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Autore: ONLYKORINE    03/08/2018    3 recensioni
È finita la guerra. La scuola viene ricostruita e Ginny, Harry, Hermione e Ron tornano a Hogwarts per i M.A.G.O. Ma non va tutto come ci si aspetta. Hemione e Ron non sembrano fatti per stare insieme. E Harry e Ginny? Ce la faranno a iniziare (e mantenere) la loro storia?
Hinny e un po' di Dramione...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Il trio protagonista, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ritorno a Hogwarts e one shot'
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Operazione ‘Nott’

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Il tavolo della colazione era pieno di roba ma Ron, stranamente, non aveva molta fame. Prese delle uova dal vassoio e un pancake. Ma non li toccò: era preoccupato.
Sarebbe andato tutto bene? Ginny arrivò di corsa, si sedette vicino a lui e si riempì il piatto. Ridacchiava contenta. Non le avevano ancora raccontato niente.
“Ti ha detto Hermione di Charlie?”
Oh per Godric, cosa aveva Charlie adesso? “Che cosa? Si è fidanzato anche lui?”
Ginny lo guardò stranita. “Fidanzato?” I suoi occhi si strinsero. “Sai qualcosa che non so?”
Lui scosse le spalle. Cosa voleva Ginny? “Cosa doveva dirmi Hermione di Charlie?” Cercò di essere più accomodante. La sorella se ne accorse, ma fraintese il gesto.
“Oh, probabilmente tu lo sapevi già. Magari Pansy a te l’aveva detto!” E iniziò a mangiare. Come? Cosa? Che intendeva?
“Pansy?” chiese sottovoce.
“Sì, probabilmente tu sai già tutto e come al solito non mi hai detto niente.”
Ron era confuso. “Ma cosa dici?”
“Tu sapevi che Charlie nei sotterranei era molto famoso per quello che combinava sotto le lenzuola?”
COSA? La sorella dovette leggergli in faccia il suo stupore. “Oh, noto che sei sorpreso quanto me. Bene”.

E come diavolo faceva a saperlo Pansy? Ginny gli rise in faccia quando capì quello che stava pensando.
“Che stupido che sei. Charlie aveva già finito la scuola quando voi avete iniziato.”
Oh. Giusto, giusto. Quindi? “Sai quando è venuto per la prova dei draghi della coppa tremaghi?” Lui annuì. Oh, Charlie era passato dai sotterranei? Oh, ma Pansy c’era! Ginny rise ancora. Merlino. Doveva sembrare veramente uno stupido.
“Le ragazze dell’ultimo anno hanno raccontato un sacco di cose alle altre, quella volta. E sembra che Charlie fosse veramente un dio del sesso, o cose così. Non hanno voluto scendere in dettagli con me, però!” Alzò una spalla e riprese a mangiare.
Merlino. Ron avrebbe preferito non saperlo. Ringraziò il cielo quando arrivò Harry, finché non si sedette vicino a Ginny e lei lo baciò. Cercò con lo sguardo Hermione e, quando la vide entrare in sala grande, le fece un cenno con la mano e lei si avvicinò.

 

In quel momento dall’altra parte della sala grande si sentirono delle voci e un gran fracasso.
“Ehi, idiota, guarda dove vai!”
La borsa dei libri della Parkinson era aperta, per terra. Il suo contenuto era sul pavimento e lei era in piedi, con le braccia incrociate sotto al petto e sbatteva un piede per terra.
“Sei stata tu a venirmi addosso”. Malfoy si era girato e la guardava con un sorrisino strafottente.
“L’hai fatto apposta, Malfoy!” Il suo piede era sempre più nervoso. E anche lei.
“No. Ti sopravvaluti”. Il biondo ghignò.
Ma cosa stava succedendo? Harry aveva osservato la scena stranito: gli sembrava di essere tornato indietro di qualche anno.
Si guardò intorno per verificare che fosse tutto a posto, ma notò che anche gli altri erano stupefatti quanto lui. Sentì Ginny balbettare: “Ma che cosa…”
La seguì quando si alzò, non notando che Ron aveva tentato di fermarla.

 

Ginny non si accorse di essersi alzata finché non si avvicinò al tavolo verdeargento.
Pansy era davanti a Malfoy e sembrava molto infastidita. Gli disse ancora qualcosa che Ginny non capì e lui le rispose qualcosa di sfacciato, perché sentì la Serpeverde esclamare: “Questa me la paghi, Malfoy!”
Lui ghignò ancora e andò a sedersi. La McGranitt arrivò quasi di corsa e disse: “Signorina Parkinson, raccolga le sue cose e vada a fare colazione. Fra poco iniziano le lezioni”. Ma lei rimase in piedi guardandola con sufficienza, senza dire niente.
Sentì la Greengrass dire, non proprio sottovoce: “Hanno litigato la settimana scorsa in biblioteca...”
“Secondo me, questa volta non fanno pace” le rispose qualcun altro. Ma… Ma… Cosa era successo? La McGranitt era ancora in piedi davanti alla Serpeverde.
“Non ho fame” disse la mora. Ma cosa faceva? Perché aveva risposto alla preside? Ginny spalancò gli occhi.
“Le conviene sedersi comunque, signorina Parkinson, altrimenti potrei darle una punizione.”
“Di che tipo?” chiese lei alzando un sopracciglio. Ma voleva contrattare? Con la McGranitt? Vide il volto della preside farsi pallido mentre la linea della bocca diventava rigida.
Ginny cercò di fare un passo verso di loro, ma Harry la fermò. Non si era accorta di lui. La portò indietro verso il loro tavolo. “Lasciami, Harry, io…”
“No, vieni con me.”
La ragazza non disse niente e si lasciò trascinare via.

 

Pansy vide Potter tirare indietro Ginny.
Per fortuna. Avrebbe dovuto rispondere male anche a lei e avrebbe preferito non doverlo fare. Guardò la preside con uno dei suoi migliori sorrisi e aspettò la sua punizione.
“Cinquanta punti in meno a Serpeverde” dichiarò la McGranitt e, subito dopo, si allontanò.
Tutto il tavolo la guardò male. Ok. C’era abituata. Sentì qualcuno avvicinarsi. Sperò che l’idiota fosse cascato in quella messinscena. Non le sembrava poi così credibile. Ma Nott era un idiota, appunto. Doveva pensare che fosse da sola, che avesse litigato con tutti.
Forse…

 

Nott si avvicinò alla ragazza, che aveva ancora le braccia conserte e guardava furiosa dove Malfoy si era seduto. Tutto il tavolo la stava guardando. Non proprio bene. Ghignò. Non sapeva cosa fosse successo fra quei due, ma forse avrebbe potuto approfittare della situazione.
“Ti serve una mano?” le chiese, spostando con un piede uno dei libri. Lei si voltò verso di lui, ma non gli sorrise.
“E vorresti darmela tu? Ti vuoi chinare a raccogliere i miei libri come hai fatto con la puttana di Malfoy?” Nott si sentì un attimo spaesato: non se lo aspettava. Poi ghignò, nonostante tutto.
“Certo che no!” Fermò un ragazzino dei primi anni che stava per andare a lezione e lo obbligò a raccogliere tutto.
Quando lui si tirò su, porse la borsa alla Parkinson e le disse: “Prefetto Parkinson…” Lei si chinò a dargli un bacio sulla guancia. Il piccoletto divenne tutto rosso e scappò via.
“Oh, non mi ricordavo che fosse così divertente!” La ragazza gli lanciò un’occhiata divertita e andò a sedersi. Due ragazzi vicino a lei si alzarono quando lei disse qualcosa. Oh. Si avvicinò e le si sedette vicino. Ma la mora si alzò subito dopo colazione e sparì.
Sparì davvero. Perché quando arrivò nell’aula di pozioni, lei non c’era. Oh. Chissà dov’era. Forse non sarebbe venuta. Forse piangeva in bagno. Sentì la Granger, la puttana di Malfoy, come l’aveva chiamata la Parkinson, chiedere a Lumacorno se avessero potuto lavorare a coppie quel giorno. Quando l’aveva guardata, aveva visto che si era girata verso Malfoy e aveva ridacchiato. Lui aveva annuito in risposta.
Oh, per Salazar! Malfoy si stava rincoglionendo. Non lo avrebbe mai detto. Ridacchiò mentalmente. Aveva visto che succedeva quando ci si metteva con una ragazza. Aveva visto parecchi rincretinirsi così. Anche i migliori. Per questo lui non aveva una ragazza fissa. La monogamia era per i perdenti. Anche suo padre a volte sembrava rincretinito. Da quando diceva di essersi innamorato…
Non pensava però che sarebbe successo anche al biondo. Perdere smalto così, per una sanguesporco. Sarebbe stato divertente portarsela a letto. Ma sarebbe stato anche difficile soprattutto affrontare Malfoy dopo. A lui non piacevano le cose difficili.
Notò le persone spostarsi. Oh, Lumacorno doveva aver accettato la proposta. La Granger e Malfoy si misero vicini. Beh, effettivamente, lei lo aveva proposto per quello.
Si guardò intorno: era rimasto da solo. Come al solito. Erano in dispari, senza la Parkinson. Ma non era un problema. Lui era formidabile in pozioni. Non aveva bisogno di nessuno. Era anche più bravo di Malfoy.
Quando la porta si aprì, sentì Lumacorno dire: “Signorina Parkinson, grazie di averci raggiunto”, si girò e la sentì rispondere: “Non c’è di che, professore”.
Nott sorrise. Lei invece era abbastanza facile. Da quando poi che non stava più dietro a Malfoy, né a Weasley, sarebbe stato come al terzo anno. Avrebbe solo dovuto essere un po’ più cauto.
Notò che quando realizzò la situazione alzò un sopraciglio e sbuffò quando capì che l’unico da solo era proprio il moro.

 

“Daphne, fai cambio posto, sto io con Blaise.”
Vide la bionda girarsi verso di lei e alzare le sopracciglia. “Ma Pansy…”
“Signorina Parkinson, prenda posto con il signor Nott e non perda altro tempo, per favore” si intromise il professore.
Pansy guardò il moro con un’occhiata sprezzante, non dovette neanche fingere nel farlo, e annuì. Si avvicinò e appoggiò la borsa sotto il banco. Quando Lumacorno spiegò cosa fare, non prestò molta attenzione.
L’unica cosa buona di Nott era che fosse bravissimo in pozioni: avrebbe lasciato fare tutto a lui. Anche perché, a parte ricordarsi a memoria gli ingredienti delle pozioni, lei non sapeva fare niente. Era riuscita a superare i G.U.F.O. solo perché era vicino a Draco, che le aveva passato tutto l’esame. Tanto, mica doveva fare la pozionista o il medimago, no?
“Guarda che non so fare niente” gli confidò.
“Oh, lo so” disse lui ammiccando. “Ma non preoccuparti, mi ringrazierai più tardi”.
Lei alzò un sopracciglio. Sarebbe stato facile fare la sdolcinata e promettergli quello che voleva, ma sarebbe stato sospetto. Magari anche un idiota come lui avrebbe capito.
“Nott, lo fai anche per te, mica solo per me. Non devo ringraziarti di niente.”
Lui corrugò la fronte e poi ghignò. “Posso aiutarti in pozioni”, Pansy esultò internamente, ma non disse niente e aspettò che continuasse. “Io e te… da soli, qui, con un calderone… subito dopo cena…”
“Potresti passarmi i compiti e non fare tutte queste scene.”
“Sì, ma come potresti poi ringraziar mia dovere? Se invece venissimo qui…”
“Mi farò fare i compiti da qualcun altro”. E si voltò a guardare la classe.
“E da chi?” chiese lui, mentre faceva cadere nel calderone qualcosa e prese il mestolo. Lei gli strappò di mano il mestolo e mescolò.
“Mi inventerò qualcosa.”
“Qui dentro l’unico alla mia altezza è Draco. E sembra che non andiate così d’accordo”, spocchioso, mediocre e arrogante. Lei ghignò. “Anzi, sembra che tu non vada più d’accordo con nessuno!”
“Potrei sempre lanciargli un Imperius e farglielo fare comunque. O farlo fare a te. Sono ancora brava in incantesimi, ricordi?” Lui la guardò.
“Si finisce ad Azkaban, con un Imperius, le maledizioni senza perdono sono controllate dal ministero.”
Lei sorrise sdolcinata, dopo quella dichiarazione. Forse perché aveva visto che lui si era preoccupato. “Sì, ma sembra che ad Azkaban non si stia così male. E che si possa uscire facilmente”.
La faccia di lui si fece seria. “Sei andata ad Azkaban da tua madre? Tu sai che noi…” Lei, che si era chinata sul libro per verificare gli ingredienti, si voltò verso di lui, stranita, ma si riprese subito e registrò tutto. Aveva imparato a farlo da tantissimo tempo. Linguaggio del corpo. La sua faccia, le sue espressioni, l’irrigidimento del corpo. Merlino. Merlino. Merlino. Ma cosa… Perché aveva nominato sua madre? Che fosse lui il contatto?
“Può darsi” disse vaga.
Lui le prese il braccio. Le fece male. Le sue dita l’artigliarono. Riuscì a non lamentarsi. “Non dovresti parlarne così. Qualcuno potrebbe…”
Lei sorrise ancora. Lungi da provare la sicurezza che mostrava fuori, lo interruppe. “Calmati, Nott. Guarda che non ho detto niente. IO!” Ci tenne a sottolineare. Lui sospirò silenziosamente. E lentamente la lasciò. “Metto questo?” chiese, prendendo un liquido che lui aveva preparato nel frattempo. Annuì, ma era distratto. “Oh, stai attento. Quanto ne metto?”
“Abbassa il fuoco, prima.”
Lei fece quello che lui disse. “Ma quindi tu sai…”
Lo interruppe: “Non dovresti parlarne. Siamo sicuri che ci si possa fidare di te?”
Lui si innervosì e si irrigidì in tutta la sua altezza.
“Tu non sai cosa ho fatto! Io ho…”
“Facciamo che parliamo un’altra volta, Nott?” disse allargando gli occhi e indicando la classe con la testa.

 

Oh, Merlino. Si stava facendo beccare. Maledizione!
Nott annuì e si passò una mano fra i capelli: lei sembrava molto più in gamba di lui. No. No. Non è vero. Lui aveva fatto tutto quello che suo padre gli aveva detto. Aveva raccolto i soldi. E ne aveva raccolto a palate. Aveva rubato spiccioli a quelli dei primi anni, aveva inventato una pozione veramente potente e aveva iniziato il suo commercio, aveva organizzato le festicciole per i ragazzi dei primi anni.
Suo padre era stato contento, l’ultima volta che lo aveva visto. E gli aveva dato una pacca sulla spalla. Lui aveva fatto tutto da solo. Certo che ci si poteva fidare di lui!
Quella piccola stronzetta cosa pensava di…
Però aveva ragione: si stava tradendo da solo. Avrebbe spifferato tutto, se lei non l’avesse fermato. Annuì ancora. Si passò, ancora una volta, una mano fra i capelli.
Merlino, se era difficile fare tutto da solo. Senza qualcuno con cui parlare.
La guardò: lei sembrava calmissima. Ma non aveva paura? Non aveva paura che potessero scoprirli? Di poter finire ad Azkaban? Di…
Lei gli appoggiò una mano sul braccio. “Va tutto bene. Dimmi cosa devo fare adesso con la pozione”. Giusto, la pozione.
Completarono la pozione e le due ore finirono.

 

Lumacorno si complimentò con loro per la riuscita della pozione. Disse che era la migliore fra tutte.
Pansy guardò Nott, strizzò un occhio e disse sottovoce: “Mi sa che è stato anche merito mio. Ora datti una calmata e quando sarai pronto parleremo”.
Ma lui doveva essere abbastanza calmo, perché le rispose: “Stasera, qui alle 18.00. E parliamo”.
“No. Stasera ho…” Lui si voltò verso di lei. Sì, si era calmato e aveva ripreso la solita aria strafottente.
“Ho detto stasera. Vieni dopo cena”. Lei sbuffò vistosamente. Nott fece un passo avanti e Pansy indietreggiò meccanicamente per non farsi toccare. “Vedi di esserci”. La indicò con l’indice.

 

Comandava lui. Doveva farglielo capire.
“Vedi di esserci.”
Lei abbassò lo sguardo e Nott ghignò: aveva ancora un certo potere su di lei. Ma doveva ricordarsi di tenerle lontano la bacchetta, perché non finisse tutto come l’ultima volta. Poi la ragazza annuì senza guardarlo.
Nott uscì dall’aula senza guardarsi intorno. Sorrise: avrebbe avuto un’ora buca, dopo.

 

***

 

Pansy entrò nel bagno dei prefetti.
La vasca era piena e l’acqua ondeggiava in tante piccole onde, ma non c’era vapore. Avanzò verso lo specchio e il lavandino. Appoggiò la borsa e si guardò allo specchio. Si sistemò il rossetto e il resto del trucco. Doveva solo aspettare. E intanto pensare.
Merlino. Il padre di Nott c’entrava con l’evasione di sua madre. E lei si sentì stupida. Stupidissima. Degna di ogni troll in circolazione. Ci sarebbe dovuta arrivare prima. Nott sospettava di lei e Weasley dalla serata in infermeria. Se era stato lui a far giungere la voce a sua madre, probabilmente lei lo aveva saputo prima ancora che succedesse qualcosa. Per un attimo pensò a cosa sarebbe successo se quel giorno non fosse andata alla Tana a fare i biscotti…
La porta si aprì ma non entrò nessuno.
Sorrise.

 

Harry e Ginny erano sotto al mantello dell’invisibilità ed entrarono nel bagno dei prefetti. Pansy li guardava. Va beh, guardava verso la porta.
Ginny uscì da sotto il mantello e si avvicinò a lei.
“Dovrei ucciderti per lo spavento che mi hai fatto prendere!” E si gettò fra le sue braccia. Lei dovette essere sorpresa, perché per poco non la fece cadere.
“Oh, mi spiace, io…”
“Sei stata maledettamente brava!” Ginny vide la sua faccia imbarazzata e ridacchiò. Poi si girò verso Harry. “Harry, se non ci fossi stato tu, avrei fatto un guaio!”

 

Harry salutò la Parkinson con un cenno del capo. Aveva capito che stava succedendo qualcosa, a colazione, ma non aveva afferrato cosa. Finché non era tornato al tavolo dei Grifondoro e aveva visto con che occhi guardavano la scena Hermione e Ron.
Come se li avesse chiamati, la porta del bagno si aprì ancora e loro entrarono.
Annuì; mancava solo Malfoy.

 

Draco entrò nel bagno dei prefetti con la Greengrass.
Gli altri erano tutti seduti per terra. “Malfoy, non si era detto di passare inosservati? Lei non è un prefetto!” Weasley lo guardava torvo. Sapeva come si sentiva, così non gli disse niente.
“Abbiamo aspettato che non ci fosse in giro nessuno”. Vide Potter annuire.
“Daphne, cosa fai qui?” Pansy guardava l’amica con gli occhi sbarrati.
“Cosa vuol dire cosa faccio qui? Sono venuta ad aiutare la mia migliore amica!”

 

Pansy guardò la bionda con espressione sorpresa. Era fantastico. Ma erano troppi. Avrebbero dato nell’occhio.
Si sedettero e tutti si voltarono verso di lei. “Quindi?”
Pansy si sentì in imbarazzo, ma poi Ron le sfiorò il ginocchio con il suo. Ok, probabilmente non l’aveva fatto apposta, ma a lei bastava.
“Deve aver creduto che abbiamo litigato” iniziò, guardando Draco, che annuì. “E penso che gli abbia fatto piacere quando la McGranitt mi ha sgridato. Poi, a Pozioni, quando ho nominato Azkaban, lui è diventato strano. Quando ho detto che era facile uscire da lì, Nott ha nominato mia madre”.
Guardò Hermione, che si coprì la bocca con la mano per la sorpresa.
La riccia spiegò agli altri quello che aveva raccontato sabato sera nell’aula di divinazione, di sua madre e della presunta evasione. Poi si girò di nuovo verso Pansy e le chiese: “Potrebbe essere lui? Il contatto di tua madre?”
La mora scrollò le spalle. “Potrebbe. Si è agitato molto”.
“Gli hai detto di essere stata da tua madre?” Annuì.
“Lui sa qualcosa, mi sa. Ma gli ho detto che c’era troppa gente e che doveva stare zitto. Non ero sicura di quello che dovevo dire. Non avevamo parlato di questo. Pensavo di dover parlare solo di suo padre. Io… non sono brava a improvvisare”.
Hermione sorrise. “Però sei riuscita a farti dire che lui sapeva dell’evasione!”
Oh, bella consolazione. Aveva fatto tutto da solo. Alzò una spalla.
“Ci vediamo dopo cena nell’aula di pozioni, magari vedrò di farmi dire qualcosa.”
“Glielo hai proposto tu?” chiese Ginny. La Serpeverde scosse la testa. “E come hai fatto? Oh, quella cosa per cui per far fare qualcosa a un ragazzo deve pensare che sia un’idea sua?” Pansy spalancò gli occhi. Ma poi sorrise, scuotendo la testa. Lo aveva detto lei, alla rossa.
Continuò, girandosi verso Hermione: “Provo a fargli cosa sa e scoprire di questo posto dove dovrebbero fuggire. Magari suo padre è lì. Mia madre ha parlato di ‘isola’. Magari tu…” Guardò verso Draco.
Lui annuì e guardò Potter, che gli rivolse uno sguardo strano.

 

“Ci sarò anch’io” disse infatti Draco.
Se fosse stato anche lui nella stanza e Nott non si fosse messo sulla difensiva, avrebbe potuto leggergli la mente. Doveva chiedere a Potter il mantello, sperò che non si facesse pregare, ma aveva promesso a Pansy che non l’avrebbe comunque lasciata sola con Nott.
“Abbiamo anche le orecchie oblunghe, nel caso” disse la piccola Weasley. Tutti annuirono.
Draco non aveva capito, ma decise di lasciare perdere e di chiedere spiegazioni a Pansy poi in privata sede.
Poi la mora si rivolse alla Greengrass: “Ho bisogno che tieni Camille lontana da me per un po’. Non voglio che lui sappia che è mia sorella”. La bionda annuì. “Ok, allora abbiamo finito. Forse non c’era bisogno che veniste tutti”.

 

Ron non aveva detto niente. Ma un po’ era preoccupato.
Guardò Pansy parlare con Malfoy sottovoce. Lui annuiva. Poi si avvicinò a loro anche Hermione e Pansy iniziò a parlare solo con lei.
Si avvicinò a Malfoy, ma lui si stava dirigendo verso Harry, così li raggiunse. “Il mantello? Certo. Non c’è problema”, sentì dire al moro.
“Il mantello?” chiese lui guardando Malfoy.
“Ho promesso a Pansy di non lasciarla sola con Nott. Vedo di entrare anch’io nell’aula di pozioni”. Oh. Perché Pansy non lo aveva chiesto a lui e lo aveva chiesto a Malfoy? Si voltò verso la mora che ora parlottava anche con le altre ragazze.
“Per lei sarebbe più difficile sapere che sotto al mantello ci sei tu. Potrebbe fare del casino.”
Il Serpeverde lo guardò serio e Ron annuì poco convinto. Perché avrebbe dovuto essere difficile? Harry si girò verso di lui.
“Penso che abbia ragione, Ron”, abbassò la voce “immagina di dover passare del tempo con la ragazzina che ti chiede sempre di far la ronda e di dover far finta che ti interessa. Non ti sentiresti ancora più a disagio sapendo che la Parkinson è lì con te?”
Lentamente Ron annuì. Aveva capito. Poi Malfoy disse un’altra cosa: “Cercherò di usare la legilimanzia. Ci ho provato un po’ di volte, ma lui è sempre nervoso e sulle sue. Faccio fatica. Se lui si rilassasse e pensasse direttamente a ciò che vogliamo sapere, sarebbe più semplice”.
Ron lo guardò quasi con ammirazione: lui non era capace di usare la legilimanzia. Guardò Harry che annuì convinto. Ma poi un dubbio gli attorcigliò il cervello. Rilassarsi… “Dici che dovrà baciarlo?” Se non peggio!
“No!” Malfoy, accanto a lui aveva usato un tono risoluto. “Ho promesso di evitare che succeda”.
Oh. Bene. Annuì ancora.

 

Pansy, poco prima, si era avvicinata a Draco e gli aveva detto: “Se sarai con me, voglio che tu mi prometta una cosa”, lui aveva annuito e lei aveva continuato, dopo aver lanciato uno sguardo al rosso di nascosto. “Probabilmente mi farà mettere giù la bacchetta: l’ultima volta l’ho schiantato. Ora starà attento. Poi... non so cosa succederà, ma io non voglio nemmeno baciarlo, ok? Oggi gli ho toccato un braccio e ho quasi vomitato, quindi immagino cosa potrebbe succedere se… Hai capito? In questo non riuscirei a fingere interesse…” Draco aveva annuito, ancora serio. “Se diventa violento e mi mette le mani addosso, ci penso io. Ma se si avvicina per baciarmi… tu schiantalo prima che succeda, ok?”
“Sì, sì.”
“Promettimelo.”
“Te lo prometto.”
Era il caso di fare un voto infrangibile? Merlino, quasi quasi… “Te lo giuro su quello che vuoi”.
Alla fine lei annuì. “Grazie”.
“Ma se lui ti dovesse chiedere di…”
Lei scosse le spalle. “Mi inventerò qualcosa. Tu fermalo prima”.
Vide Hermione avvicinarsi e le fece un cenno: lei le avrebbe detto come fare. Le avrebbe consigliato cosa dire. L’altra volta era stata utile. Utilissima.

 

Ron aspettò che Hermione e Pansy finissero di parlare. Gli altri se ne erano andati. Quando Hermione si accorse di lui, liquidò la Serpeverde e si affrettò a uscire. Le lanciò un ringraziamento muto con il capo. Si avvicinò alla mora e le prese la mano. “Ciao, penso di avere un’idea e di averla pensata io.”
Lei rise, capendo che intendeva le parole di Ginny. “Ciao. Che tipo di idea?” Si avvicinò e la baciò. Quando si staccarono lei gli disse: “Che dessert ci sarà stasera? Ho paura che lo mangerò da sola…”
Ron ci pensò: non si ricordava. Merlino, era il quarto giorno. Forse… “Lumache gelatinose? Non sono sicuro…” Pansy gli accarezzava il collo. Poi si avvicinò a baciarlo sulla clavicola. Chiuse gli occhi. Sperava vivamente che quella storia finisse presto, e…
Quando lei gli sbottonò i primi bottoni della camicia aveva già perso interesse per tutto il resto, anche le lumache gelatinose.

 

***

 

“Non mi piacerebbe che tu facessi quello che fa lei” disse Ginny a Harry.
“Come?”
“Non vorrei mai che tu dovessi avere a che fare con una ragazza e che dovessi fingere di…” Le mancarono le parole. Harry le prese il mento e la girò verso di lui.
“Non devi preoccuparti. Ok?” Erano seduti lungo un davanzale al corridoio del piano terra, fra i sotterranei e la sala grande. Aspettavano di vedere passare Nott. Harry aveva lasciato la mappa a Hermione. Lei si sarebbe nascosta nell’armadio dell’aula di pozioni e Malfoy sarebbe stato in cattedra protetto dal mantello.
Ginny non si ricordò dove doveva essere Ron. Sperò che se lo ricordasse lui.
“Ti ho raccontato cosa ho fatto sabato con Doge?”

 

Harry dovette raccontarle di Doge per non raccontarle l’altra cosa che aveva in mente. Aspettarono chiacchierando e quando videro passare Nott, che non li notò, il ragazzo incantò una pergamena che si piegò e volò via velocemente.
Si alzarono e tornarono in sala grande.

 

Quando Harry aveva portato il mantello a Hermione c’era anche Ron.
Lui, che non aveva ancora lasciato perdere il fatto di non essere benvoluto nell’aula di pozioni, aveva accompagnato Hermione e poi, invece di tornare in sala grande, aveva bisticciato con Malfoy per rimanere con lui.
Alla fine, quando la fenice di pergamena di Harry era scivolata sotto la porta, aveva gridato e si era incendiata, lasciando cadere la cenere sul pavimento, avevano capito ch Nott stava avvivando si erano lanciati sopra il mantello. Si erano seduti vicini su un banco, così che il mantello potesse coprirli senza difficoltà.

 

Draco era arrabbiatissimo con Weasley.
Non solo avevano rischiato di farsi beccare, ma ora non poteva più muoversi liberamente. E se Nott avesse scelto un banco troppo lontano da loro? O peggio, se avesse scelto proprio quello dove si erano seduti? Sospirò quando lui si sedette su una sedia al banco che aveva occupato quella mattina. Alla fine, andava bene. Era abbastanza lontano da loro, ma non troppo, e abbastanza vicino all’armadio per permettere a Hermione, che si era nascosta lì dentro, di sentire tutto.
Aspettarono tutti insieme, in silenzio, per almeno dieci minuti. Quando Pansy entrò dalla porta, lui si sentiva un fascio di nervi. Come al sesto anno. Vide il Grifondoro sistemarsi la bacchetta vicino alla coscia. Pronta per l’uso. Giusto. Era una buona mossa. Perché non ci aveva pensato prima lui?

 

Pansy entrò nell’aula di pozioni con leggerezza.
Sentiva che sarebbe andato tutto bene. Che sensazione assurda. Capitava quando andava tutto storto. Vide Nott seduto che guardava la porta ghignando.
Oh, si era ripreso bene. Glielo disse.
“Hai controllato la stanza?” continuò lei.
Lui sbarrò gli occhi. “Cosa?” Lei lo guardò con una faccia severa.
“Che Lumacorno non sia qui?” disse a bassa voce.
Il moro si riprese subito. “Oh. Sì, sì. L’ho incontrato nel corridoio che andava verso la sua camera”.
Lei alzò un sopracciglio. “Di già? Va già a letto?”
Lui alzò le spalle “Non è mica Piton”.
“E no…”
Aveva deciso di non intavolare l’argomento di suo padre e di parlare di altro. Cioè, glielo aveva consigliato Hermione. Così stette zitta e si avvicinò a lui. Lui non aveva preparato il calderone, quindi immaginò non volesse neanche far finta di essere lì per aiutarla. Chissà chi si credeva di essere, ormai, Nott. Provò a stare al gioco.
“Sei capace di fare una Felix Felicis?” gli chiese. Il ragazzo scosse la testa.
“Ci ho provato: ci sono molto vicino”. Lei annuì, ma non ci credette.
“Sei sempre stato bravo con le pozioni” lo adulò, però dovette ammettere che era vero.
“Lo dice anche mio padre.”
“Davvero? Mia madre non mi dice mai niente di bello…”
Lui alzò una spalla. “Il mio lo fa quando vuole qualcosa”.

 

La ragazza sorrise tristemente.
Nott lo notò. “La mia neanche”.
Per un attimo, il Serpeverde ebbe pietà. “Magari questa volta sarà più gentile…” Non che gli interessasse particolarmente. A lui, della madre di Pansy non gliene importava un pluffola fritta. Ma suo padre diceva che lei serviva per contattare gli altri tre ad Azkaban. Nott pensò che un po’ suo padre ne fosse innamorato. O forse voleva farne la sua concubina. Poteva essere.
 “Oh, dubito. E poi non è che io serva a molto, in questo piano, no? Avete già fatto tutto voi” disse ancora.
Però su questo aveva ragione: lei non serviva. Ma sua madre era stata categorica: la figlia doveva essere dei loro.
Guardò meglio la Parkinson: non era male neanche lei. Avrebbe potuto servire: gli avrebbe scaldato il letto nei giorni in cui avrebbero dovuto fare più attenzione e rimanere nascosti. Sì, sarebbe stata una piacevole compagnia.

 

 

Pansy tirò fuori la bacchetta e fece apparire una sedia vicino a quella del ragazzo. Si sedette e appoggiò la bacchetta sul banco. Sperò che in quella maniera, lui non le chiedesse di dargliela.
La appoggiò a una distanza adeguata, calcolò. Né troppo vicino, né troppo lontano.
“Mia madre non è proprio molto sveglia in queste cose. Non si ricorda neanche dove andremo, dopo”. Alzò una mano quando lui tentò di parlare. “Non dirlo. Per favore. Non dire niente: non difenderla”. Non voleva sembrare interessata al posto, così fece finta di pensare che lui volesse dire qualcosa sulla madre. Sapeva che non era così: Nott non aveva una gran considerazione dell’universo femminile.
Trascinò la sedia dietro di lui e disse: “Dimmi solo se dove andremo ci sarà il mare o no. Voglio pensare a cose belle”. E gli mise, con notevole sforzo, le mani sulle spalle.
Iniziò a massaggiargli i muscoli del collo. Lui era tesissimo. Sperò che pensasse al posto che diceva sua madre, quello che secondo lei aveva il nome sbagliato, che doveva essere un’isola, e sperò che Draco riuscisse a usare la legimanzia se lei fosse riuscita a farlo rilassare abbastanza.

 

“Mi piace, questa cosa” disse Nott.
“Quale cosa?”
“Questa che stai facendo”. Lui glielo aveva visto fare anche con Draco, quando stavano insieme, al sesto anno. Ma non glielo disse. Ma voleva sapere un’altra cosa.
“Lo facevi anche a Weasley?” Lei si fermò. Ma poi riprese. La sentì ghignare mentre gli chiedeva: “Che c’è, sei geloso?”
Chi lui? Geloso di quel pezzente? Ma se lui poteva avere tutte le ragazze che voleva! “Ma sei matta?”
“Ma…” il suo tono era di scherno. Doveva rimetterla al suo posto, subito. Non doveva pensare di prenderlo in giro. Come quella volta….
“Cos’è successo, fra voi? È andata come dicevo io?” La ragazza si fermò ancora. Sorrise nell’aver capito il suo punto debole. Ricordò il terzo anno, lei così ingenua…
“Sì” sussurrò.
“Ti ha mollato quando ha saputo quello che hai fatto?”
“Già…” La sua voce tremò. Che meravigliosa sensazione. Lei doveva ricordarsi chi era: una stupida puttanella.
 “Te lo avevo detto che sarebbe successo. Ti eri illusa. Lui stava con te solo per portarti a letto.”
“Eh, sì. Me lo avevi detto”. Lui ridacchiò, contento.
Ma gli piaceva stuzzicarla. “Dai, comunque non preoccuparti. Mica ti eri innamorata, no?”
La Parkinson si avvicinò al suo orecchio e disse con voce roca: “Non mi hai detto se il mare c’è o no. Cosa faccio, lo porto il mio costume nuovo?”
Oh, Merlino. Lei gli faceva ancora quell’effetto. Si immaginò la ragazza in costume che correva sulla spiaggia, nell’isola dove sarebbero andati a vivere una volta tirato fuori da Azkaban la madre di Pansy, Nicholas Higgs, Russel Baddock e Vance Warrington. Riportò il pensiero su di lei. Lei che correva sulla riva e si girava verso di lui, chiamandolo con la mano.
“Di che colore è il tuo costume?”

 

Quando le chiese il colore del costume, lei sorrise vittoriosa, tanto Nott le dava le spalle e non poteva vederla.
La sua voce si era abbassata. Stava funzionando. Sperò che Draco fosse riuscito a entrare nella sua mente.
“Rosso. È rosso” sussurrò ancora. Si passò la lingua sulle labbra e capì che lui l’aveva notato.
Dopo poco, lei rallentò la presa su di lui e lui si tirò su dalla sedia di colpo.
“Tutto ok?” gli chiese. Merlino, Merlino. Cosa cazzo era successo? Stava andando così bene. Lui annuì. Spostò un po’ la sedia e si sedette davanti a lei.
“Che ne dici di festeggiare questa nuova alleanza fra me e te?” disse, avvicinandosi a lei. Come? Cosa? Si sforzò di sorridere.
“Stavolta non ti tengo ferma.”
Dovette fare una fatica immane per non cambiare espressione quando capì cosa intendesse e disse: “Profumi di basilico”.
Lui la guardò corrugando la fronte “Come?”
Pansy dovette sforzarsi di sorridere ancora. “Ho detto che profumi di basilico”. Ma non successe niente.
Per Salazar! Draco ho detto ‘basilico’! È la nostra parola!
Nott sorrise e si avvicinò ancora. Troppo. Lo vedeva avvicinarsi sempre di più.
Merlino, merlino. Se Draco non faceva la sua parte, sarebbe stato un guaio. La sua bacchetta era troppo lontana. Non ci sarebbe arrivata senza che lui se ne accorgesse. Quando il panico la prese lui era vicinissimo. Alla fine chiuse gli occhi e strinse i pugni. Non voleva che lui potesse accorgersi di cosa stava provando.
Avrebbe potuto dargli un pugno appena avesse sentito la sua bocca sulla sua.
Ma non successe: sentì un tonfo e, aprendo gli occhi, vide Nott schiantato per terra.
“Maledizione, Draco, che cazzo stavi aspettando?” urlò, alzandosi dalla sedia e recuperando la bacchetta, che tenne stretta per un tempo infinito. Sentì l’armadio aprirsi.

 

Ron stava seguendo il discorso fra Pansy e il Serpeverde, quando notò che Malfoy era in trance. In piena catalessi. Aveva lo sguardo fisso e sembrava ancora più pallido, alla poca luce delle lanterne.
Quando vide Nott avvicinarsi a Pansy iniziò ad agitarsi. Il biondo gli aveva detto che lui era lì per impedire a Pansy anche solo di baciare il moro e gli aveva fatto promettere di non mettersi in mezzo, ma quando lui si era avvicinato troppo non aveva resistito e Malfoy non aveva neanche puntato la bacchetta.
Aveva schiantato lui Nott, aveva aperto appena il mantello e aveva sussurrato l’incantesimo.
Aveva una paura fottuta di colpire Pansy ma ci aveva provato lo stesso. E ci era riuscito. Era stato grande. Un re.
Poi Pansy si era alzata e aveva urlato. Aveva visto Hermione uscire dall’armadio e si era rigirato verso Malfoy.

 

Hermione guardò verso il banco dove aveva visto i ragazzi sedersi. Ma ancora non li vedeva.
Poi Ron tirò giù il mantello: Draco aveva una gran brutta faccia.
“Draco! Ci sei? Draco!” Lui riuscì a risvegliarsi. Si guardò intorno spaesato. La Serpeverde disse qualcosa ma lei non la sentì: era preoccupata per Draco.
Si avvicinò a lui e gli toccò una guancia. “Tutto bene?”
Lui annuì “È una cosa faticosa. Nessuno mi crede quando lo dico”.
E sorrise. Un sorriso strano.
Hermione sospirò.

 

Pansy si era voltata verso di loro. Loro. Merlino! C’era anche Ron. Non lo sapeva.
“Ma perché ci sei anche tu?” gli chiese. Oh santo Salazar! Se avesse saputo che lui era lì… Oh, sarebbe stato disastroso.
“Per fortuna che c’ero io!” esclamò il rosso. Si girò verso Draco e disse: “Non dovevo mettermi in mezzo, eh? Se non l’avessi schiantato io, adesso sarebbero nudi”.
“Ti assicuro di no”. La Serpeverde sentì di dover dare di stomaco. Si avvicinò barcollando a un angolo dell’aula e vomitò. Puntò la bacchetta e disse: “Evanesco”. Si rivoltò verso l’aula: Draco ancora imbambolato. Si avvicinò al lavandino vicino al muro e si sciacquò la bocca.
“Quindi, Draco, ci sei riuscito?” gli chiese e il ragazzo annuì.
“Ho visto l’isola. Il cartello era galleggiante, come quello di Hogsmeade. C’era scritto ‘Whiltoy”. E tua madre non è l’unica che devono far fuggire da Azkaban. Ho visto altri tre mangiamorte. Due li ho riconosciuti, sono venuti al Manor, l’altro non lo conosco.”

 

Hermione strinse il braccio a Draco.
“Scrivo al Ministero stasera stessa. Ma riusciamo a tenerci buono Nott? Nel caso suo padre non sia alle Hawaii ma in qualche altro posto?” Parlò direttamente a Pansy.
Lei annuì, guardando il Serpeverde svenuto. “Facciamo comparire un materasso, lo spogliate e gli lascio un biglietto. Penserà che ci siamo divertiti. Si sveglierà stanotte e tornerà in camera”. Poi si voltò verso Hermione e chiese: “Cos’è… ‘Hawaii’?”
Hermione sorrise. “Whiltoy, il posto che ha visto Draco, si trova fra le isole Hawaii, nell’oceano. Sono isole babbane, ma Whiltoy è un’isola sconosciuta ai babbani, abitata da forse cinque o sei maghi”.

“E tu come lo sai?” Ron la guardava con la sua solita espressione incredula.
“Ronald, se qualche volta ti fossi interessato anche ad altre cose, oltre al Quidditch, lo sapresti. Mi ero informata sui posti dove avrebbe potuto nascondersi Sirius, quando era ricercato”.
Tutti e tre la guardavano come se fosse un fantasma reincarnato. Sbuffò.

 

Ron annuì. Con Hermione non c’era altro da fare. Guardò Nott. Fra quanto si sarebbe risvegliato? “Fai comparire il materasso, Hermione, e appuntati tutto quello che devi scrivere. Pansy scrivigli il biglietto. Io e Malfoy lo spogliamo”. Tutti lo guardavano. Perché lo guardavano?
“Da quando in qua ci dici cosa fare?” Il biondo lo guardava con un sopracciglio alzato.
“Da quando ti sei perso nei pensieri di un altro. Muoviamoci.”
Stranamente furono tutti d’accordo con lui. Fecero quanto detto e si prepararono per uscire dalla stanza.
“Cosa gli ha scritto?” chiese a Pansy quando uscirono.
“Non lo vuoi sapere”. È vero. Sarebbe stato meglio.
“Cosa ti aveva detto che avrei fatto?” chiese ancora, ripensando alla loro conversazione.
“Lasciamo stare. Io...  non voglio parlarne.”
Ron le appoggiò un braccio sulle spalle e le baciò una tempia. Ok. Avrebbe accettato quello che voleva lei. Annuì. Lei sospirò e sussurrò: “Grazie”.

 

Quando si dividettero, i Grifondoro per le scale con il mantello e loro nel corridoio che portava alla sala comune, Draco si avvicinò a Pansy.
“Non me l’avevi detto.”
Lei si girò verso di lui. “Cosa?”
“Quello che ti ha fatto”.
Lei si fermò e i suoi occhi si spalancarono. “L’hai… visto?”
“Lui ci ha pensato. Tanto, come se gli servisse… per caricarsi.”
Lei annuì. “Immagino che sia proprio per quello. Ha bisogno di gettare fango sulla gente. Quello… Gli è piaciuto… particolarmente”.
Draco annuì. Ora capiva perché lei non volesse toccarlo o averci a che fare. E capiva la frase che aveva detto, sul fatto di tenerla ferma. Questo era peggio della pozione.
“Hai sentito quello che ha detto su Ron? È un insicuro. Dovresti sentire quello che dice su di te. Tu gli fai paura, ma non può ammetterlo”.
Draco alzò un sopracciglio. “Hermione dice che le ha detto cose belle su di me”.
Ma lei scosse la testa. “L’ha fatto per far sentire lei inferiore. Ha puntato sullo stato di sangue e sulla nobiltà del casato”. Si ritrovò ad annuire: era proprio quello che aveva fatto.
Per fortuna che c’era stato Weasley. Non era riuscito a staccarsi dalla sua mente. Aveva visto anche quando aveva spiato di nascosto lui e Pansy al sesto anno. Sospirò.
“Dobbiamo trovare la maniera per scoprire dove si trova suo padre e chiudere questa storia al più presto.”
Pansy non disse niente, ma si staccò da lui e si incamminò da sola quando si accorse che non erano più soli.

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***Buona lettura gente!!! Grazie a chi recensisce e a chi legge. ***

   
 
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