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Autore: Horror_Vacui    23/10/2018    2 recensioni
Cosa succede quando sei l'uomo sbagliato al momento sbagliatissimo? E se il momento sbagliato è proprio una guerra tra i due gangster più potenti di New York?
Tra intrighi di potere, assassini di professione e debiti da saldare, l'unica cosa che si può fare per sopravvivere è imparare le regole del gioco prima di eliminati.
Dal testo:
"Prese alcune fette di pane e ci spalmò sopra del burro d'arachidi. Lei nel frattempo si era seduta sul bancone e lo osservava incuriosita. Sotto il cardigan indossava dei semplici pantaloncini di cotone e una canottiera sottile. Aveva gambe lunghe e occhi da gatta, profumava di lavanda e biscotti: le pericolosa ragazza della porta accanto."
*Basato sull'omonimo film di Paul McGuigan, conosciuto in Italia con il titolo "Slevin - Patto criminale"*
Genere: Commedia, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chris Argent, Malia Hale, Nuovo personaggio, Peter Hale, Stiles Stilinski
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Violenza
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epilogo

L'aveva sognata, progettata e desiderata per anni.
Negli ultimi vent'anni aveva impiegato ogni sua risorsa per arrivare a quel momento, lì seduto su una sedia blu all'aeroporto di New York, con in mano un biglietto di sola andata per un paese straniero.
Aveva avuto la sua vendetta, ma non era dolce né soddisfacente come si era aspettato.
I suoi genitori non sarebberro di certo tornati in vita, così come tutte le persone che erano morte e avevano sofferto a causa del Boss e del Rabbino. Il suo premio di consolazione era sapere che almeno nessun altro avrebbe patito ciò che lui aveva patito per mano dei due gangster.
Era certo che altri avrebbero preso il loro posto, ma era anche sicuro che non sarebbe toccato a lui fermarli. Aveva riflettuto molto su quel punto e si era già messo l'anima in pace prima di arrivare a New York.
Ciò che rendeva amara quella vittoria era non vedere Malia. Mancava ancora poco alla partenza e non vederla poteva solo significare una cosa, cioè che Goodkat era andato a trovarla.

Gli aveva risparmiato la vita, l'aveva cresciuto e addestrato come se fosse figlio suo; gli doveva tanto ma non sapeva se sarebbe riuscito a perdonarlo per ciò che aveva fatto. In fondo aveva improntato la sua vita a serbare rancore...
Il brusio della gente attorno a lui si fece troppo forte da sopportare, così si calò il cappello di lana sugli occhi e nascose il viso tra le mani. Qualcuno però gli diede una spinta e per poco non cadde giù dalla sedia.
Si levò il cappello e si alzò in piedi con tutta l'intenzione di prendere a pugni quell'idiota, ma quando lo guardò in faccia dovette trattenersi dall'urlare.
«Sei... sei qui» disse.
Malia poggiò a terra la valigia e si tuffò tra le sue braccia. Stiles si staccò quel tanto che bastava per darle un leggero bacio sulla fronte e poi l'avvolse in un caldo abbraccio.



*




«Dove vai?»
«Vado a prendere il caffè».
«E le ciambelle» aggiunse lei.
«E le ciambelle» confermò sorridendo, mentre si abbottonava la camicia.
«Con la glassa!» la sentì urlargli dietro quando era ormai sul pianerottolo.

Qualche giorno prima aveva visto una tavola calda dall'aspetto accogliente a due isolati dal palazzo di Nick. Era diretto lì quando il detective Hale gli aveva teso uno dei suoi agguati a sorpresa, e non cambiò idea nemmeno dopo essere stato gettato via dal furgone come un sacco dell'immondizia.

Entrò da Metro Diner e ordinò due caffè e quattro ciambelle di diversi gusti, sperando di azzeccare quello preferito di Malia.
Certo, Goodkat non ne sarebbe stato entusiasta, preparavano quel colpo da anni e Malia era stata uno splendido incidente di percorso, ma lui non aveva mai passato una notte così bella come quella appena trascorsa. Era stato bene, si era sentito nel posto giusto al momento giusto. E in ogni caso, dopo aver portato a termine la sua vendetta, sarebbe sparito nel nulla, magari lasciandole un biglietto o qualcosa del genere.

Goodkat non sarebbe mai venuto a saperlo, in fondo era stato bravo a tenerglielo nascosto, pensò fischiettando mentre saliva le scale fino all'appartamento di Malia. Il suo buonumore però si spense come la candelina su una torta di compleanno.
«La tua ragazza mi ha fregato. Mi ha fatto una foto. Deve finire sotto terra» disse Goodkat, le mani in tasca e il sorriso da Gioconda stampato in viso.
«Ok» annuì masticando la sabbia del deserto.

Malia stava sonnecchiando sotto le coperte, non si era accorta di lui che camminava avanti e indietro per tutto l'appartamento, era ignara del caffè che stava rapidamente raffreddando sul comò e delle ciambelle che stavano assumendo la consistenza di una gomma da masticare.

Si accorse del suo ritorno solo quando le si coricò addosso, sussurrandole all'orecchio.
«Malia, devo dirti una cosa importante».
«Cosa c'è?» si tirò su a sedere e lui fece altrettanto.

Restarono a guardarsi negli occhi per un po', lei curiosa e in ansia di sapere cosa fosse successo, lui in preda a un conflitto interiore che non gli permetteva di trovare le parole giuste.
Infine chiuse gli occhi e sospirò, prendendole le mani tra le proprie.
«Io non sono Nick Fisher».
«Sì, questo lo so».
«E non sono neanche Slevin Kelevra. Non esiste nessuno che si chiami così».
Il petto di Malia si gonfiò di sorpresa e gli occhi castani si spalancarono. Lui le strinse le mani con maggiore forza per non perdere la sua attenzione.
Le raccontò la storia della corsa ad Aqueduct, senza tralasciare nulla, neppure la storia dell'orologio che portava al polso. Non aveva alcun valore se non quello affettivo legato a Noah, suo padre. Era l'unico oggetto che gli ricordava ogni giorno quale fosse il suo unico obiettivo, la vendetta.
Le spiegò che fine aveva fatto Nick e, anche in quel caso, non tralasciò alcun particolare della mossa Kansas City.
Malia lo ascoltò in silenzio, ma il suo respiro era più pesante e le sue mani leggermente umide.
«Lo so che è difficile da credere, so che potrò sembrarti un pazzo maniaco omicida, che ha ucciso il tuo vicino di casa e ha preso il suo posto per arrivare a te ma... la verità è che tu non eri compresa nel nostro piano. Sei stata un imprevisto e ora io devo... devo proteggerti».
«P-proteggermi? Da chi...?» chiese ma la risposta si materializzò davanti ai suoi occhi prima ancora di concludere la domanda. «Goodkat».
Corse in bagno a sciacquarsi il viso, mentre un vago senso di nausea le attorcigliava lo stomaco, poi tornò in camera e lo trovò in piedi con un espressione contrita a sconvolgergli i lineamenti del viso.
«Io... io non so neanche come ti chiami!» esclamò ricacciando indietro le lacrime.

«Il mio nome è Mieczyslaw Stilinski, ma tutti mi chiamano Stiles».

«Bene, Stiles. Ora dimmi che hai intenzione di fare per "proteggermi"» mimò le virgolette con le dita.
«Senti, so che sei arrabbiata ma devi darmi ascolto e devi fare esattamente cosa ti dico io».
Malia sentì la stanza girare tutta intorno a lei, perciò andò di nuovo a stendersi per evitare di cadere.
Stiles la raggiunse e le si sedette accanto.
«Quando tutto sarà finito, lui verrà a trovarti. Conoscendolo avrà già scoperto quali sono i tuoi orari e i momenti della giornata in cui sei da sola. Sarà silenzioso, quindi stai all'erta e non dare mai le spalle alla porta. Lui ti sparerà qui» poggiò il palmo della mano sul suo petto, all'altezza del cuore.
«Ho un... un giubbotto antiproiettile nell'armadio» disse Malia con voce neutra.
Stiles inarcò le sopracciglia fino all'attaccatura dei capelli.
«Tu hai cosa?»
«Un giubbotto antiproiettile. Il mio ex ragazzo era un patito di armi ed esercitazioni per prepararsi alla fine del mondo. Sì, insomma è un regalo di compleanno. Avrei dovuto buttarlo insieme al resto della sua roba quando abbiamo rotto, ma ho pensato che un giorno mi sarebbe potuto tornare utile, quindi...»
Stiles si lasciò andare ad una risata liberatoria, cadendo sul letto al suo fianco.
«Lo trovi divertente? No, perché se non te ne fossi accorto la situazione non lo è per niente».
«Scusa, è che sei così piena di risorse» ridacchiò ancora in preda all'euforia.
«A questo punto immagino che per te non sia poi così difficile procurarsi una sacca di sangue...»
«Certo che no, ho diverse amiche in ospedale. Il punto è che non sappiamo se mi sparerà in faccia, capisci? E la cosa più tragica è che ne sto parlando come se la cosa non mi riguardasse».
«Tranquilla, è un normale meccanismo di difesa per non perdere la testa».
«Dovrei urlare, scappare in strada a piedi nudi, oppure... oppure prenderti a pugni, odiarti e lanciarti addosso ogni oggetto in questa stanza, ma...»
Stiles avvicinò il viso al suo, per guardarla ancora più da vicino.
«Ma?» le domandò a un soffio dalle sue labbra.
«Ma non ci riesco».


*



Erano in piedi da un po', stretti l'uno all'altra, quando si decise a raggiungerli. Sorprendere la gente alle spalle restava una delle sue cose preferite in assoluto.
Quando lo vide, Stiles si affrettò a mettersi tra lui e la ragazza. Sembrava dire "uccidimi pure, ma non portare via anche lei". Trattenne a stento un sorriso vedendo quella scena.
Si era chiesto cosa avesse quella ragazza di tanto speciale da fargli mettere a rischio ogni cosa, poi l'aveva guardata negli occhi prima di spararle e aveva capito.
Malia Tate aveva lo stesso sguardo di Stiles. Ti guardava negli occhi e sapevi che ti stava giudicando, ma che era pronta ad affrontare la morte con stoica rassegnazione, senza abbassarsi a piangere e supplicare.
«Pensavo che non avresti capito» gli disse Stiles, sostenendo il suo sguardo.
«Invece ho capito».
«Come hai fatto a scoprirci?»
«Sono un killer fuoriclasse, testa di cazzo. Come credi che abbia fatto?» ghignò, poi mise una mano in tasca e tirò fuori l'orologio annerito di Noah Stilinski.
«Ho pensato che lo volessi» disse porgendoglielo.
Nonostante fosse sporco, senza vetro né lancette, Stiles se lo rimise al polso, là dove era stato negli ultimi vent'anni.
«Grazie» gli disse con voce rotta, poi si salutarono con un cordiale cenno del capo, così come avevano stabilito.
Lui era un'ombra, un killer senza nome e quella sarebbe stata la sua vita fino alla morte. Stiles aveva del talento, ma non se l'era scelta quella strada, quindi era il momento per lui di tornare a vivere alla luce del sole.
Era stato un buon figlio e a lui non era dispiaciuto fare il padre, a modo proprio.




*




Il caldo torrido gli faceva sudare la faccia sotto quegli occhiali scuri e tollerava a malapena i baffi e quel dannato abito elegante, ma aveva un lavoro da sbrigare ed era meglio farlo in un posto isolato.
Quel ragazzino era strano, il più strano che avesse mai visto. Continuava a fissare l'orologio e non sembrava preoccuparsi di ciò che gli accadeva intorno.
Lo portò fuori città, al confine, dove c'erano solo terra ed erbacce, e gli disse di scendere dall'auto.
L'avrebbe colpito alle spalle, come aveva già fatto in casi del genere; ma proprio mentre stava per premere il grilletto, il ragazzino si voltò a guardarlo e rimase fermo e impassibile di fronte alla pistola. Quello sguardo, quel dannatissimo sguardo...
Mise giù la pistola.
«Forza, sali in macchina».
Il ragazzino ubbidì.
«Voglio andare a casa mia».
«Né io né te torneremo a casa per un bel po', piccolo. Io sono Goodkat, puoi chiamarmi Mr. Goodkat».
Mise in moto, accese la radio e la sintonizzò sulla sua stazione preferita:
"Sono le quattro e venti, qui su Radio WMNR, e questa è la mia nuova canzone preferita. È di J. Ralph, si chiama 'Kansas City Shuffle'!"



FINE





   
 
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