Operazione ‘Nott’
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Il tavolo
della colazione era pieno di roba ma Ron, stranamente, non aveva molta
fame.
Prese delle uova dal vassoio e un pancake. Ma non li toccò:
era preoccupato.
Sarebbe
andato tutto bene? Ginny arrivò di corsa, si sedette vicino
a lui e si riempì
il piatto. Ridacchiava contenta. Non le avevano ancora raccontato
niente.
“Ti ha detto
Hermione di Charlie?”
Oh per
Godric, cosa aveva Charlie adesso? “Che cosa? Si è
fidanzato anche lui?”
Ginny lo
guardò stranita. “Fidanzato?” I suoi
occhi si strinsero. “Sai qualcosa che non
so?”
Lui scosse
le spalle. Cosa voleva Ginny? “Cosa doveva dirmi Hermione di
Charlie?” Cercò di
essere più accomodante. La sorella se ne accorse, ma
fraintese il gesto.
“Oh,
probabilmente tu lo sapevi già. Magari Pansy a te
l’aveva detto!” E iniziò a
mangiare. Come? Cosa? Che intendeva?
“Pansy?”
chiese sottovoce.
“Sì,
probabilmente tu sai già tutto e come al solito non mi hai
detto niente.”
Ron era
confuso. “Ma cosa dici?”
“Tu sapevi
che Charlie nei sotterranei era molto famoso per quello che combinava
sotto le
lenzuola?”
COSA? La
sorella dovette leggergli in faccia il suo stupore. “Oh, noto
che sei sorpreso
quanto me. Bene”.
E come diavolo
faceva a saperlo Pansy? Ginny gli rise
in faccia quando capì quello che stava pensando.
“Che stupido
che sei. Charlie aveva già finito la scuola quando voi avete
iniziato.”
Oh. Giusto,
giusto. Quindi? “Sai quando è venuto per la prova
dei draghi della coppa
tremaghi?” Lui annuì. Oh, Charlie era passato dai
sotterranei? Oh, ma Pansy
c’era! Ginny rise ancora. Merlino. Doveva sembrare veramente
uno stupido.
“Le ragazze
dell’ultimo anno hanno raccontato un sacco di cose alle
altre, quella volta. E
sembra che Charlie fosse veramente un dio del sesso, o cose
così. Non hanno
voluto scendere in dettagli con me, però!”
Alzò una spalla e riprese a
mangiare.
Merlino. Ron
avrebbe preferito non saperlo. Ringraziò il cielo quando
arrivò Harry, finché
non si sedette vicino a Ginny e lei lo baciò.
Cercò con lo sguardo Hermione e,
quando la vide entrare in sala grande, le fece un cenno con la mano e
lei si
avvicinò.
In quel
momento dall’altra parte della sala grande si sentirono delle
voci e un gran
fracasso.
“Ehi,
idiota, guarda dove vai!”
La borsa dei
libri della Parkinson era aperta, per terra. Il suo contenuto era sul
pavimento
e lei era in piedi, con le braccia incrociate sotto al petto e sbatteva
un
piede per terra.
“Sei stata
tu a venirmi addosso”. Malfoy si era girato e la guardava con
un sorrisino
strafottente.
“L’hai fatto
apposta, Malfoy!” Il suo piede era sempre più
nervoso. E anche lei.
“No. Ti
sopravvaluti”. Il biondo ghignò.
Ma cosa
stava succedendo? Harry aveva osservato la scena stranito: gli sembrava
di
essere tornato indietro di qualche anno.
Si guardò
intorno per verificare che fosse tutto a posto, ma notò che
anche gli altri
erano stupefatti quanto lui. Sentì Ginny balbettare:
“Ma che cosa…”
La seguì
quando si alzò, non notando che Ron aveva tentato di
fermarla.
Ginny non si
accorse di essersi alzata finché non si avvicinò
al tavolo verdeargento.
Pansy era
davanti a Malfoy e sembrava molto infastidita. Gli disse ancora
qualcosa che
Ginny non capì e lui le rispose qualcosa di sfacciato,
perché sentì la Serpeverde
esclamare: “Questa me la paghi, Malfoy!”
Lui ghignò
ancora e andò a sedersi. La McGranitt arrivò
quasi di corsa e disse: “Signorina
Parkinson, raccolga le sue cose e vada a fare colazione. Fra poco
iniziano le
lezioni”. Ma lei rimase in piedi guardandola con sufficienza,
senza dire
niente.
Sentì la
Greengrass dire, non proprio sottovoce: “Hanno litigato la
settimana scorsa in
biblioteca...”
“Secondo me,
questa volta non fanno pace” le rispose qualcun altro.
Ma… Ma… Cosa era
successo? La McGranitt era ancora in piedi davanti alla Serpeverde.
“Non ho fame”
disse la mora. Ma cosa faceva? Perché aveva risposto alla
preside? Ginny
spalancò gli occhi.
“Le conviene
sedersi comunque, signorina Parkinson, altrimenti potrei darle una
punizione.”
“Di che
tipo?” chiese lei alzando un sopracciglio. Ma voleva
contrattare? Con la
McGranitt? Vide il volto della preside farsi pallido mentre la linea
della
bocca diventava rigida.
Ginny cercò
di fare un passo verso di loro, ma Harry la fermò. Non si
era accorta di lui.
La portò indietro verso il loro tavolo. “Lasciami,
Harry, io…”
“No, vieni
con me.”
La ragazza
non disse niente e si lasciò trascinare via.
Pansy vide
Potter tirare indietro Ginny.
Per fortuna.
Avrebbe dovuto rispondere male anche a lei e avrebbe preferito non
doverlo
fare. Guardò la preside con uno dei suoi migliori sorrisi e
aspettò la sua
punizione.
“Cinquanta
punti in meno a Serpeverde” dichiarò la McGranitt
e, subito dopo, si allontanò.
Tutto il
tavolo la guardò male. Ok. C’era abituata.
Sentì qualcuno avvicinarsi. Sperò
che l’idiota fosse cascato in quella messinscena. Non le
sembrava poi così
credibile. Ma Nott era un idiota, appunto. Doveva pensare che fosse da
sola,
che avesse litigato con tutti.
Forse…
Nott si
avvicinò alla ragazza, che aveva ancora le braccia conserte
e guardava furiosa
dove Malfoy si era seduto. Tutto il tavolo la stava guardando. Non
proprio bene.
Ghignò. Non sapeva cosa fosse successo fra quei due, ma
forse avrebbe potuto
approfittare della situazione.
“Ti serve
una mano?” le chiese, spostando con un piede uno dei libri.
Lei si voltò verso
di lui, ma non gli sorrise.
“E vorresti
darmela tu? Ti vuoi chinare a raccogliere i miei libri come hai fatto
con la puttana
di Malfoy?” Nott si sentì un attimo spaesato: non
se lo aspettava. Poi ghignò,
nonostante tutto.
“Certo che
no!” Fermò un ragazzino dei primi anni che stava
per andare a lezione e lo
obbligò a raccogliere tutto.
Quando lui
si tirò su, porse la borsa alla Parkinson e le disse:
“Prefetto Parkinson…” Lei
si chinò a dargli un bacio sulla guancia. Il piccoletto
divenne tutto rosso e
scappò via.
“Oh, non mi
ricordavo che fosse così divertente!” La ragazza
gli lanciò un’occhiata
divertita e andò a sedersi. Due ragazzi vicino a lei si
alzarono quando lei disse
qualcosa. Oh. Si avvicinò e le si sedette vicino. Ma la mora
si alzò subito
dopo colazione e sparì.
Sparì
davvero. Perché quando arrivò nell’aula
di pozioni, lei non c’era. Oh. Chissà
dov’era. Forse non sarebbe venuta. Forse piangeva in bagno.
Sentì la Granger,
la puttana di Malfoy, come
l’aveva
chiamata la Parkinson, chiedere a Lumacorno se avessero potuto lavorare
a
coppie quel giorno. Quando l’aveva guardata, aveva visto che
si era girata
verso Malfoy e aveva ridacchiato. Lui aveva annuito in risposta.
Oh, per Salazar!
Malfoy si stava rincoglionendo. Non lo avrebbe mai detto.
Ridacchiò mentalmente.
Aveva visto che succedeva quando ci si metteva con una ragazza. Aveva
visto
parecchi rincretinirsi così. Anche i migliori. Per questo
lui non aveva una
ragazza fissa. La monogamia era per i perdenti. Anche suo padre a volte
sembrava rincretinito. Da quando diceva di essersi
innamorato…
Non pensava
però che sarebbe successo anche al biondo. Perdere smalto
così, per una
sanguesporco. Sarebbe stato divertente portarsela a letto. Ma sarebbe
stato
anche difficile soprattutto affrontare Malfoy dopo. A lui non piacevano
le cose
difficili.
Notò le
persone spostarsi. Oh, Lumacorno doveva aver accettato la proposta. La
Granger
e Malfoy si misero vicini. Beh, effettivamente, lei lo aveva proposto
per
quello.
Si guardò
intorno: era rimasto da solo. Come al solito. Erano in dispari, senza
la
Parkinson. Ma non era un problema. Lui era formidabile in pozioni. Non
aveva
bisogno di nessuno. Era anche più bravo di Malfoy.
Quando la
porta si aprì, sentì Lumacorno dire:
“Signorina Parkinson, grazie di averci
raggiunto”, si girò e la sentì
rispondere: “Non c’è di che,
professore”.
Nott
sorrise. Lei invece era abbastanza facile. Da quando poi che non stava
più
dietro a Malfoy, né a Weasley, sarebbe stato come al terzo
anno. Avrebbe solo
dovuto essere un po’ più cauto.
Notò che
quando realizzò la situazione alzò un sopraciglio
e sbuffò quando capì che l’unico
da solo era proprio il moro.
“Daphne,
fai
cambio posto, sto io con Blaise.”
Vide la
bionda girarsi verso di lei e alzare le sopracciglia. “Ma
Pansy…”
“Signorina
Parkinson, prenda posto con il signor Nott e non perda altro tempo, per
favore”
si intromise il professore.
Pansy guardò
il moro con un’occhiata sprezzante, non dovette neanche
fingere nel farlo, e
annuì. Si avvicinò e appoggiò la borsa
sotto il banco. Quando Lumacorno spiegò
cosa fare, non prestò molta attenzione.
L’unica cosa
buona di Nott era che fosse bravissimo in pozioni: avrebbe lasciato
fare tutto
a lui. Anche perché, a parte ricordarsi a memoria gli
ingredienti delle
pozioni, lei non sapeva fare niente. Era riuscita a superare i G.U.F.O.
solo
perché era vicino a Draco, che le aveva passato tutto
l’esame. Tanto, mica
doveva fare la pozionista o il medimago, no?
“Guarda che
non so fare niente” gli confidò.
“Oh, lo so” disse
lui ammiccando. “Ma non preoccuparti, mi ringrazierai
più tardi”.
Lei alzò un
sopracciglio. Sarebbe stato facile fare la sdolcinata e promettergli
quello che
voleva, ma sarebbe stato sospetto. Magari anche un idiota come lui
avrebbe
capito.
“Nott, lo
fai anche per te, mica solo per me. Non devo ringraziarti di
niente.”
Lui corrugò
la fronte e poi ghignò. “Posso aiutarti in
pozioni”, Pansy esultò internamente,
ma non disse niente e aspettò che continuasse. “Io
e te… da soli, qui, con un
calderone… subito dopo cena…”
“Potresti
passarmi i compiti e non fare tutte queste scene.”
“Sì, ma come
potresti poi ringraziar mia dovere? Se invece venissimo
qui…”
“Mi farò
fare i compiti da qualcun altro”. E si voltò a
guardare la classe.
“E da chi?” chiese
lui, mentre faceva cadere nel calderone qualcosa e prese il mestolo.
Lei gli
strappò di mano il mestolo e mescolò.
“Mi
inventerò qualcosa.”
“Qui dentro
l’unico alla mia altezza è Draco. E sembra che non
andiate così d’accordo”, spocchioso,
mediocre e arrogante. Lei ghignò. “Anzi, sembra
che tu non vada più d’accordo
con nessuno!”
“Potrei
sempre lanciargli un Imperius e farglielo fare comunque. O farlo fare a
te.
Sono ancora brava in incantesimi, ricordi?” Lui la
guardò.
“Si finisce
ad Azkaban, con un Imperius, le maledizioni senza perdono sono
controllate dal
ministero.”
Lei sorrise
sdolcinata, dopo quella dichiarazione. Forse perché aveva
visto che lui si era
preoccupato. “Sì, ma sembra che ad Azkaban non si
stia così male. E che si
possa uscire facilmente”.
La faccia di
lui si fece seria. “Sei andata ad Azkaban da tua madre? Tu
sai che noi…” Lei,
che si era chinata sul libro per verificare gli ingredienti, si
voltò verso di
lui, stranita, ma si riprese subito e registrò tutto. Aveva
imparato a farlo da
tantissimo tempo. Linguaggio del corpo. La sua faccia, le sue
espressioni,
l’irrigidimento del corpo. Merlino. Merlino. Merlino. Ma
cosa… Perché aveva
nominato sua madre? Che fosse lui il contatto?
“Può darsi” disse
vaga.
Lui le prese
il braccio. Le fece male. Le sue dita l’artigliarono.
Riuscì a non lamentarsi.
“Non dovresti parlarne così. Qualcuno
potrebbe…”
Lei sorrise
ancora. Lungi da provare la sicurezza che mostrava fuori, lo
interruppe.
“Calmati, Nott. Guarda che non ho detto niente.
IO!” Ci tenne a sottolineare.
Lui sospirò silenziosamente. E lentamente la
lasciò. “Metto questo?” chiese,
prendendo un liquido che lui aveva preparato nel frattempo.
Annuì, ma era
distratto. “Oh, stai attento. Quanto ne metto?”
“Abbassa il
fuoco, prima.”
Lei fece
quello che lui disse. “Ma quindi tu
sai…”
Lo
interruppe: “Non dovresti parlarne. Siamo sicuri che ci si
possa fidare di te?”
Lui si
innervosì e si irrigidì in tutta la sua altezza.
“Tu non sai
cosa ho fatto! Io ho…”
“Facciamo
che parliamo un’altra volta, Nott?” disse
allargando gli occhi e indicando la
classe con la testa.
Oh, Merlino.
Si stava facendo beccare. Maledizione!
Nott annuì e
si passò una mano fra i capelli: lei sembrava molto
più in gamba di lui. No.
No. Non è vero. Lui aveva fatto tutto quello che suo padre
gli aveva detto.
Aveva raccolto i soldi. E ne aveva raccolto a palate. Aveva rubato
spiccioli a
quelli dei primi anni, aveva inventato una pozione veramente potente e
aveva iniziato
il suo commercio, aveva organizzato le festicciole per i ragazzi dei
primi anni.
Suo padre
era stato contento, l’ultima volta che lo aveva visto. E gli
aveva dato una
pacca sulla spalla. Lui aveva fatto tutto da solo. Certo che ci si
poteva
fidare di lui!
Quella
piccola stronzetta cosa pensava di…
Però aveva
ragione: si stava tradendo da solo. Avrebbe spifferato tutto, se lei
non
l’avesse fermato. Annuì ancora. Si
passò, ancora una volta, una mano fra i
capelli.
Merlino, se
era difficile fare tutto da solo. Senza qualcuno con cui parlare.
La guardò: lei
sembrava calmissima. Ma non aveva paura? Non aveva paura che potessero
scoprirli? Di poter finire ad Azkaban? Di…
Lei gli
appoggiò una mano sul braccio. “Va tutto bene.
Dimmi cosa devo fare adesso con
la pozione”. Giusto, la pozione.
Completarono
la pozione e le due ore finirono.
Lumacorno si
complimentò con loro per la riuscita della pozione. Disse
che era la migliore
fra tutte.
Pansy guardò
Nott, strizzò un occhio e disse sottovoce: “Mi sa
che è stato anche merito mio.
Ora datti una calmata e quando sarai pronto parleremo”.
Ma lui
doveva essere abbastanza calmo, perché le rispose:
“Stasera, qui alle 18.00. E
parliamo”.
“No. Stasera
ho…” Lui si voltò verso di lei.
Sì, si era calmato e aveva ripreso la solita
aria strafottente.
“Ho detto
stasera. Vieni dopo cena”. Lei sbuffò
vistosamente. Nott fece un passo avanti e
Pansy indietreggiò meccanicamente per non farsi toccare.
“Vedi di esserci”. La
indicò con l’indice.
Comandava
lui. Doveva farglielo capire.
“Vedi di
esserci.”
Lei abbassò
lo sguardo e Nott ghignò: aveva ancora un certo potere su di
lei. Ma doveva
ricordarsi di tenerle lontano la bacchetta, perché non
finisse tutto come l’ultima
volta. Poi la ragazza annuì senza guardarlo.
Nott uscì
dall’aula senza guardarsi intorno. Sorrise: avrebbe avuto
un’ora buca, dopo.
***
Pansy
entrò
nel bagno dei prefetti.
La vasca era
piena e l’acqua ondeggiava in tante piccole onde, ma non
c’era vapore. Avanzò
verso lo specchio e il lavandino. Appoggiò la borsa e si
guardò allo specchio.
Si sistemò il rossetto e il resto del trucco. Doveva solo
aspettare. E intanto
pensare.
Merlino. Il
padre di Nott c’entrava con l’evasione di sua
madre. E lei si sentì stupida.
Stupidissima. Degna di ogni troll in circolazione. Ci sarebbe dovuta
arrivare
prima. Nott sospettava di lei e Weasley dalla serata in infermeria. Se
era
stato lui a far giungere la voce a sua madre, probabilmente lei lo
aveva saputo
prima ancora che succedesse qualcosa. Per un attimo pensò a
cosa sarebbe
successo se quel giorno non fosse andata alla Tana a fare i
biscotti…
La porta si
aprì ma non entrò nessuno.
Sorrise.
Harry e
Ginny erano sotto al mantello dell’invisibilità ed
entrarono nel bagno dei
prefetti. Pansy li guardava. Va beh, guardava verso la porta.
Ginny uscì
da sotto il mantello e si avvicinò a lei.
“Dovrei
ucciderti per lo spavento che mi hai fatto prendere!” E si
gettò fra le sue
braccia. Lei dovette essere sorpresa, perché per poco non la
fece cadere.
“Oh, mi
spiace, io…”
“Sei stata
maledettamente brava!” Ginny vide la sua faccia imbarazzata e
ridacchiò. Poi si
girò verso Harry. “Harry, se non ci fossi stato
tu, avrei fatto un guaio!”
Harry
salutò
la Parkinson con un cenno del capo. Aveva capito che stava succedendo
qualcosa,
a colazione, ma non aveva afferrato cosa. Finché non era
tornato al tavolo dei
Grifondoro e aveva visto con che occhi guardavano la scena Hermione e
Ron.
Come se li
avesse chiamati, la porta del bagno si aprì ancora e loro
entrarono.
Annuì; mancava
solo Malfoy.
Draco
entrò
nel bagno dei prefetti con la Greengrass.
Gli altri erano tutti seduti per terra.
“Malfoy, non si era detto di passare inosservati? Lei non
è un prefetto!”
Weasley lo guardava torvo. Sapeva come si sentiva, così non
gli disse niente.
“Abbiamo
aspettato che non ci fosse in giro nessuno”. Vide Potter
annuire.
“Daphne, cosa
fai qui?” Pansy guardava l’amica con gli occhi
sbarrati.
“Cosa vuol
dire cosa faccio qui? Sono venuta
ad
aiutare la mia migliore amica!”
Pansy
guardò
la bionda con espressione sorpresa. Era fantastico. Ma erano troppi.
Avrebbero
dato nell’occhio.
Si sedettero
e tutti si voltarono verso di lei. “Quindi?”
Pansy si
sentì in imbarazzo, ma poi Ron le sfiorò il
ginocchio con il suo. Ok,
probabilmente non l’aveva fatto apposta, ma a lei bastava.
“Deve aver
creduto che abbiamo litigato” iniziò, guardando
Draco, che annuì. “E penso che
gli abbia fatto piacere quando la McGranitt mi ha sgridato. Poi, a
Pozioni, quando
ho nominato Azkaban, lui è diventato strano. Quando ho detto
che era facile
uscire da lì, Nott ha nominato mia madre”.
Guardò
Hermione, che si coprì la bocca con la mano per la sorpresa.
La riccia
spiegò agli altri quello che aveva raccontato sabato sera
nell’aula di
divinazione, di sua madre e della presunta evasione. Poi si
girò di nuovo verso
Pansy e le chiese: “Potrebbe essere lui? Il contatto di tua
madre?”
La mora scrollò
le spalle. “Potrebbe. Si è agitato
molto”.
“Gli hai
detto di essere stata da tua madre?” Annuì.
“Lui sa
qualcosa, mi sa. Ma gli ho detto che c’era troppa gente e che
doveva stare
zitto. Non ero sicura di quello che dovevo dire. Non avevamo parlato di
questo.
Pensavo di dover parlare solo di suo padre. Io… non sono
brava a improvvisare”.
Hermione
sorrise. “Però sei riuscita a farti dire che lui
sapeva dell’evasione!”
Oh, bella
consolazione. Aveva fatto tutto da solo. Alzò una spalla.
“Ci vediamo
dopo cena nell’aula di pozioni, magari vedrò di
farmi dire qualcosa.”
“Glielo hai
proposto tu?” chiese Ginny. La Serpeverde scosse la testa.
“E come hai fatto?
Oh, quella cosa per cui per far fare qualcosa a un ragazzo deve pensare
che sia
un’idea sua?” Pansy spalancò gli occhi.
Ma poi sorrise, scuotendo la testa. Lo
aveva detto lei, alla rossa.
Continuò,
girandosi verso Hermione: “Provo a fargli cosa sa e scoprire
di questo posto
dove dovrebbero fuggire. Magari suo padre è lì.
Mia madre ha parlato di
‘isola’. Magari tu…”
Guardò verso Draco.
Lui annuì e
guardò Potter, che gli rivolse uno sguardo strano.
“Ci
sarò
anch’io” disse infatti Draco.
Se fosse
stato anche lui nella stanza e Nott non si fosse messo sulla difensiva,
avrebbe
potuto leggergli la mente. Doveva chiedere a Potter il mantello,
sperò che non
si facesse pregare, ma aveva promesso a Pansy che non
l’avrebbe comunque lasciata
sola con Nott.
“Abbiamo
anche le orecchie oblunghe, nel caso” disse la piccola
Weasley. Tutti
annuirono.
Draco non
aveva capito, ma decise di lasciare perdere e di chiedere spiegazioni a
Pansy
poi in privata sede.
Poi la mora
si rivolse alla Greengrass: “Ho bisogno che tieni Camille
lontana da me per un
po’. Non voglio che lui sappia che è mia
sorella”. La bionda annuì. “Ok, allora
abbiamo finito. Forse non c’era bisogno che veniste
tutti”.
Ron non
aveva detto niente. Ma un po’ era preoccupato.
Guardò Pansy
parlare con Malfoy sottovoce. Lui annuiva. Poi si avvicinò a
loro anche
Hermione e Pansy iniziò a parlare solo con lei.
Si avvicinò
a Malfoy, ma lui si stava dirigendo verso Harry, così li
raggiunse. “Il
mantello? Certo. Non c’è problema”,
sentì dire al moro.
“Il
mantello?” chiese lui guardando Malfoy.
“Ho promesso
a Pansy di non lasciarla sola con Nott. Vedo di entrare
anch’io nell’aula di
pozioni”. Oh. Perché Pansy non lo aveva chiesto a
lui e lo aveva chiesto a
Malfoy? Si voltò verso la mora che ora parlottava anche con
le altre ragazze.
“Per lei
sarebbe più difficile sapere che sotto al mantello ci sei
tu. Potrebbe fare del
casino.”
Il
Serpeverde lo guardò serio e Ron annuì poco
convinto. Perché avrebbe dovuto
essere difficile? Harry si girò verso di lui.
“Penso che
abbia ragione, Ron”, abbassò la voce
“immagina di dover passare del tempo con
la ragazzina che ti chiede sempre di far la ronda e di dover far finta
che ti
interessa. Non ti sentiresti ancora più a disagio sapendo
che la Parkinson è lì
con te?”
Lentamente
Ron annuì. Aveva capito. Poi Malfoy disse un’altra
cosa: “Cercherò di usare la
legilimanzia. Ci ho provato un po’ di volte, ma lui
è sempre nervoso e sulle
sue. Faccio fatica. Se lui si rilassasse e pensasse direttamente a
ciò che
vogliamo sapere, sarebbe più semplice”.
Ron lo
guardò quasi con ammirazione: lui non era capace di usare la
legilimanzia.
Guardò Harry che annuì convinto. Ma poi un dubbio
gli attorcigliò il cervello.
Rilassarsi… “Dici che dovrà
baciarlo?” Se non peggio!
“No!”
Malfoy, accanto a lui aveva usato un tono risoluto. “Ho
promesso di evitare che
succeda”.
Oh. Bene.
Annuì ancora.
Pansy, poco
prima, si era avvicinata a Draco e gli aveva detto: “Se sarai
con me, voglio
che tu mi prometta una cosa”, lui aveva annuito e lei aveva
continuato, dopo
aver lanciato uno sguardo al rosso di nascosto.
“Probabilmente mi farà mettere
giù la bacchetta: l’ultima volta l’ho
schiantato. Ora starà attento. Poi... non
so cosa succederà, ma io non voglio nemmeno baciarlo, ok?
Oggi gli ho toccato
un braccio e ho quasi vomitato, quindi immagino cosa potrebbe succedere
se… Hai
capito? In questo non riuscirei a fingere
interesse…” Draco aveva annuito,
ancora serio. “Se diventa violento e mi mette le mani
addosso, ci penso io. Ma
se si avvicina per baciarmi… tu schiantalo prima che
succeda, ok?”
“Sì, sì.”
“Promettimelo.”
“Te lo
prometto.”
Era il caso
di fare un voto infrangibile? Merlino, quasi quasi…
“Te lo giuro su quello che
vuoi”.
Alla fine
lei annuì. “Grazie”.
“Ma se lui
ti dovesse chiedere di…”
Lei scosse
le spalle. “Mi inventerò qualcosa. Tu fermalo
prima”.
Vide
Hermione avvicinarsi e le fece un cenno: lei le avrebbe detto come
fare. Le
avrebbe consigliato cosa dire. L’altra volta era stata utile.
Utilissima.
Ron
aspettò
che Hermione e Pansy finissero di parlare. Gli altri se ne erano
andati. Quando
Hermione si accorse di lui, liquidò la Serpeverde e si
affrettò a uscire. Le
lanciò un ringraziamento muto con il capo. Si
avvicinò alla mora e le prese la
mano. “Ciao, penso di avere un’idea e di averla
pensata io.”
Lei rise,
capendo che intendeva le parole di Ginny. “Ciao. Che tipo di
idea?” Si avvicinò
e la baciò. Quando si staccarono lei gli disse:
“Che dessert ci sarà stasera?
Ho paura che lo mangerò da sola…”
Ron ci
pensò: non si ricordava. Merlino, era il quarto giorno.
Forse… “Lumache gelatinose?
Non sono sicuro…” Pansy gli accarezzava il collo.
Poi si avvicinò a baciarlo
sulla clavicola. Chiuse gli occhi. Sperava vivamente che quella storia
finisse
presto, e…
Quando lei
gli sbottonò i primi bottoni della camicia aveva
già perso interesse per tutto
il resto, anche le lumache gelatinose.
***
“Non
mi
piacerebbe che tu facessi quello che fa lei” disse Ginny a
Harry.
“Come?”
“Non vorrei
mai che tu dovessi avere a che fare con una ragazza e che dovessi
fingere di…”
Le mancarono le parole. Harry le prese il mento e la girò
verso di lui.
“Non devi
preoccuparti. Ok?” Erano seduti lungo un davanzale al
corridoio del piano
terra, fra i sotterranei e la sala grande. Aspettavano di vedere
passare Nott.
Harry aveva lasciato la mappa a Hermione. Lei si sarebbe nascosta
nell’armadio
dell’aula di pozioni e Malfoy sarebbe stato in cattedra
protetto dal mantello.
Ginny non si
ricordò dove doveva essere Ron. Sperò che se lo
ricordasse lui.
“Ti ho raccontato
cosa ho fatto sabato con Doge?”
Harry
dovette raccontarle di Doge per non raccontarle l’altra cosa
che aveva in mente.
Aspettarono chiacchierando e quando videro passare Nott, che non li
notò, il
ragazzo incantò una pergamena che si piegò e
volò via velocemente.
Si alzarono
e tornarono in sala grande.
Quando Harry
aveva portato il mantello a Hermione c’era anche Ron.
Lui, che non
aveva ancora lasciato perdere il fatto di non essere benvoluto
nell’aula di
pozioni, aveva accompagnato Hermione e poi, invece di tornare in sala
grande,
aveva bisticciato con Malfoy per rimanere con lui.
Alla fine,
quando la fenice di pergamena di Harry era scivolata sotto la porta,
aveva
gridato e si era incendiata, lasciando cadere la cenere sul pavimento,
avevano
capito ch Nott stava avvivando si erano lanciati sopra il mantello. Si
erano
seduti vicini su un banco, così che il mantello potesse
coprirli senza
difficoltà.
Draco era
arrabbiatissimo con Weasley.
Non solo
avevano rischiato di farsi beccare, ma ora non poteva più
muoversi liberamente.
E se Nott avesse scelto un banco troppo lontano da loro? O peggio, se
avesse
scelto proprio quello dove si erano seduti? Sospirò quando
lui si sedette su
una sedia al banco che aveva occupato quella mattina. Alla fine, andava
bene.
Era abbastanza lontano da loro, ma non troppo, e abbastanza vicino
all’armadio
per permettere a Hermione, che si era nascosta lì dentro, di
sentire tutto.
Aspettarono
tutti insieme, in silenzio, per almeno dieci minuti. Quando Pansy
entrò dalla
porta, lui si sentiva un fascio di nervi. Come al sesto anno. Vide il
Grifondoro
sistemarsi la bacchetta vicino alla coscia. Pronta per l’uso.
Giusto. Era una
buona mossa. Perché non ci aveva pensato prima lui?
Pansy
entrò
nell’aula di pozioni con leggerezza.
Sentiva che
sarebbe andato tutto bene. Che sensazione assurda. Capitava quando
andava tutto
storto. Vide Nott seduto che guardava la porta ghignando.
Oh, si era
ripreso bene. Glielo disse.
“Hai
controllato la stanza?” continuò lei.
Lui sbarrò
gli occhi. “Cosa?” Lei lo guardò con una
faccia severa.
“Che
Lumacorno non sia qui?” disse a bassa voce.
Il moro si
riprese subito. “Oh. Sì, sì.
L’ho incontrato nel corridoio che andava verso la
sua camera”.
Lei alzò un
sopracciglio. “Di già? Va già a
letto?”
Lui alzò le spalle
“Non è mica Piton”.
“E no…”
Aveva deciso
di non intavolare l’argomento di suo padre e di parlare di
altro. Cioè, glielo
aveva consigliato Hermione. Così stette zitta e si
avvicinò a lui. Lui non
aveva preparato il calderone, quindi immaginò non volesse
neanche far finta di
essere lì per aiutarla. Chissà chi si credeva di
essere, ormai, Nott. Provò a
stare al gioco.
“Sei capace
di fare una Felix Felicis?” gli chiese. Il ragazzo scosse la
testa.
“Ci ho
provato: ci sono molto vicino”. Lei annuì, ma non
ci credette.
“Sei sempre
stato bravo con le pozioni” lo adulò,
però dovette ammettere che era vero.
“Lo dice
anche mio padre.”
“Davvero?
Mia madre non mi dice mai niente di bello…”
Lui alzò una
spalla. “Il mio lo fa quando vuole qualcosa”.
La ragazza
sorrise tristemente.
Nott lo
notò. “La mia neanche”.
Per un
attimo, il Serpeverde ebbe pietà. “Magari questa
volta sarà più gentile…” Non
che gli interessasse particolarmente. A lui, della madre di Pansy non
gliene
importava un pluffola fritta. Ma suo padre diceva che lei serviva per
contattare gli altri tre ad Azkaban. Nott pensò che un
po’ suo padre ne fosse
innamorato. O forse voleva farne la sua concubina. Poteva essere.
“Oh,
dubito. E poi non è che io serva a molto,
in questo piano, no? Avete già fatto tutto voi”
disse ancora.
Però su
questo aveva ragione: lei non serviva. Ma sua madre era stata
categorica: la
figlia doveva essere dei loro.
Guardò
meglio la Parkinson: non era male neanche lei. Avrebbe potuto servire:
gli
avrebbe scaldato il letto nei giorni in cui avrebbero dovuto fare
più
attenzione e rimanere nascosti. Sì, sarebbe stata una
piacevole compagnia.
Pansy
tirò
fuori la bacchetta e fece apparire una sedia vicino a quella del
ragazzo. Si
sedette e appoggiò la bacchetta sul banco. Sperò
che in quella maniera, lui non
le chiedesse di dargliela.
La appoggiò
a una distanza adeguata, calcolò. Né troppo
vicino, né troppo lontano.
“Mia madre
non è proprio molto sveglia in queste cose. Non si ricorda
neanche dove
andremo, dopo”. Alzò una mano quando lui
tentò di parlare. “Non dirlo. Per favore.
Non dire niente: non difenderla”. Non voleva sembrare
interessata al posto,
così fece finta di pensare che lui volesse dire qualcosa
sulla madre. Sapeva
che non era così: Nott non aveva una gran considerazione
dell’universo
femminile.
Trascinò la
sedia dietro di lui e disse: “Dimmi solo se dove andremo ci
sarà il mare o no.
Voglio pensare a cose belle”. E gli mise, con notevole
sforzo, le mani sulle
spalle.
Iniziò a
massaggiargli i muscoli del collo. Lui era tesissimo. Sperò
che pensasse al
posto che diceva sua madre, quello che secondo lei aveva il nome
sbagliato, che
doveva essere un’isola, e sperò che Draco
riuscisse a usare la legimanzia se
lei fosse riuscita a farlo rilassare abbastanza.
“Mi
piace,
questa cosa” disse Nott.
“Quale
cosa?”
“Questa che stai
facendo”. Lui glielo aveva visto fare anche con Draco, quando
stavano insieme,
al sesto anno. Ma non glielo disse. Ma voleva sapere un’altra
cosa.
“Lo facevi
anche a Weasley?” Lei si fermò. Ma poi riprese. La
sentì ghignare mentre gli
chiedeva: “Che c’è, sei
geloso?”
Chi lui?
Geloso di quel pezzente? Ma se lui poteva avere tutte le ragazze che
voleva!
“Ma sei matta?”
“Ma…” il suo
tono era di scherno. Doveva rimetterla al suo posto, subito. Non doveva
pensare
di prenderlo in giro. Come quella volta….
“Cos’è
successo, fra voi? È andata come dicevo io?” La
ragazza si fermò ancora.
Sorrise nell’aver capito il suo punto debole.
Ricordò il terzo anno, lei così
ingenua…
“Sì” sussurrò.
“Ti ha
mollato quando ha saputo quello che hai fatto?”
“Già…” La
sua voce tremò. Che meravigliosa sensazione. Lei doveva
ricordarsi chi era: una
stupida puttanella.
“Te lo
avevo detto che sarebbe successo. Ti
eri illusa. Lui stava con te solo per portarti a letto.”
“Eh, sì. Me
lo avevi detto”. Lui ridacchiò, contento.
Ma gli
piaceva stuzzicarla. “Dai, comunque non preoccuparti. Mica ti
eri innamorata,
no?”
La Parkinson
si avvicinò al suo orecchio e disse con voce roca:
“Non mi hai detto se il mare
c’è o no. Cosa faccio, lo porto il mio costume
nuovo?”
Oh, Merlino.
Lei gli faceva ancora quell’effetto. Si immaginò
la ragazza in costume che
correva sulla spiaggia, nell’isola dove sarebbero andati a
vivere una volta
tirato fuori da Azkaban la madre di Pansy, Nicholas Higgs, Russel
Baddock e
Vance Warrington. Riportò il pensiero su di lei. Lei che
correva sulla riva e
si girava verso di lui, chiamandolo con la mano.
“Di che
colore è il tuo costume?”
Quando le
chiese il colore del costume, lei sorrise vittoriosa, tanto Nott le
dava le
spalle e non poteva vederla.
La sua voce
si era abbassata. Stava funzionando. Sperò che Draco fosse
riuscito a entrare
nella sua mente.
“Rosso. È
rosso” sussurrò ancora. Si passò la
lingua sulle labbra e capì che lui l’aveva
notato.
Dopo poco, lei
rallentò la presa su di lui e lui si tirò su
dalla sedia di colpo.
“Tutto ok?” gli
chiese. Merlino, Merlino. Cosa cazzo era successo? Stava andando
così bene. Lui
annuì. Spostò un po’ la sedia e si
sedette davanti a lei.
“Che ne dici
di festeggiare questa nuova alleanza fra me e te?” disse,
avvicinandosi a lei.
Come? Cosa? Si sforzò di sorridere.
“Stavolta
non ti tengo ferma.”
Dovette fare
una fatica immane per non cambiare espressione quando capì
cosa intendesse e
disse: “Profumi di basilico”.
Lui la
guardò corrugando la fronte “Come?”
Pansy dovette
sforzarsi di sorridere ancora. “Ho detto che profumi di
basilico”. Ma non
successe niente.
Per Salazar!
Draco ho detto ‘basilico’!
È la nostra parola!
Nott sorrise
e si avvicinò ancora. Troppo. Lo vedeva avvicinarsi sempre
di più.
Merlino,
merlino. Se Draco non faceva la sua parte, sarebbe stato un guaio. La
sua
bacchetta era troppo lontana. Non ci sarebbe arrivata senza che lui se
ne
accorgesse. Quando il panico la prese lui era vicinissimo. Alla fine
chiuse gli
occhi e strinse i pugni. Non voleva che lui potesse accorgersi di cosa
stava
provando.
Avrebbe
potuto dargli un pugno appena avesse sentito la sua bocca sulla sua.
Ma non
successe: sentì un tonfo e, aprendo gli occhi, vide Nott
schiantato per terra.
“Maledizione,
Draco, che cazzo stavi aspettando?” urlò,
alzandosi dalla sedia e recuperando
la bacchetta, che tenne stretta per un tempo infinito. Sentì
l’armadio aprirsi.
Ron stava
seguendo il discorso fra Pansy e il Serpeverde, quando notò
che Malfoy era in
trance. In piena catalessi. Aveva lo sguardo fisso e sembrava ancora
più
pallido, alla poca luce delle lanterne.
Quando vide
Nott avvicinarsi a Pansy iniziò ad agitarsi. Il biondo gli
aveva detto che lui
era lì per impedire a Pansy anche solo di baciare il moro e
gli aveva fatto
promettere di non mettersi in mezzo, ma quando lui si era avvicinato
troppo non
aveva resistito e Malfoy non aveva neanche puntato la bacchetta.
Aveva
schiantato lui Nott, aveva aperto appena il mantello e aveva sussurrato
l’incantesimo.
Aveva una
paura fottuta di colpire Pansy ma ci aveva provato lo stesso. E ci era
riuscito. Era stato grande. Un re.
Poi Pansy si
era alzata e aveva urlato. Aveva visto Hermione uscire
dall’armadio e si era
rigirato verso Malfoy.
Hermione
guardò verso il banco dove aveva visto i ragazzi sedersi. Ma
ancora non li
vedeva.
Poi Ron tirò
giù il mantello: Draco aveva una gran brutta faccia.
“Draco! Ci
sei? Draco!” Lui riuscì a risvegliarsi. Si
guardò intorno spaesato. La Serpeverde
disse qualcosa ma lei non la sentì:
Si avvicinò
a lui e gli toccò una guancia. “Tutto
bene?”
Lui annuì “È
una cosa faticosa. Nessuno mi crede quando lo dico”.
E sorrise. Un
sorriso strano.
Hermione
sospirò.
Pansy si era
voltata verso di loro. Loro. Merlino! C’era anche Ron. Non lo
sapeva.
“Ma perché
ci sei anche tu?” gli chiese. Oh santo Salazar! Se avesse
saputo che lui era
lì… Oh, sarebbe stato disastroso.
“Per fortuna
che c’ero io!” esclamò il rosso. Si
girò verso Draco e disse: “Non dovevo
mettermi in mezzo, eh? Se non l’avessi schiantato io, adesso
sarebbero nudi”.
“Ti assicuro
di no”. La Serpeverde sentì di dover dare di
stomaco. Si avvicinò barcollando a
un angolo dell’aula e vomitò. Puntò la
bacchetta e disse: “Evanesco”. Si
rivoltò verso l’aula: Draco ancora imbambolato. Si
avvicinò al lavandino vicino
al muro e si sciacquò la bocca.
“Quindi,
Draco, ci sei riuscito?” gli chiese e il ragazzo
annuì.
“Ho visto
l’isola. Il cartello era galleggiante, come quello di
Hogsmeade. C’era scritto
‘Whiltoy”. E tua madre non è
l’unica che devono far fuggire da Azkaban. Ho
visto altri tre mangiamorte. Due li ho riconosciuti, sono venuti al
Manor,
l’altro non lo conosco.”
Hermione
strinse il braccio a Draco.
“Scrivo al
Ministero stasera stessa. Ma riusciamo a tenerci buono Nott? Nel caso
suo padre
non sia alle Hawaii ma in qualche altro posto?”
Parlò direttamente a Pansy.
Lei annuì,
guardando il Serpeverde svenuto. “Facciamo comparire un
materasso, lo spogliate
e gli lascio un biglietto. Penserà che ci siamo divertiti.
Si sveglierà
stanotte e tornerà in camera”. Poi si
voltò verso Hermione e chiese:
“Cos’è…
‘Hawaii’?”
Hermione
sorrise. “Whiltoy, il posto che ha visto Draco, si trova fra
le isole Hawaii,
nell’oceano. Sono isole babbane, ma Whiltoy è
un’isola sconosciuta ai babbani,
abitata da forse cinque o sei maghi”.
“E tu
come
lo sai?” Ron la guardava con la sua solita espressione
incredula.
“Ronald, se
qualche volta ti fossi interessato anche ad altre cose, oltre al
Quidditch, lo
sapresti. Mi ero informata sui posti dove avrebbe potuto nascondersi
Sirius,
quando era ricercato”.
Tutti e tre
la guardavano come se fosse un fantasma reincarnato. Sbuffò.
Ron
annuì.
Con Hermione non c’era altro da fare. Guardò Nott.
Fra quanto si sarebbe
risvegliato? “Fai comparire il materasso, Hermione, e
appuntati tutto quello
che devi scrivere. Pansy scrivigli il biglietto. Io e Malfoy lo
spogliamo”.
Tutti lo guardavano. Perché lo guardavano?
“Da quando
in qua ci dici cosa fare?” Il biondo lo guardava con un
sopracciglio alzato.
“Da quando
ti sei perso nei pensieri di un altro. Muoviamoci.”
Stranamente
furono tutti d’accordo con lui. Fecero quanto detto e si
prepararono per uscire
dalla stanza.
“Cosa gli ha
scritto?” chiese a Pansy quando uscirono.
“Non lo vuoi
sapere”. È vero. Sarebbe stato meglio.
“Cosa ti
aveva detto che avrei fatto?” chiese ancora, ripensando alla
loro
conversazione.
“Lasciamo stare.
Io... non voglio
parlarne.”
Ron le
appoggiò un braccio sulle spalle e le baciò una
tempia. Ok. Avrebbe accettato
quello che voleva lei. Annuì. Lei sospirò e
sussurrò: “Grazie”.
Quando si
dividettero, i Grifondoro per le scale con il mantello e loro nel
corridoio che
portava alla sala comune, Draco si avvicinò a Pansy.
“Non me
l’avevi detto.”
Lei si girò
verso di lui. “Cosa?”
“Quello che
ti ha fatto”.
Lei si fermò
e i suoi occhi si spalancarono. “L’hai…
visto?”
“Lui ci ha
pensato. Tanto, come se gli servisse… per
caricarsi.”
Lei annuì.
“Immagino che sia proprio per quello. Ha bisogno di gettare
fango sulla gente. Quello…
Gli è piaciuto… particolarmente”.
Draco annuì.
Ora capiva perché lei non volesse toccarlo o averci a che
fare. E capiva la
frase che aveva detto, sul fatto di tenerla ferma. Questo era peggio
della
pozione.
“Hai sentito
quello che ha detto su Ron? È un insicuro. Dovresti sentire
quello che dice su
di te. Tu gli fai paura, ma non può ammetterlo”.
Draco alzò
un sopracciglio. “Hermione dice che le ha detto cose belle su
di me”.
Ma lei
scosse la testa. “L’ha fatto per far sentire lei
inferiore. Ha puntato sullo
stato di sangue e sulla nobiltà del casato”. Si
ritrovò ad annuire: era proprio
quello che aveva fatto.
Per fortuna
che c’era stato Weasley. Non era riuscito a staccarsi dalla
sua mente. Aveva
visto anche quando aveva spiato di nascosto lui e Pansy al sesto anno.
Sospirò.
“Dobbiamo
trovare la maniera per scoprire dove si trova suo padre e chiudere
questa
storia al più presto.”
Pansy non
disse niente, ma si staccò da lui e si incamminò
da sola quando si accorse che
non erano più soli.
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***Buona
lettura gente!!! Grazie a chi recensisce e a chi legge. ***