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Autore: fiammah_grace    13/03/2018    1 recensioni
[Resident Evil: code Veronica X]
"Seppur la non fisicità di Alexia, la sua presenza era rimasta come un alone costante nella vita dell’uomo che abitava oramai da solo quel vuoto castello.
Una costante fittizia, ma così viva e forte che a un certo punto lui stesso l’aveva resa reale continuando a dare un nome, un volto e un ruolo alla sua venerata e lontana sorella, muovendo uno spaventoso gioco di ruolo mentecatto in cui ella esisteva e non lo aveva mai lasciato.
Nulla avrebbe avuto importanza per lui. Avrebbe sacrificato ogni cosa al fine del benessere e del successo della sua Unica Donna, la sua Unica Regina. Persino se stesso.
Qualcuno tuttavia aveva osato disturbare la sua macabra attesa.
Claire Redfield. Il nome della donna dai capelli rossi che aveva invaso il suo cammino nel momento più prezioso. Il nome dell’infima donna che aveva sporcato l’universo perfetto di lui e Alexia, portando scompiglio nel suo territorio.
Quella formica che gli aveva dato del filo da torcere…persino troppo. Più di quanto potesse sopportare."

[Personaggi principali: Alfred Ashford, Claire Redfield]
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Alfred Ashford, Claire Redfield
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 19: essere o non essere
 
 
 
 
 
Non è solo per quello che facciamo che siamo ritenuti responsabili, ma anche per quello che non facciamo.
(Molière)
 
 
 
 
 
Il rintocco sfuggente di passi che calpestano un suolo vuoto, esteso, abbandonato.
Il silenzio maestoso disperso nel buio, in un tetro eppure meravigliosamente raccapricciante universo ove vigono regole che non possiamo controllare.
Le regole del caos più assoluto, della mente quando si libera dai vincoli della razionalità, del perbenismo, della sua costretta e ipocrita umanità.
Alzate dunque il sipario, guerrieri del sogno!
Alzatelo e occupate questo palco!
Date sfogo a quello che la mente umana rinchiude in un cassetto e decide di vincolare, di occultare e dimenticare a favore della propria falsa felicità. Date sfogo alla sua inconfessabile natura, ai suoi offensivi e perversi desideri. Alle fiere che si celano dietro le sue sante apparenze. Oscuri e detestabili istinti che nella notte, quando il raziocinio si abbandona al beato riposo, subentrano appagano finalmente la loro sete.
Perché noi uomini ci vincoliamo tanto? Perché da soli poniamo catene disumane sulle nostre braccia?
Perché ci ancoriamo alle mura di una felicità così falsa ed evanescente?
La paura ci ha resi dei codardi.
Tuttavia non temete, è quando avrete gli occhi aperti che dovrete tenere a freno le vostre preoccupazioni, i vostri istinti e i vostri pensieri
Quando chiuderete gli occhi, invece, nessuno vi farà del male. Potrete riempire questo palco con le immagini e i sentimenti che preferite. Che siano dolci, che siano amari…che siano di sangue o di clemenza.
Imbrattate queste mura! Scolpite e graffiate il parquet! Strappate e bruciate le sue tende!
Fate pure, tanto dopo la notte tutto sarà già sparito.
Non pensate però di dimenticare.
Celato in un angolo di quella parte della vostra mente, quei feroci desideri egoisti privati dai vincoli dell’umanità, convivono con voi. Oh, sì…convivono.
Vi struggono. Vi struggono perché anche per loro è dura aspettare la notte.
Giacete quindi.
Giacete tranquilli.
Se sia più vera una vita imposta da regole e vincoli, nella quale viviamo quotidianamente nelle ore diurne, rispetto una completamente sciolta e immorale, che si mostra solo una volta abbandonato il nostro controllo razionale… in entrambi i casi sarete costretti a viverle.
Che ci crediate o no, siete entrambe le cose.
L’uomo del giorno è uguale alla bestia in cui si trasforma di notte.
Solo che non avete il fegato per ammetterlo. Non avete il coraggio per urlare che anche voi vorreste essere come quell’incubo. Un incubo crudo, sporco, meschino, eppure puramente libero.
Non abbiate gli occhi corrucciati, non disapprovate quelle immagini disturbanti che ambite.
Siete tutti esseri umani. E tutti gli esseri umani convivono con tutto questo.
Possiamo far finta che non siano nulla, che siano solo “sogni”. La verità invece è che l’uomo è schifosamente ipocrita. Condanna il mostro che è dentro di sé, convincendosi che la vita è oltre i nostri incubi.
Invece la vita è proprio lì, proprio dove nessuno può controllarci; dove nessuno può vederci.
 
Un fascio di luce bianca si diffuse nel vuoto, schiarendo l’immagine di un uomo dagli abiti aristocratici. Egli alzò il viso, lasciando ben evidenziare i suoi tratti da quella violenta illuminazione.
Il suo viso era sporco di polvere e di sangue, i suoi capelli pallidi erano appesantiti e disordinati, le sue vesti erano sgualcite e graffiate. La sua spalla era dolorante sebbene cercasse di non darlo a vedere. La foratura del proiettile che aveva lacerato la sua carne diverse ore prima aveva preso a pulsare di nuovo. Sentiva il viso caldo e la pelle fredda. Ciononostante il suo sguardo era fermo, severo, carico di forza.
L’ex comandante di Rockfort Island, Alfred Ashford, era un folle eppure fiero soldato.
Dietro le sue gesta eccentriche, la parlantina equivoca e la mentalità astrusa, si mascherava un Re rigido e imponente, capace di rialzarsi milioni e milioni di volte pur di difendere il suo regno inestimabile.
Egli avanzò sul parquet scuro e tirò con veemenza una corda vecchia e impolverata eppure ancora molto resistente; questa fece faticosamente sollevare un pesante sipario di velluto, dietro al quale erano celati dei meccanismi dalle forme incomprensibili.
L’uomo giostrò con l’impianto di illuminazione posto sul muro, ricollegandolo in modo corretto e attivando finalmente tutti i fari dell’enorme teatro. Questi puntavano verso ognuno degli elementi che ornavano quel palcoscenico, suggerendo perfettamente l’idea che questi costituissero il trabocchetto che gli spettava da risolvere.
Alfred si avvicinò di fronte una tela grande poco più di un metro, ubicata su una parete ben visibile della scena. L’immagine raffigurata era quella del misterioso e inquietante “Incubo” di Johann Heinrich Füssli, risalente al 1782. Si trattava ovviamente di una copia, tuttavia l’artista era riuscito a riprodurre vagamente la profonda concettualità ivi racchiusa, ove la mente si abbandona ai suoi desideri più istintivi durante il periodo inconscio della notte.
L’opera apre una finestra sulla parte più oscura e irrazionale della mente umana. In un momento in cui dilaga la razionalità, Füssli porta in superficie gli impulsi più inspiegabili che sottostanno al meccanismo onirico.
L’immagine vede uno sfondo scuro, impalpabile, che abbraccia nel suo nero l’intera scena ove la protagonista è una giovane donna addormentata in una posizione contorta. Ella è supina e le sue braccia sollevate sono rivolte verso la base del tetto; il suo busto è ritorto e l’espressione sofferta e abbandonata richiama l’agonia che osteggia nei suoi pensieri. Un demonio è rannicchiato sul suo addome, quale simbolo di un astruso incubo inammissibile, materializzatosi come simbolo dell’oppressione che la soffoca. Da qui non è difficile intuire per quale motivo suddetta tela è denominata Incubo.
Una cavalla dagli occhi orbi e vuoti spia la scena fuoriuscendo da un tendaggio purpureo, etimologicamente simbolo dell’incubo (in inglese nightmare: ‘night’ più ‘mare’, ovvero notte e cavallina), tramutatosi come uno spirito mandato a tormentare i dormienti.
L’insieme di queste forti immagini contrastanti, enfatizzati da chiaroscuri decisi e violenti, vanno a rappresentare il concetto di Incubo in modo penetrante. Abbracciano verità e sentimenti contrastanti, un libido spudorato e sottaciuto che, nella normalità del quotidiano, la fanciulla riesce a celare…ma che nella notte si sprigionano con tutta la loro veemenza.
Il contrasto che vi è fra la realtà rappresentata in primo piano nel quadro, e l’incubo ove regnano le figure in secondo piano.
Compito di Alfred era ordinare quel palcoscenico e ricreare la scena seguendo un ordine ben preciso.
Egli si avvicinò alla prima scultura e tirò via il lenzuolo che lo teneva preservato. Era un comodino ove erano poggiati pochi elementi, quali uno specchio e dei cosmetici.
In seguito svelò la fanciulla addormentata. Una scultura dalle proporzioni umane, realizzata con una minuziosità impressionantemente realistica. Il biondo Ashford avvicinò a lei la figura di una cavalla realizzata su un elemento di scena. Infine poggiò sul suo addome la statuetta di un diavolo, che aveva già reperito lungo il suo percorso.
In ultimo a tutto, spense di nuovo le luci e attese.
Attese ponendosi accanto a quella donna affranta, accarezzandola dolcemente e condividendo quel doloroso eppure appagante incubo.
Conoscitore della meschina crudeltà dell’animo umano, del peso di quegli spasmi crudeli ed eccitanti che nessuno aveva il coraggio di ammettere nemmeno a se stesso.
Incubi raccapriccianti e desiderabili.
Incubi che persino lui non poteva controllare…
 
Clank
 
Il rintocco di un chiavistello risuonò nel buio. Alfred riaprì gli occhi e guardò nella direzione di quel suono. Egli sapeva dove avanzare, non ebbe nemmeno bisogno di riaccendere la luce.
Si approssimò alla porta e lasciò quell’ambiente, simbolo non solo più dei suoi tormenti riguardo Alexia…ma anche di quei desideri inconfessabili che gravavano sul suo cuore.
Dolenti e meravigliosi.
Quando fu dall’altra parte dell’uscio, una spia verde illuminava la zona. Alfred non seppe se sentirsi sorpreso o non. Quel segnale indicava che il codice 1971 era stato inserito nel tastierino, ciò ci traduceva nel fatto che Claire Redfield era riuscita a trovare l’insenatura nel muro così da sbloccare il suo passaggio, prima di collocare in modo ordinato i quadri dell’Amleto.
Sorrise.
Non era dell’umore per interpretare i suoi pensieri, tuttavia quella reazione si materializzò spontanea senza che nemmeno se ne rendesse conto.
Lasciò quindi quella stanza evitandosi la lunga e noiosa scappatoia che in caso contrario avrebbe dovuto intraprendere, raggiungendo così direttamente la sezione successiva grazie all’aiuto della sua misteriosa e incomprensibile partner che gareggiava con lui in quel gioco di coppia.   
Adesso veniva il difficile, proprio oltre quell’uscio.
Proprio perché Claire stava evidentemente avanzando con lui, era adesso necessario che anche lei si trovasse dall’altra parte.
Era giunto all’ultimo stage di quella trappola mortale che li aveva divisi.
Subentrò in un’area cupa, umida, fredda; si trattava di un ambiente costruito direttamente nella roccia, le cui pareti erano bagnate e ammuffite. Su una pedana di marmo posta in fondo alla stanza vi era un grande portone di ferro, decorato con l’immagine di due figure di sesso opposto che aprivano le due ante. Nonostante il muschio lo avesse deturpato ricoprendo gran parte di esso, restava un elemento di notevole appariscenza. Alfred lo fece collocare lì sotto molti anni prima, dimenticando quasi la dedizione con la quale scelse quel materiale e quei preziosi intagli d’argento.
Fece scorrere la mano su di esso, nostalgico, dopodiché si soffermo sulle numerose serrature che tenevano ben sigillato quell’ingresso.
Erano dieci toppe, eccentricamente poste l’una dopo l’altra, tutte molto grosse e rugginose. Il tempo aveva fatto il suo crudele corso e per qualche istante persino l’Ashford si preoccupò del loro stato particolarmente gravoso. Cercò di sbirciare oltre ognuna di essere, come accertandosi che fossero come se le ricordava.
Era restio ad ammetterlo, ma in quell’istante faticava a ricordare senza indugi l’esatta combinazione da seguire. Questo perché c’era un severo modo per aprila.
Doveva però assicurarsi che ci fosse Claire dall’altra parte.
Il biondo corrucciò gli occhi, detestando quella situazione. Odiava dover palesare quel suo momentaneo stato di bisogno; doveva però ammettere che se la Redfield era riuscita a sopravvivere e ad arrivare fin lì, sarebbe potuto tornare molto più in fretta ai laboratori e assicurarsi che Albert Wesker non avesse fatto danni alla struttura. Si sarebbe vendicato di lui, oh, sì.
Mentre era assorto in quei pensieri, il suo orecchio percepì il rintocco di dei passi.
Sebbene quella porta fosse molto prominente, i rumori dall’altra parte erano pressappoco nitidi; gli sembrava quasi di poter vedere chiaramente qualcuno aggirarsi dall’altra parte dell’uscio.
Calcolando il probabile peso e statura del soggetto dalla pesantezza dei passi, non faticò a immaginare qualcuno di leggiadro ed esile…ovvero la cara Claire Redfield.
Alfred cominciò a battere sul ferro con un pugno ben saldo.
 
“Redfield?”
 
“Uh? Alfred! S-sei qui?”
 
L’Ashford sorrise, soddisfatto.
Fece caso alla voce lontana della giovane, così si apprestò a rivelarsi meglio.
Appoggiò la spalla sulla porta adagiandosi con il resto del corpo, incrociando le braccia e tirando una sorta di sospiro di sollievo.
 
“Ben ritrovata, Redfield. Dove mi cerchi? Sono dietro il battente che dovresti avere davanti ai tuoi occhi. Avvicinati, non farmi alzare la voce. Devo spiegarti delle cose.”
 
La rossa obbedì, schiacciandosi quasi contro la porta in ferro battuto.
 
“Ci sono.”
 
Ci fu un breve momento di silenzio. Un’innocua contentezza di ritrovarsi?
Sebbene non potesse scorgerla, Alfred ebbe come la sensazione di vederla… di immaginarla mentre sistemava i capelli dietro l’orecchio e timidamente cercava di approcciarsi a lui.
A un uomo complicato come lui……ne era cosciente.
 
“Stai bene?”
 
Il biondo sussultò a quella domanda. Si ritrasse, profondamente scosso da quel tipo di attenzioni, era qualcosa cui non era abituato e soprattutto non voleva cedere alle emozioni. Dunque presto tagliò corto, scappando da quel disturbo.
 
“Non è il momento per parlare, ora. Hai trovato lo stiletto?”
 
La ragazza si sorprese di quel tono severo, tuttavia non vi diede peso più del necessario. Le circostanze non lo permettevano. Recuperò l’oggetto e lo pose di fronte a sé.
 
“Sì, ce l’ho in mano proprio ora.”
 
“Bene, introducilo nella serratura più a destra e lascialo lì. Quando senti scattare, non muoverlo ulteriormente. Sarà certamente arrugginito, ma funzionerà senza dubbio quindi lavoraci un po’, senza spezzare la lama.”
 
L’Ashford seguì i movimenti di Claire ascoltando attentamente i rumori dall’altra parte. Era come se fosse esattamente accanto a lei. Poteva vedere il momento in cui aveva infilato lo spadino, i suoi sforzi nel farlo girare, il tremore, la pressione delle sue mani su di esso. Quando sentì il meccanismo rispondere, la fermò.
 
“Perfetto, non muoverlo ulteriormente.” Si fermò. “Ascoltami attentamente. Davanti a noi ci sono dieci toppe ove inserire correttamente delle chiavi. Dal momento nel quale io girerò la prima, avremo un tempo prestabilito per aprire questa porta. Un tempo in cui: non potremo sbagliare, non potremo ritardare, ma soprattutto dovremo muoverci all’unisono; or dunque presta ascolto a ogni passaggio.”
 
“D-D’accordo.”
 
La sentì asserire, leggermente incerta. Alfred sapeva che non sarebbe stato semplice, ma confidava nel buon senso di Claire, dopotutto si era dimostrata abbastanza…intelligente. Doveva ammetterlo.
Decise di abbandonare ogni dubbio e di cominciare subito a innescare la trappola.
Esatto, ‘trappola’.
Solo attivandola poteva infatti riuscire ad aprire quell’uscio.
Pescò dunque una chiave dalle sue tasche e la infilò nella prima delle serrature che, dopo un po’ di resistenza, scattò.
A quel punto un’appariscente armatura roteò dall’altra parte del muro, apparendo nella stanza. Questa sollevò le braccia e puntò una balestra contro di lui.
La stessa cosa avvenne alle spalle di Claire, dall’altro lato della stanza. Entrambi poterono sentire il raccapricciante stridio del metallo che strisciava mentre assumeva quella posizione.
 
“Si è…si è mossa un’armatura!”
 
“E’ la stessa che hai già visto nell’altra stanza, ricordi? Se sbagli un passo, ti trafigge. Esattamente come allora.” Disse serio, ma totalmente tranquillo. “Questa trappola è stata ideata per dividere in modo irreparabile la coppia e impedir loro di proseguire, condannandoli a morire nella più completa pazzia e solitudine. Ragion per cui muoviti con garbo e non fare niente di testa tua! Ora girerò la seconda serratura e succederà esattamente questo: si solleverà da terra una colonna su cui è appoggiata la ricostruzione in pietra di un’aquila. Girala verso questa porta e non muovere altro finché non prenderò parola.” Si bloccò. “Appena senti la serratura scattare, vai.”
 
Entrambi si misero nella propria postazione. Sia Alfred che Claire attesero di sentire la seconda serratura muoversi e appena questa girò, la colonna apparve in entrambe le stanze. Vi si affiancarono e presero a farla girare fino a portarla nella direzione desiderata. La rossa strinse i denti, affaticata dalla pesantezza di quella statua. Nonostante le mani completamente graffiate, riuscì infine a spostarla. Si voltò dunque verso la porta.
 
“Io ho fatto!”
 
Non ebbe nemmeno il tempo di terminare la frase, che un rumore alle sue spalle la fece scattare d’un tratto. Sembrava come se una grata fosse caduta da qualche parte. Pregava in cuor suo che non fosse apparsa qualche b.o.w. proprio in quel momento!
 
“Ehi, ho sentito un rumore.”
 
“Non ora, Redfield. La trappola è innescata. Presto la stanza sarà pervasa da un potente gas velenoso. Cerca di rimanere lucida fino alla fine, questo inibirà i tuoi sensi e la tua capacità cognitiva. Resta concentrata.”
 
Claire sospirò sconcertata. Perché stavano innescando quella trappola? Era…era una follia!
Una statua brandiva un’arma pronta a colpirla, seguendo i suoi movimenti diabolicamente e attendendo un suo passo falso; un gas si stava propagando nella stanza e presto l’avrebbe assopita, condannandola a una morte infausta; oltre questo, lei non possedeva nessuna chiave per proseguire e doveva assecondare gli ordini di Alfred in modo perfetto o avrebbe decretato anche la sua disfatta.
Era una situazione veramente tesa.
Non si tranquillizzò quando, oltre la porta, cominciò a sentire gemiti di dolore a lei molto ben noti; nella stanza ove era intrappolato il biondo v’erano degli zombie!
Claire osservò con rabbia il fucile da caccia che aveva…non poteva passarglielo in nessun modo?!
 
“Alfred?! Cosa succede lì dentro?”
 
“Non è un problema tuo, bada alla tua posizione, non farmelo ripetere ancora. Cerca inoltre di non parlare troppo, stupida! Vuoi forse immettere nei tuoi polmoni una dose letale di veleno?”
 
Claire non poteva negare di essere notevolmente nervosa. Osservò la nebbia densa e giallastra cominciare a propagarsi nella stanza, costringendola a tossire. Gli occhi presero a bruciare nell’immediato, ragion per cui doveva muoversi il più in fretta possibile.
 
“Avvicinati alla terza serratura. Ascolta…coff…coff…dalla tua parte v’è la metà mancante della chiave. Dovresti avere la parte del manico. La chiave dentro è spezzata. Io adesso infilerò la punta. Non dobbiamo perderla quindi gira la chiave esattamente quando mi muoverò io. Dovremo ripetere questo gesto per tutte le restanti chiavi, muovendoci nell’esatto ordine e con la precisione che ti chiederò man mano.”
 
La ragazza stette in silenzio, facendo caso solo in quel momento che più d’una serratura pareva avere la chiave incastrata.
 
“Gira ora!”
 
Claire obbedì. L’uomo la fece poi spostare direttamente verso la quinta serratura, che dovettero di nuovo muovere all’unisono, così come le altre successive. Intanto il gas veniva sempre più a galla, annebbiandole la vista e impedendole di avere la lucidità che avrebbe voluto.
Dal suo canto sentì dei colpi d’arma da fuoco. L’Ashford stava combattendo le b.o.w. da solo e al col tempo doveva rimanere concentrato sulla soluzione di quell’enigma.
Possibile che tutto ciò che potesse fare era girare delle chiavi?!
Tutto d’un tratto, quando finalmente arrivarono all’ultima serratura, partì un suono di slancio che pietrificò la rossa.
Portò tempestivamente lo sguardo verso dove ipoteticamente era il ragazzo e urlò spaventata.
 
“Cosa è stato?!”
 
Alfred osservò la sua spalla trafitta. Una freccia di legno durissimo aveva passato da parte a parte la sua spalla, ferendolo poco sopra lo stesso foro di quel colpo d’arma da fuoco procuratosi quando aveva assunto le sembianze di Alexia.
Tremava. Il sangue prese velocemente a rigare il suo corpo, imbrattando di rosso le sue vesti. Non poteva quasi muoversi; ogni più piccola contrazione del muscolo gli avrebbe provocato una fitta lancinante. Ciononostante non riuscì proprio a restare immobile e dovette lentamente scivolare sul suolo. Questo mentre l’odore di quel liquido organico stava attraendo le b.o.w. sempre più prossime a lui.
Tentò di mirare ai loro punti vitali con una pistola d’epoca che aveva portato con sé, tuttavia il braccio cascò a terra, incapace di sopportare quel dolore.
Digrignò i denti, questo mentre Claire incominciò a sbattere le mani contro la porta.
Dal suo canto, per la ragazza quello era stato un evidente suono di una freccia scoccata ad una velocità mortale. Quel fruscio che taglia l’aria prepotentemente e in modo inesorabile era inequivocabile.
Era evidente che la freccia dell’arciere era stata scoccata, e se non era stata colpita lei, allora era stato colpito Alfred.
Perché? Cosa avevano sbagliato? L’Ashford aveva ricordato una combinazione errata? Com’era possibile?!
 
“Rispondi! Cos’è successo?!”
 
Ripeté sperando che quel prolungato silenzio non presagisse alcuna tragedia. Portò intanto una mano sulla bocca, non riuscendo a trattenere più di tanto il respiro. La testa doleva, si sentiva sempre più venir meno.
Si guardò alle spalle. Il suo arciere era invece ancora fermo, tuttavia imperterrita puntava contro di lei. Doveva uscire da quella stanza al più presto.
 
“Eh..eh…Redfield.” ridacchiò Alfred, al che la rossa si girò. Lui intanto tese una gamba e cercò di adagiarsi nella posizione meno dolente possibile. “Ti……..ricordo che questa trappola è stata….. creata appositamente per…..per uccidere. Non è tecnicamente possibile che vi si sopravviva. Non v’è un modo per salvarsi.”
 
Claire alzò il viso sforzandosi di tenere ancora gli occhi aperti. Le parole del biondo la fecero rabbrividire.
 
“Cosa intendi?” chiese, ormai certa che qualcosa dovesse essere andato storto.
 
“Intendo…ugh…che sapevo che la freccia avrebbe scoccato. Ho solo fatto in modo che a colpire fosse il mio arciere. Tu…non avresti mai saputo muoverti in modo da non rimanere uccisa. Tsk.”
 
“Cosa stai dicendo? Sei stato ferito? Apri questa cazzo di porta, Ashford! Maledizione…!”
 
La ragazza riprese a tossire, sentendo i polmoni bruciare. Ciononostante continuò a battere sulla porta, disperata.
 
“Ora ritira lo stiletto. Infine utilizza la chiave che…che dovresti aver reperito da quel cuore spezzato. L’hai trovata, no? Dentro il suo petto, squarciando la sua pelle raggrinzita.”
 
La Redfield cercò automaticamente nelle tasche e la trovò. In seguito recuperò lo stiletto e finalmente un bocca d’aria aspirò tutto il veleno, facendo tornare l’aria respirabile finalmente.
Utilizzò prontamente la chiave per aprire la serratura finale dopodiché spalancò la porta in metallo.
Dovette darvi diversi colpi per far cedere quello strato di sporco che la teneva bloccata Dio solo sa da quanti anni, ma oramai ci aveva fatto l’abitudine.
Dopo quattro o cinque colpi ben assestati si aprì uno spiraglio dal quale scivolò attraverso velocemente, portando prontamente il fucile all’altezza del viso.
 
“Stai attenta, qui è pieno di mostri, mia cara…”
 
Con la coda dell’occhio individuò Alfred accasciato a terra, sanguinante; tuttavia dovette mantenere l’obbiettivo perché le assetate b.o.w. strisciavano e si appropinquavano violente verso di loro.
Un paio erano già crollate a terra, esamine; erano quelle che aveva colpito Alfred; le altre bramavano ancora le loro vite, attirate avidamente dal sangue fresco che colava sempre più copioso dall’ex-comandante di Rockfort.
Claire si mise davanti a lui, abbattendo una dopo l’altra quegli essere insaziabili. Scaricò l’intero caricatore ancora a sua disposizione, dovendo completare l’opera con i pochi colpi rimasti ancora nella sua 9mm.
Quando l’ultimo di questi cascò a terra, la ragazza si piegò verso l’Ashford, pronta a intervenire sulle sue ferite.
 
“Ehi, resisti. Devo, devo toglierti questa freccia. Cerca di non muoverti.”
 
Mentre fece per toccarlo, Alfred le bloccò prontamente il polso. La rossa si ritrovò così a specchiarsi nei suoi occhi pallidi, stavolta estremamente sofferti eppure ancora penetranti.
“Non…puoi. Se ti muovi ancora, non usciremo vivi di qui. Io non ho……alcuna intenzione di morire, Redfield. Perciò ora alzati e…..usa di nuovo quella dannata chiave e andiamo via di qui.”
 
“Okay. Lascia però che ti aiuti.”
 
Disse offrendosi come appoggiò per lui, cosa che rifiutò categoricamente. Alfred si mise arrogantemente in piedi da solo e una fitta lo trafisse da parte a parte facendolo piegare dal dolore.
A quel punto Claire mise prepotentemente un braccio attorno a lui e lo portò via con sé. Lo vide estremamente pallido e sudato. Egli cercava ancora di mantenere un aspetto altolocato, ma la sua bruttissima cera stavolta lo tradiva enormemente.
Lì per lì ebbe il timore che non ce l’avrebbe fatta.
Prese nuovamente fra le mani la chiave e la usò per scappare da quella stanza. Non sapeva per quanto ancora potesse portare Alfred in quelle condizioni. Fece un esame veloce del nuovo ambiente, si trattava di un corridoio dall’aspetto molto cadente. Poteva avanzare liberamente, o qualche ostacolo albergava crudelmente fra quelle pareti? Sbirciò in direzione del biondo che faticava a restare cosciente.
Claire non indugiò e avanzò comunque avanti, ma a quel punto l’Ashford si scostò da lei e si pose dinanzi in modo stentato. La ragazza si tenne pronta a sostenerlo al primo tentennamento, al contempo impegnata a seguire gli zombie già pronti a tornare all’attacco; evidentemente non li aveva atterriti del tutto prima.
L’erede Ashford intanto azionò un meccanismo muovendo uno strano ingranaggio sulla parete simile a un orologio. Questo fece innalzare una porzione del muro che liberò un passaggio segreto.
Avanzarono velocemente, dopodiché l’apertura si chiuse alle loro spalle repentinamente. Il biondo a quel punto traballò, trovando subito appoggio sul muro; la Redfield gli si approssimo, stavolta più decisa.
 
“Non puoi continuare in queste condizioni…”
 
“Lo so.” pronunciò irritato da quella costatazione evidente. Poi aggiunse. “Siamo arrivati…poco più avanti…dobbiamo avanzare.”
 
Egli fece per muoversi, ma era totalmente impossibilitato.
La rossa si morse le labbra non sapendo come aiutarlo. Sapeva che ogni passo lo avrebbe trafitto di dolore, in più non sapeva nemmeno come toccarlo e offrirgli un appoggio adeguato. Dovevano però avanzare e dovevano farlo in fretta. Osservò il tunnel dinanzi a loro, pregando che fosse molto meno profondo di quanto sembrasse.
 
 
 
[…]
 
 
 
 
Centro di Ricerche artiche dell’Umbrella Co. – Sotterranei
Stanza nascosta
 
 
 
 
Una volta lasciatosi alle spalle quella trappola mortale, Claire e Alfred si ritrovarono in una stanza ove potettero mettersi al riparo. Sembravano essere giunti in una qualche zona del laboratorio abbandonato lontana dal territorio calcareo dov’erano prima.
L’ambiente era spazioso, sgombro, non era impregnato dall’umidità e la muffa presente nel resto di quei sotterranei.
Si trattava di una stanza semplice, solo molto impolverata, il che andava più che bene rappresentando le circostanze.
Purtroppo dovettero sistemarsi a terra, non v’era nulla che potesse fungere da materasso, o coperta o che potesse offrire un po’ di sollievo e calore al giovane erede della famiglia Ashford, in quel momento in balia degli spasmi di dolore.
Claire scivolò sul pavimento con lui, muovendosi con estrema delicatezza, cercando di non urtare in nessun modo le sue ferite.
Il biondo intanto rimase in silenzio ad osservarla: la sua pelle bianca era sporca e graffiata, i suoi occhi erano stanchi, i suoi vestiti laceri e impolverati, i suoi capelli scomposti e arruffati.
Anche lei doveva essersela vista brutta, lo sapeva.
Non gli era mai successo, ma era la prima volta che si sentiva in colpa.
Egli avvicinò la mano tremante al suo viso; lui che era l’artista che aveva visto in lei la sua magnificenza e una volta l’aveva trasformata nella sua somma Regina, bramava il folle desiderio di sistemarla.
Sentendosi sfiorare, Claire alzò lo sguardo verso di lui; sembrava in uno stato quasi incosciente. Stava perdendo i sensi.
Scostò la mano dal suo viso e gliela adagiò a terra.
L’Ashford le mostrò il profilo e così una ciocca di capelli ormai appesantita gli cadde sul viso.
Claire, prima di farlo appoggiare con la schiena sul muro, sapeva di dover togliergli quella freccia. Non c’erano altrimenti, non poteva restare così ancora per molto.
 
“Devo toglierla, stringi i denti solo qualche attimo. Farò veloce.”
 
Detto questo, spezzò la stecca cercando di scheggiarla il meno possibile, dopodiché la sfilò con veemenza, cercando di far durare quell’attimo di estremo dolore il meno possibile.
Alfred gemette rumorosamente, contenendo il dolore piuttosto dignitosamente, ma la ragazza sapeva bene quanto dovesse aver sofferto.
Tuttavia ora poteva fargli assumere una posizione più corretta, lasciando che si adagiasse sul muro in modo naturale.
Doveva ora occuparsi della ferita, però.
Non seppe capire se Alfred la lasciò fare o se i suoi nervi avessero ceduto. Ad ogni modo lui non proferì parola né tentò di ribellarsi.
Claire gli aprì la giacca, sfilò la cravatta e disfece la sua camicia completamente imbrattata, lasciando dunque scoperto l’intero torace. All’altezza della spalla aveva un aspetto orribile; livido e sanguigno. Era una ferita veramente brutta, doveva pulirlo e bendarlo al più presto.
 
“Scusa…”
 
Disse prima di mettere fra le labbra un lembo della camicia e strappandolo, utilizzandolo così come fasciatura. Purtroppo lei non aveva nulla da utilizzare al suo posto.
Alfred aprì gli occhi e la osservò silente mentre si prendeva cura di lui. Probabilmente non pensava a nulla; lasciò soltanto che lei alleviasse quel dolore insostenibile che affannava non solo il suo corpo, ma anche il suo spirito.
 
Passarono minuti, forse ore.
Alfred Ashford aprì gli occhi; si sentiva dissociato, inerme, la sua mente faticò a prendere coscienza. Notò che la spalla gli doleva molto di meno, invece; se ne sorprese.
Scrutò in giro e scorse poco distante da sé Claire mentre lasciava sciolti i suoi lunghi capelli rossicci. Ella li stava pettinando con le mani, cercando di levar via i nodi e la forma della coda di cavallo che li aveva pieghettati sotto la nuca.
Era davvero molto affascinante con quella chioma ora allisciata che le contornava il viso, scivolando lungo il suo busto raggiungendo l’altezza del petto. Lei si voltò verso di lui, accorgendosi di essere osservata. Sorrise notando che fosse sveglio.
Lui invece si sentì a disagio. Non gli venne di proferir nulla, temeva quei momenti in cui si stabiliva una certa confidenza fra loro. Il suo corpo la guardava con desiderio, ma la sua mente lo puniva e lo lacerava imponendogli di allontanarla, di odiarla.
Eppure lei gli si avvicinò con spontaneità, come se quei pensieri non la scalfissero, come se non provasse assolutamente nulla di tutto ciò.
Questo lo incuriosiva e lo spaventava al tempo stesso. Perché lei era così assurdamente istintiva? Cosa la rendeva così aberrante?
La giovane si mise in ginocchio di fronte a lui, inconsapevole della tortura mentale che gli stava facendo mostrandosi così bella ai suoi occhi. Il biondo rimase inerme, completamente in silenzio. Era la sola reazione che poteva preservalo.
 
“Ti sei svegliato. Come ti senti?”
 
Era solo una sciocca domanda di cortesia, ne era consapevole, eppure la cosa lo seccò molto. Non aveva intenzione di instaurare una conversazione di nessun genere.
Piegò dunque il viso e allontanò lo sguardo, decidendo di essere chiaro con lei, sebbene la sua stessa mente fosse in verità abbastanza confusa.
 
“Lascia perdere, Redfield. Ti sono ovviamente grato per avermi curato la spalla, ma questo non significa nulla, benché meno che voglia aprirmi a te. Sai bene che prima che accadesse questo incidente, ero venuto a cercarti per porre fine alla nostra amara disputa. Non costringermi a dimenticare che dobbiamo proseguire assieme in questo labirinto per sopravvivere. Evitiamo tali parvenze e bada anche tu agli affari tuoi.”
 
La ragazza corrucciò il viso, non aspettandosi nell’immediato una freddezza simile. Era consapevole della difficoltà di Alfred nell’ammettere di aver bisogno di aiuto. Fino a quel momento un po’ l’aveva provocato rispondendogli a tono, un po’ l’aveva evitato cercando di superare mentalmente quegli atteggiamenti. Stavolta voleva parlargli e basta, sfruttare quell’occasione per trattarlo finalmente con naturalità, alla luce della sua recente comprensione dei suoi sentimenti. Non voleva fare calcoli, se Alfred avesse rifiutato l’avrebbe accettato e si sarebbe fatta immediatamente da parte.
 
“Alfred…” prese parola timidamente.
 
“Non accetto che mi chiamo per nome, Redfield.”
 
Claire si morse le labbra.
 
“Ashford.” Si corresse. “Non voglio entrare nella tua vita privata, né crearti disturbi di alcun genere. Non è mai stata mia intenzione, fin dall’inizio. Volevo solo trovare mio fratello, Chris, e uscire dalla prigione di Rockfort. Non ho mai avuto nulla a che fare con tutto quello che è successo dopo. L’attacco alla tua base, gli zombie…sono cose che hanno terrificato anche me. Ho solo cercato di sopravvivere. Non sono un tuo nemico.”
Stranamente il biondo era ancora in silenzio, si chiese quindi se la stesse lasciando parlare per attaccarla al primo sgarro, oppure magari era sinceramente concentrato. Temeva quale sarebbe stata la risposta.
“Io…io non sono come te. Sono una persona molto più semplice e certamente non ho mai vissuto pressioni e traumi come i tuoi. Lo capisco e mi faccio da parte, so che non potrò mai capire. Però non penso che tu possa continuare ad affrontare questa cosa da solo. Hai accollato su di te una grande responsabilità, ti sei fatto carico di un compito importante che hai gestito al tuo meglio, con tutte le tue forze. Sono certa che Alexia e la tua famiglia sarebbero fieri di te, senza dubbio. Ciò nonostante, non puoi pensare di portare avanti tutto questo da solo. Per quanto tu possa essere forte, non credo non ti sei reso conto che hai bisogno di fare qualcosa per te stesso. Qualcosa che sia giusto per te…Ashford.”
 
Alfred teneva gli occhi fissi su di lei, mettendola in grande soggezione. Claire non sapeva se stesse parlando troppo, se fosse riuscita a trovare le parole giuste o se da un momento all’altro lui si sarebbe fatto prendere da uno scatto d’ira e avrebbe inveito contro di lei. Ragion per cui si sentì di mettersi in dubbio e scosse la testa, cercando di essere invasiva il meno possibile.
 
“O-ovviamente non devi parlarne con me. Io non so niente di te, lo ammetto. Non ti sto dicendo tutto questo per…per spingerti a fare qualcosa di particolare. Credo solo che tu non possa vivere da solo e…” si fermò e si specchio nelle sue iridi enigmatiche. “e…..io volevo dirtelo. Nessuno te lo ha mai detto. Nessuno lo ha mai fatto.”
 
L’uomo la osservò mentre stringeva le dita sulle ginocchia, dando segno di tensione, inquietudine.
Per lui era complicato ascoltare parole simili, non era abituato a parlare di se stesso. Era suo dovere soltanto proteggere la sua famiglia e il suo onore. Ad ogni costo.
Discostò lo sguardo, ferendo così i sentimenti di Claire con quell’atteggiamento di chiusura. La rossa vide sfumare davanti a sé tutta la sincerità che aveva cercato di trasmettergli.
Egli non si era né arrabbiato, né aveva parlato o fatto qualsiasi. Aveva fatto di peggio.
Aveva deciso di ignorarla del tutto.
Lei aveva già parlato troppo, non poteva allungare ulteriormente il discorso rischiando di diventare odiosamente polemica; dovette ingoiare le milioni di parole non dette che avrebbe ancora voluto dirgli.
Si sentì solo di aggiungere un’ultima cosa prima di azzittirsi anche lei.
 
“Volevo che tu ti salvassi assieme a me quando sono caduta nel tranello. Non ho smesso un attimo di pensare a te.”
 
Disse con un filo di voce, trafiggendo l’altolocato uomo dai capelli pallidi posto dinanzi a lei; in seguito la ragazza fece scivolare le gambe di lato e si sedette. Non fece nient’altro.
Alfred invece alzò il viso, serio.
 
“Saresti tu la donna che proverebbe ad affrontare le chimere che osteggiano il mio spirito? Oh, Redfield, conosci di me qualcosa che non amo ammettere. Hai visto cose che non credo ne sopporterei anche solo il ricordo. Mi hai fatto rivelare realtà inammissibili per chi conduce un’esistenza come la mia. Quel che mi chiedi non è più possibile nella mia posizione.”
 
Claire sgranò gli occhi. Era un suo…raro momento di lucidità? Poteva…parlargli davvero? Era disposto a conversare con lei?
Eppure la sua speranza di aiutarlo ad aprirsi fu più forte e così istintivamente posò la sua mano calda sulla sua, per fargli coraggio.
 
“Va bene.” ripeté rassicurante. “Va bene, Alfred. Nessuno ti obbligherà a fare o dire cose che tu non approvi. Voglio solo parlare con te, voglio…voglio che tu comprendi che non sono meschina come credi. Non voglio farti del male.”
 
“Farmi del male…” sussurrò. “Non essere sciocca, so che non puoi farmi del male. Semmai quello cattivo sono io, lo sai.” disse con un velato sarcasmo.
 
“Invece l’ho fatto. Il male che una come me può infierirti è quello di ricordarti cose dolorose; cosa che non ho fatto di mia volontà.”
 
Alfred si sorprese di quella risposta e si sentì a disagio. Egli internamente sapeva che era sempre stato lui a dare battaglia a Claire. L’aveva detestata, aveva maledetto il giorno in cui l’aveva incontrata. Ed era anche vero che la sua bellezza e la sua armoniosità l’aveva…l’aveva irrimediabilmente indotto in tentazione, facendogli sentire sulla sua pelle e nel suo animo quel calore che in tutta una vita gli era stato privato, riducendolo a un uomo solitario e arrabbiato. Lei aveva toccato un tassello che aveva oramai ucciso il suo cuore.
Tuttavia, come aveva detto anche lei, se doveva chiedersi come Alfred Ashford cosa desiderava…non desiderava che questo.
Non desiderava che essere amato.
 
Soltanto che lui…
 
…aveva forse… “paura”…?
 
Il suo cuore sussultò.
Sgranò gli occhi. Le sue mani erano ghiacciate.
Osservò invece la mano di Claire che era calda, dolce, forte, e premeva sulla sua.
Lei era lì, era viva, era vera. Era tutto…reale. Troppo pesantemente reale per quell’uomo che da sempre viveva dietro il sipario di un teatro di macabra fantasia.
Arricciò le dita e a quel gesto la Redfield comprese che doveva tirar via la sua mano. Non voleva disturbarlo.
 
“Sei una persona poco comune, Redfield. Dovresti essere qui per uccidermi, invece sei in ginocchio di fronte a me, attualmente stanco e ferito. Perché?”
 
“Perché adesso so cose che non ti rendono più un mio nemico. Adesso lo so.”
 
“C’è già Alexia per me. E’ solo lei che può guarire le mie ferite.”
 
Claire temeva il momento in cui egli avrebbe messo in mezzo la Regina. Deglutì, decisa a fare breccia dentro di lui.
 
“Hai amato Alexia, sei stato più di un fratello. Hai dimostrato con tutta la tua vita quanto lei fosse importante. Ma credo che anche lei concorderebbe con me, se dico che non avrebbe mai voluto che tu distruggessi la tua vita. Se anche lei ti amava, non lo avrebbe mai voluto. Lei desidera la tua felicità, come tu desideri la sua.”
 
“Alexia vuole che io sia felice?”
 
La Redfield sorrise.
 
“Sì.”
 
Il biondo fece spallucce. Era davvero molto pallido. La ragazza osservò il suo viso stanco e la carnagione così bianca. Temeva che fosse allo stremo delle sue forze, necessitava di cure mediche più appropriate.
 
“Alexia… non può farcela da sola. Ci sono stato sempre io per lei. Anche se non potevo aiutarla. La più grande cosa che avrei potuto fare era un puntino di fronte la sua…intelligenza. Però lei aveva bisogno di qualcuno che le rimanesse accanto, ed io le ho promesso che l’avrei attesa e l’avrei protetta fino a quel momento.”
 
“Che tu la amassi non significa che tu non possa…amare qualcun altro, oltre lei.”
 
“Cosa intendi?”
 
“Lei è…era tua sorella, giusto? Oppure…” si fermò. “…la ‘amavi’?”
 
Alfred comprese che tipo di domanda gli stesse facendo.
 
“Vuoi sapere se provavo un sentimento incestuoso per lei?”
 
La rossa si pietrificò, spaventata dall’idea che si fosse giocata l’intera conversazione in quel momento.
 
“N-non ho intenzione di giudicare i tuoi sentimenti. Non fraintendermi. A me va bene, sul serio. Non sentirti soppesato.”
 
“Redfield, non mi scomporrei di fronte al giudizio di chicchessia, né tanto meno me ne importerebbe. Siete voi stolte persone comuni a credere che l’amore carnale sia l’unica forma di amore per l’essere umano. Ma non lo biasimo. Io stesso ho sperimentato i piaceri dell’atto d’amore più comunemente concepito dal resto del mondo. Sensazioni di calore viscerali e istintive, meravigliosamente inebrianti. Nulla può esservi paragonato in tutta l’esperienza sensoriale umana.” disse con una strana coscienza di causa che Claire non immaginava. “Quello che v’era fra me e Alexia era tutt’altro.”
 
Detto questo inarcò il busto verso Claire e portò le mani sul suo viso. La ragazza riconobbe quel gesto; il gesto di fidata unione che spesso lui cercava di stabilire. Il beato calore umano della pelle di un altro essere umano che soffia sulla propria. L’unione mistica che Alfred aveva disperatamente cercato in tutta la sua vita e che l’aveva portato alla pazzia.
Intanto lui continuò a rispondere alla sua domanda.
 
“Io e Alexia eravamo questo. Eravamo un tutt’uno. Lei era parte di me, e io di lei. Due perfette metà, ove in mancanza della quale la nostra esistenza rimane sospesa, orribilmente deturpata. Il meschino fato ci ha separati, promettendoci un destino più grande in cambio di quel sacrificio. Il prezzo da pagare è stato alto, lo è stato davvero molto. Entrambi abbiamo corrisposto il nostro pegno; non potevamo permettere che quello fosse il nostro solo destino. Tuttavia il premio alla fine sarà inestimabile, credimi.”
 
Claire non si divincolò da quella presa, al contrario fu lei ad avvicinarsi a lui, consapevole che lui non fosse abituato a essere cercato, a essere lui stesso il principale soggetto. Voleva che quell’uomo tornasse padrone della sua vita. Dei suoi più intimi e veri desideri.
 
“Tu lo sai che non è così.”
 
L’Ashford si sentì confuso da quella risposta. Per una volta, furono i meravigliosi occhi blu di Claire ad essere indecifrabili, ricchi di fascino e di mistero. Ebbe un sussulto.
Cosa riusciva a provocare in lui quella donna? Chi diavolo era?
 
“Tu lo sai…che avresti solo voluto qualcuno al tuo fianco. Avresti solo voluto un sorriso, un sincero abbraccio. Saresti stato felice anche solo di questo.”
 
Alfred socchiuse gli occhi, riflettendo.
 
Era vero.
Era tristemente vero.
Lui…
 
“Sei stato lasciato solo troppo a lungo e non è giusto. Nessuno ha cercato di capirti. Nessuno si è accordo di quante altre cose fossi, oltre Il Fratello Gemello di Alexia. Sei stato un bambino dotato, intelligente, poi un adulto che ha studiato e ha ottenuto eccellenti lodi e riconoscimenti. Sei stato anche un soldato. Hai amministrato la tua casa e lo hai fatto da solo proteggendo cosa ti era di più caro. Però ti è stata tolta la vita; vivere ed essere felice…non significa non amare tua sorella.”
 
L’uomo discostò gli occhi, lei però richiamò la sua attenzione avvicinandosi ulteriormente.
Il biondo si sentì fortemente turbato.
 
“Lascia che ti aiuti.”
 
Infine posò le sue labbra su quelle di Alfred Ashford. Lo fece in un momento di profonda comprensione spirituale del suo bisogno di amore, di calore…lui aveva la necessità di comprendere la sua umanità.
Lui era un uomo, un uomo come tutti. Con i suoi desideri, i suoi sogni, le sue idee, le sue ansie, i suoi tormenti, i suoi problemi.
Doveva cominciare finalmente a vedere tutto questo.
Non poteva immolare la sua intera vita a un fantasma che non gli avrebbe mai dato ciò che cercava.
L’avrebbe sempre deluso alla fine.
Si sarebbe sempre accorto di essere un uomo con il vestito e la parrucca di una donna che non esisteva.
Il riflesso di uno specchio non avrebbe mai mostrato due volti complici, ma un singolo uomo che pur di cercare quella felicità, aveva gettato in pasto alla demenza il suo intelletto.
Ciò si era tradotto in violenza, in crudeltà raccapriccianti con cui avrebbe fatto i conti prima o poi.
Però non era quello il momento.
Adesso doveva solo riconoscere i suoi bisogni, i suoi tormenti…e infine…lasciare Rockfort Island. Lasciare i laboratori in Antartide. Lasciare tutto.
Claire lo baciò a lungo, dandogli il tempo di rassicurarsi e abbandonarsi. Per lui fu difficile ammettere quella realtà, non gli era forse più possibile ricordarsi come era essere un semplice uomo. Forse non lo era mai stato.
Aveva soltanto dodici anni quando era iniziato tutto, quando Alexia era caduta nel suo solenne sonno.
Era solo un bambino…
 
…e da allora era iniziato il suo tormento.
…il suo crudele tormento.
 
Ed in verità, anche prima di allora la sua vita era stata brutalmente pretenziosa. Fin dalla sua nascita Alfred Ashford non era stato che una pedina che si era mossa ovunque nella sua scacchiera.
Era stato pedone, cavallo, alfiere, torre, regina, aveva interpretato ogni pezzo…pur di mantenere in piedi il Re. Aveva sconfitto e divorato ogni ostacolo, ogni affronto, persino se stesso.
Tuttavia lui chi era? Chi c’era davvero dietro quell’uomo che aveva portato avanti da solo quella lunga battaglia?
Aveva oramai dimenticato…chi era.
Strinse dunque la traviatrice Altra Donna che lo aveva dannato. Lo aveva dannato da quando aveva fatto rinascere quell’Alfred addormentato, tenuto segregato nel suo cuore. Quell’Alfred che sembrava incapace di essere qualcos’altro oltre il Re che avrebbe protetto la sua Regina.
Lei aveva messo a nudo le reali angosce che avevano spento la sua anima, legato a un compito che nel giro di poco aveva tradotto i suoi malanni in violenza e rovina.
Poteva fidarsi di Claire? Poteva abbandonarsi a quella donna, sfidando di nuovo la paura di essere abbandonato?
Alfred non avrebbe potuto sopportare un’ulteriore ferita come quella, era lacerante la solitudine che fino a quel momento lo aveva sia preservato, sia fatto impazzire.
Non sapeva se quell’abbandono avrebbe successivamente portato altro dolore dentro di lui.
Se lei credeva di poter accollarsi quella responsabilità…la responsabilità di curare il suo cuore, di ricomporne i pezzi, di darvi calore e umanità…allora lei doveva essere folle.
Folle almeno quanto lui.
 
Accettò dunque quelle labbra dolci e delicate che avevano toccato le sue, quelle del folle comandante di Rockfort Island. Quelle che rappresentavano lui come uomo.
Fu come tornare a quella passione accecante che lo traviò quando aveva deciso di nascondersi dietro le sembianze della sua amata sorella. Quella maschera perfetta che leniva le sue pene, ma che era caduta di fronte l’autentico calore umano, concreto e tangibile.
La maschera-Alexia era caduta quando aveva avuto Claire al suo fianco.
Ed adesso era di nuovo a quel punto, a provare quegli stessi sentimenti. Tuttavia li stava provando come Alfred; fieramente come Alfred Ashford.
Penetrò dunque nella sua bocca, affondando le dita fra i suoi capelli.
Temeva che fosse un inganno.
Temeva che tutto potesse finire.
Temeva il crudele destino che da sempre gli era avverso e aveva fatto di tutto per renderlo solo e infelice.
Ma quello stesso fato ingiusto gli aveva donato una sorella gemella per compensare quel dolore…e adesso anche Claire.
Restava però un ultimo passo da fare.
 
“Claire...” sussurrò nel mentre di quel contatto. La ragazza schiuse le labbra, prendendo respiro. Lui le sorrise. “Voglio farti conoscere la mia Regina.”
 
“Alexia?” disse confusa, ancora persa nei suoi sentimenti. “Ma lei è…”
 
“No. Lei esiste. E’ qui in Antartide. Vieni con me.”
 
Rivelò e la prese per mano.
 
 
[…]
 
 
 






 
  
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