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Autore: AmericaBrtn    05/01/2019    0 recensioni
Questa è una storia comune ma allo stesso tempo particolare. Ci sono cinque gemelle, che sono anche cinque continenti, simili tra loro ma con sogni diversi, speranze diverse e caratteri diversi. Ci sono cinque vite che sono sempre state separate e che ora si trovano a coesistere sotto uno stesso tetto. Questa storia parla della deriva dei continenti in una maniera tutta particolare, che non dipende da eruzioni vulcaniche o terremoti ma solo da cuori che battono.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il pensiero della morte mi ha sempre terrorizzata. Da bambina, mi bastava immaginare cosa sarebbe successo alla mia mente, o ai miei pensieri, se il mio cuore avesse smesso di battere perché il cuore mi si stringesse in una tenaglia di terrore e il respiro mi si bloccasse in gola. Dovevo costringere la mia mente a pensare a qualcos’altro per non rischiare di mettermi a piangere. Non sopportavo l’idea di un mondo senza di me, o di una me, scheletro, senza una una Me, mente. Una me che non pensa, che non sogna e che non parla.

A questo punto della mia vita non posso più permettermi il lusso di questo modo di vedere le cose, rischierei un infarto al minuto. Dopo aver passato la soglia dei cent’anni, dopo aver visto crescere i miei figli, i figli delle mie sorelle e i figli dei miei figli, dopo aver visto nascere perfino qualche bisnipote, so bene che i giorni che mi rimangono sono come spiccioli di rame. Li sento scivolare fuori dalle tasche della mia vestaglia, silenziosi come un ago che cade sul pavimento di una casa enorme. Ormai quelli che restano, tintinnando tra loro, non producono più un fruscio morbido e confortante come quello di una cascata, anzi sembrano lo schiocco di un ramoscello calpestato che si spezza.

Fatto sta che l’altro giorno me ne stavo sulla mia solita poltrona, senza altro impegno se non quello di autocommiserarmi per i pochi giorni che mi restano e quello di osservare il grosso castagno fuori dalla finestra del secondo piano. Mentre mi rigiravo la mia collana, che ho da i tempi di cui sto per narrarvi, ho preso una decisione. Nella mia mente è stato finalmente chiaro che di lì a un giorno, una settimana o un mese, i miei occhi si sarebbero chiusi per sempre. Mi è stato più chiaro di tutte le altre volte che le mie gambe erano troppo stanche per continuare a reggere il mio peso ancora per molto, che il mio stomaco era più il cibo che rifiutava di quello che riusciva a digerire e che il mio cuore era decisamente esausto (non tanto a causa di una qualche malattia, solo per il peso degli anni). Ho capito che non avevo motivo di essere triste, ero l’unica ancora in vita delle mie sorelle, ma soprattutto ero arrivata fin qui perfettamente sana, se non si considerano i vari acciacchi poco gravi che si hanno superata una certa età.

In quel momento ho deciso che io non sono e non sarò mai una persona che si piange addosso e che dovevo trovare un modo per occupare il tempo che mi restava. Volevo lasciare un segno, qualcosa che tra qualche hanno ricordasse a chiunque venisse voglia di chiederselo che io sono esistita.

Inizialmente ho provato a scrivere a mano, ma poi mi sono resa conto che le mie povere dita non sarebbero riuscite a reggere una penna quanto basta per scrivere quello che voglio raccontare, così sono passata a scrivere sul mio vecchio computer, compagno fedele di molte avventure.

Non so se mai a nessuno interesserà tutto questo, so solo che se mai i miei trisnipoti, o magari i nipoti dei miei amici, vorranno sapere chi era quella strana vecchietta sdentata, sempre intenta a succhiellare una caramella al limone, voglio che parlino di me per quella che ero. Voglio che il mondo mi ricordi come io mi vedo ancora nella mia testa: con i lunghi capelli rossi sciolti, e non scoloriti dal tempo e raccolti in una rigida crocchia. Vorrei che dicessero di me che mi piaceva ridere, anche se ora lo faccio sempre meno spesso visto che i miei denti sono meno dei giorni che mi restano; vorrei che raccontassero che ero una persona avventurosa e che ho fatto molte follie nella mia vita.

Ci sono troppi figli dei figli che non conoscono le mie follie.

Mi scuso in anticipo se non riuscirò a completare il mio racconto, e sappi che se queste pagine sono finite nelle tue mani, sarebbe un comportamento meschino gettarle nel camino. Ricordati che il mio spirito potrebbe tornare a perseguitarti.

 

Quindi questa è la mia storia, la storia di come ho conosciuto la felicità e di come sono riuscita a ritagliarmi il mio pezzo di mondo.

   
 
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