»
«E quel cuore poi! Quando si è sfilato la maglietta il giorno che abbiamo fatto il bagno in pisc…»
«Izou!» alzo la voce. «Per favore!»
 Santo cielo, l’ultima cosa che mi serve ora è pensare a questo! E per un momento mi illudo che abbia capito, che ora preferirei un po’ di silenzio, magari una coppa di Häagen Dazs e uno dei film che hanno portato ma si tratta, appunto, di un’illusione.
«Anche Marco ha un tatuaggio sulla schiena» riprende, posando il mento sulla mano, con espressione sognante. «E sai che stavo pensando di farmene uno anche io? Tra l’inguine e l’addome, ma sono indeciso sul soggetto. Che poi mi sono sempre chiesto, fa tanto male?»
«Beh…» comincio, tornando a grattare con l’unghia una delle foglie disegnat sulla tovaglia. «Dipende dalla zona dove lo fai. La schiena non è nemmeno così terribile» ritrovo un po’ di vitalità. Dopotutto parlare di tatuaggi in modo generico non è male, mi aiuta a tenere la testa impegnata. «Ma se non sei sicuro del soggetto ti consiglio di fare una prova prima a henné. È una spesa in più e non puoi bagnarlo per ventiquattro ore ma io per il mio sole l’ho fatto. Volevo essere convinta e con l’henné se vedi che non ti piace puoi tranquillamente… toglierlo…» la mia voce si riduce a un sussurro quando un pensiero mi attraversa la mente, chiaro e nitido come un’immagine ad alta risoluzione. «Oh mio dio…»
Oh mio dio.
Oh.
Mio.
Dio!
Ho trovato! So cosa fare! So cosa fare, ho un’idea!
«Ommioddio, Izou…» lo guardo e lui mi riguarda di rimando con una punta di panico quando la mia espressione vira dallo sconvolto al felice.
Non è tutto perduto.
«Che ti prende?» domanda Izou, guardando dietro di sé probabilmente per studiare la distanza che lo separa dalla porta della cucina. Sobbalza quando mi alzo dalla sedia.
«So cosa fare. So cosa fare! Io… tu… io ti amo!» esclamo, afferrando il suo viso a due mani per stampargli un bacio in fronte.
Scioccato, rimane pietrificato sulla sedia a fissarmi ma io sono troppo esaltata per stare ferma.
«Koala io sono gay, te lo ricordi vero?»
Non gli rispondo nemmeno, al momento la mia testa è da tutt’altra parte. Perché non è finita, non ancora!
«Koala!»
«Ragazzi!» chiamo, precipitandomi verso il salotto.
Dobbiamo darci una mossa, non c’è un minuto da perdere.
«Ragazzi, dobbiamo andare in ufficio! Subito!»
 

 
§

 
«Fortuna che Marco ha sempre le chiavi del reparto stampanti!» esclama Usopp, sopra i quattro tonfi sgraziati delle portiere della Phoenix blu che si chiudono.
«Oh sì. Una vera fortuna. Altrimenti non saremmo potuti andare al lavoro anche di domenica» commenta Izou, tornato bruscamente alla modalità acida, complice anche il fatto che lo abbiamo costretto a sedersi dietro in mezzo.
D’altra parte, serviva qualcuno a fare da separatore. Koala e Usopp con il portatile e io con la tavoletta grafica, ci saremmo presi a gomitate se ci fossimo messi tutti vicini.
«Grazie per esserti offerto di accompagnarci» mormoro, posando una mano sul braccio di Marco, che sta mettendo in moto.
Un ringhio sommesso mi raggiunge dal sedile posteriore. E non è Izou, ne sono certa.  
«Usopp, controlla le statistiche che ti ho chiesto, ho bisogno di capire il target preciso a cui possiamo rivolgerci. Io do un’occhiata alle campagne in campo di abbigliamento degli ultimi sette anni dell’azienda. Nami tu continua a disegnare» snocciola Koala, con quel suo tuono che non ha nulla di autoritario ma è così convincente e organizzato che non si può non darle retta o contraddirla. E d’altra parte, nessuno di noi ci sognerebbe di farlo dal momento che è pronta ad esporsi in prima persona, in qualità di capo del team, in un progetto privo di alcun fondamento, studio statistico o analisi preventiva.
«Potresti aver salvato l’azienda» le dico, lanciadole un’occhiata da sopra la spalla.
Stacca per un attimo solo gli occhi dal monitor, il tempo di ricambiare il mio sorriso. «O potrei avere inventato l’oggetto più inutile mai visto. Ma pensiamoci quando sarà il momento»
«Ragazzi, vorrei solo dire che non mi sembra molto saggio che io viaggi senza la cintura» Usopp afferra a due mani il proprio portatile quando Marco sterza bruscamente in retromarcia, facendo sobbalzare tutta l’auto. «Oltretutto se ci trovano in sei su una macchina omologata per cinque ci fanno la multa» continua ad argomentare con voce instabile, un attimo prima che Marco imbocchi una curva con guida piuttosto sportiva.
«Usopp concentrati» mormora Koala, continuando a smanettare alla velocità della luce.
«Io non tiro fuori un centesimo» metto in chiaro, staccando un attimo gli occhi dai bozzetti per lanciare un’occhiata omicida nello specchietto retrovisore. «Che per me poteva anche starsene a casa…» indico con il pollice Zoro, seduto dietro di me e con Usopp sulle gambe.
«Quindi adesso posso stare a casa?! Questo sì che è un cambiamento inaspettato» fa scattare i denti lui.
«Zoro…» lo chiama Usopp con voce flebile. «Per favore non dire a nessuno che mi hai tenuto in braccio. Soprattutto a Sanji»      
«Poi mi spiegherai perché hai detto a me di fare silenzio e loro possono parlare quanto vogliono eh!» Izou si lamenta con Koala ma lei non fa in tempo a rispondere – e probabilmente non ce l’aveva nemmeno in programma – che Marco inchioda a un rosso e ci catapulta tutti in avanti, riuscendo  nella miracoloso impresa di zittirci.
«Scusate» si limita a mormorare, asciutto e, per il resto del tragitto, nessuno aggiunge più niente.
Sono così concentrata su quel che sto facendo che nemmeno so come mi ritrovo al reparto stampanti della Ivankov&Co., la mia tavoletta grafica collegata al portatile di Usopp, collegato alla stampante che Izou sta impostando con mani esperte, sotto gli occhi attenti di noi tutti che attendiamo di scoprire se Koala ci ha, ancora una volta, salvato il sedere.
L’attesa è interminabile quando la stampante comincia a vibrare, con tale violenza da farmi temere che quella stupida stoffa ne uscirà a brandelli. Mi mordo il labbro inferiore, beccheggiando su punte e talloni. Quasi non mi accorgo che Marco e Zoro sono alle mie spalle, uno accanto all’altro, entrambi a braccia conserte.
Ma mi accorgo invece subito di Zoro che si schiarisce la gola, perché persino il suo respiro per me è inconfondible.
«Perciò… questo è il tuo lavoro?» domanda e io lo guardo con la coda dell’occhio, curiosa all’inizio e sopresa poi, quando mi accorgo che sta parlando con Marco, in palese sarcastico riferimento al fatto che negli ultimi dieci minuti non abbiamo fatto che fissare una gigantesca macchina nera che sembra fare tutto da sola una volta schiacciati i tasti giusti.
«Una cosa del genere»
«Mh» mugugna a labbra strette. Mi porto una ciocca dietro l’orecchio, un po’ nervosa. «Sicuramente è ricco di aspettative»
Giro rapida lo sguardo verso Marco, sempre con discrezione, e qualcosa di caldo si scioglie nel mio petto quando mi accorgo che entrambi stanno ghignando divertiti.
«Puoi giurarci, amico» conferma Marco e Zoro si concede di sbuffare una mezza risata, che quasi fa scoppiare a ridere anche me per il sollievo e la famigliarità che questo breve scambio di battute è riuscito a suscitare, se non che la stampante si mette a fischiare, annunciando finalmente la fine del processo di stampa, per poi emettere con lentezza esasperante il quadrato di stoffa che abbiamo recuperato per quest’ultimo disperato tentativo.
Uno più teso dell’altro, ci ammassiamo più vicini al grosso macchinario e osserviamo il frutto del nostro lavoro venire lentamente alla luce. Per un attimo nessuno di noi riesce a dire niente, finché Usopp non emette un suono che assomiglia parecchio a un singhiozzo trattenuto.
«Koala…» la chiamo, cercando a tentoni la sua mano perché non riesco a staccare gli occhi dal vassoio della stampante. Per tutta risposta, lei me la stringe con la propria, espirando un sospiro di sollievo.
«Ragazzi» mormora, girandosi lentamente a guardarci con un sorriso splendente e un che di solenne nel tono. «Sarà meglio munirci di caffè. Abbiamo un progetto da preparare entro domattina» 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: ___Page