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Autore: Rosmary    14/07/2018    9 recensioni
(Questa storia partecipa come edita al contest Chi ben comincia è a metà del prologo indetto da BessieB sul forum di EFP)
È il primo Natale dalla fine della seconda guerra magica: un'eredità inaspettata regalerà ai protagonisti un rifugio lontano dagli odori insopportabili della morte, in cui ogni cosa sembra divenire nuova e possibile.
"Hermione delle volte pensava che vi fosse qualcosa di profondamente sbagliato in quel bisogno, ma spaventata allontanava il pensiero da sé all’istante e s’imponeva di dimenticarlo."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Fred Weasley, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Fred Weasley/Hermione Granger, Ron/Hermione
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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IV
Continuavano a fuggire, ed erravano a ogni passo

 

Era raro che l’atmosfera tra Fred e George fosse tesa, perché in genere non avevano neanche bisogno di discutere o litigare o spiegarsi, era sufficiente uno sguardo per individuare la strada da percorrere – per capirsi. Quella volta, però, Fred non voleva accontentarsi di uno sguardo, anche se era certo che sarebbe stato sufficiente a chiarirgli ogni cosa. Quella volta, Fred voleva che George parlasse con tutta la sincerità di cui era capace.
Quel trentuno dicembre, non appena i familiari erano rincasati dagli ultimi acquisti, George aveva chiamato a sé Fred e gli aveva fatto cenno di seguirlo nella stanza che li ospitava durante il soggiorno festivo. Fred l’aveva seguito senza esitare, rintracciando nell’espressione cupa del proprio gemello un motivo più che valido per assecondarlo in silenzio. Entrati nella camera, s’erano seduti sui rispettivi letti l’uno di fronte all’altro. La porta era stata chiusa a chiave da George, che in meno di cinque minuti aveva messo al corrente Fred della gelida discussione avuta con Hermione qualche ora prima – “è giusto che tu sappia”, aveva esordito. Fred lo aveva ascoltato paziente, condividendo tra sé e sé ogni singola parola e riflessione del gemello – dopotutto George aveva ragione da vendere nel sostenere che Hermione fosse troppo cerebrale e quadrata per accettare con facilità l’ipotesi di mettere a soqquadro la propria vita e le proprie certezze. Tuttavia, il silenzio che aveva seguito le parole di George suggeriva tensione, non complicità, ed entrambi sembravano timorosi di spezzarlo, come se a essere in bilico fossero loro due e non una manciata di parole.

“Non dici niente? Ti dà così fastidio che mi sia intromesso?”

Fred sollevò lo sguardo sul fratello e dalla sua espressione capì quanto gli fossero costate le parole dette in precedenza e le domande appena poste. Desideroso di tranquillizzarlo, di fargli capire che per nessun motivo al mondo avrebbe potuto infastidirlo, gli sorrise sornione, mettendo su quell’espressione tutta loro che riuscì a far sorridere complice George.

“Allora perché te ne stai zitto?” incalzò George.

“Sto aspettando che tu mi dica tutto,” rispose pacato Fred.

“Ti ho già detto tutto, non c’è altro, sul serio.”

“George… non puoi mentire a me, lo sai.”

Il volto di George s’incupì di nuovo, mentre le mani del ragazzo si strofinavano contro le proprie ginocchia – teso, nervoso, spaventato. Non aveva bisogno di chissà quali spiegazioni per capire a cosa stesse alludendo Fred, gli erano stati sufficienti il tono di voce usato – grave – e l’espressione con cui aveva parlato – seria. Hermione era ormai una questione sfocata, priva di importanza, perduta in un tempo che appariva a entrambi remoto. No, quello di Fred non era un invito a parlare di ragazze, forse non ne avevano parlato neanche nei minuti precedenti al blackout, quello di Fred era un invito – o un’imposizione? – ad affrontare un discorso specifico che riguardava soltanto loro due.
Ma George non aveva nessuna voglia di affrontare quel discorso, lo aveva fuggito per giorni, settimane, mesi, e lo avrebbe voluto fuggire per anni, secoli, millenni – in eterno. Continuava a ripetersi, nel silenzio dei propri pensieri, che Fred non potesse davvero costringerlo ad affrontarlo ora, alla vigilia del nuovo anno – un nuovo anno senza tanfo di morte.

“George,” lo richiamò Fred, sordo al mutismo altrui, “parliamone.”

“Tu lo sai già,” sputò controvoglia. “Non ne voglio parlare.”

A quella ostinata ritrosia, Fred chiuse gli occhi e chinò il capo. La verità era che quel discorso non piaceva neanche a lui, e in quei mesi lo aveva fuggito al pari del gemello, ignorando la necessità di parlarne, il bisogno di superare un trauma che li aveva messi a dura prova e che nessuno dei due aveva voluto affrontare. Il solo pensarci gli provocava un dolore fisico, percepiva delle fitte che lo percuotevano da capo a piedi, mandandolo letteralmente in tilt.

“Dobbiamo parlarne,” insistette Fred, “o non lo supereremo mai.”

George incrociò lo sguardo del gemello, che s’era obbligato a riaprire gli occhi per dare maggiore peso alla propria scelta, e capì che non gli avrebbe permesso di uscire di lì in silenzio, non quella volta. Capì che, se necessario, avrebbe costretto entrambi a perdere lo scoccare della mezzanotte e tutti i festeggiamenti a seguire. Fred aveva deciso di non lasciargli scelta, e forse era giusto così – perché George dentro di sé lo sapeva, che aveva ragione lui.

“Sono sempre stato protettivo con te, come tu lo sei sempre stato con me. A modo nostro, ma lo siamo sempre stati,” esordì allora George. Trasse un lungo respiro, ingoiò a vuoto e proseguì. “Ora lo sono di più, lo so, sono quasi maniacale, me ne accorgo. È che quando… quando tu… quando tu…” deglutì a vuoto ancora una volta, “quando tu… quando è successo… quella cosa...”

“Quando sono morto,” chiarì incolore Fred.

“Non dirlo,” sputò a denti stretti George. “Non dire quella parola.”

“È quello che è successo,” insistette Fred. “Quando sono morto. Ripetilo.”

“No,” negò risoluto George. “No, non lo dirò mai.”

“George.”

Lo sguardo fermo di Fred, e il dolore che vi traspariva, provocò un forte capogiro a George, che ricacciò indietro delle lacrime moleste e ben poco consoni alla sua personalità.

“D’accordo,” riprese George dopo lunghi istanti. “Quando… quando… quando sei morto,” la voce era strozzata, estranea, “io sono morto con te.”

Il capogiro s’impossessò anche di Fred, capiva di cosa stesse parlando suo fratello. Era la stessa fetida sensazione che l’aveva attanagliato quando l’aveva visto riverso sul divano, sporco di sangue, preda di quello che credeva essere un delirio. Adocchiandolo da lontano, col sangue a coprirgli tutta la testa, Fred aveva addirittura pensato che fosse morto o stesse per morire – l’hanno colpito alla testa, è finita. Un terrore durato una manciata male assortita di secondi che era stato in grado di scaraventarlo nel dolore più acuto, nero, insopportabile. Ricordare quegli attimi gli provocava una sofferenza sino ad allora sconosciuta – ma dovevano parlarne.

“Era finito tutto, Fred, tutto. Tu eri lì, a terra, morto. Fine, finito, era finito tutto. Tu, io, noi. Credo di aver pianto come un disperato… Ero distrutto, ero morto. Cosa… cosa avrei fatto senza di te? A terra non c’era solo Fred, c’erano i gemelli, c’eravamo noi, morti. Mi sono sentito solo, abbandonato, senza di te… Mi sentivo in colpa perché ero vivo, perché ti avevo lasciato solo… Io non te lo so spiegare, ma sono morto insieme a te. In quel momento, io ho capito che non siamo inseparabili, che uno di noi può morire e l’altro sopravvivere. In quel momento, io ho dovuto capire che può esistere un mondo dove io ci sono e tu no, dove io sono solo, dove tu non tornerai più. E a me questo mondo fa schifo… fa schifo...”

Nessuna di quelle parole colse Fred alla sprovvista. Sapeva cosa aveva provato George, l’aveva provato anche lui. Ma questo non gli impedì di subire l’offensiva di un’acuta sofferenza, prendendo su di sé la propria e quella del gemello, palesemente devastato da quella confessione. Non se n’era neppure accorto George, che aveva pianto mentre parlava.

“Saresti andato avanti,” disse Fred, con la voce arrochita dallo sforzo di mettere in fila sillabe di senso compiuto. “Lo avresti fatto per me.”

“No,” reagì George scuotendo il capo. “No, non sarei mai andato avanti. Mai. Credimi.”

“Invece sì, lo avresti fatto, altrimenti sarei morto due volte.”

“Fred, eri già morto due volte, perché io ero a terra con te,” ribadì. “Mentre… mentre duellavo, una parte di me voleva vendicarti, ma l’altra… l’altra voleva morire. È una sensazione devastante… ti ritrovi a sperare, a pregare, di essere colpito… Che senso aveva sopravvivere se tu eri morto?”

Era una domanda retorica, per la quale Fred non aveva una risposta: lui s’era sentito allo stesso modo quando aveva creduto di aver perso George. Tacquero così per altri istanti, fissandosi l’un l’altro come sfidandosi a contraddire la verità scomoda che stava emergendo.

“Saresti andato avanti, George, per forza,” sibilò Fred.

“Sai che non è così. Sì, forse dopo un certo periodo avrei intrapreso una vita che altri avrebbero creduto normale. Avrei mandato avanti il negozio, mi sarei sposato con una che ti conosceva così avrei potuto parlarle di te dalla mattina alla sera, forse avrei avuto anche dei figli e uno l’avrei chiamato col tuo nome per accontentare le aspettative di tutti. Ma non avrei vissuto. Non ci sarebbe stata vita in nessuna mia azione, decisione, niente. Perché io ero morto, Fred, ero morto dentro. Si è spezzato qualcosa dentro di me quando ti ho visto a terra, senza vita, freddo. Si è spezzato e non si è ancora rimesso insieme. Perché ora lo so, tu potresti morire senza di me, e io non potrei sopportarlo. Io non voglio sopportarlo. Un mondo dove tu non ci sei non è un mondo per me… Noi siamo nati insieme, siamo cresciuti insieme, io… tu sei il mio migliore amico, il mio alleato, l’altra parte di me… la parte migliore di me… lo sei sempre stato. Ed eri morto, senza di me.”

Aveva smesso di piangere, avevano smesso entrambi, c’era una terribile consapevolezza nelle parole di George, e Fred non poteva fare altro che continuare a capirla e a condividerla.

“Io ti capisco,” disse infatti Fred, “ma tu… tu devi capire me.” George si limitò a guardarlo e Fred seppe di poter continuare. “L’abbiamo sempre saputo, dentro di noi, che non siamo collegati. Se tu muori, non muoio io. Se muoio io, non muori tu. L’abbiamo sempre saputo, ma abbiamo fatto finta di niente, abbiamo ignorato questa cosa e ci siamo buttati nella mischia come se non rischiassimo di perderci. Ma era chiaro a tutti e due che non era così… è che non abbiamo mai voluto guardare la realtà per quella che era… L’abbiamo capito quando hai perso l’orecchio e sei sopravvissuto per miracolo… già lì abbiamo fatto i conti con questa cosa. Ma tu sei sopravvissuto e noi abbiamo continuato a fare finta di niente. Poi è successo quello che è successo… e sei andato in pezzi, più di quanto abbia fatto io. Ma c’è una cosa che devi capire, una cosa che io stesso sto cercando di capire: finché uno di noi sopravvive, noi ci siamo. Io non ti avrei mai lasciato solo, come tu non avresti mai lasciato solo me. Se fossi morto, la mia sola consolazione sarebbe stata saperti vivo, sapere viva la nostra famiglia. Non sono la parte migliore di te, siamo noi la nostra parte migliore… e finché c’è uno c’è l’altro… siamo gemelli… ci saremmo ritrovati un giorno. La morte non ci avrebbe separati, non ce l’avrebbe fatta… Niente ci può separare.”

George s’alzò d’istinto e fece una cosa che faceva molto di rado: l’abbracciò. Il loro ultimo abbraccio risaliva al risveglio di Fred dalla morte apparente, ed era stato un abbraccio disperato in cui George aveva annegato tutta la sofferenza di quelle ore – tutti i pezzi in cui s’era spaccato.
Fred lo abbracciò a sua volta, stremato da quel discorso che aveva prosciugato le energie di entrambi.
Lo aveva sempre saputo, che prima o poi avrebbero dovuto parlarne. George in quei mesi era stato più apprensivo di sua madre; certo, in apparenza non si comportava in modo diverso dal solito, ma Fred che lo conosceva più di quanto conoscesse se stesso rintracciava il terrore nel suo sguardo, la preoccupazione nei suoi gesti, l’ansia nelle sue parole. Persino la sottospecie di relazione con Hermione lo aveva messo in allerta, perché sicuro che lei avrebbe scelto di restare con Ron e avrebbe fatto soffrire lui – e George, che aveva l’assoluta convinzione che Fred in quella vita avesse già sofferto troppo, riteneva che dovesse tenersi alla larga da situazioni che avrebbero potuto causargli dolore.

“Mi dispiace,” disse George, rimettendosi seduto. “Sono stato una palla al piede dalla fine della guerra.”

“Non più del solito,” scherzò Fred, rubando un sorriso stanco al gemello. “Anche io sono stato eccessivo… questa smania di vivere… è paura, credo.”

“Di morire,” affermò George, intuendo senza difficoltà i pensieri dell’altro. “Mi sento meglio.”

“Anche io.”

“Non ne parliamo più,” impose categorico.

“No, una volta basta e avanza,” concordò. “Ci voleva una tresca con la Granger per farti parlare.”

George sogghignò, dando uno sguardo all’ora. “Almeno è servita a qualcosa.”

“Sei maligno.”

“Sono George Weasley, l’aureola non me l’hanno ancora data!”

Fred sogghignò a sua volta, mettendosi in piedi. “Non l’hanno data neanche a me. Com’è quel detto babbano? Mal comune, mezza allegria!”

“Non mi sembra… Forse era Sorte comune, portaci via.”

“Ma no, che dici… Sorte comune, mezzo gaudio… sì, doveva essere così!”

“Ce l’ho! Sorte comune, mezza allegria!”

Sorte comune, mezza allegria… sì, era decisamente questo!”

Tra un detto e l’altro, in apparenza dimentichi dell’implosione di emozioni avvenuta solo qualche istante prima, raggiunsero gli altri in sala da pranzo. Era questo, tra le altre cose, il bello del loro rapporto: potevano soffrire, litigare, gioire, confrontarsi, fare qualsiasi cosa, ma un attimo più tardi erano di nuovo loro, con quella leggerezza complice che li caratterizzava e univa, con quei sorrisi sghembi che spazzavano via tutto, perché loro due erano loro due – e niente avrebbe mai mutato questo stato delle cose, né la guerra né il terrore né la morte.
 

*


“Ehi, Perce, cosa ci fai con un diavolo per capello?!”

Malgrado la signora Weasley li stesse rimbeccando da circa un’ora, Fred e George non avevano alcuna intenzione di interrompere il loro personalissimo esperimento: rendere reali i detti babbani. Nessuno in quella stanza poteva immaginare quanto avessero bisogno di essere loro in quel frangente e di scacciare tutti i cattivi pensieri con scherzi e ilarità, tuttavia a nessuno parve anormale o sospetto che i ragazzi di divertissero ai danni di uno dei fratelli, soprattutto se il fratello in questione era Percy. Inaspettatamente, a essere d’aiuto in quel proposito era stata un’ignara Jean Granger che, istigata proprio dai gemelli, aveva deliziato i commensali di quel trentuno dicembre con una carrellata di proverbi e motti noti ai babbani e completamente sconosciuti ai maghi – “Jean ama i modi di dire, dice che sono folcloristici” aveva spiegato allegramente Scott –, stuzzicando così la spregiudicata fantasia dei due Weasley più scapestrati della storia.

“Qualcuno faccia evanescere questi diavoli!” sbottò Percy, a cui Ginny aveva nascosto la bacchetta.

Hermione, solidale con il ragazzo e con il suo rossore imbarazzato, agitò la bacchetta e i due piccoli diavoletti rossi si ritrasformarono in due innocue posate. Molly ringraziò con un gran sorriso la ragazza, mentre Fred e George le indirizzarono occhiatacce bellicose.

“Che dolci,” commentò sarcastico George, “i Prefetti perfetti si aiutano fra loro!”

“Siete due scansafatiche irritanti,” s’intromise Percy ancora tutto rosso.

La madre di Hermione sorrise dolcemente in direzione di Percy, rivedendo in quel cipiglio impettito e severo un aspetto della figlia. “Percy, temo di essere stata complice di questi due simpatici birbanti e di doverti delle scuse!” commentò serena, ammiccando poi verso Fred e George, i quali contraccambiarono con un ghigno.

“Lei sì che ci capisce, signora, quanto avrei voluto essere suo figlio!”

“Fred!” sbottò Molly.

“Scusa, ma’!”

Ma Jean rise allegra. “Temo che avresti fatto impazzire la mia Hermione,” commentò ironicamente. “Ma basta con questo signora, chiamatemi Jean!” esclamò rivolta a tutti i ragazzi.

“Ti prendo in parola, Jean!” disse subito George, mentre Percy esibiva una smorfia di assoluto disappunto.

Le risate che seguirono quella scena impedirono a gran parte dei commensali di notare il rossore apparso sul viso di Hermione alle parole della madre – non poteva saperlo Jean, quanto Fred facesse effettivamente impazzire la giovane Granger.
Sfortuna volle che a intercettare le guance imporporate di Hermione fosse proprio Ron, seduto a qualche sedia di distanza dalla ragazza. Stranito da un imbarazzo che gli sembrava eccessivo, s’accigliò fissandola, cercando anche di catturarne lo sguardo per chiederle tacitamente per quale ragione fosse in quello stato – ma Hermione non guardava mai lui. Hermione, Ron se ne avvide solo in quegli istanti, guardava continuamente in direzione di Fred. Stranito, il più piccolo dei maschi Weasley si disinteressò completamente del chiacchiericcio, dimenticando persino di bere lo champagne che Scott gli aveva versato con grande entusiasmo allo scoccare della mezzanotte – “ragazzo, devi abituarti anche alle usanze dei non maghi! Da noi si brinda e si beve champagne, ecco a te!” –, il suo unico interesse era difatti lo sguardo della fidanzata, che giudicava perso. Osservandola con sempre crescente attenzione, s’accorse anche di quanto apparisse preoccupata e in ansia, ma non ne capiva il motivo; ipotizzò che Fred potesse averle giocato qualche scherzo di cattivo gusto o che l’avesse infastidita in qualche modo.

“Hermione,” chiamò Ron.

“Ron! Tanti auguri!”

“Sì, tanti auguri,” ribatté incolore. “Che hai?”

“Come?”

“Che hai? Cosa ti succede?” ribadì Ron.

“N-niente,” balbettò Hermione.

“Non mi sembra proprio,” insistette lui.

Ron la fissava con un’espressione un po’ preoccupata e un po’ sospettosa, e Hermione percepì un fastidiosissimo prurito alla schiena e alle mani e alle gambe e ovunque, come se fosse stata scaraventata nuda su di un pagliericcio rinsecchito. Per lei fu istintivo cercare Fred tra la folla e per Ron fu altrettanto istintivo serrare la mascella – il prurito, ora, infastidiva anche lui.

“Chi cerchi?” chiese. “Te lo dico io?”

“Non sto cercando nessuno,” mentì lei.

“Fred ti ha fatto qualcosa?”

“Fred?”

“Fred. Mio fratello, il gemello di George, quello che hai fissato per tutta la sera e che ora sta fissando noi. Quel Fred.”

“Ma cosa blateri?”

Ron sbuffò. “Se ti ha fatto qualche scherzo o ti ha infastidita, me lo dici e ci parlo io.”

“Gli parli tu?”

“Sì, gli dico che deve lasciarti in pace perché non sopporti i suoi scherzi. Conosco Fred, ci va giù pesante, ma non lo fa con cattiveria... è solo che non capisce quando è il momento di dire basta. Se ha esagerato dimmelo e gli parlo io. Non mi piace vederti così...”

Il prurito di Hermione sparì di colpo, lasciando in eredità un opprimente senso di colpa che le mozzava il respiro. Per un solo e folle istante, aveva creduto che Ron fosse venuto a conoscenza di quello che era stato a tutti gli effetti un tradimento. Se fosse riuscita a essere razionale come suo solito, avrebbe scartato da subito questa ipotesi: Ron era irruento, se avesse saputo una cosa simile, non avrebbe esitato a dare di matto in pubblico.
Conscia di non avere parole da dirgli, si fiondò su di lui con un impeto che non faticava a giudicare ipocrita e lo baciò. Ne strinse i capelli tra le dita e ne morse con dolcezza le labbra. Quando lui, mettendo via le remore, si lasciò andare a quell’incontro stringendola a sé con forza e ricambiando il suo bacio, il cuore di Hermione prese a battere con maggiore insistenza – non per l’emozione, ma per un senso di colpa che s’ingigantiva secondo dopo secondo.
Non riusciva a capire cosa ci fosse di sbagliato tra loro – o in lei –, ma era chiaro che qualcosa non funzionasse come avrebbe dovuto. Perché non c’era adrenalina, la bocca e le mani di Ron la intenerivano ma non la appassionavano, le sensazioni che provava non erano totalizzanti – la sua mente riusciva a soffermarsi su altro senza difficoltà alcuna. L’unica certezza che aveva era che a spingerla tra le braccia del suo fidanzato era stata l’incapacità di portare avanti il discorso iniziato da lui unita alla colpa che aveva rischiato di strozzarla quando Ron, completamente ignaro, s’era addirittura preoccupato per lei.
Quando si allontanarono e lui le rivolse sorriso felice, Hermione si disse di essere una pessima persona. Ma quando Fred fece un irriverente fischio indirizzato a loro, credette di poter sprofondare da un momento all’altro – quell’azione inopportuna era anche la prima attenzione che Fred le rivolgeva quella sera, per il resto l’aveva completamente ignorata.

“Ragazzo, tieni le mani al loro posto!” scherzò Scott in direzione di Ron.

“C-certo, signore,” rispose celere Ron, conquistandosi una pacca sulla schiena da parte del suocero. In quei giorni, con sua grande sorpresa, Ron era riuscito a catturare la simpatia di Scott, che giorno dopo giorno era sempre più entusiasta del fidanzato della figlia.

“Sei un bravo ragazzo,” disse infatti l’uomo e Ron gli sorrise grato, indirizzando poi uno sguardo felice a Hermione, che si sforzò di apparire a sua volta gioviale.

Qualche ora dopo, erano ancora tutti in giro per la baita. I gemelli avevano dato spettacolo con i loro Fuochi Forsennati, guadagnandosi l’incredulità e la stima dei genitori di Hermione, che non avevano mai visto nulla di simile. Charlie era riuscito a far ubriacare Percy a tradimento, alterando con la magia il gusto di qualsiasi cosa bevesse, rifilandogli così tre o quattro bicchieri di whisky incendiario; il povero Percy, tra le grinfie del fratello – a cui si erano uniti gongolanti Harry e Ginny –, stava confessando di tutto e di più, dai tiri mancini ai danni dei colleghi a un bacio rubato a una stagista. Arthur e Scott avevano parlottato fitto, pianificando di stregare la macchina babbana di Scott all’insaputa delle rispettive mogli. Molly, invece, aveva raccontato a Jean del matrimonio di Bill e le aveva mostrato i fatidici centrini, facendo andare di traverso lo champagne a Ron, che aveva adocchiato sospettoso le due donne.
A quel baccano Hermione aveva contribuito molto poco – malgrado gli sforzi, non riusciva a pensare a nulla di diverso da Fred: Fred e la sua impertinenza, Fred e i suoi baci, Fred e la sua indifferenza. Un’indifferenza che, dal punto di vista prettamente razionale, era quanto di meglio potesse esserci tra loro, peccato che la giovane strega perdesse pezzi di razionalità di secondo in secondo.
Così, dopo un lasso di tempo che giudicò utile a non diffondere sospetti, dicendosi stanca del chiacchiericcio che riempiva quelle mura, Hermione scoccò un bacio sulle labbra a Ron, infilò il cappotto e uscì all’esterno della baita, raggiungendo con poche falcate un ragazzo che se ne stava in piedi a osservare il buio e che lei aveva adocchiato da circa quindici minuti.

“Ciao,” disse Hermione.

“Buon anno,” rispose Fred.

Hermione gli indirizzò uno sguardo confuso: le aveva parlato senza degnarla di uno sguardo, con un tono del tutto incolore – non da lui. A ben pensarci, neanche starsene lì da solo, immobile e immerso nell’innaturale quiete di quel panorama notturno era granché da lui.

“Dov’è George?” chiese vogliosa di spezzare il silenzio.

“È andato di sopra a cambiarsi, i Fuochi gli hanno sporcato tutti i vestiti.”

“Un Gratta e Netta sarebbe stato più sbrigativo.”

“A noi piace perdere tempo.”

Hermione lo fissò di nuovo confusa. L’atteggiamento di Fred continuava a urlare distanza. Si ripeté ancora una volta che un atteggiamento simile avrebbe dovuto rasserenarla, perché facilitava tutto, eppure non riusciva a sentirsi né serena né felice. Anzi, si sentiva quasi tradita da lui e dalla sua apparente indifferenza. Solo il giorno prima l’aveva seguita in camera e s’era fatto pregare per andare via prima che Ron entrasse, e ora la degnava a malapena di uno sguardo – perché?

“Che ci fai qui?” domandò lui, più lesto di lei a esigere spiegazioni.

“Non lo so,” disse sincera. “Forse volevo solo stare un po’ con te.”

Fred si voltò a guardarla. La conversazione con George risuonava ancora nella sua testa e lui era ancora stremato da tutta quella sofferenza. Eppure, al di là della stanchezza e del dolore, non aveva potuto fare a meno di concordare con il fratello e convenire che volere lei fosse uno sforzo improduttivo – gliel’aveva confermato qualche istante prima Hermione stessa, quando s’era comportata da brava fidanzata e s’era stretta a Ron. Se a tutto quello univa quel fastidioso senso di colpa che l’attanagliava ogni volta che incrociava lo sguardo del fratello tradito, arrivava alla conclusione che, probabilmente, non ne valesse così tanto la pena.
Per quanto lei lo attraesse in una maniera che Fred giudicava del tutto insensata, per quanto persino in quell’istante l’istinto gli suggerisse di chinarsi su di lei e prendersi ciò che voleva – era certo che lei non si sarebbe negata –, decise di porre un freno alle proprie sensazioni indisciplinate e, a dispetto di se stesso, provare a ragionare.

“Ho sbagliato con te,” disse allora Fred. “Sei la ragazza di mio fratello, non dovevo fare quello che ho fatto.”

“Cosa?”

“Hai capito. Facciamo finta che non sia successo niente.”

Se c’era una cosa che Hermione aveva capito di lui, era che Fred sapesse essere lapidario. Andava dritto al punto, sempre. Non sapeva neanche cosa fossero i giri di parole né l’incertezza: sapeva cosa voleva e lo esternava nella maniera più inequivocabile possibile. Era un tratto di lui che apprezzava molto, per quanto sapesse essere brutale in alcune circostanze, perché era impossibile fraintenderlo e, di conseguenza, era impossibile fuggire allo stato delle cose.
Non s’era smentito neanche quella volta e lei non aveva parole adatte a controbattere – né sapeva cosa dovesse controbattere. Le parole di Fred erano sensate e giuste, ed erano quelle più convenienti per lei, che in tal modo non avrebbe dovuto affrontare né lui né Ron né chiunque altro, avrebbe anzi potuto fingere che non fosse mai accaduto nulla di sconveniente, riprendendo a vivere la sua vita serena e ben programmata.
Eppure, Hermione lo percepiva chiaramente, qualcosa non andava in quel puzzle tanto razionale. Forse, era lei stessa a non andare. O forse era Fred a non andare, che in quei giorni l’aveva cercata e rifiutata, e poi di nuovo cercata – obbligando lei a viverlo e se stesso a sopportare la consapevolezza del tradimento.

“Hai parlato con George?” chiese Hermione, dando voce a un dubbio appena sorto.

“Sì,” ammise Fred.

“Per questo hai parlato così.”

“No.”

“Non era una domanda.”

“E la mia non era una risposta.”

Fred,” disse perentoria.

Hermione,” ribatté lui con un ghigno, “è davvero un piacere conoscerti!”

“Non fare l’idiota.”

“Assolutamente no, mi sto presentando!”

Suo malgrado, Hermione sorrise. “Sto cercando di portare avanti un discorso serio,” disse, “sul serio.”

Fred inarcò le sopracciglia. “Sì, l’ho capito che è un discorso serio sul serio,” disse schernitore, facendola arrossire di disappunto. “Ma non abbiamo più nulla di serio da dirci, sul serio. Quello che dovevo dirti, te l’ho detto.”

Il tono di Fred non rinunciava alla nota schernitrice e Hermione si riscoprì a esserne felice, perché le stava dedicando qualcosa di diverso dall’indifferenza. Tuttavia, era più che decisa a ribadire il proprio punto di vista, che lui lo volesse o meno.

“Tornando a quanto stavamo dicendo,” riprese infatti, “George, presumo, ha detto a te ciò che ha detto a me. A seguito di questo discorso, tu muti atteggiamento nei miei riguardi e mi dici che è stato tutto un errore. Giusto?”

“Giusto.”

“E George non c’entra.”

“No.”

Hermione inarcò scettica le sopracciglia. Era evidente che credesse alla propria versione dei fatti, ma Fred la contraddiceva con la tranquillità di chi era certo di non mentire – e in effetti non mentiva: le poche parole di George avevano messo in evidenza fatti che lui aveva già registrato ma che sino ad allora non aveva voluto considerare.

“Non ti credo.”

“Che importanza ha?”

“Che ti creda o meno?”

“Se c’entri o meno George,” chiarì Fred.

La domanda implicita costrinse Hermione a fare qualche passo in avanti, allontanandosi da lui e dall’ingresso della baita. Lo sapeva, cosa le avesse appena chiesto. Fred non le aveva chiesto sul serio che importanza avesse l’eventuale influenza di George nella decisione presa, Fred le aveva chiesto perché le importasse. Aveva la sensazione di essere prossima a impazzire – o ad annegare nei propri dubbi, nelle proprie colpe, nei propri errori.
Persa in quei ragionamenti e alla disperata ricerca di una risposa consona, s’accorse di avere Fred alle proprie spalle solo quando le sue braccia la strinsero, obbligandola ad appoggiare la schiena al suo petto. Quando le labbra di Fred le sfiorarono la guancia, Hermione chiuse gli occhi – non per fuggirgli, ma per perdersi in quella carezza così intima, così rassicurante, così giusta.
Pensò allora che dovesse esserci sul serio qualcosa di sbagliato in lei se bastava un qualsiasi gesto sciocco di Fred a farla rabbrividire e a farle percepire un’intensa fitta al basso ventre – perché il suo corpo non reagiva in quel modo anche alla vicinanza di Ron?

“Hai appena detto di stare lontani,” riuscì a dirgli. “Hai cambiato di nuovo idea?”

“Sei tu che mi fai cambiare idea, che mi fai impazzire,” spiegò lui. “Tu, che invece di ringraziarmi per averti tolto dall’impiccio, vuoi sapere perché non ti voglio più.”

Quello di Fred era un sussurro che sapeva di malizia. Le sue labbra erano di certo incurvate in un sorriso sghembo, lei poteva percepirle modellarsi contro la propria pelle. In quell’istante, Hermione si chiese se fossero entrambi vittima di un incantesimo che li intrappolava in una realtà fatta di mosse e contromosse, condannati a contraddirsi di minuto in minuto, incapaci di individuare una sola strada da percorrere.
Consapevole di essere per l’ennesima volta incapace di controbattere, decise di assecondare il proprio istinto molesto e di voltarsi verso Fred, ritrovandosi a un palmo dalla sua bocca, schiacciata contro di lui.
L’inaspettata vicinanza fece deglutire entrambi. Fred, tuttavia, voglioso di tenere fede – almeno in parte – al proposito che s’era imposto, tentò di allontanarsi da lei prima di ricascare dritto dritto in un errore già commesso, ma Hermione fu più spregiudicata di lui quella volta e corse veloce ad artigliare i suoi gomiti per trattenerlo e a cercare le sue labbra.
Lo baciò come l’aveva baciato quella notte, con un impeto totalizzante che le faceva pulsare le vene e tremare le gambe. Fu lui, di propria ferrea volontà, ad allontanarla, a impedire a quel bacio di tramutarsi in qualcosa di smodato e rovente, che avrebbe fatto a pezzi i freni inibitori che Fred si era sforzato di tenere in piedi.

“Fred, io...”

“Non posso essere l’altro, Hermione,” l’interruppe lui. “Non voglio essere l’altro.”

Si fissarono per alcuni istanti, durante i quali Hermione capì che in quel momento non sarebbe stata in grado di dirgli ciò che lui, così risoluto, voleva – e che forse doveva essere detto. Così chinò il capo e tornò svelta all’interno della baita. Quando Fred rientrò a distanza di qualche minuto, scoprirono assieme che George aveva sfidato a scacchi Ron non appena aveva raggiunto gli altri e aveva capito chi mancasse all’appello. Nello sguardo che George lanciò a Hermione, la ragazza vi lesse la stessa precisazione di qualche ora prima – Non l’ho fatto per te, ma per i miei fratelli” – e, ancora una volta, si disse di essere una pessima persona.
 

*
 

“Cari, è stato un piacere avervi nostri ospiti!”

“Il piacere è stato nostro, Molly, e siamo impazienti di avervi ospiti a casa nostra!”

“Siete proprio sicuri di non potervi trattenere?” chiese Arthur.

“Impossibile,” rispose affranto Scott. “Eviterei volentieri i parenti di mia moglie, credimi,” sussurrò al consuocero, facendo ridacchiare Arthur e insospettire Jean e Molly.

Erano trascorsi solo due giorni dal Capodanno ricco di emozioni. I Granger si preparavano alla partenza anticipata a causa di Jean, che aveva assicurato ai propri parenti di trascorrere gli ultimi giorni festivi in loro compagnia.
Hermione era ancora in camera in compagnia di Harry e Ron, che avevano tentato di convincerla a restare lì con loro. Ormai certo che lei non avrebbe cambiato idea, Harry uscì dalla stanza per lasciare soli i due amici prima della partenza. Hermione sorrise a Harry e, rimasta sola con Ron, si accinse a chiudere la valigia.

“Hermione, c’è qualcosa che non va?”

“Certo che no, va tutto benissimo.”

“Sei sicura?”

Ronald, se credi di dovermi dire qualcosa, parla.”

L’aveva detto guardandolo dritto in volto, d’improvviso infastidita da quei giri di parole che usava fare per chiederle qualcosa – non era come Fred.
Al suo tono spiccio, Ron assunse un’aria infastidita e sembrò indeciso se dirle ciò che aveva in mente o rimbeccarla per quei modi di fare così scortesi. Nell’indecisione, borbottò qualcosa circa il pessimo carattere della propria fidanzata e uscì dalla stanza curandosi di chiudere la porta in un tonfo, facendo tremare i gingilli affissi alle pareti.
Hermione ricacciò indietro delle lacrime ipocrite e stette immobile a fissare la porta chiusa, finché quella stessa porta non si aprì, lasciando che una nuova figura entrasse in quella stanza.

“Vuoi augurarmi di fare buon viaggio?” chiese astiosa.

“Voglio dirti che parto anche io,” rispose pacato lui. “Quindi, se vai via per me, puoi anche restare.”

“Dove vai?”

“Torno a Londra, dobbiamo aprire il negozio. Anticipo George di qualche giorno.”

“Se lo fai per me...”

“Sei fuori strada,” chiarì lui.

“Meglio così.”

“Allora resti?”

“No,” rispose. “Neanche io vado via per te,” tenne a precisare.

Fred ghignò. “Granger, non sai mentire.”

Weasley, fuori di qui.”

Fred la guardò con un’espressione irriverente, ma annuì. “Come vuoi.”

“Aspetta,” chiamò Hermione quando lui era ormai in procinto di abbassare la maniglia della porta. “Aspetta.”

“Cosa c’è?”

Hermione tentennò. “Mi dispiace... di tutto,” confessò a voce bassa.

Fred le dava le spalle, lei aveva il capo chino. Non si voltò, si limitò ad annuire di nuovo senza dirle nulla e a uscire da quella piccola stanza. Solo quando i suoi passi smisero di essere udibili Hermione si portò le mani alla testa e s’accasciò contro la parete.
Nei giorni che avevano seguito il punto fermo che Fred aveva imposto a quell’inspiegabile rapporto che s’era instaurato tra loro, Hermione era stata fisicamente male – spossatezza, emicrania, nausea. Tutti erano concordi nel ritenere quei sintomi il campanello d’allarme di un’influenza in arrivo, ma la ragazza dubitava che la sua fosse un’influenza, era anzi certa che quel malessere fosse causato dal forte stress emotivo di quei giorni. Ron aveva tentato di trascorrere sempre più tempo con lei, ma lei aveva fatto di tutto per sabotare le intenzioni del fidanzato, al punto tale che Harry si era sentito in dovere di chiederle se ci fossero problemi con il comune amico. Hermione aveva mentito anche a Harry. Ma in fondo mentiva anche a se stessa. Fred non aveva cercato di parlarle né di ritagliarsi dei momenti da trascorrere con lei, un atteggiamento che non l’aveva stupita, ma che di certo l’aveva ferita – lui le mancava. In compenso, George aveva ripreso a rapportarsi con lei come aveva sempre fatto, in apparenza dimentico di quanto accaduto con Fred.
Avrebbe tanto desiderato inaugurare il nuovo anno colma di serenità e gioia, invece s’era ritrovata schiava di un’alchimia che l’aveva destabilizzata, di sensazioni – o sentimenti? – che s’erano risvegliati senza chiederle il permesso, di un’adrenalina che riusciva a farle assaporare la vita. Schiava, in ultimo, del dilemma più grande di sempre: lui valeva una guerra di sentimenti? Valeva la messa in discussione di tutte le certezze e di tutti gli equilibri?
Deglutendo, riuscì a fissare la porta chiusa che Fred s’era lasciato alle spalle. Gli aveva detto che le dispiaceva, ed era vero. Ma c’era una cosa che non aveva avuto il coraggio di dirgli e che forse l’avrebbe trattenuto lì con lei. Una cosa che sussurrò al nulla rimasto in quella stanza, certa che nessuno ormai potesse sentirla: Mi mancherai”.






 


NdA: userò questo spazio per poche ma doverose parole. Mi dispiace che questo aggiornamento arrivi con tanto ritardo, ma tra questioni di ispirazione e di tempo non è stato possibile aggiornare prima. Spero che il capitolo sia piaciuto a chiunque lo abbia letto (ammesso che qualcuno segua ancora questa storia!). Stando a quanto avevo preannunciato nel prologo, questo qui doveva essere l'ultimo capitolo, ma i miei personaggi esigono qualche pagina in più – l'ultimo capitolo potrebbe essere il prossimo, ma non ne sono certa.
Il modo di dire stravolto da Fred e George, che arrivano trionfanti alla conclusione sbagliata, è ovviamente Mal comune, mezzo gaudio – ma i miei due Weasley preferiti riescono a sbagliarlo completamente! Riguardo al dialogo tra i due gemelli, non ho molto da dire, forse avevo bisogno di elaborare assieme a loro il trauma e bearmi della finzione del mio racconto dove tutto è andato come avrei voluto andasse nella saga.
Grazie a chiunque abbia letto, alla prossima!

 
   
 
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