L’anello
Ron era appena
tornato dal bagno, dopo aver fatto la
doccia, e si era appena infilato i vestiti per scendere a cena, quando
la porta
della stanza si spalancò e una piccola tempesta rossa fece
il suo ingresso
nella camera del settimo anno.
Si girò verso la sorella che esclamò:
“È vero che
hai comprato una Firebolt?” Oh, le voci giravano in fretta.
“Ciao Ginny, non dovresti bussare? Avrei potuto
essere nudo.”
Lei scosse una mano in aria per liquidare la cosa.
“Ti ho già visto nudo. Allora, la
Firebolt?” Beh, forse a sei anni, mica
adesso! E poi…
“Ci sarebbero potuti essere Harry o Dean
o…”
“Ho
già…” Ginny si fermò quando
incrociò lo sguardo
del fratello. Ok, aveva visto nudo anche Harry e, se Ron fosse stato
abbastanza
furbo, avrebbe dovuto immaginarlo da solo. Sbuffò.
“La prossima volta busserò.
Me la fai vedere?”
Il rosso sorrise. No, gongolò. Da sotto il letto
tirò
fuori il manico della scopa più veloce che esistesse. Ginny
si avvicinò. Era
proprio come quella che aveva avuto Harry. Forse lo stampo del marchio
era un
pochino diverso. Era stupenda.
L’accarezzò. Aveva il manico lucidissimo e le
fascette per i ramoscelli erano incise. Il poggiapiedi era finemente
lavorato e
stabilissimo. E sembrava anche nuova.
“È stupenda. Harry l’ha già
vista?” Ron scosse la
testa.
“Secondo te, si offende?” Ginny corrugò
la fronte.
“Per cosa?”
“Perché lui ha perso la sua…”
Ron guardò per terra.
La sorella sorrise e gli andò vicino. “Harry
sarà
contento per te, non preoccuparti”.
Ginny sapeva che Harry aveva già ordinato una
Firebolt nuova. L’aveva dovuta ordinare perché i
folletti non avevano ancora
ripreso la produzione dopo la battaglia di maggio e al momento le
Firebolt
erano praticamente introvabili.
Chi la voleva doveva ordinarla e aspettare
pazientemente.
Ron non disse
niente. Sperò che fosse così.
Ginny gliela ridiede e chiese: “Dove l’hai presa?
Al
negozio dell’usato? Ci ho guardato un sacco di volte, ma non
l’ho mai trovata”.
Ron sentì le orecchie andare a fuoco. Avrebbe voluto
dire che l’aveva presa lì. In quel momento si
vergognò un po’. L’aveva portata
via a una ragazza che aveva appena scoperto che suo padre era morto
cadendo da
una scopa. Si era approfittato della situazione?
“Ron? Perché le tue orecchie sono rosse? Che cosa
hai fatto?” Ginny lo guardava stranita e leggermente severa.
Certo, mica poteva
immaginare, lei.
“Mmm… Camille me l’ha data in cambio di
una pizza.”
Come? Che cosa?
Cosa aveva fatto Camille? Ginny
guardò la scopa, che lui teneva ancora in mano e sempre
più curiosa chiese:
“Che vuol dire? È di Camille?”
Beh, era
diventata sua.
“Era di Pansy. Camille ha detto che se le portavo a
mangiare la pizza, me l’avrebbe regalata”.
Pensò che fosse meglio essere
conciso. Non c’era bisogno di raccontare tutto, tutto. Ginny
allargò la bocca.
“Che fortuna! Avrei potuto portarla io a mangiare la
pizza. Oh, Merlino…” Sbuffò.
“Me la farai provare al prossimo allenamento?”
Lui quasi ghignò. “Vedremo. Se sarai
gentile...”
Ginny gli diede uno spintone sulla spalla. “Io sono
sempre gentile!” Ron ridacchiò. Mise via la scopa
e si allungò sul letto a
prendere il sacchetto de ‘Accessori da Quidditch di
Qualità’ e glielo allungò.
“Tieni” disse un po’ imbarazzato.
Ginny
guardò il sacchetto che le porgeva il
fratello: il marchio del suo negozio preferito a Diagon Alley era sulla
busta.
“Cos’è?” chiese curiosa mentre
lo prendeva.
“Un regalo”. Ginny sorrise estasiata. Un regalo?
Per
lei? Cioè, Ron le aveva fatto un regalo?
“Perché?” Lui alzò le spalle.
Le sue orecchie erano
diventate ancora rosse. Era in imbarazzo. Che carino.
“Ho preso i soldi dal Ministero. Ho
pensato…” Ginny
gli saltò addosso e l’abbracciò.
“Grazie!”
“Non l’hai ancora visto. Magari non ti
piace.”
“Grazie per avermi fatto un regalo. Qualsiasi cosa
sia!” Ron annuì e si voltò a far
qualcosa nel baule. Doveva essere ancora in imbarazzo.
Aprì il sacchetto e tirò fuori due bellissimi
polsini verde scuro con ricamato un artiglio d’oro. I polsini
delle Holyhead
Harpies che aveva visto durante le vacanze di Natale!
Ron
guardò con la coda dell’occhio la sorella. I
suoi occhi si spalancarono gioiosi quando tirò fuori i
polsini. Sorrise
compiaciuto mentre li infilava.
“Ron…” aveva gli occhi lucidi.
“Grazie. Sono
bellissimi! Non vedo l’ora di metterli alla prossima
partita”. Gli diede un
bacio sulla guancia continuando a guardare i polsini.
Uscendo dalla stanza si scontrò con Dean e Seamus
che stavano entrando.
“Oh, scusate ragazzi” disse senza neanche
guardarli.
Il rosso vide Dean guardare il sedere alla sorella e sorridere in un
modo che
non gli piaceva per niente. Si avvicinò e gli diede una
spallata mentre usciva.
“Oh, amico, guarda dove vai!”
Sorrise quando Dean abbassò lo sguardo, dopo la sua
occhiataccia.
***
Pansy
arrivò in biblioteca dopo aver lasciato
Camille alla porta della sala comune nei sotterranei. Sperò
che non le avesse
detto bugie. Era una cosa troppo importante.
Vide Draco e la Granger a uno dei tavoli a fare i
compiti e bisbigliare fra di loro. Sperò di non interrompere
una chiacchierata
amorosa. Erano stucchevoli quando ci si mettevano. Ma avvicinandosi
capì che
non era una chiacchierata amorosa, ma una scaramuccia. Merlino, ancora
peggio.
Arrivò davanti al loro tavolo e disse: “Granger,
posso parlarti in privato?”
Quando Pansy era
arrivata senza salutare nessuno,
chiedendo a Hermione di parlare, Draco capì che doveva
essere una cosa seria.
La guardò bene. Era agitata, ma cercava di controllarsi. Lo
capì da come
spostava il peso da una gamba all’altra. Voleva portare altre
preoccupazioni a
Hermione? Assolutamente no.
Quando sentì la riccia risponderle:
“Certo”, si
alterò.
“Possiamo parlare tutti e tre” sostenne lui.
“So
tutto”.
Pansy si voltò verso la Grifondoro e chiese: “Lui
sa
di martedì?”
Quando la sua ragazza, o quella che si spacciava per
la sua ragazza, scosse la testa si arrabbiò ancor di
più. Cos’era che lui non
sapeva? E poi, perché non lo sapeva? Digrignò i
denti ed emise un suono
spaventoso.
“Io non vado da nessuna parte.”
Pansy
sospirò. “Dra, per favore…”
Lui si protese verso di lei e il suo sguardo si fece
cattivo “Non chiamarmi Dra,
Parkinson. Se vuoi parlare con tutti e due, puoi sederti. Altrimenti,
puoi
farti un giro”. Oh, si era arrabbiato. Che peccato.
“D’accordo” rispose. Lui
ghignò ma il suo ghigno
scomparve quando lei gli disse freddamente: “Malfoy, sparisci
per un po’, io e
Hermione dobbiamo parlare di questioni private”.
Sperò di avere il tono giusto
mentre dondolava la mano in aria. Non lo aveva mai usato con il biondo.
Non era
brava come lui. Una giornata stressante sotto molti punti di vista. Lui
spalancò gli occhi. Non se lo aspettava.
“Hanno ragione gli altri. Sei diventata proprio una
stronza. Anche con i tuoi amici. Frequenti gente sbagliata. Dovresti
stare
attenta, potresti finire da sola” continuò il
biondo, senza alzarsi. Pansy si
sentì male. Detto da chiunque altro, sarebbe stato diverso.
Gli rispose ancora qualcosa, ma fece molta fatica.
Non aveva mai discusso con Draco così. Ci mancava poco e
avrebbe vomitato
quella favolosa pizza.
“Andiamo
via.”
Hermione non voleva assistere a quello straziante e
inutile battibecco.
La Parkinson aveva una faccia da funerale. E Draco continuava
a dirle cose cattive con un tono veramente cattivo. Le dispiacque per
lei. Vide
la faccia di Draco trasformarsi in uno sguardo ferito quando prese le
parti
della ragazza. Le pianse il cuore. Si sentiva tradito.
Ma se la Parkinson voleva parlarle della presunta
evasione di sua madre, doveva ascoltarla. E subito. Vide la Serpeverde
lanciare
uno sguardo dispiaciuto a Draco, ma lui non lo ricambiò.
“Te ne vai?” le chiese. Hermione annuì.
Anche perché
rimanere lì a farsi dire cosa poteva o non poteva fare non
era la sua idea di
‘piacevole conversazione’.
Si alzò e fece cenno alla Parkinson di seguirla. Lei
non la seguì subito, guardava ancora Draco. Ma poi le
toccò un braccio e la
ragazza si riscosse, seguendola.
Uscirono dalla biblioteca. Si guardò intorno. Dove
sarebbero potute andare?
Pansy
sentì un attacco di nausea salirle lo stomaco.
Prese una mano della riccia e disse solamente: “Il
bagno di Mirtilla”. Lei annuì e si diressero al
secondo piano. Quando entrarono
nel bagno, lei si fiondò velocemente verso uno dei gabinetti
e vomitò. Merlino,
la pizza… Quando uscì si diresse a uno dei
lavandini e si sciacquò la bocca e
il viso. Vide le lacrime scivolarle sulle guance da sole.
“Tutto ok?” La Grifondoro comparve nello specchio.
Le appoggiò una mano sulla spalla e Pansy annuì
allo specchio.
“È stata una giornata impegnativa,
Granger.”
“Ho appena litigato con il mio ragazzo
e…”
Pansy la interruppe: “Mi sembrava che foste già a
buon punto quando sono arrivata io, non è stata colpa
mia”.
Ma lei continuò come se non fosse stata interrotta:
“… e tu hai avuto una giornata impegnativa.
Possiamo chiamarci per nome, che
dici?” Oh. Per Salazar. Va bene. Certo, potevano farlo.
Alzò una spalla.
“Se ci tieni tanto, va bene.”
Hermione quasi
rise. Lo aveva detto come se volesse
farle un favore.
“Vuoi dirmi cos’è successo
oggi?”
Ma la Serpeverde scosse la testa. “Prima le cose
più
importanti. Penso che chi voglia aiutare mia mamma sia qui a
Hogwarts” disse tutto
di un fiato.
Come? A Hogwarts? E perché lo pensava? E perché
non
lo aveva detto prima?
“Come è possibile? Perché dici
così?” Lei si morse
il labbro e si girò verso il lavandino.
“Quando l’ho vista martedì…
Lei mi ha parlato di…” Si
fermò e si guardò intorno. La Parkinson, pardon,
Pansy tirò fuori la bacchetta
e spalancò tutti i cubicoli per assicurarsi che fossero da
sole. Hermione
aspettò. Merlino, aveva raccontato quello che aveva detto
sua madre, quella
storia di dover ‘essere carina con…’ e
la frase che le aveva risposto lei, al
ministero. Audrey l’aveva interrogata e glielo aveva fatto
ripetere tantissime
volte, tanto che alla fine era Hermione a essere nauseata.
“Ci hai detto quello che ha detto tua madre. Mi
ricordo”. Lei alzò lo sguardo sulla riccia. Aveva
un brutto sguardo. Più di
quello in biblioteca.
“Non ho raccontato tutto.”
Ma come era possibile? Aveva preso il veritaserum.
“È
impossibile! Ti aveva dato il Veritaserum. Non
puoi mentire con quella pozione!”
No. Non si poteva mentire. Ma si poteva stare zitti.
Se le domande venivano fatte da un’incapace, non era
difficile.
“Non si può mentire e infatti non l’ho
fatto. Se ti
vengono fatte domande dirette, non puoi non rispondere, ma puoi non
dire le
altre cose, se sei ben allenato…” Vide la riccia
corrugare la fronte. Sospirò.
“Ok, diciamo che ho una certa esperienza con il veritaserum,
mia madre me lo
faceva prendere...”
La Granger spalancò gli occhi. “Ma è
illegale!”
La Serpeverde
fece un sorriso tirato. “Sarà anche
illegale, ma la Adams l’ha usato con me, martedì
scorso”. Annuì. Effettivamente
non faceva una piega.
“Ok. Allora spiegami tutto da capo”. Si sedette sul
ripiano del lavandino. Sembrava una cosa lunga.
“Quando mi ha visto, la prima cosa che ha fatto mia
madre è stato guardare il mio dito” disse, alzando
la mano sinistra e mostrando
l’anulare. “Non avevo capito perché
finché non ha iniziato a parlare di
matrimonio”. Hermione annuì poco convinta. Cosa
c’entrava? Ma la madre di Pansy
era particolare, quindi aspettò che continuasse.
“Aveva paura che mi fossi
fidanzata. Come se essere da sola, senza un soldo e un posto dove
andare, non
fossero già un problema di suo…
Mi ha raccontato del matrimonio fra lei e mio padre,
di come si fossero sposati per amore, di come si amavano e di come il
mondo l’è
finito addosso quando lui è morto.
Del fatto che sposarsi e amare qualcuno non dovevano
per nessun motivo andare di pari passo”. Fece un sospiro e
una lunga pausa. Ora
Hermione era incuriosita. “Ora, tutte queste cose io le
sapevo già. Avevamo
fatto questo discorso un sacco di volte. Ti dispiace se
fumo?”
Hermione scosse la testa, stupita dal cambiamento di
argomento.
Pansy
tirò una lunga boccata. Sua madre le aveva
fatto quel discorso un sacco di volte, sì, ma non le aveva
mai detto di aver
sposato suo padre per amore. Pensò a Julien. Quindi lui
l’aveva sposato per
convenienza. E a lei sarebbe successa la stessa cosa. Per fortuna ne
era fuori.
Molto meglio da soli. Tirò un’altra boccata e
riprese a parlare.
“Alla fine ha fatto il suo nome. Lei sapeva di
lui.”
“Lui chi?” La mora sbuffò. Ma non era
quella
sveglia, lei? La strega più brillante... eccetera
eccetera?
“Del tuo amico”. La Grifondoro corrugò
la fronte. Oh,
Merlino!
“Di Weasley! Oh, Granger, ci sei?” Lei
spalancò gli
occhi. Oh, finalmente aveva capito. Santo Salazar!
“E come faceva a saperlo?” Pansy sorrise. Appunto.
“E
come faceva a saperlo?”
Oh, che domanda idiota, Hermione! Lei glielo stava
dicendo. “Lo può avere saputo solo da
qui?” La mora alzò un sopracciglio. “Ok,
ho capito, ho capito” ripensò a tutto un attimo,
ma l’unica cosa che le veniva
in mente era… matrimonio d’amore? Lei amava Ron? O
era una paranoia di sua
madre? Sospirò. Non voleva chiederlo. Così
chiese: “Chi è che lo sa?” Lei la
guardò con sufficienza.
“Non lo so. Tu, Draco, Ginny, Blaise, Daphne,
Camille…” alzò una spalla probabilmente
si fidava di tutti.
“Fuori di qui, nessuno?” Lei scosse la testa.
“Che io sappia, no. E lui dice di non averlo detto a
nessuno. Neanche Camille.”
“Camille?” Pansy alzò le spalle.
“Gliel’ho chiesto. Non volevo lasciare niente al
caso.”
“Qualcuno della scuola, quindi.”
“Immagino di sì. Io ti ho detto quello che sapevo.
Ora puoi dirlo tu a quella simpaticona della Adams?” E fece
per andarsene.
“Aspetta!” La mora si voltò che era
quasi sulla
porta. “Non mi hai detto quello che è successo
oggi”.
La Grifondoro
aveva quasi un ghigno.
“No, non te l’ho detto.”
“Ma non avevamo detto che…”
Pansy la interruppe: “Non avevamo detto niente. Tu
hai detto cose tipo ‘chiamiamoci per nome’
eccetera, ma io non ti ho detto che
ti avrei raccontato i fatti miei”.
“Quindi oggi ti hanno ridato la casa?” La riccia
l’aveva ignorata. Faceva molto Serpeverde. Sorrise, stupita.
“Già.”
“Ed eri da sola?” La Granger sorrise sorniona. No,
Hermione.
Non sarebbe mai riuscita a chiamarla per nome. “Con
Camille, forse?”
“E basta? Nessun altro?”
“Forse anche un idiota di nome Smith”. La
Grifondoro
corrugò la fronte. “Sai, l’addetto del
ministero?”
Oh, giusto, l’impiegato del ministero. Ma quindi Ron
non c’era? Era andato veramente solo alla Gringott? Lo faceva
più furbo.
“Solo voi?” La mora sbuffò, aveva spento
la
sigaretta e lei non se n’era neanche accorta.
“Ok, c’era anche Weasley. Contenta?”
Ora che glielo
aveva detto poteva andarsene? La vide
sorridere.
“Come mai non lo chiami più per nome?”
Lei ripensò
alla discussione avuta con lui in pizzeria. Sentì il calore
salirle alle
guance.
“Granger…”
“Non dovevamo chiamarci per nome, almeno noi?”
Sbuffò.
“Ok, Hermione,
cosa vuoi sapere? Sono un po’ stanca.”
“Cos’è successo?” La
guardò di sottecchi ed esclamò:
“Ti hanno chiesto di indagare anche su di me?”
Finalmente lei perse la sua compostezza. “NO!”
Scosse
la testa e spalancò gli occhi, sorpresa. Pansy rise.
“Io… hai detto di avere avuto una giornata
impegnativa… Hai litigato con Draco per parlare con
me… chiedevo così” disse
Hermione.
“Vuoi sapere cos’è successo oggi? Eccoti
accontentata: ho scoperto che il ministero non è in grado di
perquisire
un’abitazione senza fare danni, che la porta della mia stanza
è stata fatta
esplodere perché l’Alohomora non aveva funzionato,
che hanno frugato fra tutte
le mie cose e il tuo amico…” Fece una pausa.
“Il tuo amico ha avuto un
comportamento... Merlino,
non so neanche
come definirlo!” Anche adesso che ci pensava, si sentiva
ancora andare a fuoco.
La riccia sorrise. No, ghignò. Oh. Per Salazar! Un sospetto.
“Glielo hai detto
tu di farlo?”
L’avrebbe uccisa. Una cosa pulita. Un Avada
Kedavra lì, nel bagno di Mirtilla
e l’avrebbe fatta sparire con un Evanesco. Insieme alle
sigarette. Quella
ragazza era più Serpeverde di quanto chiunque potesse
immaginare! Non aspettò
la sua risposta, anche perché era abbastanza sicura che non
volesse dargliela. Sospirò
e si appoggiò al muro. La riccia inclinò la
testa.
“Draco ha scoperto che mi sto interessando a Nott.
Non l’ha presa bene”. Pansy la guardò.
Certo che era strana. Oh, forse era
quella tattica strana dei Grifondoro.
“Certo che non l’ha presa bene, sarà in
ansia per
te. Conosce anche lui Nott. Ha scoperto lui la pozione.”
Era stato Draco
a scoprire della pozione? E cosa
voleva dire che era in ansia per lei?
“Tu lo sapevi che Nott era il padre del bambino di
mia sorella?” Hermione spalancò gli occhi. No, non
lo sapeva. Pansy annuì.
“Già. Ma non dirglielo, perché lui non
lo sa”. Hermione la guardò senza dire
niente. “Ascolta. Dovrai stare attenta, a qualsiasi cosa
farai. E Draco sarà
sempre in pensiero per te. Lui si preoccupa un sacco, per le persone a
cui
tiene. E a te ci tiene…” La Serpeverde si era
riavvicinata a lei e la guardava
con la fronte corrucciata. “Gra... Hermione, ti hanno mai
detto che hai dei
capelli allucinanti?”
Come? Cosa c’entrava adesso? Ridacchiò
nervosamente
passandosi una mano sulla coda malfatta che le legava i capelli. I suoi
capelli
indomabili. “Avevo sentito dire che eri diventata cattiva, ma
non pensavo
arrivassi a offendere i miei capelli”.
Il suo sguardo cambiò e divenne freddo. “Dovrei
avere una lozione per i capelli come i tuoi” disse come se
non l’avesse
sentita, ma prima di uscire dal bagno si voltò e
continuò: “A quanto pare, non
sono cattiva, sono stronza”. E si rabbuiò come in
biblioteca.
“Draco non intendeva…” cercò
di difendere il biondo,
ma la mora alzò le spalle e la interruppe: “Non mi
interessa quello che intende
Draco”.
Fece un cenno con la testa e se ne andò, lasciandola
sola nel bagno.
***
Hermione era a
tavola con Harry mentre aspettavano
che Ginny e Ron li raggiungessero. “Sai che sabato
accompagnerò Doge in uno dei
suoi giri? Finalmente Kingsley mi permette di uscire dal
Ministero!” le
comunicò il ragazzo.
La riccia sorrise. “Mi fa piacere per te”. Sapeva
che a Harry non piaceva stare in quello stanzone dove c’erano
i cubicoli degli
Auror in mezzo a pergamene ammuffite a ordinare vecchi verbali. Doge
era un
mago veramente in gamba, sicuramente gli avrebbe insegnato un sacco di
cose.
Forse, per lui, sarebbe stato come stare ancora vicino a Silente.
Invece lei
sarebbe andata nell’ufficio per la regolazione e il controllo
delle creature
magiche. E avrebbe incontrato Kingsley per aggiornarlo sui suoi
progressi. E
purtroppo non ne aveva fatti. Avrebbe fatto un giro
all’ottavo livello,
comunque. Avrebbe parlato con Audrey.
Sperò che non richiamasse indietro Pansy per
interrogarla ancora. Pansy. Si passò una mano sui capelli,
memore di quello che
le aveva detto nel bagno.
“Harry, ma secondo te i miei capelli sono… allucinanti?”
Harry
alzò lo sguardo verso di lei. Era una domanda
trabocchetto? Cosa voleva sapere? “Eh… in che
senso?”
“Tu pensi che siano strani?” Harry
guardò speranzoso
verso la porta d’entrata: magari sarebbero arrivati Ginny e
Ron e non avrebbe
dovuto rispondere. Ma non arrivò nessuno.
“Ma… guarda… io non so…
forse sono un po’
disordinati…” Il viso della ragazza si fece
corrucciato e lei si sporse verso
di lui.
“Disordinati? Che intendi?” Oh. Bo. Dove si era
cacciato Ron?
“Sembra che tu non li pettini. Ma… ti stanno bene.
Davvero. Sono disordinatamente…” Harry
cercò disperatamente una parola positiva
per descrivere i capelli di Hermione ma non gli venne in mente niente.
I capelli della ragazza erano una massa di riccioli
intrecciati fra di loro che sembravano un nido di ippogrifo, nei giorni
migliori. Negli altri… Vide la chioma di Ginny (i suoi
capelli erano favolosi,
in compenso, ma lei aveva la fortuna di non avere i ricci, ma dei
capelli mossi
molto molto morbidi e vaporosi) avvicinarsi a loro. Le sorrise.
Si sedette vicino a Hermione e lei le disse: “Harry
dice che non mi pettino i capelli”.
Ginny si voltò verso Harry con la faccia un po’
scura. “Cosa le hai detto?” No, no, no. Lui non
aveva detto così.
“Io non intendevo…” Alzò le
mani con i palmi avanti
e balbettò. Poi Hermione rise. E ridacchiò anche
Ginny. Lui le guardava
stranito mentre loro lo prendevano in giro. Sbuffò e
cercò Ron con lo sguardo.
Ginny
guardò Hermione mentre ridacchiava.
Poi lei divenne seria e si passò una mano sui
capelli. “Secondo te dovrei tagliarli?” le chiese.
“NO! Non devi farlo. I tuoi capelli non hanno niente
che non va, vanno solo un po’ disciplinati. Potremmo fare
delle prove con gli
incantesimi o provare qualche crema. Ma non tagliarli
assolutamente!”
Hermione sorrise
all’amica. “Va bene, va bene”.
Ginny teneva ai suoi capelli più di lei.
***
Ron prima di
cena scese nei sotterranei. Era uscito
di corsa dalla camera e non aveva pensato a controllare la mappa. Ora
non
sapeva come trovare la piccola Serpeverde. Si fermò nel
corridoio che portava
alla sala grande, si appoggiò a una delle colonne,
nascondendosi alla vista di
chi passava, e aspettò.
Vide passare Pansy insieme alla Greengrass e alla
Bulstrode. Poi passarono Zabini e Malfoy. Vide anche l’idiota
che giocava a
Quidditch. E passò anche Rowie, l’altro idiota,
quello che lo voleva schiantare
alle spalle. Quando vide la più piccola delle Greengrass,
riconobbe Camille nel
gruppetto di ragazzine che la seguiva. Merlino. Non aveva pensato che
non fosse
da sola. Ok, coraggio.
È
stato più
difficile con l’Horcrux, ricordatelo, Ron.
Uscì dal suo nascondiglio e sorrise alle ragazze.
“Camille, posso parlarti?” La moretta fece una
faccia curiosa e chiese: “Io?”
Oh, c’erano altre ‘Camille’? Non ci aveva
pensato.
Lui annuì e lei sorrise.
“Certo. Ragazze, arrivo subito”. Le altre
ridacchiarono, ma la Greengrass lo guardò curiosa, senza
sorridere. Ma poi
annuì e la sua bocca divenne un ghigno.
Merlino, queste Serpeverde erano micidiali! Tirò la
ragazzina dietro la colonna, ma non riusciva a nasconderli tutti e due,
così
cercò di fare presto.
Camille
osservò Weasley tirar fuori dalla tasca un pezzo
di stoffa. Lo aprì e le fece vedere l’anello della
nonna di Pansy. Era un
cerchietto di oro bianco che si intrecciava intorno al castone, dove
un’ametista
dell’Uruguay era circondata da otto piccoli petali
d’oro lavorato che proteggevano
la pietra come un fiore, tutti e otto coperti da brillanti.
Fondamentalmente
era un anello molto banale, nella sua semplicità, ma Camille
sapeva che era
molto prezioso e che Pansy ci teneva tantissimo. Non aveva capito
subito quando
lei lo aveva consegnato al banco dei pegni, ma ora sapeva che
l’aveva fatto
quando l’aveva portata in Inghilterra. Pansy le aveva
raccontato tutto, dopo il
San Mungo, perché Camille aveva insistito e preteso di
sapere tutto.
“È questo?” Lei annuì
soddisfatta. C’era riuscito!
Era stato bravo. Quando erano tornati a casa a prendere la scopa, lui
l’aveva
fatta sedere velocemente alla scrivania di Pansy, le aveva dato una
piuma e le
aveva detto di disegnare l’anello con l’ametista.
Beh, lui non si ricordava il
nome della pietra e lei aveva anche dovuto specificare di che colore
fosse
l’ametista dell’Uruguay perché lui non
lo sapeva, però alla fine lei l’aveva
disegnato.
Avevano dovuto incantare l’inchiostro perché si
asciugasse in fretta e lui aveva piegato la pergamena velocemente e
l’aveva
infilata in tasca. Quando al Tiri Vispi aveva detto che sarebbe andato
al
negozio del Quidditch, lei aveva chiesto di andare con lui,
perché aveva capito
che sarebbe andato dal mago odioso, ma né lui né
Pansy l’avevano lasciata
andare.
Quando poi era tornato con la busta del Quidditch,
aveva avuto qualche dubbio. Ma ora l’anello era
lì, nella sua mano. Camille lo
guardava sorridendo: Pansy era fortunata ad avere Weasley che faceva
così tante
cose per lei. Che si prendeva cura di lei. E Camille sapeva quanto
Pansy ne
avesse bisogno.
Nessuno si era mai preso cura di sua sorella.
Ron
esultò mentalmente quando vide la piccola Serpeverde
annuire. C’era riuscito!
Era entrato nel banco dei pegni e aveva scoperto che
dietro al bancone c’era nientemeno che Mundungus Fletcher
(ecco perché Camille
l’aveva chiamato ‘mago
odioso’!)
Quanti conti in sospeso avevano con lui? Aveva visto l’anello
quasi subito,
alle spalle del mago, ma era riuscito a girarci intorno per vedere se
effettivamente era l’anello della famiglia Parkinson.
Sembrava di sì. Era
riuscito a farselo prendere dalla vetrina, con la scusa di vederlo, con
tre
scappellotti alla testa di Fletcher e lui aveva confessato di non aver
restituito l’anello alla ragazza che era venuta a prenderlo
quando aveva
ripagato il prezzo. Un prezzo più alto, logicamente. Gli era
sembrato un buon
affare riuscire a spillarle un altro po’ di soldi prima di
ridarglielo, ma lei
non c’era cascata e non aveva tirato fuori
nient’altro.
“Una strega con una faccia così cattiva, Ron,
avresti dovuto vederla!”
Aveva raccontato un altro po’ di cose, ma quando
alla fine lui gli chiese: “Ma quindi lei te lo ha
già ripagato?” Quel mago da
strapazzo si era reso conto di quello che aveva confessato e aveva
strabuzzato
gli occhi. Ron aveva dovuto tirar fuori la bacchetta, ma non era stato
necessario
nient’altro, per farsi consegnare l’anello.
Perfetto.
Lo richiuse dentro alla stoffa e le disse:
“Perfetto. Tieni. Restituisciglielo”.
Ma lei aveva scosso la testa. “No. Devi farlo tu!”
“Io?”
“Tu sei andato a prenderlo”. Lui scosse le spalle.
“Non è importante. L’importante
è che lei lo riabbia”.
Le prese la mano e le mise il fagottino sul palmo.
“Ma… Tanto immaginerà che
l’hai fatto tu!”
Lui ammiccò. “Allora inventa qualcosa”.
Si girò e prese il corridoio per andare in sala
grande sorridendo. Aveva una gran fame.
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