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Autore: Opal636    19/07/2009    1 recensioni
Mulder e Scully vengono convocati dalla Crimini Violenti per essere infiltrati in un caso di efferati omicidi.La ff si colloca alla fine della sesta stagione. Questo è il mio primo case file. Avrò modo di farlo anche in seguito, ma volevo ringraziare per le bellissime recensioni che mi avete scritto! Spero vi piaccia anche questa!
Genere: Drammatico, Thriller, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dana Katherine Scully, Fox William Mulder, Walter S. Skinner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Settimo capitolo

 

 

Mulder registrò solo in parte quello che gli accadeva intorno.

Annebeth che lasciava cadere la sbarra di ferro e si portava le mani alla nuca, Ronald che veniva ammanettato, mentre tentava ancora di respirare normalmente, le pistole spianate, le urla degli agenti, le sirene delle volanti all’esterno …

I suoi occhi continuavano ad essere fissi sul corpo di Scully, immobile, steso sul freddo e sporco pavimento, il sangue che le sgorgava dalla ferita alla tempia stava formando una piccola pozza sotto la testa e le stava imbrattando i capelli e il volto. Dal labbro tumefatto continuava ad uscire altro liquido scuro e denso, e l’immagine era così crudele da dilaniargli il cuore.

“Fox!”, la voce preoccupata di Fowley gli arrivò alle orecchie acuta come un fastidioso fischio.

Poi il suo viso, con le sopracciglia contratte e lo sguardo allarmato, gli si parò davanti al viso, costringendolo a tornare al presente, ad ascoltare quello che gli succedeva attorno e a vedere il trambusto che si stava  compiendo nella stanza.

“Fox! Stai bene?”, la voce di Fowley non faceva nulla per nascondere la pena che provava.

Mulder la guardò risoluto, “Liberami!”, le disse duramente, in preda ad un ansia sempre più pressante.

Era morta? Era ancora viva?

Perché nessuno degli agenti che le stavano attorno diceva nulla?

Fowley e un altro agente di cui non ricordava il nome, presero un paio di forbici dal tavolo delle torture e tagliarono di netto la corda che lo teneva legato.

I polsi lanciarono un muto grido di dolore quando vennero liberati e il sangue ricominciò a scorrergli nelle vene impetuoso, provocandogli un fastidioso formicolio lungo le braccia.

Fece per correre da Scully, ma il dolore all’inguine si fece sentire con tutta la sua violenza e le gambe gli cedettero, facendolo finire carponi sul pavimento.

“Fox!”, Fowley cercò di afferrargli un braccio per aiutarlo a rialzarsi, ma lui se la scrollò di dosso e avanzò a quattro zampe verso il corpo della partner, sbucciandosi le ginocchia e graffiandosi i palmi delle mani.

Ma non gli importava nulla del dolore, l’unica cosa importante era lei.

Lei. La salvezza della sua vita.

Lei. Il suo angelo custode.

Lei. Che lui non era riuscito a proteggere.

Calde lacrime colme di rabbia e dolore si riversarono sulle sue guance, mentre una mano si posava sulla guancia gonfia di Scully e la accarezzava dolcemente, sporcandosi di sangue.

“Scully…” disse piano, “Scully, rispondimi ti prego!”.

Si avvicinò ancora di più al suo corpo esanime. Gli agenti che erano accorsi al suo capezzale si scostarono, rispettosi del suo dolore.

“Scully!!!”, disse a voce più alta. “Scully!!!”, continuò ad urlare senza sosta, la voce rauca e spezzata, la disperazione che lasciava il suo corpo attraverso le lacrime.

Ormai non ragionava più.

Non seppe dire perché - non si era nemmeno accertato che respirasse ancora - ma dette per scontato che il suo sogno fosse stato premonitore e che Scully fosse morta.

“SCULLY!!!”, urlò per l’ennesima volta, negli occhi uno sguardo allucinato, preda di un dolore troppo grande da sopportare.

“Fox, calmati!”, provò a tranquillizzarlo Fowley, ma lui non le dette ascolto.

“Mulder!”, tuonò allora la voce imponente di Skinner, mentre si avvicinava a lui. “Si calmi! E’ ancora viva!!! L’ambulanza sarà qui a momenti!”.

Le parole di Skinner si insinuarono a fatica nella nebbia dei suoi pensieri colmi di disperazione.

Mulder piegò la testa verso il naso di Scully e avvertì un lievissimo e appena percettibile respiro.

Era viva.

Era viva!

ERA VIVA!!!

Ma il momentaneo sollievo provocato dalla notizia, fu scalzato da una rabbia sorda.

“No che non mi calmo!”, urlò rivolto verso Skinner, che torreggiava sopra di lui. “Dove diavolo eravate finiti? Poteva morire!!!”. Il respiro si fece affannoso nell’impeto dell’accusa.

Skinner assunse un’espressione quasi colpevole, aprì la bocca per rispondere, ma un flebile gemito interruppe la spiegazione.

Mulder si voltò di scatto verso Scully e vide che muoveva debolmente le labbra, nel tentativo di parlare, e che gli occhi sotto le palpebre ancora chiuse roteavano velocemente.

“… hhhuler…”.

Mulder, il cuore che gli scoppiava di mille emozioni contrastanti - dalla felicità per vederla reagire, alla rabbia verso l’FBI - gli poggiò di nuovo una mano sulla guancia, stando attento a non farle male, e portò il viso a pochi centimetri dal suo.

“Sono qui, sono qui. Shhh, non ti sforzare di parlare”, aggiunse vedendo che lei tentava di dire qualcosa, “Tra poco ti porteranno in ospedale. E’ tutto finito, tutto finito…”.

Scully riuscì ad aprire leggermente le palpebre.

La sua vista era terribilmente sfuocata, ma riuscì comunque a vedere il volto di Mulder, che le sorrideva rassicurante.

Poi perse nuovamente i sensi.

“Scully!”, Mulder abbassò la testa, rughe di preoccupazione gli segnavano la fronte. “Resisti, ti prego, resisti”.

“Agente Mulder”, una voce di donna lo chiamò esitante.

Mulder si voltò e vide l’agente Thompson china su di lui.

“Ronald Fresty vorrebbe dirle una cosa…”, le guance le si tinsero di rosso, come se si vergognasse.

Mulder si voltò verso l’uomo ammanettato, in fianco all’agente McErny, e gli rivolse uno sguardo carico d’odio.

“Agente Mulder”, disse allora Fresty, con un tono di voce secco e sincero, “mi dispiace che la sua compagna stia male… se non mi si fosse avventata contro non sarebbe andata così”. Smise un attimo di parlare per rivolgergli un sorriso, “Sarebbe stata la prima volta che avremmo lasciato vivere due persone… voi lo meritavate. Forse più di quanto lo meritiamo io e mia moglie… le chiedo perdono”. E con questo abbassò il capo e si lasciò portare fuori dall’agente McErny.

Mulder rimase per qualche istante immobile, concentrato a tentare di capire le parole di Fresty, ma in lontananza si sentirono arrivare le sirene dell’ambulanza, e Fowley gli posò una mano sul braccio, stringendo leggermente.

Lui si voltò a guardarla, stanco.

“Fox…”, si rivolse a lui con voce bassa e dolce, “… dovresti farti curare anche tu. Hai un taglio sulla guancia e il mignolo completamente nero… Lei starà bene”, aggiunse vedendo che aveva di nuovo abbassato la testa sul viso di Scully.

Mulder guardò di nuovo Fowley, e annuì distrattamente.

 

New York Hospital

Ore 11.26 p.m.

 

Mulder si incamminò con passo incerto e dolorante lungo la corsia della terapia intensiva.

Gli avevano fasciato il mignolo e i polsi e suturato un taglio poco fondo alla guancia, dove ora c’era una garza bianca a proteggerla dai batteri esterni.

Il dolore all’inguine cominciava lentamente a diminuire, ma lo percepiva ancora vivo e pulsante.

Era stato sottoposto ad una accurata visita urologica e il medico gli aveva assicurato che il dolore era dovuto solo alla violenza dei colpi subiti e che non c’erano lesioni.

“Almeno una buona notizia…”, aveva commentato in tono disinteressato Mulder, facendo ridere il dottore.

Quando girò l’angolo di sinistra, vide circa a metà corridoio, la lucida pelata di Skinner.

Si avvicinò a lui lentamente.

“Agente Mulder”, lo salutò il vicedirettore, “Come sta?”.

“Io bene, grazie. Lei?”, chiese voltando lo sguardo verso la vetrata dalla quale si vedeva la stanza dov’era ricoverata Scully. In quel momento un dottore e un infermiera stavano attorno al letto e controllavano alcuni monitor e la cartella medica. “Le hanno detto qualcosa?”.

Skinner scosse la testa. “Non molto, a dire il vero. Hanno detto che ha una commozione cerebrale, ma che non è grave e che potrebbe svegliarsi presto, ma dipende da come reagisce il suo corpo. La mascella è a posto, però le verrà un gran livido, ed è facile che per qualche giorno non riesca ad aprire l’occhio sinistro, e faccia fatica a parlare. Il taglio, fortunatamente, era pulito e non si è infettato. Dobbiamo solo aspettare che trovi la forza di svegliarsi…”.

Mulder non replicò, rimase fermo ad osservare la sagoma immobile di Scully, riparata dalle deprimenti coperte bianche dell’ospedale.

“Si può entrare?”, chiese dopo un po’.

“Immagino di si, ma è meglio chiedere al dottore”.

Mulder fece un cenno d’assenso. Sperava che lo lasciassero stare con lei per tutta la notte. Non se la sentiva di lasciarla sola… o forse era lui che non voleva restare solo, senza di lei.

“Ho chiamato la sua famiglia”, disse Skinner. “Saranno qui domani”.

Mulder annuì.

“Mi dice ora, per favore, cos’è andato storto qualche ora fa? Perché siamo ricoverati in questo ospedale, vivi per miracolo?”.

Skinner trasse un profondo respiro.

“Un intoppo… Un maledetto intoppo!”. Si girò a guardare Scully al di là del vetro. “Abbiamo capito che eravate saliti in macchina quando il segnale ha cominciato a spostarsi velocemente per le vie di New York. Abbiamo fatto fatica a capire dove volevano portarvi, perché hanno girato in tondo per un bel pezzo, forse volevano essere certi che foste addormentati. Ad un certo punto il segnale si è fermato alla periferia della città, abbiamo controllato il luogo esatto e, quando abbiamo visto che corrispondeva ad una zona isolata e abbandonata siamo saliti immediatamente sulle volanti”, si voltò di nuovo verso Mulder, che lo osservava con espressione concentrata.

“Ma quando eravamo già a metà strada, dall’FBI hanno chiamato comunicando che il segnale si era rimesso in movimento. Un po’ spiazzati, ci siamo comunque recati nel luogo dove prima vi eravate fermati, ma non abbiamo trovato nulla, nemmeno dentro gli edifici fatiscenti. Così siamo rimasti in contatto col quartier generale, che, a seconda delle svolte del segnale, ci indicava le strade che dovevamo percorrere

Abbiamo girato a vuoto per un bel pezzo, prima che ci venisse comunicato che i Fresty si erano fermati. Siamo corsi sul luogo indicato, e abbiamo trovato l’auto”, abbassò un attimo il capo, passandosi una mano sulla testa calva.

“Nell’auto abbiamo trovato i vostri vestiti… l’orecchino col segnalatore era rimasto impigliato nel maglione di Scully. Ci trovavamo in una zona disabitata, c’erano due edifici abbandonati, ma risultarono vuoti”.

Alzò di nuovo il viso su Mulder. “Mi creda, ero sconvolto. Ero terrorizzato all’idea di lasciarvi soli nelle mani di quei due pazzi, ma non sapevamo dove foste! Non avevamo nemmeno idea di cosa i Fresty avessero fatto. Dove eravate? Quando vi avevano tirati fuori dall’auto? Chi aveva portato l’auto in quel punto? Mille domande senza risposta”.

Mulder si passò la lingua sulle labbra secche.

“Abbiamo brancolato nel buio non so nemmeno io per quanto. L’agente Fowley continuava a fare congetture, a cercare di capire dove poteste essere, ma tutte le idee si rivelavano infruttuose. Ad un certo punto hanno chiamato dall’FBI, dicendoci che avevano ricevuto una chiamata anonima, nella quale si diceva che dall’altra parte della città, in un edificio fatiscente, avevano sentito qualcuno gridare.

Poteva essere qualunque cosa, due drogati, due barboni che litigavano, qualunque cosa, ma pensammo che valeva comunque la pena andare a dare un’occhiata… e abbiamo avuto fortuna… se così si può dire… Ci siamo resi conto di essere sulla strada giusta quando abbiamo visto un’auto che risultava rubata davanti ad una palazzina. Voi eravate nella cantina.”

Skinner appariva stanco e provato e Mulder lo fissò per qualche istante, prima di posargli una mano sulla spalla, in segno di comprensione.

“Non me la sento di dirle che non fa niente, ma non si prenda colpe che non ha. Nessuno poteva prevedere che tutto sarebbe andato a monte per un imprevisto così stupido”.

Interruppero la loro conversazione, perché l’infermiera e il dottore uscirono dalla stanza.

“Dottore!”, lo bloccò Mulder, “Come sta?”.

“Le sue condizioni sono stabili, il che, per la brutta ferita riportata, è un buon segno. I valori del sangue sono nella norma e Dana mi sembra una donna forte, vedrà che si sveglierà presto”, aggiunse con un sorriso rassicurante.

“Posso rimanere con lei?”, chiese con fare remissivo, quasi volesse implorarlo di dargli il permesso.

Il dottore lo osservò per un attimo, soffermandosi sulle varie bende che gli fasciavano il corpo.

“Sto bene”, disse Mulder, anticipando la domanda del medico.

“Penso che non ci siano problemi. Ma mi raccomando”, e sottolineò le parole on sguardo severo, “Mi chiami se nota qualcosa di strano in Dana, e se lei si sente stanco vada a riposare. E’ in buone mani!”.

Mulder annuì secco. Si congedò in fretta da Skinner, che declinò l’invito ad entrare, asserendo che doveva andare al dipartimento per l’interrogatorio ai Fresty.

Mulder varcò la porta, lasciandosi alle spalle il corridoio asettico e silenzioso.

Prese una sedia e si sedette vicino al letto, prendendo le dita di Scully tra le sue.

I polsi erano bendati, uno era stretto in una fascia elastica, e Mulder li accarezzò dolcemente con il pollice.

La guardò in viso e si sforzò di sorriderle, anche se lei non poteva vederlo.

La guancia sinistra,già gonfia, aveva cominciato ad assumere un colorito violaceo. L’occhio era già piuttosto nero e il labbro aveva un brutto taglio rimarginato che la faceva apparire imbronciata.

Attorno alla testa le girava una benda bianca, un’ombra più scura si stava allargando nel punto dell’impatto con la spranga. Mulder rabbrividì leggermente al ricordo del suo corpo che cadeva…

Mosse l’altra mano ad accarezzarle i capelli umidi, evidentemente avevano ripulito il sangue rappreso con una pezza bagnata.

Non le parlò, non serviva. A lui bastava soltanto stare accanto a lei, farle sentire la sua presenza, sperando di vederla riaprire gli splendidi occhi blu al più presto.

 

New York Hospital

Ore 1.36 a.m.

 

Mulder voltò il viso verso la finestra della stanza, quando sentì due piccoli colpi di nocca contro il vetro.

Fowley gli fece cenno di uscire.

Seppur riluttante, Mulder lasciò la mano di Scully e andò nel corridoio, camminando con le gambe leggermente aperte.

“Come stai?”, gli chiese Fowley a bassa voce.

“Meglio, grazie. Cosa ci fai qui, a quest’ora?”, le chiese incuriosito.

“Sono stata fino a poco fa al dipartimento ad interrogare i Fresty, ma ero in pensiero per te, così appena mi sono liberata, sono venuta qui”. Lo osservò attentamente, nell’espressione una dolcezza che non ricordava di averle visto in viso da molto tempo. “Sembri stanco”, aggiunse passandogli una mano sulla guancia libera dalla garza.

“Non così tanto”, replicò Mulder, dando una rapida occhiata al corpo immobile di Scully.

Fowley abbassò la mano e sospirò, un suono leggermente rassegnato.

“Come sta Scully?”, chiese girandosi anche lei verso il vetro.

“Stabile…”, rispose Mulder, “Dicono che dovrebbe svegliarsi presto e che la commozione cerebrale dovrebbe ritirarsi nel giro di pochi giorni… ma ancora è incosciente…”.

“Fox”, disse allora Fowley, prendendogli una mano tra le sue, “Abbi pazienza. Ha preso una bella botta, è già molto che dicano che sta bene, lasciale il tempo di riprendere le forze”.

Mulder osservò in silenzio la sua mano tra quelle di Diana, poi, lentamente, sciolse il contatto. Non sapeva bene perché l’aveva fatto, in fondo lei stava solo cercando di confortarlo, ma si era sentito a disagio, come se le mani che lo toccavano fossero quelle sbagliate.

Fowley assunse uno sguardo ferito.

Mulder, per non dover dare troppe spiegazione al suo gesto – non aveva proprio voglia di mettersi a discutere con lei di argomenti spinosi – le chiese dell’interrogatorio ai Fresty.

“Hanno confessato tutto senza problemi”, spiegò Diana. “Sono convinti di aver agito nel migliore dei modi”, scosse la testa, “Dicono che sapevano che prima o poi sarebbero stati arrestati, ma che hanno fatto del loro meglio per riuscire a trovare l’amore nel mondo. Devo dire che hanno parlato in modo così cristallino e sincero, che ti veniva voglia di credere che quello che hanno fatto fosse in nome di qualcosa di superiore…”.

Mulder rifletté un attimo sulle parole di Diana. Anche lui aveva avuto l’impressione che la loro pazzia e il loro sadismo fossero mossi dalla profonda convinzione di riuscire a salvare il mondo dall’odio.

“Ci hanno raccontato che vi hanno drogati e poi portati in auto, girando per un po’ a vuoto, per la loro sicurezza e per essere certi che foste completamente addormentati, prima di fermarsi davanti in quella zona abbandonata, dove c’era un’altra auto che avevano rubato la notte precedente, una vecchia Ford nera.

Vi hanno spogliati e trasportati nell’altra macchina. Poi Ronald si è messo alla guida della Ford, e vi ha portati nell’edificio abbandonato dove poi vi abbiamo trovati, mentre Annebeth ha girato a vuoto, fino a quando Ronald non l’ha chiamata con un cellulare, sempre rubato, e le ha detto che stava arrivando. Si sono dati appuntamento dove abbiamo trovato l’auto con i vostri vestiti, poi sono venuti insieme da voi. Il resto… lo sai meglio tu…”, accennò un sorrisetto, per sdrammatizzare, ma quello che le uscì fu più che altro una smorfia di dolore. E posò nuovamente le mani sulle sue.

Mulder, dopo la spiegazione, capì perché i Fresty li avevano lasciati soli così tanto tempo: si stavano ricongiungendo, dopo aver sistemato loro due per bene, a chissà quanti km di distanza.

Quello che era successo non era stata una mancanza da parte di nessuno. Se quell’orecchino non si fosse impigliato nel maglione, loro non avrebbero corso alcun pericolo.

Eppure non riusciva a non provare un fastidioso senso di colpa. I suoi sogni, le sue paure, avevano cercato di avvertirlo, di fargli capire che sarebbe successo qualcosa di spiacevole, ma, evidentemente, non aveva dato abbastanza peso alla cosa. Probabilmente avrebbe dovuto intervenire in qualche modo, togliersi dall’operazione, controllare meglio i dettagli, stare più attento a Scully. Si era spaventato, aveva capito che quelle visioni non gli erano arrivate per caso, ma non ne era stato abbastanza colpito. Non aveva creduto fino in fondo alle loro previsioni.

Per una volta in vita sua aveva dato poco credito ad un fenomeno di preveggenza, e aveva dovuto pentirsene.

Sorrise tra sé e sé. L’avrebbe detto a Scully appena si fosse svegliata: “Vedi? Credere conviene sempre!”.

Si immaginò l’espressione scettica e divertita con cui l’avrebbe guardato.

“Che cosa c’è da sorridere?”, gli chiese Fowley, sperando che il suo sguardo, per un momento sereno, fosse dovuto al suo goffo tentativo di rassicurarlo.

“Niente”, rispose Mulder guardandola, l’ombra del sorriso che ancora aleggiava sulle sue labbra, “pensavo a una cosa”.

“Posso sapere anch’io?”, chiese lei, speranzosa, sorridendogli.

Mulder scosse la testa. “Era una scemenza… Niente di che”.

Fowley tolse le mani e assunse uno sguardo rassegnato.

Mulder tornò a guardare al di là del vetro.

“Tieni tanto a lei, vero?”, esordì Fowley dopo qualche minuto di silenzio, in cui entrambi si erano persi nei propri pensieri.

Mulder si voltò lentamente verso di lei, nello sguardo un’espressione stupita.

“Certo che tengo a lei! E’ la mia collega, e amica, soprattutto”, disse con una nota acida nella voce.

Fowley scosse la testa. “Ma tu tieni a lei molto di più di quanto si tiene ad una collega… o ad una amica”, sottolineò.

Mulder la fissò con un’espressione assorta.

“Dove vuoi andare a parare?”.

“Da nessuna parte, Fox, sto solo dicendoti quello di cui tu non ti sei ancora reso conto… o non vuoi accettare”.

Mulder avvertì una stretta alla base dello stomaco, una sensazione strana, come se fosse spaventato da quello che gli stava per essere rivelato, ma allo stesso tempo ne fosse completamente consapevole… e felice.

Piegò leggermente la testa di lato e fissò Diana, cercando di capire cosa gli stava dicendo, ma vide solo due occhi scuri fissarlo di rimando, null’altro.

Fowley si girò a guardare la sagoma immobile di Scully al di là del vetro.

“Vedo come la guardi… sono gli stessi occhi con cui guardavi me una volta… anzi”, aggiunse abbassando il capo, “… ammetto che sono molto più luminosi”.

Mulder aggrottò le sopracciglia. Vide gli occhi di Diana diventare lucidi, ma non si mosse. Si sentiva terribilmente a disagio, non voleva farla star male, ma non capiva nemmeno perché lei stesse soffrendo.

Tra loro era finita da un pezzo ma, dalle sue parole, trapelava una sofferenza antica, una gelosia immotivata. Mulder sospirò.

Diana lo guardò, gli occhi ancora lucidi.

“Tu sei innamorato di lei…”. Le sue parole, seppur sussurrate, uscirono in maniera dolorosamente diretta e Mulder ebbe un tuffo al cuore.

Quel pensiero che aveva attecchito nel suo cervello quasi 24 ore prima, crebbe a dismisura e occupò ogni suo pensiero razionale.

Ma la paura esplose prepotente nelle sue viscere e gli fece scuotere la testa.

Fowley lo fissò intensamente, poi gli dette un bacio sulla guancia sana e se ne andò, lasciandolo, fermo immobile, nel corridoio.

  
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