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Autore: Damnatio_memoriae    06/08/2018    0 recensioni
La marca Occidentale e la marca Orientale sono affette, ormai da cinquant’anni, da un male incurabile che le sta conducendo verso una fine troppo amara. Creature misteriose, prive d’identità, uscite secondo le storie dai più reconditi meandri del sottosuolo, distruggono e incendiano tutti i villaggi che incontrano lungo il loro cammino. Ad Ovest gli Spettri – così vengono chiamati dai bambini i mostri che disturbano i loro sogni – hanno iniziato a rapire uomini e donne con un ritmo sempre più regolare, celati dall’oscurità della notte. Così la popolazione ha cominciato a temere il novilunio, che porta puntualmente con sé nuove incursioni, nuove perdite e nuovo dolore.
Nel tentativo di contrastare questa inesorabile piaga sono state erette le Torri, i cui comandanti però si sono rivelati essere spietati ed ingiusti, al punto da meritarsi la nomea di tiranni. La marca è sfinita, divorata da guerre intestine, epidemie, carestie e fame. In un clima di paura e oppressione ha inizio questa storia.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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Memorie d'Oltretomba
 
 
«Stai fermo» ordinò Rose con voce spenta, mentre con un panno bagnato tamponava la ferita di Jeremiah.
Appena placato il trambusto della folla, Rose aveva aiutato il bambino a rialzarsi e, con lui sottobraccio, si era fatta largo tra la calca ancora attonita fino alla casa di Bessie, senza trovare la forza di proferir parola. Come le era stato detto, aveva spostato la grossa credenza che celava la nicchia segreta della commerciante e lì aveva afferrato il piccolo ricettario che aveva scorto l’ultima volta, nella speranza che potesse davvero contenere qualche informazione utile per curare Jeremiah. Ma una volta apertolo non aveva potuto far altro che constatare la sua inutilità. Su quelle pagine ingiallite e logorate dal tempo e dall’umidità non era stata scritta una sola parola e a nulla le era valso controllare e ricontrollare, sfogliare il taccuino in un verso e nell’altro, passare le dita sulla carta rovinata in cerca di qualche cancellatura o aguzzare la vista nl tentativo di scorgere un inchiostro magari sbiadito. Rassegnata, Rose aveva infine posato senza troppa attenzione il libro sulla panca vicino al focolare e aveva preso il bambino tra le braccia, sollevandolo per farlo sedere sul bordo del tavolo, sperando che la ferita alla tempia non fosse così grave da dover necessitare di cure che lei non sarebbe stata in grado di fornirgli.
Pulì al meglio delle sue capacità il taglio, tirando un sospiro di sollievo nel trovarlo meno profondo di quanto avesse temuto, consolandosi nell’idea che tutto si sarebbe risolto con una brutta cicatrice.
«Mi fai male» si lamentò il bambino quando la ragazza gli fasciò stretta la testa, annodandogli una stoffa dietro la nuca.
«Lo so. Dovrai fare attenzione adesso» gli rispose cupa «Potresti avere dei giramenti o soffrire di vertigini».
Lui annuì mesto, lo sguardo basso, e dopo un attimo di esitazione disse: «Mi dispiace. Il mio papà…e Bessie...Io non volevo».
«Non è stata colpa tua, Jeremy» cercò di tranquillizzarlo, accarezzandogli una guancia. Si sedette sulla sedia, le braccia incrociate sul tavolo per appoggiarvi la fronte, e quando le lacrime iniziarono a pungerle gli occhi vi nascose il viso. Non aveva mai visto nessuno osare tanto con una Guardia come Bessie aveva fatto quel giorno. Forse avevano azzardato troppo, forse se non si fossero intromesse sarebbe potuta andare diversamente.
«Non piangere…» singhiozzò il bambino, posando entrambe le mani sulla sua spalla e scuotendola, quasi a volerla risvegliare da un brutto sogno.
«Oh, no, non piango» mentì lei, asciugandosi in fretta gli occhi «E’ solo…solo stanchezza».
«Dobbiamo dire a mio fratello di andare a riprendere papà. Non possiamo lasciarlo da solo se sta così male».
La ragazza scosse la testa. Soppesò le parole da dire con attenzione, ma questa volta non trovò né il modo né le forze per addolcire la verità. «Non potremo più rivedere il tuo papà, Jeremy. E neanche Bessie» la voce le venne meno, ma ostentò comunque contegno.
«Perché?».
«Perché li hanno portati in un posto che non è possibile raggiungere, per noi. E’ come per la tua mamma».
«Ma la mia mamma è solo morta…» tentò di ribattere «Papà è vivo. Sta bene» fissò il pavimento «Forse è proprio sotto di noi, adesso…».
Rose non gli diede ragione e non gli diede torto. Lo invitò invece a riposare, facendolo distendere sul tavolo e proteggendolo dal freddo con una coperta. Si addormentò quasi subito, ormai esausto, ripetendo il nome del padre nel sonno.
Quando il sole calò e il cielo si fece così scuro da zittire anche tutti gli uccelli, dei sonori e prepotenti colpi alla porta posero fine agli ultimi atti di quiete di quella casa. Rose trasalì e il suo pensiero corse agli Ausiliari e alle voci che li dipingevano così vendicativi e rabbiosi. Non fece in tempo ad accostarsi all’entrata per sbirciare fuori che una voce maschile la chiamò.
«Rose!» battè un altro colpo «Rose, sono Thomas! Aprimi!» urlò, ma non fece in tempo a concludere la frase che già la ragazza aveva spalancato l’uscio e gli si era gettata fra le braccia, dando sfogo alle sue paure.
«Thomas!» lo chiamò, come se non credesse di averlo vicino.
«Cosa diavolo è successo?» domandò agitato, il respiro pesante per aver corso senza sosta dai campi sino alla casa della commerciante, dietro invito del nuovo fabbro che aveva assistito alla scena – ma quale scena non aveva avuto il coraggio di dirglielo. «Dov’è Jeremy? Sta bene?» la incalzò e quando vide che lei titubava nel rispondergli, temette il peggio. «Ti prego!» la implorò, stringendola per le spalle.
Rose voltò il viso in direzione della panca riscaldata dal fuoco, dove il bambino stava ancora sonnecchiando, incurante del trambusto, e subito lo sguardo di Thomas si addolcì, sollevato dalla paura che lo aveva attanagliato.
«Sono venuti a prendere tuo padre, insieme a Bessie…» la voce le si incrinò «Jeremiah è stato colpito, ma la ferita non sembra essere grave».
«E’ colpa mia, solo colpa mia» si coprì gli occhi con la mano, sedendosi sulla panca vicino al fratello. Allungò le dita per toccargli la testa, poi sembrò ripensarci e rimase per qualche secondo con la mano ferma a mezz’aria. «Io non c’ero» continuò infuriato, stringendo i pugni.
Rose rimase in piedi di fronte a lui, tremante. «Thomas, ho avuto così tanta paura…gli Ausiliari hanno portato Bessie e Sebastian nella Torre, non so per quale…».
«Andrò a riprenderli» la interruppe prontamente lui.
«No! Non peggiorare le cose».
«Potrebbero essere peggiori di così?».
«Non lasciare che l’avventatezza te lo faccia scoprire».
«Risolverò la faccenda a modo mio» continuò e sul viso gli si dipinse l’espressione di chi la sa lunga, di chi ha già avuto modo di prepararsi un piano. «Vedrai, io…» si arrestò, indeciso se renderla sua complice o meno.
«Ti farai ammazzare».
«No, non accadrà».
«Jeremiah ha solo te! Non ho nessuna intenzione di dire a tuo fratello che l’unica persona che gli era rimasta al mondo lo ha abbandonato per inseguire chissà quale strana rappresaglia».
«Sono un uomo, Rose» gonfiò fieramente il petto «Non sono fatto per chinare la testa, obbediente come una bestia, di fronte a qualsiasi angheria».
«Continua così e sarai un uomo morto e le prepotenze le dovrai combattere da sottoterra».
Quando i due ragazzi si incamminarono verso casa, lasciando da sola Rose in quelle quattro mura ormai vuote, era notte inoltrata e le strade non più sicure.
Rose sfiorò con le dita il ciondolo che nascondeva sotto al corpetto, ma che non la abbandonava mai, e la nostalgia la sopraffece nuovamente, ma non aveva più lacrime da versare per quel giorno.
Spense il camino e, per aiutarsi, lasciò acceso solo un piccolo lume. Ripose i medicamenti e le coperte con cura, poi prese il quaderno con la copertina di cuoio riscaldata dalle fiamme e fece per rimetterlo al suo posto, ma qualcosa in quel taccuino la incuriosì. Il rivestimento in pelle, di manifattura certamente scarsa, presentava un rigonfiamento innaturale e in alcuni punti le cuciture ben visibili sembravano essere saltate diverse volte e imbastite da capo. All’interno del libro, i lembi della copertina iniziavano a staccarsi dallo scheletro, mostrando la sua imbottitura: biglietti e frammenti di pergamena scarabocchiati, pagine piegate e fogli sparsi troppo costosi per essere adoperati per uno scopo così mediocre.
Rose li estrasse il più delicatamente possibile, aprendo uno ad uno i cartoncini i cui margini erano stati piegati e ripiegati, fino a ridurli in quadrati dalla grandezza irrilevante. La ragazza si stupì di vederli tutti scritti con una calligrafia ariosa e spaziosa ma talmente irregolare da risultare ostica alla lettura.
Sforzandosi di mettere in pratica i rudimenti che Bessie si era impegnata ad inculcarle, Rose iniziò a decifrare, non senza una certa dose di fatica, le lettere e dalle lettere passò alle sillabe e da queste, infine, riuscì a decifrare parole intere. Gli occhi si spalancarono, pieni di stupore, le mani iniziarono a tremarle.
«Non ci possono credere…» riuscì soltanto a mormorare.
 
►►►
 
Oggi ho continuato il mio viaggio verso est, ma l’unica strada che sapevo essere ancora praticabile si è rivelata troppo dissestata per poter proseguire. Mi sono diretta al porto, pensando stupidamente di poter procedere diversamente, ma non ho trovato nessuno ad attendermi. Le case sono ridotte in miseria, i pontili sono crollati, nessuna nave, peschereccio o barca salpa e attracca. La paura ha reso le persone diffidenti: i forestieri non sono più i benvenuti qui. Sono obbligata a dirigermi altrove. Questo non fa affatto piacere né a me né alle mie ossa. Sto diventando decisamente troppo vecchia.
 
 
Gli Spettri sono passati anche di qua. Che qualche dio mi sia testimone, non ho mai visto così tanta miseria in vita mia. Perché tutta questa distruzione? A quale scopo una simile carneficina? Nemmeno da noi riescono ad essere spietati, ignobili e corrotti sino a questo punto. Nessuno del luogo li ha mai visti, il solo sentirli nominare li rende aggressivi. Eppure, non riesco a smettere di domandarmi che cosa li spinga ad attaccarci. Ho sempre creduto che nessun male nascesse dal nulla e per nulla…non credevo che sarei stata costretta a cambiare idea alla mia età.
 
 
Quelli del baronato mi hanno detto che siamo fortunati, noi dell’Ovest. “Noi”. Ho capito solo adesso quanto siamo stati stolti a pensare che tutte queste disgrazie, prima o poi, non avrebbero messo fratello contro fratello. Ci accusano addirittura di essere in combutta con gli Spettri. È stato difficile – se non inutile – provare a dissuaderli da questa folle convinzione, specie perché inizio a temere che abbiano ragione. Non saprei spiegarmi altrimenti questa ondata di distruzione e odio che sembra essersi abbattuta qui.
 
Passato il confine, sembra quasi di trovarsi in un altro mondo. Un mondo distrutto, lacerato, sull’orlo del collasso. Anche le città possono morire, non solo gli uomini.
 
 
Sono tornata al villaggio. Sembra talmente triste e povero e desolato. Ho sottovalutato questa pestilenza. Non so più a chi dare la colpa per queste morti: se agli Spettri, alla fame, alla malattia o agli Ausiliari. Dovrà pur esserci un limite al dolore che gli uomini possono sopportare.
Nessuno rimpiangerà il comandante Romata, tanto meno io. Ogni uomo andrà incontro alla fine che gli spetta. Ma se mi fossi sbagliata? Se, come una emorragia, il pericolo che tanto temiamo non arrivasse dall’esterno, ma dall’interno di queste mura traballanti che pensiamo ci proteggano?
 
 
Ieri notte gli Spettri hanno portato via Tomson e i suoi figli. Vorrei tanto poter dare a questi esseri una forma, un volto. Se non ci avessero fatto il favore di liberarci anche di Romata, inizierei a domandarmi perché nessuna delle Guardie sia mai stata prelevata. Purtroppo le mie supposizioni si sono rivelate errate, ma sento che qualcosa continua a sfuggirmi…
 
 
Non credevo che il fato potesse giocare simili, subdoli scherzi. Pensavo di averlo perso per sempre, eppure oggi era lì, esattamente come lo ricordavo da bambina. Il tempo sembra averlo appena toccato, non è folle? Non so ancora se fidarmi di lui. Elude tutte le mie domande, non sono riuscita a strappargli nessun indizio. Dice che il suo silenzio è necessario per tenermi al sicuro, ma al sicuro da cosa? È tempo che io agisca diversamente, ma non potrò fare molto da sola.
 
 
Conto talmente tanti prigionieri che i sotterranei, ormai, dovrebbero straripare, ma non sembrano riempirsi mai. Come ho potuto essere così cieca? La verità era evidente, ma forse siamo stati codardi al punto da non volerla vedere, talmente stanchi da accettare qualsiasi fandonia. Spero che nessuna delle Guardie scopra quello che so, ma se così non fosse devo fare in modo che il mio segreto non muoia con me. Detesto dover mettere a rischio la vita delle persone che mi stanno più a cuore, ma sarebbe impensabile continuare a vivere in questo modo.
 
 
Non ho ragione di pensare che voglia farci del male. È più duro, più freddo e più distaccato di come lo ricordassi, ma sento di conoscerlo. Nemmeno il suo dolore riesce a essere forte quanto i legami di sangue. E mi rifiuto di pensare che siano riusciti a farlo diventare crudele come gli altri. Qualcosa, del ragazzo che ricordo io, deve essersi salvato.
 
 
Sta giocando a un gioco molto pericoloso, rischia di fare la fine del topo. Spero di non doverlo perdere una seconda volta. Ho un brutto presentimento. Gli ho chiesto un ultimo favore, non credo che me lo negherà. Mi auguro davvero che capisca che un amore come il suo, ormai, non ha più ragione di esistere e che i suoi disperati tentativi di salvarla non faranno altro che portare alla tomba entrambi. Ti prego fratello, cerca di rinsavire…



 
   
 
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