Appuntamenti, anelli e dichiarazioni
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“Sabato
andiamo a Hogsmeade.”
Nott si era
seduto vicino alla Parkinson in biblioteca. Lei alzò la
testa dalla pergamena e
lo guardò. “Spero non per un appuntamento
romantico!”
Dopo lunedì,
quando lui si era svegliato nell’aula di pozioni in piena
notte, l’aveva
avvicinata più volte, ma lei non era molto propensa a farsi
vedere con lui.
Il giorno
dopo era stata ricoverata in infermeria (gli aveva detto di essersi
sentita
male dopo il liquore bevuto con lui lunedì sera) e poi aveva
avuto le sue cose. Ma quanto durava
alle ragazze?
Sbuffò. Non aveva il coraggio di dirle che non si ricordava
niente di quella
sera (che quel famoso liquore avesse fatto danni anche a lui?),
nonostante lei
gli avesse lasciato un biglietto smielenso ma in cui diceva anche che
preferiva
che non si facessero vedere troppo in giro per non creare sospetti sui
loro
genitori. Lui non ci aveva neanche pensato.
Così si era
avvicinato e quella proposta assurda gli era uscita da sola. Lei stava
succhiando un bastoncino di liquirizia. Non aveva capito più
niente. Perché non
riusciva a togliersela dalla testa? Merlino.
“No, non per
un appuntamento romantico. Vieni a parlare con mio padre.”
Lo decise
sul momento. Forse poteva essergli utile.
“Cosa?”
Quando Nott
aveva nominato suo padre, aveva dovuto fare uno sforzo per non
esultare. Aveva
continuato a succhiare quello stupido bastoncino e gli aveva chiesto
che
intenzioni avesse. Lui aveva alzato le spalle e si era guardato
intorno.
“Vieni,
andiamo via”. L’aveva presa per mano e trascinata a
forza fuori dalla
biblioteca. Non sapeva dove stessero andando. E non aveva idea di cosa
fare.
Nel
corridoio incontrarono Ron che parlava con una ragazzina di Corvonero.
Ma lui
era girato e non li avrebbe visti passare. Non sapeva chi fosse la
ragazzina,
ma ringraziò che fossero proprio lì, in quel
corridoio.
“Aspetta,
Nott.”
Rallentarono quando passarono
dietro il rosso
e la ragazzina e lei alzò la voce: “Ehi, Weasley,
le rimorchi sempre più
piccole? Cos’è la prossima volta passi
direttamente dall’asilo?”
Lui si voltò
sgranando gli occhi. Lei sperò che capisse.
Quando
quella ragazzina si era avvicinata mentre passava dal corridoio, Ron
non aveva
capito che lei lo stesse aspettando, ma poi lo confessò.
“Mio
fratello… mi ha chiesto di darti questo”, gli
allungò una pergamena arrotolata
e mentre l’apriva vide un disegno fatto con i pastelli.
C’era lui
disegnato con un ciospo di capelli arancioni e il nome sulla maglietta
che
volava con la bacchetta spianata, lanciando maledizioni su una folla di
omini
dai tratti indicibili, tutti neri (immaginò che fossero i
mangiamorte).
La ragazzina
era molto imbarazzata, così lui cercò di metterla
a suo agio sorridendo.
“Grazie mille, sei la sorella di Jake?” Lei
annuì.
Com’è che si
chiamava? Cercò di ricordarsi quello che la signora mora
aveva raccontato al
tiri vispi durante le vacanze natalizie. Ma proprio non si
ricordava…
All’improvviso sentì una voce alle sue spalle che
lo denigrava.
“Ehi,
Weasley, le rimorchi sempre più piccole?
Cos’è la prossima volta passi
direttamente dall’asilo?”
Ron riconobbe
la voce di Pansy e si voltò. Lei e Nott stavano andando da
qualche parte. Notò
che lui la stava trascinando per un polso. Oh. Aveva voluto attirare la
sua
attenzione.
“Sì, Parkinson,
preferisco le cose usate poco.”
Merlino.
Cosa aveva detto. Però doveva essere stata la cosa giusta da
dire, perché Nott
si mise a ridere e la guardò ghignando. Lei aveva abbassato
lo sguardo, ma
quando il Serpeverde aveva ripreso a guardare avanti a sé,
gli aveva lanciato
un sorriso. “Scusami, devo andare via. Ringrazia tuo fratello
da parte mia,
ok?” La ragazzina lo aveva guardato con uno sguardo strano e
lui era corso
dietro ai due Serpeverde.
Il ragazzo
la portò al sesto piano, nel bagno in disuso.
“Cosa facciamo qui?”
Pansy, un
po’, era spaventata. Che intenzioni aveva Nott? E quanto
poteva reggere la scusa
del ciclo per non farsi toccare?
“Qui non c’è
nessuno” disse lui. E già. Lo aveva notato.
“Giusto.
Andiamo a Hogsmeade, allora?” Lui annuì e si
portò la mano fra i capelli.
Doveva essere un po’ agitato. Di’
qualcosa di stupido si ordinò. “Ma non
voglio andare alla sala da te.
Sembreremmo una coppietta e non mi piace. Andiamo da
Mielandia?”
Di sicuro
lui non sapeva che lei non entrava da Mielandia da anni.
Lui la
guardò stranito. Ma quale Mielandia! Dovevano andare da suo
padre!
“No. Andiamo
da mio padre.”
“Oh. E
perché? Finché mia madre…”
Lui sbuffò.
“Io riesco a parlare con mio padre solo una volta al mese,
quando si va a Hogsmeade.
Qui i gufi sono controllati”. Certo che era veramente stupida
a volte. Aveva
delle idee geniali e poi si perdeva in cose così…
semplici.
Santo
Salazar! E ora avrebbe fatto a fargli dire tutto? Pansy
pensò a qualcosa di
stupido da dire, ancora. Continuava a essere difficile.
“Oh, quindi
vai da lui quando possiamo uscire da scuola? E da dove ci si
smaterializza? Non
ci ho mai provato. Basta essere fuori da scuola? Tipo al cartello di
Hogwarts o
più in là?” Nott sbuffò.
Doveva trovarla noiosa o stupida. Sperò tutte e due le
cose.
Pansy succhiò
ancora il bastoncino, tirandolo fuori dalla bocca. Lo sguardo di lui
era
incatenato alle sue labbra. Doveva stare attenta. Non doveva osare
troppo o se
lo sarebbe trovato addosso.
“Non c’è
bisogno di smaterializzarsi. Mio padre, Prichard e Vaisey sono alla
stamberga
strillante. Io una volta al mese porto loro soldi e altre cose. Questa
volta
verrai con me, così vedremo cosa vuole fare con
te.”
Oh. Ok. Era
giovedì. Avevano due giorni per organizzare la cosa. Lei
alzò le spalle e disse:
“Va bene. Facciamo come vuoi tu”.
Certo che
avrebbero fatto come voleva lui!
Nott si
avvicinò a lei che succhiava ancora quel bastoncino. Oh,
Merlino. Avanzò di un
passo e lei ne fece uno indietro. Bene: gli piaceva così. A
volte lei aveva
quell’atteggiamento strafottente ma a lui piaceva rimetterla
in riga. Doveva
portarla da suo padre. Era lui che decideva le cose. Aveva deciso tutto
lui,
per la fuga da Azkaban e per il trasferimento sull’isola. Non
sapeva bene cosa
doveva fare con la ragazza. Avrebbe lasciato scegliere al padre e agli
altri.
Fece un
altro passo e lei si ritrovò con le spalle al muro.
Ghignò. Adesso basta: l’avrebbe
presa.
Un forte
frastuono arrivò dall’alto: il fantasma di
Nick-quasi-senza-testa irruppe nel
bagno urlando e tirandosi dietro una Mirtilla Malcontenta molto
agitata. Fecero
un gran fracasso e la Parkinson urlò quando il fantasma le
passò attraverso.
Mirtilla ridacchiò e volò fra i due.
Pansy
capì
che non doveva lasciarsi sfuggire l’occasione. Quando
sentì il gelo mentre il
fantasma le passava il petto, urlò (ma non dovette sforzarsi
tanto) e quando
arrivò anche il fantasma di Mirtilla riuscì a
scappare dal bagno.
Corse a
perdifiato per le scale e si intrufolò nella stanza dei
trofei. Raggiunse la
colonna con la coppa Tremaghi, ci girò intorno e si sedette
per terra per
riprendere fiato.
Quando dopo
mezz’ora entrò il Grifondoro, non si era ancora
alzata.
***
Ginny stava
andando verso la sala comune nella torre prima di cena, quando venne
trascinata
a forza dentro una stanza. Si guardò intorno prima di
urlare. Ma riconobbe la
stanza delle necessità di quando la frequentava con Hermione
e Malfoy. Infatti
fu Malfoy a parlarle.
“Piccola
Weasley”. Lui l’aveva trascinata dentro di corsa e
lei aveva faticato a capire
cosa stesse succedendo.
“Malfoy” disse
incuriosita, ma senza dargli soddisfazione.
Lui si portò
una mano fra i capelli. “Non posso chiedere a Pansy, in
questa situazione,
così…” Si avvicinò al tavolo
rotondo e prese una scatolina, poi si rigirò verso
di lei e si avvicinò. Quando capì cosa contenesse
la scatola, Ginny sorrise.
Poi ghignò.
“Oh, Malfoy,
non penso che tu sia il mio tipo…” Lui le
gettò un’occhiataccia mentre lei
ridacchiava. Ma poi la sua risata si fermò, quando lui
aprì la scatola. “Per la
barba di Merlino!” E si portò una mano alla bocca.
Draco
sorrise: la reazione della teppistella gli fece capire di averci
beccato. A
casa avevano tantissimi gioielli appartenuti alla nonna della nonna
della nonna
(e così via), ma niente gli sembrava adatto a Hermione. Gli
anelli erano tutti
vistosi, con diamanti e pietre preziose troppo grosse, gli erano
sembrati quasi
pacchiani, in confronto a lei.
Così aveva
cercato e sguinzagliato gli elfi, che gli avevano portato cataloghi e
fotografie, aveva scritto a orafi e gioiellerie, finché non
aveva trovato
quell’anello.
Ginny
guardò
Malfoy e disse, prima di toccare la scatola: “Quindi hai
intenzioni serie?”
Annuì. “Non
ho intenzione di perderla, non adesso che so cosa vuol dire stare con
lei. Lei
è la mia scelta giusta”. Oh, che carino.
Annuì.
“Posso?”
“Sì. Ma non
infilartelo: costa troppo per il tuo dito.”
Lei gli fece
una boccaccia. Lo tirò fuori e lo guardò alla
luce della lanterna. Brillava ancora
di più. Era un cerchietto d’oro bianco,
immaginò, perché non era giallo e
Malfoy non era certo un tipo da argento. Era sottile, con dieci piccoli
brillantini (diamanti? Non osò chiedere, ma
immaginò che lo fossero) in fila,
lungo la circonferenza. Solo uno smeraldo, leggermente più
grande dei diamanti,
dal taglio originale, troneggiava in mezzo, sporgeva e faceva capire di
essere il
protagonista dell’anello. Era bellissimo. Dannazione, Malfoy
aveva buon gusto!
E l’anello era come Hermione: semplice, prezioso e brillante.
Lo infilò
per fargli un dispetto e quando cercò di sfilarlo fece una
brutta smorfia. “Per
Godric, Malfoy si è incastrato. È troppo
stretto!”
Il ragazzo
spalancò gli occhi spaventato. “Cosa?”
Ma Ginny non riuscì ad andare avanti e si
mise a ridere.
“Dai, stavo
scherzando. Ma la tua faccia è spassosissima, a
volte.”
Gli porse
l’anello e lui sorrise. “Complimenti, è
perfetto per Hermione. Quando glielo
darai?”
Lui perse il
sorriso e strabuzzò gli occhi.
Darglielo?
Oh. Giusto doveva darglielo. Aveva passato così tanto tempo
a cercare l’anello
che gli era sfuggito quel piccolo
particolare. Però prima le volle chiedere la cosa
più importante.
“Dici... che
va bene? Il fatto che la pietra sia verde e non… rossa? Ho
visto i rubini, ma
non mi ha colpito niente…”
“Andrà
benissimo, non preoccuparti. A lei piacerà perché
l’hai scelto tu.”
“Quindi non
è troppo… piccolo?” La piccola Weasley
scosse il capo.
“Mi sembra
adatto. Hai pensato a lei mentre lo sceglievi. Si vede.”
Lui annuì.
Era quello che voleva. “Allora devo solo trovare la maniera
giusta per
darglielo. Secondo te, va bene se aspetto che la storia di Nott sia
finita?”
Lei annuì.
“Immagino
che sia meglio, sì.”
“Mi
aiuterai?” Aveva dovuto prendere tutto il coraggio che aveva
in corpo per fare
quella domanda, ma per fortuna lei non fece battutine.
“Certo”, andò
verso la porta ma prima di uscire, si voltò.
“Logicamente, sappi che se la
farai soffrire, io farò soffrire te, ok?”
Lui annuì: si
aspettava una cosa del genere. Era stupito che lei non glielo avesse
detto
prima. “Non ho intenzione di farla soffrire”.
Annuì anche
lei e uscì. Bene. La prima parte era riuscito a svolgerla:
trovare l’anello
giusto. Ora doveva solo pensare a come darglielo. Sospirò.
Lo preoccupavano
meno i M.A.G.O.
***
Hermione e Harry
erano al Ministero quel sabato. Erano ancora su di giri: era la prima
volta che
partecipavano a un’operazione degli Auror. Ed era andata
magnificamente.
Avevano catturato tre mangiamorte ricercati, arrestato Nott e sventato
un
tentativo di fuga da Azkaban, anche se ufficialmente non era venuta
fuori, la
storia dell’evasione.
Hermione
aveva portato Draco dalla Adams il giorno dopo aver visto i pensieri di
Nott ed
erano rimasti tutto il pomeriggio a guardare le foto segnaletiche.
Draco aveva
trovato il terzo mangiamorte che non conosceva e la Adams era riuscita
a fare
un controllo incrociato su tutti e quattro i detenuti. Era venuto fuori
che una
delle guardie era sotto un Imperius di magia avanzata e faceva entrare
le
pergamene ad Azkaban senza controllo.
Dopo aver
scoperto che il padre di Nott fosse a Hogsmeade, alla Stamberga
Strillante, lei
e Harry avevano suggerito a Kingsley di sistemare il passaggio segreto
sotto al
platano picchiatore ed erano riusciti, il sabato dell’uscita,
a stanarli
passando da lì.
Pansy aveva
insistito per accompagnare Nott, voleva a tutti i costi che facessero
irruzione
quel sabato, perché fosse arrestato anche lui. Hermione
aveva elaborato un
piano veramente geniale (aveva detto Harry) e insieme lo avevano
spiegato agli
Auror che li avrebbero seguiti nell’operazione.
Harry aveva
guidato gli Auror per il passaggio segreto, mentre Hermione si era
unita al
gruppo che era entrato dal villaggio. Era stato un successo.
Hermione
sorrise quando ripensò a Pansy che gridava isterica, quando
si erano trovate
faccia a faccia: “Nott, per Salazar, l’hai detto
alla puttana di Malfoy? Ma ti
sei rincretinito? Volevi portartela a letto?”
Nott aveva fatto
una faccia sorpresa e stranita e aveva scosso la testa. Ma la
Serpeverde era
stata brava: gli altri avevano creduto a lei. Uno aveva anche tentato
di
colpire Nott, ma un Auror glielo aveva impedito. Avevano portato via
senza
bacchetta anche lei, per non destare sospetti.
Hermione aveva
osservato la mora per tutto il tempo, dal suo nascondiglio. Era stata
brava, aveva
portato del cibo per i rifugiati e loro avevano apprezzato tantissimo e
così se
li era comprati. Più tardi Pansy le avrebbe detto che Ron
una volta aveva
nominato le leggi di Gamp sulla trasfigurazione e sul fatto di non
poter far
apparire dal nulla il cibo. Una cosa che Ron aveva imparato da
Hermione.
Così la
Serpeverde aveva pensato che delle persone che si nascondono avrebbero
fatto
fatica a cibarsi e che sarebbero stati affamati e il cibo sarebbe stato
più
apprezzato dei soldi, nell’immediato (cosa a cui non aveva
pensato Nott). E aveva
voluto gettare la colpa su di lui, così che non ci fossero
problemi in futuro. Ora
erano in attesa che si finissero di scrivere le pergamene e che Pansy
uscisse
dall’ufficio di Kingsley.
Ron
arrivò
insieme ad Arthur. Harry gli fece un cenno con il capo, ma lui non lo
notò.
Quella mattina il rosso gli aveva confessato che sarebbe stato
difficile per
lui starsene lì ad aspettare, mentre loro facevano il resto.
Ma a lui non
interessava essere un Auror. Forse ora stava cambiando idea?
Guardò Arthur due
o tre volte, prima che lui si girasse verso Harry.
Gli sorrise
nervosamente. Doveva farlo. Poteva farlo. L’avrebbe fatto. Si
alzò. Lo stava
facendo.
“Arthur,
posso parlarle?” Tutti si voltarono verso di lui.
“Certo,
ragazzo”, si guardò a destra e a sinistra e si
alzò. “Andiamo nel mio ufficio?”
Harry annuì
e lo seguì quando fece strada.
Ron
guardò
Hermione incuriosito e lei ricambiò lo stesso sguardo.
Alzò le spalle e scosse
la testa. Tutti e due seguirono con lo sguardo Harry e suo padre che si
allontanavo
per il corridoio.
Quando la
porta dell’ufficio di Kingsley si aprì uscirono
due Auror, la fidanzata di
Percy, Pansy e Kingsley. Ron si alzò e abbracciò
Pansy prima di rendersene
conto. Lei ricambiò il suo abbraccio e si
rilassò.
Kinsley fu
il primo a parlare: “È andato tutto bene, ragazzi.
Siete stati magnifici. Tutti”.
E si voltò verso Pansy. Lei annuì.
Pansy era
imbarazzata. Era andato tutto bene, no? Non c’era bisogno di
fare tante
smancerie. Era il caso di tornare a scuola, da Camille.
Quella
mattina l’aveva trattata malissimo per non andare a Hogsmeade
insieme e ora
doveva scusarsi. Ma prima… “Posso
parlarti?” Si era rivolta alla riccia. Lei
aveva sollevato un sopracciglio, ma aveva annuito.
Quando si
erano infilate in uno degli uffici, Hermione l’aveva guardata
stranita e aveva
aspettato che parlasse. Sospirò.
“Perché glielo hai detto?”
“Cosa? A
chi?” Pansy sbuffò. Estrasse la bacchetta e
insonorizzò la stanza.
“Alla Adams.
Le hai detto… di lui”. Con la testa
indicò la porta. Intendeva Ron?
Hermione non
capiva. Lei le aveva detto di dirle di Ron .
“Ma… Tu mi
hai detto di dirglielo. Di dire che tua madre
sapeva…”
La Serpeverde
la interruppe: “Sì, ma mica dovevi spifferarle
tutto! Era già tanto dover dire
che frequentavo qualcuno, perché le hai detto che era lui?
Bastava che
spiegassi i fatti, non che specificassi chi fosse il ragazzo in
questione!”
Hermione
ancora non comprendeva. “Ma scusa…
perché non avrei dovuto…”
“Perché non
volevo che lo sapesse nessuno! Tantomeno lei!”
Pansy non si
rese conto di aver urlato.
Quella stronza
bionda aveva ridacchiato quando le aveva detto che lo sapeva. E sempre
ridacchiando le aveva chiesto se sarebbero diventate parenti. Era stato
difficile non risponderle. E stare zitta non era proprio da lei. La
Adams aveva
chiacchierato ancora da sola, ridacchiando mentre sistemava le cose e
scriveva
la pergamena. Era andata da lei perché il ministro le aveva
dato un permesso
speciale per portare Camille ad Azkaban e quando erano rimaste sole, la
Adams
si era divertita. Era il suo turno, effettivamente, ma era stato
imbarazzante.
E deprimente. Ma lei era stata brava. Non aveva detto niente.
Poi Hermione
alzò le spalle. “Allora dovevi essere
più precisa. Io non ci ho visto niente di
male!”
Niente di
male? “Niente di male? Granger! La Adams! Quella stronza ha
fatto battutine per
venti minuti, mentre prendevo gli accordi per la visita di
Camille!” Neanche si
accorse di averla chiamata per cognome, nella foga del momento.
Hermione
inclinò la testa. “Anche tu non sei stata
carinissima con lei”.
“Mi aveva
dato il veritaserum!” Pansy sbuffò ancora.
“Sì, ma
ancora non ti aveva chiesto niente. L’hai detto tu che potevi
stare zitta.”
Sorrise
innocentemente falsa. Oh, sempre più Serpeverde. Complimenti, Hermione!.
Sbuffò.
“Ok. Mi sono
divertita” ammise Pansy.
“Allora si è
divertita anche lei, ora siete pari.”
“E se non lo
fossimo?”
Come?
Hermione non aveva capito la domanda. “In che
senso?”
“Se la
Adams… dicesse qualcosa a lui?” La riccia
alzò le spalle.
A Ron? E cosa
poteva dirgli? “Cosa dovrebbe dirgli?”
Pansy rise
nervosamente. La stava prendendo in giro?
“Guardami.
Ti ricordi di me? E adesso, pensa a lui. Che figura ci fa a farsi
vedere con
me? “ Hermione aveva la fronte corrugata. Non capiva.
“Secondo te cosa pensano
le persone che ci vedono insieme?” Lei alzò le
spalle, ma la sua espressione
non cambiò.
“Non lo so.”
Ok. Doveva
spiegarlo meglio. “Te lo dico io, cosa pensano. Vedono me,
che l’unica cosa che
avevo prima della battaglia era il mio nome e una cattiva reputazione,
e vedono
lui, che ha salvato il mondo magico”.
“Si potrebbe
dire la stessa cosa di me e Draco.”
Battè un
piede per terra per il nervosismo. “Nessuno pensa che Draco
ti stia ingannando.
Che si stia approfittando di te. È vero, suo padre
è ad Azkaban, ma lui non ha
perso tutto quello che aveva, ha ancora un buon nome e una famiglia.
Nessuno
penserà mai che non ti ami o che si stia attaccando a te per
venire fuori dal
fango”, fece un lungo sospiro per riprendere fiato ma poi la
voce le tremò
comunqe quando continuò: “Ma potrebbero pensarlo
di noi”.
Hermione non
riusciva a crederci. Non aveva mai pensato che qualcuno la potesse
vedere così,
effettivamente. Ma…
“Pensavo che
non ti importasse di quello che pensa la gente.”
“Quello che
pensano di me, non mi interessa. Ma lui… nessuno deve pensar
male di Ron.
Specialmente la Adams. O quelli del ministero o Shacklebolt o la sua
famiglia.
Lui è un bravo ragazzo. Nessuno deve cambiare idea su di
lui. Non è… giusto”
“Tante cose
non sono giuste. E non puoi controllare quello che pensa la
gente”. Pansy alzò le
spalle.
“Posso fare
in maniera di non essere io la causa, però.”
“Quindi
mi
vuoi lasciare?”
Tutte e due
le ragazze si girarono verso Ron, che aveva aperto la porta quando non
aveva
più sentito rumori al suo interno. Non l’avevano
chiusa, così era entrato e si
era chiuso la porta alle spalle. Loro erano così impegnate
che non si erano
accorte di lui. Beh, effettivamente nessuno si accorgeva mai di lui.
Pansy aveva
uno sguardo strano. Aveva gli occhi lucidi. Sembrava inconsolabile.
“Ron…” Lei
si morse il labbro.
“Mi vuoi
lasciare per non far parlare la gente? Mi sembra una cosa
stupida!”
“Non voglio
che…”
“E quello
che voglio io?” Lei spalancò gli occhi. Ron vide
con la coda dell’occhio Hermione
che girava intorno a loro e usciva dalla porta. “Parliamo
anche di quello che
voglio io?” Non si era mai sentito così. Tutti che
gli dicevano cosa fare e
tutti che decidevano per lui. E lui che non aveva mai ostacolato la
cosa.
Lei si mise
dritta. “Ah, sì? Sentiamo,
cos’è che vuoi tu?” Lui per un attimo
non seppe cosa
rispondere, non si era preparato in anticipo. Lui voleva…
Oh, Merlino, voleva
tutto.
“Voglio…
Voglio…” balbettò. Vide
un’ombra strana passare nel suo sguardo e lei rise
nervosamente.
“Non lo sai
neanche te, quello che vuoi…” No, per Godric!
“Io lo so
cosa voglio: voglio te. Tutti i giorni, tutti le notti. Del resto non
mi
importa.”
“Non è così
che funziona.”
“No?”
“No. Non
basta voler qualcosa perché vada tutto come si
vuole.”
“E invece sì.”
“NO!” Lei sbatté
il piede per terra, come prima. “Non basta. Pensi che non
piacerebbe anche a
me? Averti sempre? Sussurrare il tuo nome fra un gemito e
l’altro quando ti
abbraccio mentre facciamo l’amore?”
Ron sorrise,
contento che lei si fosse ricordata le sue parole.
“Oh, ti amo
anch’io.”
Lei spalancò
gli occhi. “Non ho detto che ti amo!”
“Dovresti.
Mi piacerebbe”. Continuò a sorridere.
Ma…
cosa….
Pansy si
appoggiò stancamente alla scrivania e sospirò.
Com’era difficile. E lui aveva
detto che l’amava. Ma perché glielo aveva detto
mentre discutevano? Ron si
avvicinò e le appoggiò le mani sui fianchi.
“Non volevo
spaventarti” si scusò.
“Non mi hai
spaventato” mentì. Lui ridacchiò.
Merlino. Diventava Serpeverde più di lei.
Ridacchiò anche lei quando lo pensò. Ma poi smise
e le lacrime uscirono da
sole.
“Dovresti
stare con un’altra.”
Lui stette
zitto per un po’ e poi le chiese: “E con chi? Con
la Simmons?”
“No, la
Simmons no. Magari… La Patil? È carina e gentile.
Non sarebbe male. Stareste
bene.”
“Quale delle
due? E poi non saprei distinguerle. Non mi sembra una buona idea.
Seamus si è
preso una cinquina perché non le ha riconosciute”.
Pansy rise e lui si avvicinò
un altro po’.
“Oppure?”
Come? Voleva altri suggerimenti? Ma lui rideva. La prendeva in giro!
Lentamente
scivolò per terra e si sedette a gambe incrociate.
Ron si
sedette davanti a lei e le accarezzò i capelli.
“Voglio
stare con te. Non mi interessa nessun’altra.”
“Non mi
piace che chi ci guarda pensi che tu stia con me perché ti
ho dato di nascosto
un filtro d’amore. E che mi stia approfittando di
te.”
“Li vendo io,
i filtri. Magari pensano che te l’abbia dato io.”
“Non lo
faresti mai, sei un Grifondoro”. Lei fece una smorfia.
“Magari l’ho
già fatto”. E ammiccò. Lei rise. Anche
perché la gente al massimo, avrebbe
potuto pensare ‘cosa ci fa una
ragazza
così bella con quel troll?’
“Hai ragione.”
Per un
attimo, Ron, pensò di aver parlato ad alta voce. O che lei
fosse riuscita a
leggergli i pensieri.
“Ho
ragione?” chiese spaesato. Pansy si alzò sulle
ginocchia e si avvicinò al suo
viso. “Dovrei dirtelo, che ti amo. Perché
è vero”. E lo baciò. Esultò
e
ricambiò il suo bacio.
Quando si
staccò, Pansy guardò la porta. “Ma non
lo diciamo ancora a nessuno, ok?”
Pansy lo
vide annuire. “La Adams lo sa” gli disse.
Ron annuì
ancora. “A lei penso io”. Lei si sorprese.
“In che
senso?” Il ragazzo scosse la testa per liquidare la
questione, si alzò e le
porse la mano per aiutarla. Quando fu in piedi, le passò le
mani dietro la
schiena e la tirò verso il suo petto.
“Mi piace,
che tu abbia detto che mi ami.”
“Non ci
credere, Weasley, devo essere
ancora
sotto quel filtro d’amore”. Lui sorrise: era
veramente bello.
Abbassò gli
occhi, come se potesse leggerle dentro. “Ti amo
anch’io” disse solamente prima
di baciarla.
Poi uscirono
dalla stanza.
***
“Certo
che
fa ancora freddo!” Ginny si era messa a cavalcioni sulla
scopa e cercava di
sistemarsi una scarpa prima di prendere il volo. Lidya, vicino a lei,
disse che
amava il freddo. Ma lei veniva dall’Irlanda del nord, quindi
non faceva testo.
“Oh, io no.
Non vedo l’ora che arrivi la primavera”. Si
sistemò i polsini e partì per
svolazzare intorno al campo. Quando uscirono anche i ragazzi, si era un
po’
scaldata, ma mica tanto.
Harry
volò
vicino a Ginny, prima di iniziare i giri di campo. Lei aveva le guance
rosse
per il freddo e, come al solito, era bellissima.
“Hai pensato
alle vacanze di primavera?” le chiese. Lei si
fermò e lo guardò alzando un
sopracciglio.
“Pensato?”
Lui si
stranì. “Cioè…
io… pensavo…”
Ehi, cosa
stava succedendo? Ginny volò vicino a Harry e gli chiese:
“Cosa c’è? A cosa
dovevo pensare?”
Lui spalancò
gli occhi. Ma… “No, lascia stare”.
E si fiondò
a gran voce verso gli altri. Ginny continuò a girare in
tondo, guardando i
ragazzi.
Ron vide
Harry venire verso di lui, vicino ai pali.
“Oh, Harry…
Tutto ok?” Il suo tonò cambiò mentre
lui si avvicinava. Harry annuì. Ron
meccanicamente guardò Ginny. Svolazzava con gli altri
cacciatori ma lanciava
delle strane occhiate verso di loro.
“Glielo hai
chiesto?” Harry scosse il capo. O santo Godric! Il salvatore
del mondo magico
non riusciva a parlare con la sua ragazza!
“E perché?” Harry
girò intorno a lui e formò più volte
la traiettoria dell’otto.
“E se mi
dice di no? E se non fosse una buona idea?”
Ron sbuffò.
“Dai, Harry!” “Davvero. E se a lei non
piacesse?” Sbuffò ancora più forte.
“Fai quello
che vuoi.”
Alzò le
spalle e girò intorno ai pali, gridando a Dean di darsi una
mossa.
Harry
guardò
Ron. Sapeva che aveva ragione. Era una buona idea ed era abbastanza
convinto
che sarebbe piaciuta anche a Ginny, ma… Bo. Si
armò di tutto il coraggio che
gli era rimasto e volò verso Ginny.
“Ehi, Ginny,
fai un giro di campo con me?”
Lei annuì,
sempre più incuriosita. Volarono in alto, in maniera di
essere lontani dal
campo, e da soli.
Cosa doveva
dirle, Harry? Iniziava ad agitarsi. Aveva capito solo che
c’entravano le
vacanze di primavera… Un po’ misero come indizio.
Lo guardò
mentre lui prestava attenzione davanti a sé. Oh Merlino.
Volò dritta verso di
lui e si fermò sulla sua traiettoria.
Harry si
spaventò: doveva essere sovrappensiero.
“Ginny!”
urlò come una tredicenne isterica. La rossa
sbuffò.
“Ok, Harry.
Dimmi quello che mi devi dire.”
Il ragazzo
spalancò gli occhi. “Come fai a
sapere…”
“Se mi devi
lasciare…”
“NO!” urlò
ancora lui. Urlò forte, perché dal campo Lidya e
uno dei battitori si girarono
verso di loro. Si avvicinò a lei e le prese un braccio.
“Scusa, non
volevo essere così… È che devo
chiederti una cosa e ho paura che tu pensi sia
una brutta idea”. Oh. Quanto brutta?
“Che tipo di
cosa?”
“Ti…
piacerebbe passare le vacanze con me? Io e te, da soli?”
Ginny sentì un sorriso
salirle alle labbra. Una vacanza insieme? Lei e Harry? E
perché doveva sembrare
una brutta idea?
“Sì, sì, mi
piacerebbe!” esclamò, invece. Lui sorrise.
“Sicura?
Perché sarebbero dieci giorni e noi saremmo…
“ Dieci giorni?
“Perché
dieci giorni? Le vacanze durano due settimane.”
“Oh, tua
madre ha detto che ti vuole a casa qualche giorno, prima di partire e
dopo ci
sarà la cena dell’ordine.”
La mamma? “E
cosa c’entra mia mamma adesso?”
“Ho chiesto
prima ai tuoi” disse Harry. No, cioè, lui aveva
chiesto ai suoi genitori il
permesso di portarla in vacanza? Ma cos’era, il medioevo?
Sbuffò, voltandogli
le spalle
“Forse è il
caso che ne parliamo dopo” urlò verso di lui.
Aveva una
gran voglia di buttarlo giù dalla scopa e aveva paura di
realizzare la cosa,
così si allontanò. Volò fino ai pali e
recuperò al volo una pluffa che Ron
aveva parato e scartato via. Svolazzò intorno ai pali. Harry
faceva ancora i
giri di campo. Quando passò più volte vicino a
Ron, facendogli voltare la testa
più volte, lui si innervosì e le urlò
contro qualcosa.
“Mi devo
allenare. Il portiere dei Serpeverde è bravo. E tu devi
imparare che il
pericolo può arrivare da tutte le parti!”
Di cosa
blaterava sua sorella? E poi, la partita contro i Serpeverde ci sarebbe
stata
dopo più di un mese. Doveva esserci qualcos’altro.
Ron avanzò fuori dalla zona
dei pali e riuscì a sfilarle la pluffa prima ancora che
riuscisse a lanciarla.
“Cos’hai?” le
chiese.
“Niente” gridò
lei, andando a recuperarne un’altra.
“E meno
male. Pensa se fosse successo qualcosa!” Lei
sbuffò. “Hai parlato con Harry?”
“Sì” rispose
con un ringhio mentre lanciava la pluffa. Ron fu così
sorpreso che non parò il
gol.
“E quindi?”
Per Godric, a lei non era piaciuta l’idea? E lui che aveva
insistito con Harry
dicendo che le sarebbe piaciuto… Guardò Harry, ma
stava ancora volando per i
fatti suoi.
“Tu sei
d’accordo con lui? Sul fatto… di mamma e
papà?” Oh… cosa doveva rispondere?
Sì,
gli sembrava una buona idea. Merlino, dovevano prima chiedere a
Hermione se fosse
una buona idea no! Ma loro erano così sicuri che avrebbe
trovato qualcosa che
non andasse che non glielo avevano neanche chiesto.
Ora… Ginny
fece un altro gol. “Ron, datti una mossa, ti sei
rincretinito?” Era arrabbiata.
E Ginny arrabbiata era dannatamente competitiva.
Stupendo.
Anche Ron pensava fosse una buona idea. Chiedere il permesso ai suoi!
Ginny si
innervosì così tanto che per poco, durante
l’allenamento, non rischiò di far
cadere Dean dalla scopa. Quando l’allenamento
finì, si fiondò negli spogliatoi
femminili. Chiacchierò pochissimo e le altre ragazze la
lasciarono cuocere nel
suo brodo.
Quando loro
uscirono, sentì qualcuno bussare alla porta. Si era
già cambiata, così disse:
“Avanti”.
Harry
bussò
allo spogliatoio femminile quando vide le due ragazze uscire. Doveva
chiarire
subito con Ginny, e capire perché fosse così
arrabbiata. Quando entrò, lei lo
guardò male. E non gli andò incontro.
“Ginny… non
ho capito perché tu ti sia arrabbiata…”
“Non hai
capito... tu sei
andato dai miei a
chiedere per portarmi in vacanza?”
“Sì,
perché?”
“Perché non
era a loro che dovevi chiedere!”
No? Ma un
attimo… “Sì, che dovevo chiederlo a
loro! Dovevo prima assicurarmi che la moto
fosse a posto e la stava aggiustando tuo padre!”
Ginny lo
guardò stranita. Oh, la moto? Non aveva chiesto il loro
permesso. Aveva chiesto
della moto. Che stupida. Scosse la testa sorridendo.
“Non hai
chiesto il loro permesso?” Lui aveva un’espressione
bellissima mentre scuoteva
la testa un po’ confuso. Ridacchiò.
“Scusa,
pensavo che tu avessi chiesto il permesso. Mi sono sentita…
un oggetto. Cosa
vuoi fare con la moto?”
Lui tentennò.
“Io pensavo che sarebbe stato carino partire in moto io e te.
Sai, la moto di
Sirius… come lui e mio padre…”
abbassò un attimo lo sguardo e poi la guardò
ancora. “Potevamo prendere una strada, magari una strada non
troppo trafficata
visto che non ho la patente. E farci un giro e vedere le cose che ci
sono. Dovrebbero
esserci laghi e castelli, sparsi qua e là. So che non si usa
tanto fra i maghi,
ma i babbani lo fanno…”
“Mi sembra
un’idea carina.”
Il suo
sorriso si illuminò. “Davvero?”
Annuì e lui sospirò. “Pensavo fosse
stupido o
brutto o scomodo… o non adatto a una ragazza o a una coppia
come noi. Sai, pensavo
che potremmo volare quando la strada diventerà noiosa e
portarci una di quelle
tende da campeggiatori magici e…”
Harry era
raggiante mentre continuava a raccontare. Beh, alcune idee andavano un
po’
limate sui bordi, ma la cosa di per sé era favolosa. Dieci
giorni solo per
loro. Dieci giorni da soli. Quando alla fine disse:
“Così potremmo vedere se
riusciamo a sopportarci abbastanza da vivere insieme, che
dici?” Ginny urlò e
si buttò addosso a lui.
“Possiamo
far comparire anche la vasca da bagno, qualche sera?” Lui
rise mentre lei gli
gettava le braccia al collo.
“Si potrebbe
fare.”
Vivere
insieme per dieci giorni sarebbe stato bellissimo. O disastroso. In
ogni caso era
meglio saperlo subito, no?
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