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Autore: alaal    28/08/2018    0 recensioni
Tutto inizia con una banale missione nel passato: consegnare la medicina cardiaca potenziata a Goku. Un lavoro non troppo difficile. Ma durante il viaggio nel tempo, qualcosa va storto. E il passato ancora una volta subirà pesanti ripercussioni, a causa di una visita di un ragazzo del futuro.
Fanfiction su Dragon Ball, liberamente ispirata al manga "Wrong Time" di SelphieSK. Con sostanziali differenze nella trama proposta dal nostro amico, e riletta in chiave moderna.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bulma, Mai, Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ragazzo osservava distrattamente, seduto sulla cima della collina, il lento procedere di un automezzo sulla nuova superstrada appena ricostruita. Il sole era appena sorto, con la luce tremolante di color arancione che faceva capolino tra le nuvole cariche di pioggia.

Il ragazzo si chiedeva mentalmente, seduto a gambe incrociate, che cosa avesse in mente quell’individuo seduto alla guida di quel mezzo. Chissà. Aveva una famiglia? Era un uomo o una donna? Aveva dei figli? Dei genitori o dei semplici amici da incontrare? Il ragazzo non lo sapeva. Ogni tanto, gli piaceva perdere tempo a fantasticare sulla vita degli altri. Quegli ultimi anni sono stati pieni di rabbia e tensione, qualche volta si permetteva di “perdere tempo”, come qualcuno spesso osava schernirlo.

Ma a lui non interessava. Era grato, era unicamente grato di avere visto nuovamente il sole sollevarsi dall’orizzonte.

Il ragazzo aveva una terribile paura della notte. Era lì che doveva fare i conti con i suoi incubi ricorrenti. Nonostante avesse risolto molti problemi durante la sua giovane vita, il passato era sempre lì, a tormentarlo. Molte volte era stato visto aggirarsi in città, con le mani in tasca, lo sguardo chino in terra, con il volto corrucciato, sicuramente in preda a mille pensieri. Chi lo avvicinava lo conosceva, ma non si azzardava mai ad andare oltre un “ciao, come va?”. Era un tipo molto taciturno, non amava parlare di sé agli altri. Eppure doveva essersi abituato.

Un colpo di clacson, arrivato proprio da quell’automezzo, risvegliò il ragazzo dal suo torpore. Non era ancora convinto che il mondo fosse in pace. Aveva sempre quella sensazione di malessere che lo accompagnava. Eppure non percepiva niente di strano nell’aria. Qualcosa di piatto e vuoto. Né male, né bene. Non era convinto neppure se queste sensazioni potessero essergli d’aiuto o meno.

Spesso, nella vasca da bagno di casa, aveva tentato di lasciarsi andare, di tranquillizzarsi e di rilassarsi. E poi, quando si assopiva, riecco il passato a tramortirlo, a investirlo come un treno a folle velocità.

Molte volte sua madre era accorsa nella sua camera, in preda alla preoccupazione, durante la notte. Spesso il ragazzo urlava, ma erano perlopiù grida strozzate, quasi afone. L’orecchio allenato della madre percepiva comunque queste grida silenziose, e nonostante il ragazzo fosse già un adolescente, non perdeva occasione di abbracciarlo e di confortarlo. Insieme, avevano passato terrificanti momenti. E li avevano superati, in un modo o nell’altro.

Il ragazzo voltò lo sguardo alla sua sinistra, dove ancora la città era silenziosa e assonnata. Cinse le gambe con le braccia e si inchinò in avanti, per osservare meglio la sua città in lontananza, in cima a quella collina maestosa che sovrastava buona parte del panorama di quella regione.

“Mi chiedo che cosa stiano facendo gli abitanti di questa città… saranno tranquilli? O avranno ancora paura?”. Nonostante sia passato qualche anno dalle terrificanti esperienze vissute, il ragazzo provava ancora un serio timore. Eppure, non doveva più avere paura. Era cresciuto, nonostante i tempi duri che era stato costretto ad attraversare. Era riuscito a eliminare forti e possenti minacce… ma i fantasmi erano ancora lì, davanti ai suoi occhi. Non riusciva a liberarsene.

Improvvisamente, il ragazzo decise di alzarsi. Una folata di vento lo investì, scombussolandogli i capelli e il fazzoletto rosso che era annodato al collo.

“Sarà meglio andare… non voglio far preoccupare mia madre.”

 

Spesso gli capitava di guardare i vecchi album di famiglia. Persone che da bambino non aveva mai conosciuto personalmente. Erano vecchie, logore fotografie di momenti felici. Tutte persone sorridenti e in salute, spesso alle prese con momenti di vita spensierati. La concentrazione del ragazzo era spesso mantenuta su un bambino dai capelli neri, dai grandi occhi neri pieni di vita.

Non c’erano una grande quantità di foto, e questo il ragazzo se ne rammaricava. I vasti incendi che avevano interessato la città non avevano risparmiato pure la casa dove lui e sua madre abitavano da tempo. Molte immagini erano state divorate dal fuoco, e né lui né la donna poterono fare qualcosa per preservare quegli importantissimi scatti di un passato che ormai non esisteva più.

Il ragazzo dunque si accontentava di ascoltare i racconti di sua madre. Molti eventi li conosceva personalmente, grazie ai viaggi nel tempo che aveva compiuto qualche anno prima, ma preferiva farseli raccontare da sua madre. Quando sua madre parlava del passato, il ragazzo si tranquillizzava. Passava ore e ore ad ascoltare, e spesso rinunciava agli allenamenti per ascoltare sua madre parlare. Qualche anno prima aveva seriamente rischiato di perderla. Per proteggere suo figlio, la donna si era sacrificata a causa di un altro, pericoloso nemico. E adesso aveva ritrovato sua madre, e sua madre aveva ritrovato suo figlio.

“Il mio universo è stato cancellato per sempre” rifletté il giovane guerriero, mentre sfogliava il prezioso album che custodiva gelosamente. Il ragazzo, viaggiando nel tempo con una delle uniche superstiti del suo mondo, era giunto nella linea temporale dove in passato un oscuro nemico aveva ucciso la sua controparte. Ed era stato un miracolo ritrovare la stessa situazione, e sua madre ancora in vita.

I suoi calcoli avevano predetto di coabitare con se stesso, in questo universo parallelo. Ma a quanto parve, invece che trovarsi in questo luogo, era slittato in un mondo alternativo. Gli avevano spiegato che i viaggi nel tempo erano estremamente pericolosi, erano in grado di modificare completamente il corso degli eventi…

Ma a lui non interessava. Era sì giunto in un mondo esattamente uguale al suo, pieno di dolore e distruzione. Ma c’era sua madre ancora in vita, e questo per lui voleva dire tutto. E in più, ora non era da solo, una ragazza proveniente dal suo universo originale era accanto a lui, ed aveva condiviso tutte le sofferenze che avevano patito fino a quel momento.

-Ancora che guardi quelle foto, tesoro?- La donna era giunta nel grande salone dove il ragazzo si trovava seduto sul divano, con l’album tra le mani. Il giovane sorrise e annuì, osservando sua madre.

-Lo sai che non posso farne a meno…- La donna si sedette accanto a suo figlio, e si sporse per osservare un’altra fotografia. Con una mano, ne sfiorò una, precisamente il primo piano di un uomo dai capelli neri, dal volto corrucciato e dalla fronte spaziosa. Sembrava quest’ultimo essere infastidito dal fatto di essere fotografato.

-Tuo padre è sempre stato un po’ nervosetto…- E si mise a ridere, ricordando il brutto carattere di suo marito. Il ragazzo comunque aveva avuto modo di conoscere quell’individuo… arrogante e senza un briciolo di pietà per gli avversari. Un vero guerriero, raddolcito in qualche modo con il suo arrivo nel passato.

-Ma non è giusto rattristarsi con queste vecchie fotografie…- La donna si alzò dal divano e, afferrando con decisione l’album dalle mani del figlio, si allontanò con esso e lo ripose nell’armadio attiguo, aprendo e poi chiudendo le ante.

-Il passato è il passato. E sono contenta che tu sia riuscito a completare la missione che ti ho chiesto di fare!- Poi si allontanò di corsa, ricordandosi di avere lasciato il sugo di carne in pentola. Il giovane guerriero vide la madre allontanarsi dal soggiorno per andare nella stanza vicina, e quando capì di essere nuovamente da solo scosse la testa, e si stravaccò sul divano, appoggiando la testa sullo schienale e chiudendo gli occhi, non senza avere incrociato le braccia al petto.

“Il passato è il passato…” Davanti a sé, nel buio della sua immaginazione, varie figure fecero capolino. Figure di persone conosciute, talora sorridenti, ogni tanto arrabbiate, e il più delle volte sofferenti. E poi loro…

Loro… un colpo energetico, preciso ma devastante… un lampo di luce…

Un’esplosione.

Il ragazzo aprì gli occhi di scatto e per il terrore aveva afferrato con entrambe le mani la spada Z, quella ottenuta durante il suo ultimo viaggio nel tempo. La afferrò con decisione e la puntò davanti a sé, indirizzando la tagliente lama alla gola della persona che si stava avvicinando di soppiatto, proprio di fronte a lui.

-Chi sei?! Stai indietro!!-

-Trunks… Trunks calmati ti prego! Sono io, Mai!- Alla voce della ragazza, il giovane guerriero si svegliò completamente. Strizzò gli occhi con una mano e lasciò cadere la spada a terra. Il rumore dell’oggetto metallico venne comunque ovattato dalla moquette del soggiorno.

-Mai…-

-Che sta succedendo da quella parte? Trunks, non stai bene?- La madre di Trunks si proiettò nuovamente nel soggiorno, con i guanti da cucina ancora indossati e il grembiule giallo dai contorni rossi, con in mezzo il logo blu della Capsule Corporation.

-Mi dispiace, signora Briefs, è colpa mia… volevo fare uno scherzo a Trunks, ma non credo sia stato saggio…-

 

-Scusami per prima, stavo sognando…- Dopo avere consumato un lauto pasto, Trunks e Mai uscirono dalla casa di Bulma e si ritrovarono a passeggiare per il centro della città di West City. I due sopravvissuti allo sterminio di Zamasu si guardavano intorno, notando come i lavori di ristrutturazione degli edifici stavano proseguendo a ritmo incessante. La stessa Bulma aveva dato una grossa mano agli operai, distribuendo le varie capsule contenenti macchinari fantascientifici e utilissimi per velocizzare ed ottimizzare i lavori al meglio.

-Stai tranquillo, Trunks. Capisco che tu sia ancora agitato, ma ormai qui non c’è più niente da temere.- Il ragazzo, con le mani in tasca, diede uno sguardo di sfuggita alla sua bruna compagna di viaggio. Non avrebbe mai potuto immaginare che quella donna, dapprima sotto agli ordini di Pilaf, fosse cambiata e maturata così tanto.

-A cosa pensi, Trunks? Ultimamente sei spesso silenzioso. Cosa c’è che non va?- Trunks tornò a guardare il lastricato, stringendo i denti. Nonostante lui avesse sconfitto Zamasu e raggiunto una nuova forma di Super Saiyan, si sentiva terribilmente inquieto. Aveva appreso da sua madre, una volta giunti a destinazione con la macchina del tempo, che in quella dimensione lui stesso era stato ucciso da Cell versione imperfetta. Quando lo aveva visto tornare, Bulma quasi non credeva ai suoi occhi: Trunks sapeva comunque del suo triste destino con l’arrivo di Cell nel passato, ma ritrovarsi in quella stessa dimensione era qualcosa di terrificante. Era come essere resuscitati senza sapere di essere uccisi.

-Ah… pensavo ai nostri amici, lasciati nel passato. Mi chiedo se stiano tutti bene.- Mai sorrise e, scostando una ciocca di capelli con una mano, tornò a guardare gli operai che lavoravano sui tetti di un grande edificio color lilla. L’ospedale di West City. Era quasi pronto, e questo era un buon segno.

-Non sai mentire molto bene, Trunks…- Il ragazzo non rispose, e continuarono a camminare senza una meta precisa. Incontrarono diversi individui, perlopiù ex sopravvissuti allo sterminio degli Androidi in giro per la città. Molti di essi recavano ancora i dolorosi segni di quel periodo buio della storia dell’umanità. Trunks non aveva il coraggio di guardare in faccia quelle persone: a chi mancava un occhio, a chi mancava una gamba, a chi era ridotto in sedia a rotelle. Bene o male, comunque, questi personaggi erano tornati alle loro attività di sempre, chi più difficoltosamente, chi meno.

Il giovane guerriero si sentiva tremendamente intimidito di fronte a quegli sguardi. Ogni volta che incrociava gli occhi con qualcuno che apparteneva a quel periodo, immediatamente si immaginava sbucare da qualche parte C-17 oppure C-18, che ricominciavano a colpire indistintamente tutti quelli che potevano capitare loro a tiro.

-Trunks, forse sei solo stanco… e ti capisco. Abbiamo sofferto moltissimo in questi lunghi anni. Però, adesso è giusto che anche noi godiamo la nostra pace. Che ne dici?- Il ragazzo dagli occhi azzurri annuì, e sollevando lo sguardo per incontrare quello di Mai, si permise un piccolo sorriso.

-Hai ragione. Con te vicino, non posso più avere paura…- La ragazza dai lunghi capelli neri non rispose, ma Trunks comprese ugualmente di averla fatta arrossire.

 

-PAPA’!- Il Principe dei Saiyan, l’individuo più forte dell’universo alla pari con Goku, era stato miseramente sconfitto. Trunks non poteva crederci: tra i detriti del deserto al centro delle regioni conosciute, il corpo senza vita di suo padre giaceva inerte, appoggiato sul fianco sinistro, quasi smembrato. Il braccio destro pendeva dalla spalla quasi come volesse staccarsi, e un fiume di sangue sgorgava dalla ferita all’addome, procurata da un vasto attacco energetico lanciatogli addosso da qualcuno.

Trunks si sentiva pietrificato: tutto attorno a lui era morte e distruzione. Si guardò attorno, con gli occhi sgranati: oltre a suo padre, riuscì a scorgere un altro individuo, riverso a terra. Questo personaggio, tagliato perfettamente in due all’altezza del bacino, aveva una divisa di colore arancione, con lo stemma delle Tartarughe di Mare. Il ragazzo lo riconobbe quasi subito, nonostante da quella posizione poté scorgere solamente la nuca: quello era Gohan.

-Papà… Gohan!!!- Di fronte a lui, apparendo quasi improvvisamente, riconobbe i suoi mortali nemici: due ragazzi dall’aria angelica, ma dalla forza diabolica e distruttrice. Uno dai capelli neri e gli occhi cerulei, quasi di ghiaccio; lei dai capelli biondi, con gli occhi ancora più intensi e glaciali, vestiti proprio come Trunks si ricordava.

C-18 aveva un gilet blu, una maglietta nera con maniche a righe bianche e nere; una minigonna di jeans blu e dei leggings blu scuro, o forse neri; degli stivali di cuoio marroni e una cintura del medesimo colore.

C-17 invece aveva un vistoso foulard arancione che copriva parte della maglietta nera, e sotto di essa un’altra maglietta bianca a maniche lunghe; dei jeans strappati all’altezza del ginocchio sinistro; una cintura che reggeva una pistola con fondina da una parte e un sacchetto con dei proiettili dall’altra; scarpe da ginnastica bianche e blu con risvolti verde elettrico.

Non erano cambiati di una sola virgola. E le loro risate, le loro infernali risate, neppure.

-Sembra proprio che il giochetto sia finito…- A parlare era stato il maschio, C-17. Con un atteggiamento quasi annoiato, aprì una mano davanti a sé e con un nuovo colpo energetico colpì l’agonizzante Vegeta proprio in testa, facendogli saltare il cranio in mille pezzi. Vari fiotti di sangue raggiunsero addirittura Trunks, che si ritrovò con la giacca blu elettrico schizzata di sangue. Il ragazzo osservò con occhi e bocca aperta la scena. Quello che più temeva, purtroppo, si era verificato. Il suo cuore batteva a mille per la rabbia e la disperazione e, colto da uno spasmo incontrollabile, strinse i denti ed i pugni e iniziò a gridare a squarciagola nei confronti dei due terribili Androidi.

-Me la pagherete… me la pagherete!!!- La ragazza bionda, riavviandosi i capelli con un mano, ridacchiò e poi appoggiò la stessa mano sul fianco.

-Ah sì? Bene, ragazzino, facci vedere quello di cui sei capace!-

-Oh che paura, il piccolo Trunks adesso vuole giocare con noi?- Trunks non poté comunque alzare neppure la guardia, che si ritrovò subito addosso i due Androidi, veloci come delle saette. C-17 con uno strattone si impossessò della spada Z del suo avversario, ancora rinchiusa nel suo fodero e, con una risatina, si allontanò in volo e la osservò controluce, mentre C-18 aveva afferrato con decisione le braccia del guerriero Saiyan e lo aveva sollevato da terra.

-Lasciatemi andare!! Ho detto di lasciarmi andare!!- Il guerriero Saiyan, forse l’ultimo sopravvissuto alla tremenda strage ad opera degli Androidi, era alla totale mercé dei suoi avversari: non riusciva più neppure a muovere un muscolo. La presa d’acciaio di C-18, in qualche modo, gli aveva bloccato buona parte dei muscoli, e qualunque movimento Trunks facesse, era come se fosse completamente immobilizzato. Non riusciva neppure a muovere le gambe, ogni singolo muscolo del suo corpo si rifiutava di obbedire ai suoi ordini.

-Ma guarda un po’… una nuova spada…- C-17 giocherellava con la spada di Trunks. La faceva piroettare per aria, slanciandola in alto, per poi recuperarla per l’elsa. Tamburellò le unghie sulla parte metallica della lama, tastando con i polpastrelli il filo affilato dell’arma del Saiyan.

-Pratica, leggera, maneggevole, e molto appuntita…- Trunks digrignò i denti e sbraitò contro il suo avversario, le uniche cose che poté fare in quel momento.

-Che cosa vorresti fare?- C-17, con un mezzo sorriso, alzò gli occhi fino ad incontrare quelli della sorella, e si scambiarono un cenno di assenso. Trunks iniziò a sudare freddo: iniziò a capire quello che stava per fare quel maledetto. L’Androide abbassò la spada e si riavviò i capelli con una mano, scuotendo la testa con un atteggiamento superficiale.

-Volevo solo provare a capire se questa lama è tagliente come dicono…-

-Ma che cosa…!!!- Non terminò neppure la frase che C-17, con un rapido scatto, si avvicinò al Saiyan. La lama affondò nelle carni del ragazzo senza un lamento, come una lama arroventata nel burro…

-NOOOOOO!!!!-

 

-NOOOOOOO!!!- Un altro incubo, un altro maledetto incubo. Trunks si mise seduto sul letto e ansimò, toccandosi l’addome per sincerarsi che fosse tutto a posto. Niente di rotto, voltò gli occhi, nel buio della sua stanza, alla ricerca spasmodica della sua spada. Eccola lì, appoggiata sulla sua scrivania, ben chiusa nel fodero di cuoio. Il ragazzo strizzò gli occhi e si terse la fronte dal sudore con una manata. Deglutì amareggiato, quello era uno degli incubi più ricorrenti. Nonostante lui li avesse sconfitti anni fa, li vedeva ancora aggirarsi da quelle parti. Soltanto il sapere che nel passato erano ancora vivi e vegeti gli provocò un forte conato di vomito.

-Come possono essere alleati di quei mostri?!- Controllò l’orologio-sveglia appoggiato sul comodino, alla sua sinistra. “Perfetto” pensò Trunks “neppure le due del mattino”. Un’altra notte insonne. Sua madre ormai era abituata alle sue grida silenziose, strozzate e quasi non ci faceva più caso.

“Non mi sento bene” continuò a riflettere il ragazzo, scendendo dal letto e aprendo lentamente le tapparelle della finestra della sua camera. Il Saiyan poté osservare il firmamento che brillava alla quasi totale assenza di luce cittadina. I lampioni non erano ancora stati installati… non c’era neppure una luce accesa. Fuori il silenzio era quasi un sudario che avvolgeva la notturna città di West City. Nessuno osava affacciarsi al di fuori delle proprie abitazioni. Nessuno osava mettere fuori il naso dalla porta di casa propria. “Non posso biasimare quei poveretti…”

Poi Trunks tornò a pensare agli Androidi. C-17 e C-18… nel passato erano dei “bravi ragazzi”, così come detto da Goku. Ma se un giorno dovessero decidersi di ribellarsi e tornare a fare confusione? Magari un altro gioco… un altro perfido gioco, magari eliminando Goku stesso?

“Calma, Trunks, calma” si impose di respirare profondamente, appoggiando le mani sul davanzale. Goku era stato guarito dal suo virus cardiaco, e lui era nettamente più forte di C-17 e C-18. Adesso la donna Androide era sposata con Crilin, e avevano addirittura una figlia. Magari le sue erano paure infondate…

“Mi piacerebbe tornare per capire come stanno andando le cose… magari sono io che sono troppo nervoso, e questi incubi mi fanno pensare male…” Ripensò a tutte le avventure che aveva passato assieme ai suoi amici del passato, e si sorprese di avere avuto un rapporto così diretto con “se stesso” del passato.

“Quello avrei potuto essere io in un passato migliore”, pensò Trunks, stringendo i denti. “Ma se ho dato a me stesso un motivo di vivere un’infanzia quasi tranquilla, è per merito mio e di mia madre.” Trunks non doveva comunque più temere un eventuale ritorno di Cell nella sua epoca. L’Androide Perfetto costruito anni addietro dal Dr. Gero del Red Ribbon era stato ucciso nel passato. Magari doveva stare attento ad un’eventuale interferenza temporale…

“Sto facendo troppi pensieri. Non riesco a dormire.” Se Mai fosse stata sveglia…

“C’è qualcosa che mi tormenta… ma non riesco a capire che cosa…”

   
 
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