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Autore: Pedistalite    23/09/2018    1 recensioni
Disclaimer : I personaggi non mi appartengono, non scrivo per scopi di lucro. Non intendo infrangere alcun copyright.
Timeline & Spoiler : la storia si ambienta alla fine della terza stagione. Tutte le informazioni su date e riferimenti geografici vengono da SuperWiki. Le citazioni della serie sono in corsivo e sono una mia libera traduzione, che potrebbe differire dalla versione italiana.
Note : questa non è di gran lunga la mia prima fan fiction. Molta acqua è scorsa sotto i ponti. E non è nemmeno la prima che scrivo su SPN. Ma è in assoluto una, tra le poche, a cui tengo di più.
Mi sono tanto crucciata sulla possibilità che questi Sam, Dean e John non fossero più in carattere, dopo le prime quaranta pagine. Oggi ho capito che forse è così, forse sono diversi da quelli che ci ha presentato e fatto amare lo show. Ma sono i miei. Sono coerenti. Sono compiuti. E per me sono anche vivi.
"Sam era perfino abbastanza sicuro che la soluzione non fosse scritta, non esistesse nei libri, nemmeno i più antichi. Perché mai nessuno aveva tentato di realizzare ciò che lui si proponeva.
E in molti, là fuori, se ne sarebbero approfittati."
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, John Winchester, Sam Winchester
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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** Capitolo due **


John Winchester non era un uomo paziente, né particolarmente ragionevole.

Bobby Singer lo sapeva benissimo. Ed era proprio per quel motivo che l’ultima volta che si erano visti, anni prima, l’aveva minacciato di abbandonare la sua proprietà con il fucile spianato.

 

Quando lo rivide il giorno successivo al suo ritorno tra i viventi, per così dire, le cose non andarono molto meglio.

 

John era fermo sul suo portico, con le dita callose sul corrimano di legno e un ginocchio piegato, il piede sull’ultimo gradino.

Bobby sapeva che non poteva trattarsi di uno spettro. Era un uomo, era reale, con la sagoma più scura in controluce e il sole della tarda mattinata a evidenziarne l’altezza, la forma delle spalle.

Si, poteva essere un uomo. E poteva essere il risultato del rituale di Sam.

John, davanti ai suoi occhi, poteva essere un mucchio di cose.

Ma ciò non toglie che Bobby disse lo stesso : - “Christo.” Per sincerarsi che non fosse un demone.

 

Impossibile, perché John era stato bruciato dai suoi ragazzi. E non c’era un corpo che un demone potesse possedere. Sam voleva far risorgere Dean, perciò forse qualcosa era andato storto e ora John era tornato. Ma Dean… Dean era ancora all’inferno.

E Sam. Dov’era Sam?

 

“Dov’è Sam?” gli chiese John Winchester.

Uomo di poche parole, davvero. I suoi ragazzi avevano preso da lui.

 

Bobby lo scrutò meglio.

Aveva la pelle vagamente pallida, e due occhiaie piuttosto profonde. Ma sembrava in salute e certamente lucido. Cosa che, considerando il fatto di essere un morto risorto, era assolutamente sorprendente.

 

Bobby allungò la testa oltre le sue spalle, aggiustandosi il berretto da baseball.

L’Impala scintillava sotto la luce spiovente.

“Non è con te il tuo ragazzo?” replicò, spostandosi di lato e facendogli segno di entrare.

 

John sospirò, ma fu impercettibile.

Bobby se ne accorse solo perché lo conosceva bene. E perché non abbassava mai la guardia, anche con gli amici. E non che si potesse dire che John Winchester lo fosse.

 

“Qualcosa mi dice che non sono il risultato che mio figlio si aspettava…” considerò, con un tono basso e consapevole.

Bobby aveva la buona abitudine di farsi gli affari suoi. Ma i due ragazzi Winchester in un certo senso lo erano. Gli voleva bene come se fossero suoi.

“Tu sai quello che ha fatto Dean?” domandò, per capire da dove avrebbe dovuto cominciare a raccontare quella storia.

 

“Ha fatto quello per cui l’ho cresciuto. Ha protetto Sammy,” ribattè John senza alcun turbamento.

Sam l’avesse visto in quel momento, dire quella frase…

Bobby invece sollevò un po’ il capo, gli occhi piccoli e grigi, l’espressione sarcastica. “Accidenti, John… sei rimasto lo stesso.”

 

John piegò le spalle, la luce gli ombreggiava gli zigomi, incideva disegni strani sotto i suoi occhi. “Non proprio..”

 

Sintetico. Ermetico. Imperscrutabile.

Già… un Winchester non spiega le sue ragioni, non si giustifica.

Un Winchester agisce.

 

E John era stato all’inferno. Ed era risorto.

E, come c’era da aspettarsi, non aveva nulla da dire a riguardo.

 

Del resto Bobby sapeva com’era andata.

Il Devil’s Gate aperto. John che riesce a lasciare l’inferno. La sua anima che va verso l’aldilà.

 

“Dov’eri John? E come mai sei qui?”

“Non lo so Bobby.”

 

Ecco.

Bobby si disse che quello era il segnale che stava aspettando.

Quella espressione, con il disegno degli occhi allungati, piegati appena verso il basso, la schiena curva, una forma latente di insofferenza, incomprensione per quegli eventi.

 

John Winchester era un uomo tutto d’un pezzo, si sarebbe detto un tempo.

Era stato in Vietnam, e non aveva mai smesso di combattere anche quando era tornato in america, semplicemente erano cambiate le trincee. Aveva cresciuto i suoi figli come un generale, come dei soldati. Aveva insegnato loro tutto ciò che conoscesse sul soprannaturale e li aveva messi in condizione di poter sopravvivere. Ma aveva preteso in cambio obbedienza e fiducia.

 

John Winchester era un uomo ossessionato, così si era sempre detto.

Aveva perso la moglie in un incendio, ma sapeva che la colpa era di un demone. E lo aveva cacciato per tutta la vita. Lo aveva cacciato. Aveva salvato suo figlio. Era morto. Era andato all’inferno. Ne era uscito. Aveva visto quel demone dagli occhi gialli morire. Aveva aiutato Dean a distruggerlo.

E poi era svanito.

 

Cosa fosse avvenuto dopo, non lo ricordava.

Non lo sapeva.

 

L’ultima cosa di cui aveva memoria era uno sguardo di comprensione ed affetto per i suoi figli. La mano di Dean su una spalla. Sam con gli occhioni colmi di lacrime, che li osservava entrambi da lontano. Una dissolvenza e uno strano senso di pace.

 

Poi…

Una camera piccola, un rituale, una voce che recita antiche e misteriose parole.

Il sangue di Sam.

 

Il suo sguardo perso. La disapprovazione, la delusione stampata sul suo volto.

Un gesto esasperato, a metà tra la resa e l’incredulità.

E la sua schiena, il movimento delle anche, l’ostinazione con cui si era voltato e si allontanava.

 

John… John non aveva ancora voce per fermarlo.

Non aveva la lucidità di capire.

 

Solo la mattina dopo era uscito da quella camera angusta, per scoprirsi in un cascinale isolato, in mezzo al nulla. La Chevro era ferma, davanti a lui. Sui sedili posteriori due sacche con i vestiti, nell’organizzatissimo bagagliaio c’erano le armi. Le chiavi erano nel cruscotto.

E le orme di Sam si allontanavano a piedi.

 

Suo figlio poteva essere dovunque. E John doveva prima comprendere, per poi poter agire.

 

Si era vestito, con calma, trovando dei pantaloni di Dean e una camicia di Sam.

 

I pantaloni di Dean…

Sammy si porta dietro i vestiti di suo fratello morto…

 

Si era seduto al volante, pregando silenziosamente di ricordarsi i fondamentali.

Aveva cercato una cartina, per assicurarsi di dare un nome al posto dimenticato da dio in cui si travava. E per scegliere la strada più breve per il South Dakota.

 

Poi era stata solo una questione di ore.

E di asfalto.

 

Bobby lo riscosse da quei pensieri, posandogli una mano sulla spalla, in un gesto di quieto disagio.

Non erano uomini fatti per il conforto o le tenerezze.

Non era una vita facile quella che conducevano.

 

“Vieni John,” lo incitò, guidandolo verso la cucina e un caffè forte. “Sono convinto che Sam arriverà presto.”

 

***

 

Il presto con cui sarebbe dovuto arrivare Sam, non si presentò prima dei successivi tre giorni.

Alla mattina del quarto, cinque giorni dopo il rituale, Sam comparve a piedi, con le nocche spelate e un labbro spaccato, sulla soglia di casa di Bobby.

 

John Winchester stava lucidando un fucile.

Camicia nera, maniche arrotolate, jeans consunti. Birra al suo fianco.

 

In quei giorni aveva sistemato le armi inceppate, affilato i coltelli e l’ascia e aveva separato tutte le munizioni a seconda del calibro. Tutto il loro armamentario era stato disposto con cura sul tavolo, vagliato, scelto e rimesso in un ordine che non era quello adottato da Sam.

Si ritornava al Winchester Original Style, insomma.

 

Un quadretto così normale, così assurdo, da infiammare le sinapsi di Sam.

 

Il ragazzo alzò il mento, con aria insofferente. “Che cazzo ci fai tu qui?”

John si limitò a proseguire minuziosamente la sua opera. “Ti sembra il modo di tenere l’arsenale? Non è questo che ti ho insegnato. Ogni cosa deve essere sempre perfetta e funzionale in ogni momento.” Pronunciò quelle frasi, con la tranquillità dell’abitudine, con il replicarsi di un dialogo già avuto mille volte e più ancora.

 

Sam non sembrò per nulla impressionato.

“Cosa Cazzo ci fai Tu Qui” scandì.

 

John posò il fucile, si passò il panno tra le dita unte e poi alzò la testa, per fargli un’occhiolino. L’espressione quasi divertita.

“Stavo cercando una birra,” ribattè pronto alla battuta.

In un tono e uno stile che appartenevano distintamente, indubitabilmente a Dean…

 

distintamente, indubitabilmente a papà

 

E per Sam fu come ricevere un calcio sui denti.

Barcollò, sgranando gli occhi, preparato ad avere quel cedimento che poteva essere fisico o mentale ma che sperava di risparmiarsi.

 

John in un lampo, con la consueta prontezza, fu lì ad afferrarlo. A tenerlo in piedi, come se non avesse mai smesso di essere il piccolo di famiglia. Come se non fossero importanti i pochi centimetri in eccesso che svettavano oltre la sua statura o i muscoli pesanti e troppo duri sotto le dita.

 

“Papà?” bisbigliò Sam, incredulo. Come se stesse realizzando solo in quel momento.

“Sammy?” replicò John, tenendolo su per le braccia.

 

E il ragazzo, come un giocattolo a pile improvvisamente scarico, chiuse gli occhi e si abbandonò con tutto il suo peso, facendo crollare entrambi per terra.

Bobby accorse dall’altra stanza. Quando vide quell’incrocio di braccia e gambe Winchester pensò che forse non era il caso di essere davvero felici, ma decise che se ne fotteva in fatto di etichetta.

 

***

 

Di fatto Sam Winchester sapeva essere una vera spina nel fianco.

Si lamentava, si arrabbiava, discuteva, non accettava mai nulla passivamente ed era pronto al confronto, fino all’eccesso della polemica.

Eppure John non era per nulla contento di vedere suo figlio bere una tazza di thè con pacata rassegnazione, seduto sul letto di una delle camere del piano di sopra.

Anzi, a dirla tutta, John avrebbe dato qualunque cosa per ricevere una battuta sarcastica in cambio di quel mutismo.

 

Sam era diverso.

Non solo diverso da come lo ricordasse John. Quello era normale, ovvio.

Diverso da come sarebbe dovuto essere Sam.

 

C’erano nuovi angoli e linee sfacciate sul suo corpo scolpito. C’era una determinazione che rasentava pericolosamente la follia nel suo sguardo ora assente. C’era l’assoluta mancanza di preservazione di sé, là dove John aveva lasciato prudenza e calcolo.

 

C’erano tatuaggi e nuove cicatrici.

C’era una mappa di disperazione, ostinazione e tentativi sbagliati incisa sulla sua pelle.

E John dovette reprimere l’impulso paterno di spogliare il suo bambino ed esaminarlo per avere la certezza che sul suo corpo non ci fossero disegnate idee stupide dove non potesse vederle.

 

“Penso che dovremmo parlare, ragazzo,” esordì, sedendosi sulla poltrona accanto alla finestra, per non rimanere in piedi e non dargli l’impressione di incombere.

Abbastanza lontano e abbastanza vicino.

 

Sam sollevò gli occhi, posò la tazza sul comodino. “Cosa credi ci sia da dire, papà? Ho sbagliato, ho fatto un casino.”

John non se la sentì d’infierire. “È normale sbagliare, eri sconvolto.”

 

Eri solo… avrebbe voluto dire, ma non volle sottolineare quell’ovvietà.

 

“Ma il rituale che hai tentato… Sammy, era azzardato e imprudente. Sei andato avanti senza garanzie. Sai cosa avresti potuto portare indietro? Ci hai pensato?”

Sam alzò la testa, in uno scatto indisponente. “Dean. Avrei riportato indietro Dean. Te lo ricordi, vero? Sai… il tuo primogenito. Quello così stupido da avere una cieca fiducia in te. Così stupido da accettare un patto suicida. Da morire, e pensare… che ce l’avrei fatta senza di lui.”

 

Ecco. John iniziava a rimpiangere rassegnazione e mutismo.

Ed erano passati solo pochi minuti.

Si, la coerenza non era tra le doti di famiglia…

 

“Avresti riportato indietro Dean, certo. Ma sarebbe stato innaturale e sbagliato. Non si può cambiare la morte.”

“Ma tu sei qua. Io ho cambiato la morte. Ci sono riuscito. Ho solo sbagliato Winchester” rispose Sam, duramente. Con la freddezza di puntualizzare che era John l’anomalia, il risultato non preventivato e che mandava a farsi fottere un piano concettualmente brillante.

Era John quello sbagliato. L’errore. Il non voluto.

 

Tu sei qui. E mio fratello è all’inferno. Per colpa tua.

E per colpa mia.

 

“Vorresti che lo lasciassi all’inferno papà?” domandò Sam brutalmente, gli occhi stretti, la mascella tutta spinta in fuori, i denti quasi pronti a digrignare.

John si alzò dalla poltrona, con impetò. Si piegò, posando le mani sulle cosce per stare con il viso a pochi centimetri dal suo. Per fare in modo che comprendesse.

 

John conosceva quel tormento. Avere un’idea fissa. Non riuscire mai a dimenticarsene.

John era stato un uomo ossessionato. Probabilmente lo era ancora, avesse avuto il coraggio di definirsi un uomo. “Vorrei che tu non ti consumassi dietro questa ossessione. Vorrei che il sacrificio di Dean non fosse invano.”

 

Si voltò, per arrivare alla finestra. Camminare quei pochi passi e provare a respirare liberamente.

Perché Sam, con la sua sfida apertamente accusatoria, gli faceva mancare il fiato.

 

“Come il tuo?” domandò a bruciapelo. “Hai pensato a questo, papà? Tu hai accettato l’inferno per salvare Dean e dopo un anno Dean è andato all’inferno per salvare me. Non pensi che il tuo sacrificio non sia valso a niente, in fondo? Perché alle volte io… io penso che sarebbe stato meglio se Dean non si fosse mai ripreso all’ospedale, dopo l’incidente.”

 

L’avrei perso comunque, ma sarebbe stato infinitamente meglio di questa certezza…

 

Sam non si fermò, ingoiò la rabbia, insieme alla frustrazione.

Anzi, un sorriso perverso gli disegnò la bocca screpolata.

“Non mi chiedi come ci sono riuscito? Non hai il dubbio di verificare se io non sia veramente qualcosa di mostruoso?” lo provocò, gli occhi accesi di una luce cattiva, lo sguardo tagliente. “Dean me l’ha detto, sai. Me l’ha detto che gli hai chiesto di uccidermi.”

 

John si torse le mani, cercando di controllarsi. Se Sam avesse provato a dirgli una cosa del genere quando era ancora il vecchio se stesso, nulla avrebbe evitato al ragazzino una bella sculacciata, ma non si torna dall’aldilà senza aver imparato qualche trucchetto…

“Gli ho chiesto di salvarti, figliolo. Volevo che fosse preparato.”

 

Perché sapevo… sapevo che non ci sarei più stato io a fare ciò che andava fatto, ad ogni costo.

 

“Preparato?” Sam ghignò, con riprovazione. “Vuoi dire che lasciar pesare su tuo figlio una richiesta del genere sia un atto di generosità?” Mosse la bocca in uno schiocco amaro. “Sei uno stronzo.”

 

“Sono uno stronzo. Ma sono tuo padre” tuonò John, tornando verso di lui con la mano già protesa per colpirlo.

Sam lo avrebbe meritato. E non si sarebbe sottratto.

Ma John gli afferrò i lembi della camicia, e lo scosse. Lo costrinse a guardarlo.

 

Non credi che l’abbia perso anch’io?

 

Sam rimase spiazzato. Immobile.

John piangeva come Dean. Lacrime singole, rotonde e perfette. Ma a differenza del figlio maggiore, non si sforzava di trattenerle e poi esplodeva. Le lasciava fluire sulla pelle.

Diventava un uomo dolce quando piangeva.

Assomigliava incredibilmente a Sam.

 

Si raddrizzò nella schiena, come realizzando con qualche secondo di scarto l’accaduto. Poi si passò una mano sulla faccia, mascherando i lineamenti e le tracce bagnate.

Quando tornò a fissarlo era John Winchester, generale inverno al suo meglio.

 

“Le cose cambieranno,” concluse, arrivando alla porta. “Non sono ciò che volevi e ti aspettavi, ma adesso sono qui, ragazzino. E dovrai farci i conti” proseguì, con la voce più controllata che riuscisse a modulare. “Abituati all’idea.”

   
 
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