Hermione
ha un’altra crisi
Le ragazze
stavano aspettando Daphne e Pansy da più di
mezz’ora.
Camille si
avvicinò a Ginny che chiacchierava con Millicent vicino al
tavolo adibito ai
beveraggi.
“Ginny,
secondo te c’è da preoccuparsi?” Ginny,
che aveva appena assaggiato un liquore
babbano, si girò verso di lei.
“Io non mi
preoccuperei, Camille, quando si fanno le feste a sorpresa,
può succedere
qualche imprevisto. Non preoccuparti”. Poi si girò
verso la Serpeverde castana
e le allungò il bicchiere. “Bulstrode, fammi
sentire anche quello lì, quello
celeste. Come hai detto che si chiama?” Millicent sorrise e
versò.
Camille non
l’aveva mai vista sorridere. E non l’aveva mai
vista essere gentile con
qualcuno. Qualcuno di loro.
Guardò verso
la porta, ma ancora niente. Da quando Pansy era rimasta al Ministero,
Camille si
preoccupava spesso. Per la prima volta, sentiva quanto fosse importante
avere
vicino sua sorella per non sentirsi sola.
“Però
mangiaci dietro qualcosa, Weasley, l’ultima cosa che vogliamo
è tuo fratello in
preda al panico nei sotterranei.”
Camille si
girò alla voce di Millicent e sorrise. Oh, Weasley. Forse
Pansy era con lui.
Forse…
Un piccolo
gufo di pergamena arrivò e svolazzò davanti a
Camille. Lo prese e si distese.
Forse Daphne aveva bisogno d’aiuto. Lesse velocemente il
biglietto.
“Arrivano!”
Alzò un po’ la voce. Tutte le ragazze si alzarono
da dov’erano e aspettarono di
vedere la porta aprirsi.
Pansy
seguiva Daphne che stava andando da Millicent. Quando era tornata in
camera, le
aveva chiesto aiuto e lei aveva accettato di seguirla. Cosa poteva
essere successo?
Quando girarono in uno dei corridoi dei sotterranei, trovandosi davanti
a una
porta strana, non fece domande. Quando aprì la porta, dentro
era tutto buio, ma
non chiese niente. Quando entrò, seguendo l’amica,
venne investita da un:
‘Sorpresa’ gridato da una manciata di ragazze e la
stanza venne illuminata da
centinaia di fuochi d’artificio in miniatura.
Una festa a
sorpresa? C’era cascata. Sorrise, guardando le ragazze, tutte
le ragazze. Oh,
c’era anche Millicent. E anche la Granger. E tutte e due
avevano ancora i
capelli in testa. Santo Salazar.
Hermione si
stava divertendo. Non lo avrebbe mai detto. Era una bella festa. Le
ragazze
erano rilassate e la musica si godeva. Ginny chiacchierava con Astoria,
la
Bulstrode e Daphne e tutte e quattro ridevano. Si guardò
intorno e individuò
Pansy seduta su una poltrona che fumava.
Si avvicinò
e le disse: “Allora buon compleanno”. Lei
alzò lo sguardo sulla riccia e
sorrise.
“Grazie, Hermione. Merlino,
faccio fatica a
chiamarti per nome.”
Hermione si
sedette su una delle poltrone vicine a lei e sorrise.
“Grazie per
la lozione”. Lei annuì e le guardò i
capelli.
“Sono molto
meglio, adesso”. Aspirò dalla sigaretta.
“Immagino di doverti ringraziare per
le viole del pensiero”.
Lei arrossì.
“Io non…”
Pansy rise.
Non voleva prendersi il merito? Molto Grifondoro.
“Me l’ha
scritto lui di non aver fatto tutto da solo.”
La riccia
spalancò gli occhi. “Oh, ma perché
l’ha fatto?”
“Perché
siete dei Grifondoro tremendamente orgogliosi della
verità.”
“Quindi… hai
mangiato la cioccorana, stasera?”
Lei tirò una
boccata e quando buttò fuori il fumo, sorrise.
“Ne ho
mangiata metà.”
Perché
metà?
Mentre pensava a cosa volesse dire, lei parlò ancora.
“Così, glielo
hai detto tu, cosa dirmi ieri?” Hermione corrugò
la fronte. Cosa le aveva detto
Ron?
“In che
senso?”
“Oh, tutte
quelle cose… sul fatto del nome o sul… dessert…”
La riccia non capiva di cosa stesse parlando.
“Ron ci ha
detto di esserci rimasto male quando tu hai riniziato a chiamarlo per
cognome e
gli ho detto di dirti che gli fa piacere quando lo chiami per nome.
Perché? Che
ti ha detto?”
Pansy sgranò
gli occhi e poi liquidò la sua domanda dondolando la mano
con cui reggeva la
sigaretta. Cocco. Il fumo arrivò fino alle sue narici.
“E invece cosa intendi
con ‘dessert’?” Pansy scrollò
ancora le spalle per liquidare la questione
“Perché
diciannove dolci?” Hermione sorrise.
“Lui diceva
che se tu avessi mangiato un dolcetto al giorno, forse ti sarebbe
passata la
tua fobia per i dolci e avresti iniziato a pensare a lui invece che a
tua madre
quando li mangiavi.”
Pansy sgranò
gli occhi. “Oh… È un pensiero
molto…”
“…dolce” finì
per lei la Grifondoro, ridacchiando.
“A proposito
di mia madre: la Adams mi ha scritto.”
Spense la
sigaretta.
“Lo
so. Ha
scritto anche a me.”
Oh. Quella
megera. “E cosa ti ha scritto?” chiese Pansy.
“Voleva
dirmi che tu non le rispondevi”
“E tu le hai
risposto?” La Grifondoro annuì.
“Le ho
scritto che avrai avuto sicuramente degli ottimi motivi.”
La mora si
trovò a sorridere senza volere. “Le ho risposto
oggi. Ci ho pensato. Se invece
di venire via subito, avessi lasciato che mia madre finisse il suo
discorso,
ora saprei da chi mi devo guardare. È così
snervante, oggi mi sono guardata
intorno dubitando di tutti”.
“Nessun
sospetto?” Pansy scosse la testa.
“Non saprei
veramente di chi sospettare. Non siete tanti a sapere di…
Weasley” Hermione si
fece più vicina e sussurrò: “Hai
pensato che potrebbe essere stata… Camille?
Magari le ha scritto di nascosto perché le
mancava… e magari si è lasciata
sfuggire un po’ di cose… Magari non
c’entra con chi la vuole aiutare”. La mora
scosse ancora la testa.
“Ci ho
pensato anch’io. Vuoi che alla Adams fosse sfuggita non una,
ma due corrispondenze?
Sarebbe strano. E poi, a parte il fatto che Camille dice di non averlo
fatto e
io le credo, mia madre pensava che Camille fosse in Francia, a
Beauxbatons. Le
ho detto io che era a Hogwarts.”
Hermione si
mise più dritta e si fece attenta. “Quindi chi
comunica con lei non sa che
Camille è sua figlia?” Pansy si bloccò
e la guardò con la bocca aperta.
Merlino. Non
ci aveva pensato. Chi era che sapeva di lei ma non di Camille? Quasi
tutta la
scuola. E chi era che non sapeva di Camille ma sapeva di Ron? Pansy si
girò
quando vide Camille avanzare verso di loro e decise di non dire niente.
Non
doveva farla preoccupare.
Sua sorella
sorrideva in maniera ebete e le porgeva un pacchetto. “Spero
di farti piangere,
adesso!”
La mora più
grande alzò un sopracciglio. “Se è un
sogno brevettato a occhi aperti…”
Camille
scoppiò in una risata, mentre lei prendeva il pacchetto.
“Noooo! È meglio.
Molto meglio. Però ti ho preso un regalo anche al Tiri
Vispi!” E strizzò un
occhio. Pansy guardò il pacchetto incuriosita e si fece
altre mille domande
sulla sorella. Camille si avvicinò a Ginny e si sedette
vicino a lei. La rossa
si voltò verso la piccola Serpeverde e le sorrise.
“Dai,
aprilo. Non sei curiosa?” Hermione si sedette sul bracciolo
della sua poltrona.
“Oh. Beh, un po’ sì.”
Lanciò uno
sguardo alla sorella che la guardava con un sorriso affettuoso.
Guardò il
pacchetto. Era stoffa. Seta. Seta lilla. E il fiocco invece di un bel
prugna.
Erano belli insieme. Lo aveva fatto lei. Sciolse il fiocco e
aprì i lembi della
stoffa: l’anello di nonna Parkinson le cadde sul grembo.
L’unico gioiello della
famiglia di suo padre che aveva. L’unico che sua madre le
avesse dato. Pansy
spalancò la bocca.
“Ma come…” Alzò
lo sguardo sulla sorella, che le sorrideva ancora.
Camille era
contenta. Pansy era rimasta di stucco. Si era voltata verso di lei, con
la
bocca aperta e i suoi occhi avevano brillato.
Quando aveva
riportato lo sguardo sull’anello, gli occhi le si erano
riempiti di lacrime
davvero. L’aveva preso, l’aveva guardato da tutte
le parti, rigirandolo e alla
fine aveva sospirato.
Si alzò per
andarle vicino.
Hermione non
capiva molto. Sua sorella le aveva regalato un anello? Era un anello
favoloso,
a dir la verità, ma non riusciva a vederci il nesso. La
pietra centrale era
viola, come era viola anche il pacchetto in cui era avvolto (come erano
viola i
fiori che le aveva fatto trasfiguarare Ron). Lei arrivava fino a
lì.
Poi Camille
si alzò e si sedette sull’altro bracciolo. Si
rivolse alla sorella e disse:
“Sei sorpresa, vero?”
“Pensavo di
non rivederlo più.”
Guardandola
bene, la Serpeverde aveva le lacrime agli occhi.
“Perché?” le chiese.
La Serpeverde
sospirò, rigirando l’anello davanti agli occhi.
“Ho impegnato l’anello dopo il
processo. Ma quando sono andata a riprendermelo il mago dietro al
bancone non
ha rispettato il patto. L’ho pagato quanto voleva e ti
assicuro di averlo
pagato molto di più di quanto mi aveva dato lui. Ma non me
l’ha restituito. Le
ultime volte che ci sono andata mi sono rifiutata di dargli altri soldi
e lui
non mi ha ridato l’anello”.
Il suo tono
si era affievolito. Era inaudito! “Ma non si può
fare!” esclamò infatti. Le
altre ragazze si girarono verso di loro, ascoltando la conversazione.
Pansy
alzò le spalle.
“L’ultima
volta che ci sono andata, quando siamo andate al San Mungo,
ricordi?” disse,
rivolta verso la sorella, che annuì tristemente e si
rivoltò verso la
Grifondoro. “Ho minacciato di denunciarlo e lui disse che
faceva parte di una
cosa chiamata ‘Ordine della Fenice’, che era
un’intoccabile al ministero e che non
avrei ottenuto niente”. Alzò le spalle.
“Quel figlio
di buona strega di Mundungus!” Ginny si era alzata in piedi.
“È l’unico che sbandiererebbe
in quella
maniera l’Ordine della Fenice!” Anche Hermione
annuì.
La Greengrass disse:
“L’anello di tua nonna, Pansy? Strano che tu non
abbia fatto saltare il banco
dei pegni!”
“Ci ho pensato. Ma non
potevo farlo, stavolta.”
Camille chiese:
“Perché?”
La serpeverede alzò
lo sguardo su di lei. “Avevo la tua tutela sulla parola.
Siamo figlie di
Mangiamorte. Avevo paura che facendo una cazzata ti avrebbero rispedito
in
Francia”.
A
sposare Dumont.
Quello non lo disse, ma
Camille lo capì bene. Le strinse la mano e vennero anche a
lei le lacrime agli
occhi. Annuì senza dire niente.
Ginny
si avvicinò e
chiese di vedere l’anello. Pansy glielo allungò.
Lei lo guardò: era bello. Era sbrilluccicoso.
Non ne capiva molto di
più. C’era una pietra viola in mezzo a dei petali
di metallo con brillantini. La
Greengrass si avvicinò e le spiegò:
“È un’ametista dell’Uruguay.
Il suo colore
viola scuro le è stato donato da Bacco che si era innamorato
di una ninfa che
non lo contraccambiava e lei si fece trasformare in cristallo per non
giacere
con lui. Così lui, arrabbiato, le versò addosso
il vino rosso. E ora la pietra è
di questo colore qui”.
Ginny la guardò
incuriosita e sorpresa. “Il vino?”
“Sì, Bacco il dio del
vino, le ha dato il colore e il potere di non far ubriacare chi
portasse questa
pietra.”
“Oh!” Che leggenda
intrigante.
“Beh, quella parte
non funziona, comunque”. Pansy sorrise. Anche la bionda.
“Giusto. Ho visto
Pansy ubriaca anche con quell’anello al dito”.
Tutte e due ridacchiarono.
“Camille, come hai
fatto a fartelo ridare?” La rossa la guardò,
mentre glielo chiedeva,
continuando ad accarezzare l’anello.
Lei scrollò le
spalle. “Non l’ho fatto io.
C’è andato tuo fratello”.
Ginny si voltò verso
Hermione, che alzò le spalle scuotendo la testa.
Pansy
aveva capito che
c’era andato lui. Anche se ancora non aveva capito quando. Il
tempo che lei
aveva passato davanti alla porta del Tiri Vispi, non era sufficiente, e
poi se
Camille non c’era andata… Allora quando era
successo? Non chiese niente.
“E perché non glielo ha
dato lui?” Millicent aveva allungato il collo.
“Non ha voluto”.
Camille alzò ancora le spalle. Poi si voltò verso
Hermione e chiese: “Granger,
che vuol dire quando un ragazzo babbano ti dice ‘mi dai il
tuo numero’?”
Ginny si alzò e rispose:
“Lo so anch’io! Lo so anch’io!
È quando ci prova con te!” E ridacchiò,
allungando l’anello a Pansy.
Camille spalancò gli
occhi e si voltò verso la sorella. “Ci stava
provando con me! Ecco perché mi hai
portato via!”
Pansy sorrise,
infilando l’anello al dito della mano destra, dove
l’aveva sempre portato.
Hermione
vide la Serpeverde
sorridere. “Sì”.
“E perché l’hai
fatto?” Pansy scrollò le spalle.
“Era un idiota.”
“Beh, era un idiota
molto carino!”
Lei alzò le spalle.
“Un idiota resta sempre un idiota. Carino o meno”.
La piccola sbuffò
rumorosamente. A Hermione ricordava molto Ginny qualche anno prima.
Poi Camille continuò,
raccontando ad Astoria: “Aveva i capelli cortissimi e gli
occhi blu, dei jeans
che sembravano consumati e degli stivali rigidi, una maglietta bianca e
una
camicia a scacchi legata in vita… oh aveva un gran bel
sedere, Astoria! E poi
delle braccia…”
Camille mimava tutto
quello che raccontava e la giovane Greengrass ridacchiò.
“La prossima volta
vengo anch’io. Anzi le hai chiesto…” Si
avvicinò alla piccola Serpeverde e
sussurrò qualcosa, ma le ragazze abbassarono il tono e
Hermione non capì più
nulla.
“Comunque era molto
più carino quello che ci ha provato con Pansy!”
Camille alzò la voce e Daphne
si voltò verso l’amica. “Non me lo hai
detto!”
“Era un altro idiota”.
La mora alzò le spalle.
“Oh, Pansy è molto
riservata. Qui bisogna farsi raccontare tutto da Camille,
giusto?” Ginny si era
avvicinata alla moretta e aveva ghignato verso Pansy.
Camille
annuì e
continuò: “Beh, a dir la verità non
c’è altro. Pansy mi ha trascinato via. Ha
detto loro che eravamo impegnate”.
Guardò la sorella sorridendo mentre lei sbuffava.
“Pansy! Una volta
dicevi impegnative!”
Daphne
ridacchiò. Lei scosse le spalle.
“Ti assicuro che non
avrebbero capito e l’avrebbero presa come un
invito.”
Ginny
vide la
Bulstrode guardare le altre ragazze con uno sguardo strano. Pansy e la
Greengrass erano amiche da tanto, ma probabilmente non avevano
condiviso con
lei tutte quelle esperienze.
“Bulstrode, mi fai
assaggiare ancora qualcosa di babbano?” chiese, alzandosi in
piedi. L’altra la
guardò sorpresa e annuì, avvicinandosi al tavolo
con le bottiglie. La Bulstrode
fece comparire del ghiaccio e poi le chiese cosa volesse.
“Quello lì, che
cos’è?” chiese, indicando una bottiglia
a caso. La Serpeverde fu gentile,
mentre spiegava. E la vide lanciare qualche sguardo alla mora ancora
seduta in poltrona che rideva di qualcosa che raccontava la bionda.
“Tuo fratello è stato
gentile. Pansy ci tiene, a quell’anello”. Ginny la
guardò e alzò le spalle.
“Io non sapevo niente.”
La Serpeverde sorrise.
“Brutto essere fratelli piccoli, vero?”
La rossa alzò un
sopracciglio. “Hai fratelli?”
Lei annuì. “Due: una
sorella più grande di me, e purtroppo molto più
bella, e un fratello più
piccolo”. Alzò le spalle. Non sembrava
propriamente felice.
Ginny bevve un sorso
dal bicchiere “È buono. Sei brava”. La
Serpeverde sorrise sorpresa.
“Oh, grazie.”
Poi si riavvicinarono
insieme al gruppetto e la Serpeverde disse: “Pansy qual era
il Weasley di cui
girava voce in sala comune al quarto anno?” La rossa
strabuzzò gli occhi e si
girò verso le altre.
“Me lo ricordo!
Ridacchiavano tutte quelle dell’ultimo anno! E sono girate un
sacco di lozioni
e di filtri d’amore, in quel periodo. Chi era?”
chiese anche Daphne.
Uno dei suoi fratelli
famoso nella casa più libertina? Era curiosissima. Pansy
scosse le spalle e,
mentre beveva, guardò Ginny.
“Quello dei draghi. È
venuto per la coppa Tremaghi. Come si chiama, Ginny?
Charlie?” Charlie? Suo
fratello Charlie? Il suo fratellone?
“Charlie?” disse un
po’ spaesata guardando Hermione che rideva divertita, con una
mano davanti alla
bocca.
“Charlie! Sì, è lui!
Ti ricordi, cosa raccontavano? Oh, Millicent, me l’ero
scordato! Ginny, è
quello sposato?” Daphne ridacchiava diventando rossa.
O per Godric! Scosse
la testa. “No, Charlie è in Romania, non
è sposato. Non pensavo neanche che
fosse così interessato alle ragazze…”
Pansy sorrise. “Oh,
erano le ragazze interessate a lui. Giravano un sacco di voci su quanto
fosse
bravo”. E ammiccò. Merlino!
Ginny spalancò la
bocca. Non doveva sapere queste cose! Non voleva. Non sarebbe
più riuscita a
guardare suo fratello. Nascose la faccia fra le mani e disse:
“Ho bisogno di
bere ancora”. Tutte le ragazze risero. Oh, che cattive.
La
festa finì
relativamente presto, in fin dei conti era un venerdì e il
giorno dopo non
c’era scuola.
Le Serpeverde si
incamminarono verso la loro sala comune e salutarono le Grifondoro che
avrebbero dovuto attraversare tutto il castello per raggiungere la
torre.
Hermione aveva
portato il mantello di Harry. Lei pensava sempre a tutto.
“Niente Malfoy,
stasera?” le chiese Ginny e la riccia scosse il capo quel
tanto che il mantello
glielo permetteva.
“C’è la partita di
quidditch, domani.”
“E quindi?”
“Prima di una partita
importante non è il caso di…” Ginny
rise forte.
“Oh, per Godric! Te
l’ha detto lui?”
Hermione
diede uno
scrollone a Ginny. Cosa aveva portato il mantello a fare se si faceva
beccare
comunque? La sua risata risuonò per tutto il corridoio del
terzo piano. Ma lei
continuò a ridere.
“Ma te l’ha detto
lui?”
“Cosa?”
“Di non fare sesso
prima di una partita!” Hermione spalancò gli
occhi.
“Shh…. Abbassa la
voce!”
“Non ci credo.
Pensavo fosse un tipo a posto e invece… una
mezzacalzetta!” Ginny non smetteva
di sghignazzare.
“Smettila!” sussurrò Hermione.
Doveva aver bevuto troppo. “Comunque no. Ho insistito
io”. E sentì le guance
andare a fuoco. Non le piaceva parlare di cose intime. Erano fatti
suoi.
E poi lei e Draco non
avevano ancora finito la discussione su Nott. Ne avevano parlato ma non
avevano
concluso. E nel pomeriggio era successa quella cosa… Ginny
dovette capire che
lei era in imbarazzo perché smise di ridere e le sorrise.
“Scusa, Hermione. Ma
avreste potuto. Io e Harry…”
“Non voglio sapere
cosa fate tu e Harry!” La rossa rise ancora.
“No? Perché?”
“Perché poi mi
chiederesti di raccontarti di me e di Draco!”
Ginny fece una faccia
inorridita. “Non lo farei mai. Sarebbe come chiedere a Pansy
di lei e Ron”.
Scosse le spalle rabbrividendo, pensando a Charlie. Hermione
ridacchiò.
“Bene. Allora siamo d’accordo.”
Ginny
ghignò. “Però
forse… Potresti dirmi…”
“Assolutamente no!”
Ginny ridacchiò ancora.
Com’era divertente
prendere in giro Hermione. Entrarono dal quadro della signora grassa e
si
tolsero il mantello.
Hermione
si incamminò
verso la scala a chiocciola del dormitorio femminile e si
voltò quando vide che
Ginny non la seguiva.
“Ginny, andiamo a
letto.”
Ma Ginny non aveva
intenzione di seguirla.
“No. Io non ho una partita domani”.
E le strizzò un
occhio, salendo le scale del dormitorio maschile. Hermione si
bloccò. A volte
avrebbe voluto avere la sua sfrontatezza.
Si avvicinò alla
scala e Ginny le disse: “Non mi farai cambiare
idea”.
Hermione
si era
avvicinata alla scala. Ginny lo sapeva che lei pensava fosse sbagliato.
Ma
insomma! Invece la riccia sorrise e le allungò il mantello
“Almeno non fatevi
beccare.”
Oh. Non se lo
aspettava. “Grazie…” E la
guardò salire la scala. Sentì una voce dal
corridoio
delle camere maschili e indossò il mantello.
Poco dopo entrava
silenziosamente nella camera del settimo anno.
***
Draco stava
da Dio.
Come non lo
era mai stato. La partita di Quidditch era durata appena due ore e
mezzo,
quell’anno i Tassorosso non erano particolarmente forti,
rispetto agli altri
anni.
Aveva
passato il pomeriggio alla festa nei sotterranei con Hermione, non
avevano più
parlato di Nott dal giorno prima e ora erano nell’aula di
divinazione. Quella
sera aveva visto la Cooman abbastanza alticcia e quindi sapeva che non
sarebbe
mai riuscita a tornare nella torre. Potevano rimanere lì
fino al mattino.
Era sdraiato
sulla pancia, sul morbido tappeto davanti al camino con solo i boxer
addosso.
Hemione era a cavalcioni su di lui e gli massaggiava la schiena.
“Potrei
abituarmi a tutto questo.”
La riccia
sorrise. Si chinò a baciargli il collo.
“Anch’io”.
Le sue mani correvano sulla sua pelle bianca come dotate di
volontà propria.
Avevano fatto l’amore. Sospirò. Ne aveva bisogno.
Il giorno prima si era seduta
vicino a Nott in biblioteca e, con la scusa di un altro libro, aveva
cercato di
chiacchierare con lui. Era stato difficilissimo. Sapeva di essere brava
in un
sacco di cose, ma sapeva bene di non essere in grado di fingere. Non
bene.
Aveva una
paura enorme di farsi beccare. Non sapeva bene cosa dire, o come dirlo,
o come
comportarsi. Forse aveva sbagliato ad accettare l’incarico di
Kingsley ma ormai
non poteva più tirarsi indietro. Aveva pensato a tutte le
strategie che avrebbe
potuto usare. Pozioni, incantesimi, ma non era riuscita a intavolare un
piano
degno di questo nome. E sì che gli anni indietro,
c’era sempre riuscita. Aveva
perso il suo smalto? Di solito riusciva a fare tutto quello che si
prefiggeva.
Ma stavolta… Sospirò ancora.
“A cosa
pensi?” le chiese Draco.
“Oh, niente
di che” rispose.
E invece
pensava alla conversazione che aveva avuto con il moro Serpeverde. Non
aveva
raccontato a Draco di essere andata in biblioteca e di aver passato il
pomeriggio con lui. Ed era abbastanza sicura che nessuno li avesse
visti, erano
a un tavolo riparato dagli alti scaffali, vicino alla finestra che dava
sulle
serre. Non ci andava mai nessuno. Anche lei era stata sorpresa di aver
trovato
Nott proprio lì. Lui aveva raccontato un po’ di
cose, mentre faceva i compiti.
Ok, un sacco di cose. Era stato un po’ spocchioso (un bel
po’) nel raccontare
di ragazze e aneddoti accaduti in passato e lei, che sapeva come
stavano veramente
le cose, aveva dovuto fingere interesse e ammirazione. Ed era stato
difficile.
Poi lui
aveva accennato a Draco. Aveva usato parole tipo famiglia
facoltosa, purosangue,
nobile casata. Aveva anche detto che
lei era molto fortuna a stare con il biondo. Aveva elogiato Draco e la
sua
famiglia in una maniera stucchevole ed egregiamente fastidiosa. Alla
fine, lei
si era sentita quasi male. Lui doveva aver pensato che non si sentisse
bene per
qualcos’altro, perché le aveva appoggiato una mano
sul braccio e chiesto se
stesse bene con sguardo preoccupato.
Quando era
uscita dalla biblioteca (e non aveva neanche fatto i compiti!) aveva la
testa
indolenzita e il braccio, dove lui aveva appoggiato la mano, le
formicolava
come non aveva mai fatto. Aveva dovuto combattere contro se stessa e
contro la
crisi che avrebbe avuto sicuramente se non avesse incontrato Ginny in
sala
comune. Lei l’aveva aiutata ma era riuscita a farla passare
senza che Ginny
capisse quanto fosse grave. Non aveva neanche preso la pozione. E la
sera aveva
partecipato con le Serpeverde al compleanno nei sotterranei. Era tutto
passato.
Ma la
preoccupava la prossima volta che lo avrebbe visto. Doveva trovare la
maniera
per condurre lei la conversazione. E magari per farsi dire quello che
voleva
sapere e non doverlo vedere più. Passò le mani
sul collo del ragazzo biondo
sotto le sue gambe e sospirò.
Draco
velocemente si girò, tenendola ferma perché non
cadesse, per poterla guardare.
Lei era stupenda. Indossava la sua camicia. Le stava larga sulle spalle
e lunga
sulle gambe. Le accarezzò una coscia. Aveva voglia di fare
ancora l’amore.
Sorrise. La sua Hermione. Si
tirò su
per sedersi e lei ridacchiò mentre cadeva indietro stretta
nel suo braccio. La
baciò. Ma lei aveva la testa altrove.
“Tutto ok?”
le chiese.
“Certo.
Perché?” Lei aveva alzato un sopracciglio.
“Bo… mi
sembrava… niente”. La ribaciò. Ma lei
era ancora via con i pensieri. Poi la
riccia sorrise e lui si tranquillizzò: era tornata.
“Cosa
facciamo per le vacanze di primavera?”
Lei si
immobilizzò. “Come?”
“Le vacanze
di primavera… verrai da me?”
Hermione
sgranò gli occhi. Andare da lui? Da Narcissa? Ebbe un
brivido. Pensò al Manor,
ma poi si ricordò che lui aveva detto che sua madre abitava
da un’altra parte e
probabilmente anche lui. Ma continuò a pensare al Manor. A
Lucius. A Narcissa.
A Bellatrix. La sua mente iniziò a vagare da sola.
Le tornò in
mente quello che aveva detto Nott sulla famiglia di Draco. I pensieri
si
mischiarono ai ricordi del Manor ed Hermione iniziò a
sentire le fitte alla
testa che preannunciavano le crisi. Cercò di sorridere e di
rispondere qualcosa
a Draco per allontanare le brutte cose ma le parole di Nott le
tornarono in
mente.
Draco
dovette capire che qualcosa non andava, perché le chiese per
altre due volte se
andasse tutto bene. E dovette essere sincera quando capì di
non riuscire a
dominare la crisi da sola.
Quando
iniziò a farle male anche il petto, non riuscì a
impedire che le lacrime iniziassero
a scorrerle sulle guance.
Draco aveva
intuito della crisi. Quello che non aveva capito era perché
fosse successo. Lui
le aveva chiesto di passare le vacanze insieme e lei era crollata. Come
mai?
Lui le portava brutti pensieri?
“Hermione…
ma cosa… perché?” Lei aveva gli occhi
vacui e disse qualcosa ma talmente
sottovoce che lui non capì. “Come?” Non
sapeva cosa fare. Non era più successo.
L’abbracciò
stretta. Avrebbe dovuto aiutarla. Le accarezzò la testa e si
inginocchiò accanto
a lei per abbracciarla meglio. Lei mormorò alcune parole ma
lui non le capì
tutte. “Narcissa… Manor…”
Draco non capiva ancora perché avesse avuto una crisi
così forte.
“Hai la
pozione?” Lei scosse la testa.
“Non l’ho
più fatta. Io… non ne avevo bisogno.”
“Perché hai
la crisi? Lo sai?” Se lei fosse riuscita a rendersi conto di
cosa l’avesse
fatta star male sarebbe stato più facile. Perché
neanche lui aveva la pozione.
L’aveva data a Pansy per andare ad Azkaban e poi si era
scordato di farsela
ridare.
Hermione
scosse la testa. Ma disse ancora qualche parola. L’unica che
lui capì, questa
volta fu: “Nott”. Si irrigidì. Aveva
visto Nott? Gli aveva parlato? Cosa era
successo? Non aveva preso qualcosa che le aveva dato lui, giusto? Lei
sapeva,
giusto? Ci stava attenta? Ci era riuscita? Si sentì
spaesato, ma cercò di
mantenere la calma.
“Nott?”
“L’ho visto
in biblioteca, ieri. Mi ha raccontato di te… della tua
famiglia…”
Pianse
ancora. Le accarezzò i capelli.
“Non
preoccuparti di Nott, ok? Non ce n’è
più bisogno.”
Hermione
faceva fatica a seguirlo. Le fitte alla testa erano potentissime, il
braccio le
faceva un male infernale e quando lo spasmo al petto la pietrificava
non
riusciva a non piangere.
Perché non
doveva preoccuparsi di Nott? Draco continuò ad accarezzarle
i capelli e a
tenerla stretta.
“Ho chiesto
a Pansy di occuparsi lei di Nott. Scoprirà lei quello che
devi sapere, non
preoccuparti.”
CHE COSA?
Hermione si staccò velocemente da lui, cercando di guardarlo
in faccia. “Cosa
hai fatto? Perché?”
Draco sorrise.
“Perché per lei non è un problema.
Conosce Nott da tanto e sa come prenderlo.
Farà prima. Così tu non devi stare con
lui”.
Hermione
spalancò gli occhi: Draco pensava che lei non ci sarebbe
riuscita! Che avrebbe
avuto bisogno di Pansy. Forse era vero. Lei non ci sarebbe mai
riuscita.
Una fitta
fortissima al petto e non riuscì più a respirare.
Dovette gridare perché vide
lo sguardo del ragazzo farsi preoccupato. Poi non si ricordò
più niente.
Draco non
voleva lasciarla da sola e quando perse conoscenza e poi si
risvegliò per
svenire ancora, si preoccupò. Aveva paura di fare una
cazzata, ma scrisse
all’unica persona che poteva aiutarlo.
***
“Non
vorrei
lamentarmi…” iniziò Ron mettendo in
bocca la sua metà del rospo alla menta.
Pansy si avvicinò di più a lui.
“Allora non
farlo.”
Lei gli
baciò il petto. Ok. Non avrebbe detto niente. Erano in una
stanza rotonda piena
di roba di scuola. Lei era riuscita a spostare tutto per far comparire
il
materasso e Ron era sdraiato sulla schiena, tenendosi stretto la
Serpeverde.
Pansy era
andata da lui il giorno prima, con la cioccorana in mano e uno strano
sorriso
in faccia. Aveva parlato di dessert, esattamente come ne aveva parlato
lui il
giorno prima. Gli aveva detto che avrebbero dovuto dividere tutti i
dolci che
avrebbe trovato nel carillon. Merlino, se lo avesse saputo, avrebbe
chiesto a Hermione
di incantarne molti di più. E quella sera, lei si era
presentata con il rospo
alla menta e l’aveva chiamato per nome. Più volte.
Un piccolo
gufo di pergamena si infilò sotto la porta e volò
verso di loro. Pansy lo
guardò arrivare.
“Merlino!”
“Cosa
c’è?”
Pansy aveva riconosciuto il gufo: era Draco.
Si allungò
ad afferrarlo tenendosi il lenzuolo al petto. Non si era ancora
rivestita.
Avrebbe dovuto andarsene subito dopo, ma non c’era riuscita.
Era rimasta vicino
a lui. Quando il gufo si distese lo lesse e si alzò in
piedi, portando via il
lenzuolo anche al rosso.
“Ehi. Tutto
a posto?”
“È Draco” disse
e iniziò a rivestirsi.
Come, come,
come? Malfoy scriveva un biglietto e lei correva da lui? Che stava
succedendo?
Ron si girò in cerca dei boxer e si rivestì anche
lui.
“Quindi?
Devi correre da lui?” Lei gli lanciò una brutta
occhiata mentre si infilava il
maglioncino. Gli allungò il biglietto.
Siamo
nell’aula di
divinazione.
Lei sta male.
Riesci
a portami la pozione?
Non era
firmato.
“Come fai a
sapere che è Malfoy?”
Lei scosse
le spalle. “Da come era piegata la pergamena. E comunque
quella è la sua
scrittura. Penso che Hermione abbia una crisi”.
Si voltò
alla ricerca della gonna e se la infilò quando
riuscì a trovarla. Lo stesso
fece con le calze. Lui capì che doveva fare presto
se…
“Vengo
anch’io.” Lei annuì distrattamente.
“Non metterti le scarpe”.
Pansy si
voltò verso di lui e, finalmente, gli prestò la
giusta attenzione. “Perché?”
“Fanno
troppo rumore. Usiamo il mantello” disse indicandolo.
“Beh,
nei
sotterranei le scarpe non fanno rumore” disse Pansy, stizzita.
“Quando
facciamo la ronda, soprattutto ai piani alti, si sente eccome. E poi
non
riusciresti a fare presto.”
Ehi, ma con
chi pensava di avere a che fare? Aveva sempre corso, con qualsiasi tipo
di
scarpe. Era anche saltata sui tavoli, la settimana prima! Lo
ignorò e se le
infilò lo stesso. Quando uscirono dalla stanza stavano
ancora bisticciando.
Erano sotto
il mantello. Lei aveva la borsa dei libri perché aveva
raccontato che sarebbe
andata in biblioteca dopo la festa e per fortuna che l’aveva,
visto che dentro
aveva la pozione che serviva a Draco. Ma la borsa continuava a sbattere
contro
le gambe del Grifondoro che brontolava ogni volta.
“Puoi
spostarla dall’altra parte?”
“Puoi spostarti
tu dall’altra parte.”
Era ancora
nervosa per quello che lui le aveva detto prima. E un po’ era
preoccupata per
Draco e Hermione.
Ron la
guardò stranito. Quand’è che lei aveva
iniziato a essere così scorbutica e
aveva smesso di essere carina? Sbuffò. Non sarebbe riuscito
a spostarsi senza
alzare il mantello.
Le prese la
borsa, se la infilò a tracolla e le appoggiò una
mano sul fianco.
“Così va
meglio.”
Lei sorrise
vittoriosa. Lui lo notò. Sospirò. Ma la strinse
verso di sé.
Arrivarono
alla torre nord e lui tolse il mantello mentre lei apriva la botola.
“Draco?
Sono
io.”
Appena oltrepassò
la botola, Pansy si guardò intorno. Si ricordava a malapena
di quel posto.
Aveva fatto divinazione al terzo e al quarto anno, ma poi
l’aveva abbandonata
al quinto. “Sembra un vecchio bordello, qui
dentro”.
“Già.
Potevamo venire qui. Non ci ho mai pensato. Non ci vengo da
più di tre anni”.
Il Grifondoro dietro di lei chiuse la botola.
Si girò e gli
chiese: “Non fai divinazione?”
Lui spalancò
gli occhi inorridito mentre scuoteva la testa. “Non ho
passato i G.U.F.O., ma
non mi è dispiaciuto, la Cooman predisse un milione di morti
diverse per Harry.
Era inquietante”.
Pansy annuì.
A lei aveva detto per due anni che vedeva nella sua vita un matrimonio
d’amore
lungo e felice. Avrebbe dovuto piantarla subito. E invece si era
illusa, per
due anni. Sospirò. Vide Draco vicino a una poltrona. Era
stata spostata vicino
al camino. Hermione era raggomitolata sulla poltrona, dannatamente
pallida e con
gli occhi chiusi.
Si avvicinò.
Lei indossava solo la camicia di Draco. Sapeva che era la sua
perché le
iniziali DLM erano ricamate sul taschino.
E anche
perché Draco non aveva la camicia. Lo notava in quel momento.
Ron vide
Malfoy a petto nudo ed Hermione sulla poltrona. Almeno lui aveva i
pantaloni.
Pansy si avvicinò alla poltrona e chiese alla riccia se
stesse bene.
Le ragazze
si scambiarono qualche frase sottovoce poi Pansy gli chiese la pozione
che era
nella borsa. Lui l’appoggiò a uno dei tavoli e
frugò dentro. Aveva notato
quanto fosse pesante. Dovette tirare fuori tutto per trovare il
boccetto.
Quando
glielo allungò rimise via quello che aveva tirato fuori: tre
boccetti
d’inchiostro, due piume, quattro pergamene, tre libri. Uno
non era un libro di
scuola. E uno dei boccetti di inchiostro era di quelli che vendevano al
Tiri
Vispi: era viola.
Pansy prese
il boccetto di pozione e lo allungò alla Grifondoro.
“Prima mi
aiuti a vestirmi?” le chiese Hermione, spostò la
coperta e le mostrò le gambe
nude.
“Spero che
tu abbia la biancheria addosso, però”. Hermione
sorrise e annuì, ma strizzò gli
occhi.
“Ok,
facciamo presto.”
Girò la
poltrona in maniera che i ragazzi non la vedessero. Draco
brontolò. Lei lo
guardò malissimo e lui stette zitto.
Draco si
offese quando lei girò la poltrona. Per Salazar, aveva visto
Hermione nuda un
sacco di volte! Ma effettivamente c’era anche il Grifondoro
vicino a lui,
quindi si calmò. Ma quando gli lanciò
un’occhiata di nascosto, notò che lui si
era girato verso la parete.
Nobili
Grifondoro,
pensò sprezzante.
Ron si
sentiva in imbarazzo: loro erano svestiti. Poteva immaginare quello che
avevano
fatto, l’aveva appena fatto anche lui, ma non sapeva come
comportarsi. Quando
Hermione aveva spostato la coperta, si era girato senza rendersene
conto. Come
se fosse stata sua sorella.
Pansy aveva
aiutato la ragazza a vestirsi e le aveva fatto bere la pozione.
“Cos’è
successo?”
“Troppe
cose. Ho parlato con Nott ieri…” La Serpeverde si
ritrovò ad annuire.
“Ti ha detto
qualcosa che ti ha fatto dubitare di te?”
Hermione
spalancò gli occhi. “Io… sì.
Ma non è stata sua intenzione. Lui ha parlato
tanto di Draco. Ha parlato di quanto la sua famiglia sia nobile, del
fatto che
lui sia l’unione di due famiglie di purosangue… Io
ho pensato…”
Ma Pansy la
fermò. “Ogni cosa che ti dice, è sua
intenzione. L’ha fatto apposta. Ti
inganna, ti fa credere di non avere altro, ti circuisce. Ha capito qual
è il
tuo punto debole”. Pansy sospirò lanciando
un’occhiata a Draco. “Merlino, ti
avevo detto di stare attenta. Sa della cicatrice? Delle
crisi?”
Hermione
spalancò gli occhi. “Spero di no!”
Pansy annuì.
“Vedi di non dirglielo. E non fargli vedere il braccio.
Ok?”
Pansy aveva
visto la cicatrice quando l’aveva aiutata a togliersi la
camicia di Draco e a indossare
i suoi vestiti. Non ci sarebbe riuscita, qualunque cosa dovesse fare
con Nott,
quella ragazza aveva troppa fiducia nel genere umano.
“Cosa devi
scoprire su Nott? Qualcosa su suo padre?”
Lei si
irrigidì. “So che Draco ti ha chiesto di farlo al
posto mio, ma non voglio”.
Pansy si
innervosì come quando parlava con la sorella. “Non
puoi farlo. Nott ti fa
dubitare di te anche senza cicatrici. Non puoi reggere questo. Ti
distrugge. Io…
lo so bene“ si lasciò sfuggire, così,
per evitare spiegazioni, disse ancora: “Tu
sei fatta per altre cose”.
“Io?”
“Certo. Ti
ho visto con i ragazzini. Potresti essere facilmente
un’insegnante. Sai
spiegare bene le cose e sai organizzare tutto. Hai una memoria
eccezionale (e
molto fastidiosa) e sai fare incantesimi che qui ci sogniamo e basta. E
in più
sei troppo buona” le spiegò. Si scoprì
a pensare veramente quello che disse. Lei
era veramente brava.
“Ho
affrontato anche maghi malvagi. Non è la prima volta che
faccio…” Pansy sbuffò non
riusciva a capire perché Shacklebolt le
avesse dato un compito simile.
Sarebbe stata più utile in altre cose.
“Non sto
dicendo che non sei capace. Ma Nott è subdolo. Ti gira
intorno finché non cadi.”
“E tu lo
sai, perché…”
“Io lo
conosco. E molto bene”. Fin troppo bene. Così
tanto bene da stargli alla larga.
“E dici che
tu lo puoi fare meglio…”
“Dico che io
non avrei nessuna difficoltà a spingermi
oltre per ottenere quello che serve. Se serve a fare
presto” mentì. Il suo
sguardo spaziò in giro perché non riusciva
più a guardarla. Ma aveva promesso a
Draco che ci avrebbe almeno provato.
Hermione
spalancò la bocca. Oh. A questo non aveva pensato.
Lei non
voleva fare niente con Nott. Non voleva neanche che la toccasse. Ma
sicuramente
Kingsley non voleva che lei si spingesse fino a quel punto. O
sì?
Le fitte
alla testa ripresero. Però non voleva che lo facesse neanche
Pansy. Davvero non
aveva problemi a fare quello che aveva detto? Ma non aveva paura di
Nott? E
poi, Ron? Erano entrati insieme dalla botola. Stavano insieme?
Pansy si
alzò velocemente e sparì alla sua vista.
Ron vide
Pansy parlare con Hermione ma loro parlavano troppo piano per capire
quello che
si dicevano. Dalla sua faccia, capì che neanche il biondo
sentiva.
Poi Pansy
fece quell’espressione. Lui la conosceva bene. Troppo bene. E
si spaventò.
No. Non farlo.
Non
con Hermione. No.
Si
avvicinò
mentre lei si alzava in piedi e li raggiungeva. Lo
oltrepassò e Ron si girò a
vedere dove andasse: Pansy allungò la camicia a Malfoy e gli
disse qualcosa a
bassa voce.
Lui non
riusciva a vederla bene. Si avvicinò a Hermione e le chiese:
“Cosa vi siete dette?”
Lei scosse le spalle. “Ti ha mentito”.
Hermione
strizzò
gli occhi. La Serpeverde le aveva mentito? Quando? Su che cosa? Sulle
belle
cose che aveva detto di lei? E come faceva a saperlo Ron? Maledizione,
non era
lucida. Hermione cercò di concentrarsi.
“Se non sai cosa ci
siamo dette, perché dici
che ha mentito?”
“Ho visto la
sua faccia. La conosco. L’ultima cosa che ti ha detto, era
una bugia.”
Oh. “E le
altre?” Lui alzò le spalle.
“Sono sicuro
solo dell’ultima. Non vi osservavo da tanto”.
Involontariamente, Hermione,
sorrise. L’ultima cosa che Pansy le aveva detto era una
bugia: quella su Nott. Iniziava
anche a capire perché lo avesse detto.
“Non pensavo
che potesse mentirti… mi spiace…” Ron
abbassò lo sguardo. Hermione si alzò e si
girò verso i Serpeverde. Forse…
“Ok. Hai
ragione” disse, ad alta voce.
Draco si
stava allacciando i bottoni della camicia. Alzò lo sguardo
su di lei quando
parlò. Anche Pansy si girò.
Certo che
potevano stare un po’ più lontani…
Ron
guardò
Hermione stranito. Si era ammattita? Cosa diceva?
“Ho
ragione?” vide Pansy guardare Hermione con il suo stesso
sguardo.
“Sì, hai
ragione.”
Ma… Forse
non aveva capito. “Ma ti ho appena detto che ti ha
mentito!”
“Mentito?”
Malfoy si girò verso la compagna di casa e ora era il suo
turno di essere
sorpreso.
“Sì. Perché
hai mentito a Hermione?” Ron guardava la Serpeverde. Si
sentiva tradito. Aveva
mentito alla sua migliore amica! Perché? Voleva ingannarla?
Pansy non
riuscì a reggere il suo sguardo. Era deluso. Come
nell’aula di pozioni.
Dannazione.
“Hai
origliato la nostra conversazione?” gli chiese. Lui lo
sapeva, quello che
pensava di Nott.
“No” rispose
il rosso.
Draco si
voltò verso di lei. “Da qui non si
sentiva”.
Lei sospirò.
Non aveva sentito. Però lui sembrava arrabbiatissimo lo
stesso. Chissà allora
come faceva a saperlo. Perché lei aveva mentito. Mentito
spudoratamente. Non
sarebbe neanche riuscita a rimanere vicino a Nott a una breve distanza,
figurarsi farci qualcosa di più. Ma lui aveva solo parlato
con Hermione e lei
aveva avuto una crisi. Cosa sarebbe successo se avesse capito le sue
intenzioni?
Aveva una
voglia matta di farla pagare a Nott. Per Camille e ora anche per
Hermione.
Forse avrebbe vendicato anche se stessa.
“Non ho
mentito”
“Bugiarda! Lo
stai facendo anche adesso! Pensi che non sappia leggerti in
faccia?” Lui aveva
alzato le braccia e aveva imprecato forte. Tanto che la Grifondoro lo
aveva
ripreso.
“Ronald!”
Hermione non
voleva che litigassero. Tantomeno per lei.
“Sì, Ron.
Lei mi ha mentito. Per fortuna”. I ragazzi si voltarono nella
sua direzione.
Così la riccia prese la mano alla Serpeverde, che aveva
iniziato a tremare.
“Digli cosa
mi hai detto, così capirà.”
La mora
scosse la testa. Alzò la testa e guardò Ron.
“Mi basta
quello che ha detto lui.”
Ron
sentì lo
sguardo della mora trapassargli il cervello, i polmoni e raggiungere il
cuore.
Gli bloccò il respiro.
“Lui pensa
che voglio ingannarti.”
Panzy si era
voltata verso Hermione, adesso.
“Lo volevi
fare” disse, poi Hermione si voltò verso Ron e
prese anche la sua mano. “Voleva
farmi credere una cosa brutta. Grazie per avermi detto che era una
bugia.”
Come? Ora
non capiva più niente.
“Io vado”.
La Serpeverde si staccò da Hermione e si diresse verso la
botola.
Poi la
riccia disse ad alta voce: “Devo scoprire
dov’è il padre di Nott e se loro sono
in contatto”.
“Avevo
immaginato qualcosa di simile”. Si voltò verso
Draco, alzò le spalle e disse:
“Mi spiace”.
A Ron lanciò
uno sguardo carico di tristezza. E si chinò per aprire la
botola.
Hermione si
agitò. Non pensava sarebbe andata così. No, no,
no. Perché le cose non
seguivano i suoi piani?
“Aspetta!”
Pansy si voltò. “Dicevo: hai ragione. Sicuramente
sei più brava di me”.
“Io non ho
detto…”
“In questo
caso. Solo in questo caso” ci tenne a precisare. La
Serpeverde sorrise divertita.
Ma almeno si fermò.
“Lo possiamo
fare insieme” propose allora.
“Possiamo
farlo tutti” disse Draco.
Hermione
annuì.
Draco si
voltò verso l’amica. “Che
dici?” Anche Pansy annuì.
“Si può
fare. Guarda cosa non ti sei inventato per non essere in debito con me,
Draco!”
La mora sorrise sorniona.
“Sarò in
debito con te lo stesso.”
Ron guardava
i ragazzi senza capire.
“Sarò in
debito con te anch’io” disse Hermione. Ma Pansy
scosse la testa.
“Oh no. Se
riusciamo in questa cosa, saremo pari. Sei venuta a tirarmi fuori dalle
grinfie
di sua cognata” disse, indicandolo con la testa.
Com’è che
tutti pensavano che lui non contasse niente? Era come se non fosse
lì davvero.
E cos’era successo con… sua cognata? Fleur?
Sentì Hermione dire: “Andata”, e
avvicinarsi alla Serpeverde mentre si davano la mano.
Ok, che
cazzo stava succedendo?
“Mia cognata
chi?” Oh per Godric che domanda stupida!
Pansy lo
guardò alzando un sopracciglio. Hermione si girò
verso di lui. “La fidanzata di
Percy ha interrogato Pansy quando è andata ad Azkaban.
L’ha fatto… non proprio legalmente”.
Ron spalancò
gli occhi. “Il veritaserum?” Tutte e due le ragazze
annuirono. “E su cosa hai
mentito adesso?” Ron la guardò con occhi severi.
Oh, Merlino. Alzò le spalle.
“Voleva
farmi credere di non aver problemi ad andare a letto con
Nott.”
Pansy guardò
la riccia con sguardo tradito. “Ehi!”
“Su, dai.
Non c’è niente di male. Ci hai provato, grazie
mille. Ma lui se n’è accorto.
Sei fortunata. Era peggio se lui ci avesse creduto come stavo per fare
io.”
La mora voltò
lo sguardo verso il rosso, che la guardava preoccupato e le si
avvicinò.
“Perché hai detto una cosa del genere?”
Aveva parlato sottovoce.
“Nott ha
parlato con lei e ha avuto una crisi. Volevo convincerla a lasciar
perdere”. Il
rosso si avvicinò ancora e l’abbracciò.
“Scusa se ho
dubitato di te”. Lei si sciolse dall’abbraccio.
“Lo farai
ancora.”
“No.”
“Sì. Sono
una Serpeverde, ricordi? Tutti dubiteranno di me. Non sono neanche
riuscita a
venir via dal Ministero perché dubitavano di
me…”
“Io non lo
farò.”
“Non fare
promesse che non puoi mantenere, Weasley.”
“Mettimi
alla prova, Parkinson”.
Lei sbuffò e
si staccò da lui.
“Quindi? Che
facciamo?” disse rivolta verso gli altri.
"Potreste
iniziare a spiegare da ciò che successo martedì"
propose Draco.
Oh, va bene.
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