Fanfic su artisti musicali > System of a Down
Segui la storia  |       
Autore: Kim WinterNight    21/07/2018    3 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ReggaeFamily

Interviews

[Bryah]




«Buongiorno!» esordii, stringendo tra le mani taccuino e registratore portatile.

John sbadigliò sonoramente e mi lanciò un'occhiataccia. «Non puoi aspettare almeno che mi lavi la faccia?» brontolò, stropicciandosi gli occhi.

«No! Ho un libro da scrivere, John Dolmayan! Coraggio, non è da te avere sonno alle nove del mattino! Che ti prende?» scherzai.

«Non lo so, ma...»

«Su, cominciamo!»

John mi lanciò un'altra occhiataccia, sbuffò, poi mi raggiunse sul divano.



Cosa significa per te il progetto System Of A Down?


Per me è vita. Io e i ragazzi siamo una famiglia. Non importa se non creiamo nuova musica, non importa se adesso siamo “fermi”. Noi siamo prima di tutto fratelli, amici, ci vogliamo bene. Io vivo per la mia musica, e vivo per questa roba, per i System.


Hai mai pensato di mollare?


Mai. Anche se io e i ragazzi ora siamo fermi, io insisterò fino alla fine per convincerli a tornare a fare musica insieme. Per fortuna continuiamo a suonare in giro per il mondo, questo è un bene.


Un aneddoto che ti è capitato sul palco?


Oh, uno di quelli che ricordo meglio mi riguarda in prima persona. Una volta eravamo in Europa, in Francia forse. Stavamo suonando, eravamo carichi al massimo, ma eravamo anche stanchissimi dopo un mese di tour. Io non avevo chiuso occhio nelle due notti precedenti, ero sfatto e rischiavo di addormentarmi dietro la batteria. Così mi sono perso per un attimo e ho sbagliato una canzone quasi per intero. Shavo rideva, ha dato le spalle al pubblico per non farsi vedere, peccato che si sia voltato a guardarmi. È stato difficilissimo non scoppiare a ridere, giuro. Daron e Serj hanno continuato a suonare e cantare indisturbati, ma si sa che basso e batteria sono sempre in contatto. Forse gli altri non si sono accorti più di tanto dei miei continui errori, ma Shavo ha subito colto dove stava il problema. Sì, è capitato altre volte, ma quel giorno è stato epico, è stato assurdo! Non era mai successo in maniera così palese.


Qual è la sensazione che provi quando stringi le bacchette in mano?


Non si può descrivere a parole. Entro nel mio elemento, potrei immergermici per sempre senza mai stancarmi. Per me è naturale come guidare l'auto, no di più, come respirare e nutrirmi. Senza mi sento perso. Quando mi capita di non poter suonare per diversi giorni di fila, mi sento vuoto e avverto la mancanza di qualcosa di fondamentale.


Un ricordo della tua infanzia in Libano?


Avevo un amico, si chiamava... ehm... Mikhail, qualcosa del genere. Stavamo spesso insieme, scorrazzavamo tutto il giorno per le strade devastate e ci nascondevamo negli angoli più improbabili per cercare tranquillità. Un giorno mi portò da suo cugino, non ricordo più il nome, e mi fece vedere i suoi tamburi. Era una batteria molto spartana, quel povero ragazzo non aveva neanche i piatti. Usava due bacchette di legno grezzo, una più lunga e una più corta. Erano di diverso spessore e probabilmente anche il legno non era lo stesso per entrambe. Il cugino di Mikhail mi fece provare, e fu un'illuminazione. Per me fu subito magia, anche se fuori da quel buco qualcuno si disperava e in lontananza si udì un'esplosione. Da allora in poi ho cercato in tutti i modi di riprodurre quel suono meraviglioso, quel suono perfetto nella sua imperfezione, accordando i miei tamburi e provando diversi tipi di legno per le bacchette. Non ci sono mai riuscito, ma ancora oggi ricordo quel suono suggestivo.


Di cosa hai paura?


Dei temporali. Mi mettono ansia, mi terrorizzano. I tuoni fanno un suono terribile, un po' come quello delle bombe.



Sollevai lo sguardo e lo posai su John. Il suo viso era teso, e così non fui più certa di ciò che gli stavo chiedendo nell'intervista.

«Tesoro...» mormorai.

Lui scosse appena il capo. «Okay, possiamo andare avanti.»

«Se vuoi, elimino questa domanda» gli proposi, facendo per depennare le parole che riguardavano le paure.

Il batterista allungò un braccio e mi strinse leggermente il ginocchio. «No, davvero, possiamo proseguire.

Annuii. Lavorare a quel libro si stava rivelando difficile, ed ero certa che non sarebbe stato tutto rose e fiori.



«Io vi lascio lavorare» disse Angela, affacciandosi in salotto.

Mentre le sorridevo, mi resi conto che era una donna bellissima: indossava abiti semplici e non appariscenti, ma questo non faceva che contribuire al suo essere particolare. I capelli le ricadevano sciolti sulle spalle e il suo viso dolce era colmo di gentilezza.

«Puoi rimanere, non ci disturbi» le feci notare, alzandomi per salutarla con due baci sulle guance.

«Mi piacerebbe, ma ho delle commissioni da sbrigare e devo riempire il frigorifero» replicò.

Ridacchiai. «Va fatto anche questo!»

Serj prese a suonare distrattamente qualcosa al pianoforte e ci lasciò chiacchierare per un po'.

«Bryah, sono sicura che il libro sarà un successo mondiale. Moltissimi ammiratori dei System non aspettano altro. Sono uscite tante biografie su moltissime band della scena rock, ma mai qualcosa su di loro. E grazie a te questo si sta avverando.»

Annuii mestamente. «Farò del mio meglio, i ragazzi lo meritano» assicurai ad Angela.

Scambiammo qualche altra battuta, poi la donna uscì di casa dopo averci salutato con calore.

Io e Serj rimanemmo soli, e io rimasi per qualche minuto ad ascoltarlo suonare. Era bravo e sapeva emozionare chi lo sentiva, anche quando eseguiva qualcosa in maniera distratta e con poco impegno.

«Scusami, Bryah. Possiamo metterci all'opera. È che quando suono, entro in un universo tutto mio» spiegò il cantante, roteando sullo sgabello di fronte al pianoforte.

Sorrisi e gli feci l'occhiolino. «Sei uguale a John allora» commentai.

«Sì, ci somigliamo molto da questo punto di vista.»

Accesi il registratore portatile e impugnai carta e penna. «Pronto?»

«Pronto.»



Hai mai preso delle lezioni di musica?


Sì. ho studiato canto per qualche anno, e pianoforte fin da bambino. Poi, nel corso degli anni, ho cominciato a suonare un sacco di altre cose, e quasi sempre da autodidatta. Sono curioso per natura, specialmente quando si tratta di arte in tutte le sue forme. La musica è una di queste.


Hai mai pensato di mollare?


Sì, spesso. Ho così tanti progetti in mente, in tanti campi, che a volte mi sento veramente confuso e vorrei soltanto alleggerirmi un po'. Quando con i ragazzi dei System abbiamo preso una pausa, per me è stata una liberazione. Non perché io non tenga a loro o alla nostra band, ma perché avevo bisogno di staccare. Sono molto attivo in un sacco di cose, e devo assolutamente fare tutto. Non potrei mai vivere con un solo rimpianto, finirei per impazzire. Però in certi periodi devo rinunciare a qualcosa, mettere da parte un progetto per concluderne un altro... ma no, non rinuncerei mai ai System.


Un aneddoto della tua infanzia che ricordi con particolare nostalgia?


Io e mio fratello Sevag, quando eravamo da poco arrivati a Los Angeles, ci divertivamo a organizzare dei buffi mercatini nel nostro quartiere. Avevamo portato con noi dal Libano un sacco di cianfrusaglie inutili, e così decidemmo di rivenderle ai bambini o ai vecchietti che passeggiavano per strada. Racimolammo un bel gruzzoletto, facendo credere a quella gente che avessimo con noi dei cimeli rarissimi e costosissimi. Finché poi mio padre scoprì tutto e ci mise in punizione per un mese, impedendoci di uscire di casa e di vedere i nostri amici.


Pensi mai a come sarebbe la tua vita se fossi rimasto in Libano o se fossi nato in Armenia?


A volte ci penso, sì. E credo che sarebbe stato difficile emergere da quel mondo così difficile. Avrei vissuto anni terribili. In Armenia ho perso dei parenti a causa del terremoto che è avvenuto alla fine del secolo scorso. Sono stato fortunato, ed è per questo che ora voglio aiutare il più possibile i miei conterranei e le popolazioni più a rischio del pianeta. Sono certo che da solo non posso cambiare il mondo, ma posso fare qualcosa. Io sto bene, ho una bella vita e non mi sognerei mai di lamentarmene. Però anche io ho sofferto e ho conosciuto dei periodi bui, perciò mi accontento di vivere in tranquillità e di aiutare il più possibile il prossimo. Credo molto in ciò che faccio.


Di cosa hai paura?


Dei rimpianti. I rimpianti uccidono le persone, le uccidono dentro e le distruggono. E soprattutto le rendono infelici.



«Serj, se ti sto mettendo a disagio con queste domande, puoi decidere di non rispondere o di eliminarne qualcuna. Questo è il vostro libro, io sono qui soltanto per scriverlo, non ho voce in capitolo» dissi a un certo punto, scrutando l'espressione indecifrabile sul suo viso.

Quando si arrivava alla domanda sulle paure, mi sentivo sempre in imbarazzo nel porla. Non sapevo se i ragazzi sarebbero stati disposti a rispondere o come avrebbero reagito.

«Non c'è problema, Bryah. Le paure sono umane, e io sono un essere umano» replicò Serj in tono sereno.

Lo ammiravo molto per la calma e la pacatezza con cui affrontava ogni situazione. Lui e John si somigliavano per certi aspetti, me ne resi conto anche in quel momento.

Tornai a posare lo sguardo sul taccuino. «Andiamo avanti?»

«Certo. Spara la prossima domanda!»



«Ci sono ancora tante domande?» brontolò Daron, sbadigliando rumorosamente.

Non era per niente facile lavorare con lui. Ci era voluto un po' per convincerlo a collaborare per il libro, ma i suoi colleghi infine ci erano riusciti. Sapevo che il chitarrista stava andando da uno psicologo e mi sembrava più tranquillo rispetto a quando lo avevo conosciuto; probabilmente quella novità lo stava aiutando in tanti aspetti della sua vita.

«Daron, abbi pazienza. Le domande sono tantissime.» Sorrisi nervosamente, sperando di non farlo chiudere a riccio. Mi venne un'idea e aggiunsi: «Se vuoi, ti rivelo come ho intenzione di creare il libro, ma dovrà rimanere un segreto tra noi due».

Gli occhi grandi e scuri del chitarrista si accesero di curiosità. «Sul serio?»

Annuii. «Sì. Allora, pensavo di fare una sezione per ognuno di voi. Una breve biografia sui fatti salienti della vostra carriera, sai, quelle informazioni che tutti sanno e che sono sparse per la rete... le raggrupperò tutte insieme e questa biografia farà da introduzione. Poi ci saranno delle foto: ne ho fatto alcune al Dodger Stadium che sono bellissime, ma John mi ha messo in contatto con Greg Waterman e lui si è reso disponibile per concedermi tutto il materiale che mi serve. Verrà fuori un gioiellino, te lo assicuro. Ci saranno foto molto rare che non si trovano dappertutto, così come le informazioni che sto cercando di raccogliere grazie alle vostre interviste.»

Daron annuiva in continuazione, sembrava piuttosto soddisfatto di ciò che gli stavo esponendo. «Sembra interessante» commentò.

«Poi ci sarà una sezione interamente dedicata al vostro staff: sto mettendo sotto torchio Sako, Rick, Beno e poi dovrò farlo anche con tanta altra gente...» Feci una pausa e sfogliai in fretta il taccuino. «Poi ci saranno interviste anche ad altri musicisti che hanno collaborato e suonato con voi. Insomma, vorrei dare un quadro il più possibile completo sui System Of A Down. Che te ne pare?»

Il chitarrista ridacchiò. «Ci vuoi sputtanare per bene, eh?» ironizzò.

Io gli strizzai l'occhio. «Qualcosa del genere.»

«Sei una brava giornalista, è solo per questo che ho accettato di partecipare a questa cosa. Dai, riprendiamo. Com'è che si dice? Tolto il dente, tolto il dolore...»

«Giusto» concordai. «Riprendiamo.»



Hai sempre voluto suonare la chitarra?


Macché. Il mio sogno era diventare un batterista, il mio mito era Ian Paice. Ma mio padre non era per niente d'accordo, così mi comprò una chitarra e mi intimò di accontentarmi. Evidentemente era destino, perché alla fine non mi sono mai dedicato seriamente alla batteria, neanche quando ne ho avuto l'opportunità. La suono, ma sono una schiappa. Però è uno strumento bellissimo. Sono il più grande fan di John Dolmayan, senza ombra di dubbio.


Avresti voluto avere un fratello?


Uhm... sì e no. Da un lato sarebbe stato bello condividere tutto con un fratello o una sorella, ma in definitiva mi va bene così. Per come sono fatto, avrei finito per farmi detestare da lui o lei!


In cosa credi?


Credo nella musica e nell'arte, e credo che lassù ci sia qualcuno che si diverte a fare casini in giro per il mondo. Be', se vuoi sapere se credo in Dio, mi definisco agnostico. Non lo so, non ho tempo per pensarci. Faccio meditazione a volte perché mi rilassa, fumo marijuana perché mi rilassa, suono perché mi rilassa, scrivo perché mi rilassa... trovo la spiritualità in ogni cosa, una spiritualità tutta mia, che forse nessuno può comprendere. Ed è meglio così.


Com'è il tuo rapporto con i fan?


Lo definirei particolare. Sono infinitamente grato a chi mi segue e mi supporta, ma certe volte per me è difficile gestire l'ammassarsi di tante persone tutte insieme. Mi sento a disagio e non so come reagire all'ammirazione smodata. È sempre stato un mio difetto, ed è per questo che sono sempre stato definito burbero, snob e in un sacco di altri modi. Non posso negarlo, ma a mia discolpa c'è da dire che alcune volte diventa pesante gestire il comportamenti di alcuni ragazzi.


Di cosa hai paura?


Di molte cose. È una domanda difficile. Sono terrorizzato dalla sofferenza, ho paura di essere controllato e spiato, ho paura dei luoghi troppo affollati... sono pieno di paure. Ma forse la più grande è quella per la solitudine: tendenzialmente mi chiudo in me stesso, per contro ho il terrore di perdere tutte le persone che amo e che mi circondano. E ho paura di commettere sempre gli stessi errori, di non imparare mai a gestire le mie ansie... ehi, ti ho detto che sono pieno di paure, no?



«Daron, mi dispiace. Questa è una delle domande più difficili» mormorai, timorosa di incontrare il suo sguardo.

Eravamo seduti nel suo salotto e per me era la prima volta. Mi sentivo un po' a disagio, avrei preferito ci fosse anche John con me.

«Fa' niente. Però devo fare una pausa, devo fumare un po' d'erba, ho bisogno di...» Si alzò e recuperò l'occorrente per costruirsi una stecca di erba.

«Se vuoi ti lascio solo, potremmo riprendere un altro giorno» gli proposi, facendo per alzarmi a mia volta.

«Non dire sciocchezze. Ormai mi conosci da un po', dovresti sapere che a volte sono un po' strano. Ma non manderò all'aria tutto il tuo lavoro» mi assicurò. «Vuoi fumare con me?»

«Non mi convincerai mai» affermai.

«Okay, okay! Senti, Bryah... io e te non abbiamo più avuto occasione di stare soli, perciò non ho mai potuto scusarmi per quel giorno fuori da casa tua, in Giamaica.»

Sgranai gli occhi e decisi di seguirlo accanto alla finestra. «Di che parli?» gli chiesi, sentendomi confusa e spiazzata dalle sue parole.

«Oh, andiamo! Te ne sei dimenticata? Ti ho accusato di essere stronza e ti ho detto che ti stavi comportando male con John, che lo stavi facendo soffrire. Faccio un sacco di cazzate, Bryah, e non le dimentico mai, anche dopo tanto tempo, anche quando le persone mi perdonano e ci passano sopra.»

Lo fissai sorpresa. «Io non mi ricordavo più di queste cose» ammisi con sincerità. Era trascorso un sacco di tempo e non avevo dato particolarmente peso a quella piccola discussione.

«Ma io no. Ogni tanto ci penso e mi do dello stupido. Mi dispiace, ti prego di perdonarmi. Non sapevo niente di te, di ciò che quello stronzo di Benton ti ha fatto passare. Non sapevo un cazzo e ho fatto il coglione.»

Gli posai una mano sulla spalla e sorrisi ironica. «Daron, mio caro, tanto tu fai il coglione a prescindere, quindi non ti devi preoccupare» commentai, per poi scoppiare a ridere.

Lui mi seguì a ruota. «Cazzo, hai ragione!» si schernì, scuotendo teatralmente il capo.

Continuammo a chiacchierare finché lui non terminò la sua stecca d'erba.

«Te la senti di continuare con l'intervista?» gli domandai cautamente.

«Sicuro. Sono tutto tuo, paparazza



Shavo trotterellava per la stanza in preda all'eccitazione e all'ansia.

«Sono fottutamente eccitato per questo libro! Secondo me sarà fighissimo, me lo sento, i nostri fan impazziranno!» continuava a blaterare.

«Shavo, ti prego, calmati! Se cominci a dare di matto ora, cosa farai quando il tuo bel faccino finirà in tutte le librerie?» lo presi in giro.

Ci trovavamo nella sala prove dei ragazzi, un luogo tranquillo in cui nessuno ci avrebbe disturbato. Era pieno di strumenti musicali, soprattutto bassi e chitarre; c'era anche qualche tastiera, un pianoforte a mezza coda e una batteria Tama coperta da un telo di cotone nero.

«Shavo? Secondo te posso fare una foto qui dentro? Da mettere nel libro» lo interpellai, accostandomi al set di tamburi. Scostai appena il telo e carezzai delicatamente uno dei tamburi montati sulla grancassa.

«Uh, ma certo! Che bella idea! Togliamo il telo e sistemiamo un po' le cose in maniera strategica. Che ne dici se facciamo una composizione che dia l'impressione di una sala prove incasinata? Fa più rock!» si entusiasmò subito il bassista, cominciando immediatamente a spostare strumenti, sgabelli e amplificatori.

Ci divertimmo ad allestire l'ambiente in modo volutamente casuale, e prendemmo a scattare diverse foto con la mia macchina fotografica e con il cellulare di Shavo. Quest'ultimo si offrì per posare per me, fingendo di suonare e di armeggiare con le attrezzature presenti.

«Sono foto in super esclusiva, devi ritenerti fortunata» scherzò il ragazzo, lanciandomi un sorrisetto sghembo.

«Non gongolare, bassista. E adesso mettiamoci all'opera: ho ancora un sacco di domande da farti» tagliai corto, recuperando nuovamente il taccuino e il registratore portatile.



Cosa avresti voluto fare se non fossi diventato un bassista famoso?


Tantissime cose. Da bambino volevo fare il cassiere perché ero convinto che tutti i soldi andassero a finire nelle mie tasche. Quando poi ho lavorato in banca, mi sono ricreduto completamente. Avrei voluto essere uno psicologo, ma poi ho capito che sono troppo emotivo per un mestiere così difficile e delicato. Ho provato diversi lavoretti, ma mi sarebbe piaciuto anche diventare un bravo scultore. Ho sempre avuto le idee piuttosto confuse, ma la musica è sempre stata una certezza per me.


Sei l'unico della band a essere nato in Armenia. Ricordi qualcosa in particolare della tua terra natia?


Ho pochi ricordi legati all'Armenia, e sono anche piuttosto vaghi. Ricordo nettamente un sapore, quello del lavash fatto in casa da mia bisnonna. Non ho mai più assaggiato niente di più buono.


Cos'è per te la famiglia?


La famiglia è un concetto astratto. L'affetto che provo per alcuni amici è fortissimo, li considero veri e propri fratelli. Certo, mi piacerebbe un giorno creare il mio piccolo nucleo famigliare, però non ho fretta. Inoltre, credo che il legame più forte che esista sia quello tra madre e figlio. Non c'è niente che possa eguagliarlo. So perfettamente che se diventassi padre non potrei mai competere con la madre dei miei figli, ma non mi dispiace. L'importante è che si viva in pace e armonia, che si ragioni bene prima di commettere danni irreparabili, e che ci si butti completamente in ogni situazione. In poche parole, per me la famiglia si basa sui sentimenti. Qualunque persona che susciti in me delle forti emozioni fa parte della mia famiglia.


Il tuo modo di vedere le droghe è piuttosto aperto. Cosa pensi?


Non mi sento di condannare nessuno. Io per primo ho sempre fumato marijuana, che ancora oggi viene considerata una sostanza stupefacente illegale in gran parte del mondo. Non ho mai oltrepassato il limite, ma ho perso molti amici a causa di droghe pesanti e uso smodato di alcolici. Sono situazioni difficili da affrontare, certe sostanze danno alla testa, creano una dipendenza difficile da gestire, e in molti casi impossibile da superare. Non condanno i tossicodipendenti, so bene che hanno bisogno di aiuto, e non di essere additati come drogati senza cervello. Molte persone intraprendono una brutta strada per motivi che noi non possiamo neanche immaginare. Non mi piace giudicare il prossimo, mi piace aiutarlo e trattarlo come un fratello, sperando di fare abbastanza. Tutto qui.


Come ti senti quando sali sul palco?


Mi sento cullato e coccolato dal mio pubblico, mi sento a casa, mi sento vivo ed energico. Anche se sono in tour da settimane e dormo pochissimo, anche se rischio di non reggermi in piedi. Condividere la mia musica con il mondo ha un effetto lenitivo su di me: cura tutti i miei dolori e mi rende intoccabile.


Di cosa hai paura?


Di deludere gli altri. Sono impulsivo e spesso reagisco d'istinto, ma subito dopo me ne pento e corro subito ai ripari. Non sono per niente orgoglioso quando mi rendo conto di star perdendo qualcuno o qualcosa di importante. Credo molto nel dialogo: è in grado di curare ogni dissapore e di avvicinare molto le persone. Esorcizzo questa mia paura in tutti i modi possibili, cerco di essere premuroso e finisco spesso per entrare in paranoia. È un circolo vizioso, ma non mi perdonerei mai se deludessi le persone che amo.



«Per oggi abbiamo finito» dichiarai, chiudendo di botto il taccuino.

Shavo mi lanciò un'occhiata sorpresa. «Ma come? Di già? Mi stavo divertendo!» si lamentò.

«Ti piace davvero essere messo sotto torchio da me? Daron ormai mi chiama paparazza» raccontai, fintamente indignata da quell'appellativo.

«Pensa te! Carino come soprannome» commentò il bassista.

«Ma va'! Tranquillo, nei prossimi giorni tornerò alla carica» gli promisi.

«Non vedo l'ora.»



Rileggendo gli appunti e sfogliando le pagine zeppe di scarabocchi mi resi conto che c'era ancora un sacco di lavoro da fare. Avrei dovuto mettermi seriamente d'impegno, ma sapevo che ne sarebbe valsa la pena.

Strinsi il taccuino al petto e fui infinitamente grata a tutti coloro che mi stavano aiutando a riprendere in mano la mia vita e a sentirmi finalmente rispettata e amata.




Cari lettori, eccomi qua!

Forse nessuno di voi si aspettava un POV Bryah, ma voi non avete idea di quanto morissi dalla voglia di scrivere questo capitolo!

Inizialmente il progetto era quello di inserire questo come ultimo capitolo, come una sorta di epilogo, ma poi mi sono detta che non potevo lasciarvi così: voi meritate un finale più carino, perciò vi comunico che il prossimo capitolo sarà quello conclusivo di questa long che più long non si può X'D

Su, su, non strappatevi i capelli e i vestiti così (?): ho già un altro progetto in mente in questa categoria, un'altra long di cui ho già scritto tre capitoli ^^

Se siete curiosi, continuate a seguirmi!

Mi scuso per aver pubblicato in ritardo questa settimana, ma questo capitolo per me è stato molto difficile da buttare giù: ho dovuto elaborare le domande di Bryah e immaginare cosa i ragazzi avrebbero detto in risposta. Ovviamente molte cose le ho inventate, e altre prendono soltanto spunto da fatti reali della vita dei nostri amati System!

Invece, quando ho scritto “Da bambino volevo fare il cassiere perché ero convinto che tutti i soldi andassero a finire nelle mie tasche”, mi riferivo a un aneddoto realmente accaduto che riguarda la mia cara Soul: lei da piccola aveva questo desiderio e questa convinzione, così ho pensato che fosse carino farla diventare di Shavo **

Che ne pensate di questo libro? Secondo me Bryah farà un ottimo lavoro ** vi immaginate se fosse vero? Io correrei subito a comprarlo, senza ombra di dubbio :'3

Okay, be', aspetto come sempre i vostri preziosissimi pareri, ci sentiamo presto con l'ultimo attesissimo capitolo di questa folle storia!

Grazie ancora di tutto a tutti ♥

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > System of a Down / Vai alla pagina dell'autore: Kim WinterNight