Settimo capitolo
Mulder
registrò solo in parte quello che gli accadeva intorno.
Annebeth
che lasciava cadere la sbarra di ferro e si portava le mani alla nuca, Ronald
che veniva ammanettato, mentre tentava ancora di respirare normalmente, le pistole
spianate, le urla degli agenti, le sirene delle volanti all’esterno …
I
suoi occhi continuavano ad essere fissi sul corpo di Scully, immobile, steso
sul freddo e sporco pavimento, il sangue che le sgorgava dalla ferita alla
tempia stava formando una piccola pozza sotto la testa e le stava imbrattando i
capelli e il volto. Dal labbro tumefatto continuava ad uscire altro liquido
scuro e denso, e l’immagine era così crudele da dilaniargli il cuore.
“Fox!”,
la voce preoccupata di Fowley gli arrivò alle orecchie
acuta come un fastidioso fischio.
Poi
il suo viso, con le sopracciglia contratte e lo sguardo allarmato, gli si parò
davanti al viso, costringendolo a tornare al presente, ad ascoltare quello che
gli succedeva attorno e a vedere il trambusto che si stava compiendo nella stanza.
“Fox!
Stai bene?”, la voce di Fowley non faceva nulla per
nascondere la pena che provava.
Mulder
la guardò risoluto, “Liberami!”, le disse duramente, in preda ad un ansia
sempre più pressante.
Era
morta? Era ancora viva?
Perché
nessuno degli agenti che le stavano attorno diceva nulla?
Fowley
e un altro agente di cui non ricordava il nome, presero un paio di forbici dal
tavolo delle torture e tagliarono di netto la corda che lo teneva legato.
I
polsi lanciarono un muto grido di dolore quando vennero liberati e il sangue
ricominciò a scorrergli nelle vene impetuoso, provocandogli un fastidioso
formicolio lungo le braccia.
Fece
per correre da Scully, ma il dolore all’inguine si fece sentire con tutta la
sua violenza e le gambe gli cedettero, facendolo finire carponi sul pavimento.
“Fox!”,
Fowley cercò di afferrargli un braccio per aiutarlo a
rialzarsi, ma lui se la scrollò di dosso e avanzò a quattro zampe verso il
corpo della partner, sbucciandosi le ginocchia e graffiandosi i palmi delle
mani.
Ma
non gli importava nulla del dolore, l’unica cosa importante era lei.
Lei.
La salvezza della sua vita.
Lei.
Il suo angelo custode.
Lei.
Che lui non era riuscito a proteggere.
Calde
lacrime colme di rabbia e dolore si riversarono sulle sue guance, mentre una
mano si posava sulla guancia gonfia di Scully e la accarezzava dolcemente,
sporcandosi di sangue.
“Scully…”
disse piano, “Scully, rispondimi ti prego!”.
Si
avvicinò ancora di più al suo corpo esanime. Gli agenti che erano accorsi al suo
capezzale si scostarono, rispettosi del suo dolore.
“Scully!!!”,
disse a voce più alta. “Scully!!!”, continuò ad urlare senza sosta, la voce
rauca e spezzata, la disperazione che lasciava il suo corpo attraverso le
lacrime.
Ormai
non ragionava più.
Non
seppe dire perché - non si era nemmeno accertato che respirasse ancora - ma
dette per scontato che il suo sogno fosse stato premonitore e che Scully fosse
morta.
“SCULLY!!!”,
urlò per l’ennesima volta, negli occhi uno sguardo allucinato, preda di un
dolore troppo grande da sopportare.
“Fox,
calmati!”, provò a tranquillizzarlo Fowley, ma lui
non le dette ascolto.
“Mulder!”,
tuonò allora la voce imponente di Skinner, mentre si
avvicinava a lui. “Si calmi! E’ ancora viva!!! L’ambulanza sarà qui a
momenti!”.
Le
parole di Skinner si insinuarono a fatica nella
nebbia dei suoi pensieri colmi di disperazione.
Mulder
piegò la testa verso il naso di Scully e avvertì un lievissimo e appena
percettibile respiro.
Era
viva.
Era
viva!
ERA
VIVA!!!
Ma
il momentaneo sollievo provocato dalla notizia, fu scalzato da una rabbia
sorda.
“No
che non mi calmo!”, urlò rivolto verso Skinner, che
torreggiava sopra di lui. “Dove diavolo eravate finiti? Poteva morire!!!”. Il
respiro si fece affannoso nell’impeto dell’accusa.
Skinner
assunse un’espressione quasi colpevole, aprì la bocca per rispondere, ma un
flebile gemito interruppe la spiegazione.
Mulder
si voltò di scatto verso Scully e vide che muoveva debolmente le labbra, nel
tentativo di parlare, e che gli occhi sotto le palpebre ancora chiuse roteavano
velocemente.
“…
hhh… ul… er…”.
Mulder,
il cuore che gli scoppiava di mille emozioni contrastanti - dalla felicità per
vederla reagire, alla rabbia verso l’FBI - gli poggiò di nuovo una mano sulla
guancia, stando attento a non farle male, e portò il viso a pochi centimetri
dal suo.
“Sono
qui, sono qui. Shhh, non ti sforzare di parlare”,
aggiunse vedendo che lei tentava di dire qualcosa, “Tra poco ti porteranno in
ospedale. E’ tutto finito, tutto finito…”.
Scully
riuscì ad aprire leggermente le palpebre.
La
sua vista era terribilmente sfuocata, ma riuscì comunque a vedere il volto di
Mulder, che le sorrideva rassicurante.
Poi
perse nuovamente i sensi.
“Scully!”,
Mulder abbassò la testa, rughe di preoccupazione gli segnavano la fronte.
“Resisti, ti prego, resisti”.
“Agente
Mulder”, una voce di donna lo chiamò esitante.
Mulder
si voltò e vide l’agente Thompson china su di lui.
“Ronald
Fresty vorrebbe dirle una cosa…”, le guance le si
tinsero di rosso, come se si vergognasse.
Mulder
si voltò verso l’uomo ammanettato, in fianco all’agente McErny,
e gli rivolse uno sguardo carico d’odio.
“Agente
Mulder”, disse allora Fresty, con un tono di voce
secco e sincero, “mi dispiace che la sua compagna stia male… se non mi si fosse
avventata contro non sarebbe andata così”. Smise un attimo di parlare per
rivolgergli un sorriso, “Sarebbe stata la prima volta che avremmo lasciato
vivere due persone… voi lo meritavate. Forse più di quanto lo meritiamo io e
mia moglie… le chiedo perdono”. E con questo abbassò il capo e si lasciò
portare fuori dall’agente McErny.
Mulder
rimase per qualche istante immobile, concentrato a tentare di capire le parole
di Fresty, ma in lontananza si sentirono arrivare le
sirene dell’ambulanza, e Fowley gli posò una mano sul
braccio, stringendo leggermente.
Lui
si voltò a guardarla, stanco.
“Fox…”,
si rivolse a lui con voce bassa e dolce, “… dovresti farti curare anche tu. Hai
un taglio sulla guancia e il mignolo completamente nero… Lei starà bene”,
aggiunse vedendo che aveva di nuovo abbassato la testa sul viso di Scully.
Mulder
guardò di nuovo Fowley, e annuì distrattamente.
Mulder
si incamminò con passo incerto e dolorante lungo la corsia della terapia
intensiva.
Gli
avevano fasciato il mignolo e i polsi e suturato un taglio poco fondo alla
guancia, dove ora c’era una garza bianca a proteggerla dai batteri esterni.
Il
dolore all’inguine cominciava lentamente a diminuire, ma lo percepiva ancora
vivo e pulsante.
Era
stato sottoposto ad una accurata visita urologica e il medico gli aveva
assicurato che il dolore era dovuto solo alla violenza dei colpi subiti e che
non c’erano lesioni.
“Almeno
una buona notizia…”, aveva commentato in tono disinteressato Mulder, facendo
ridere il dottore.
Quando
girò l’angolo di sinistra, vide circa a metà corridoio, la lucida pelata di Skinner.
Si
avvicinò a lui lentamente.
“Agente
Mulder”, lo salutò il vicedirettore, “Come sta?”.
“Io
bene, grazie. Lei?”, chiese voltando lo sguardo verso la vetrata dalla quale si
vedeva la stanza dov’era ricoverata Scully. In quel momento un dottore e un
infermiera stavano attorno al letto e controllavano alcuni monitor e la
cartella medica. “Le hanno detto qualcosa?”.
Skinner
scosse la testa. “Non molto, a dire il vero. Hanno detto che ha una commozione
cerebrale, ma che non è grave e che potrebbe svegliarsi presto, ma dipende da
come reagisce il suo corpo. La mascella è a posto, però le verrà un gran
livido, ed è facile che per qualche giorno non riesca ad aprire l’occhio
sinistro, e faccia fatica a parlare. Il taglio, fortunatamente, era pulito e
non si è infettato. Dobbiamo solo aspettare che trovi la forza di svegliarsi…”.
Mulder
non replicò, rimase fermo ad osservare la sagoma immobile di Scully, riparata
dalle deprimenti coperte bianche dell’ospedale.
“Si
può entrare?”, chiese dopo un po’.
“Immagino
di si, ma è meglio chiedere al dottore”.
Mulder
fece un cenno d’assenso. Sperava che lo lasciassero stare con lei per tutta la
notte. Non se la sentiva di lasciarla sola… o forse era lui che non voleva
restare solo, senza di lei.
“Ho
chiamato la sua famiglia”, disse Skinner. “Saranno
qui domani”.
Mulder
annuì.
“Mi
dice ora, per favore, cos’è andato storto qualche ora fa? Perché siamo
ricoverati in questo ospedale, vivi per miracolo?”.
Skinner
trasse un profondo respiro.
“Un
intoppo… Un maledetto intoppo!”. Si girò a guardare Scully al di là del vetro.
“Abbiamo capito che eravate saliti in macchina quando il segnale ha cominciato
a spostarsi velocemente per le vie di New York. Abbiamo fatto fatica a capire
dove volevano portarvi, perché hanno girato in tondo per un bel pezzo, forse
volevano essere certi che foste addormentati. Ad un certo punto il segnale si è
fermato alla periferia della città, abbiamo controllato il luogo esatto e,
quando abbiamo visto che corrispondeva ad una zona isolata e abbandonata siamo
saliti immediatamente sulle volanti”, si voltò di nuovo verso Mulder, che lo
osservava con espressione concentrata.
“Ma
quando eravamo già a metà strada, dall’FBI hanno chiamato comunicando che il
segnale si era rimesso in movimento. Un po’ spiazzati, ci siamo comunque recati
nel luogo dove prima vi eravate fermati, ma non abbiamo trovato nulla, nemmeno
dentro gli edifici fatiscenti. Così siamo rimasti in contatto col quartier
generale, che, a seconda delle svolte del segnale, ci indicava le strade che
dovevamo percorrere
Abbiamo
girato a vuoto per un bel pezzo, prima che ci venisse comunicato che i Fresty si erano fermati. Siamo corsi sul luogo indicato, e
abbiamo trovato l’auto”, abbassò un attimo il capo, passandosi una mano sulla
testa calva.
“Nell’auto
abbiamo trovato i vostri vestiti… l’orecchino col segnalatore era rimasto
impigliato nel maglione di Scully. Ci trovavamo in una zona disabitata, c’erano
due edifici abbandonati, ma risultarono vuoti”.
Alzò
di nuovo il viso su Mulder. “Mi creda, ero sconvolto. Ero terrorizzato all’idea
di lasciarvi soli nelle mani di quei due pazzi, ma non sapevamo dove foste! Non
avevamo nemmeno idea di cosa i Fresty avessero fatto.
Dove eravate? Quando vi avevano tirati fuori dall’auto? Chi aveva portato
l’auto in quel punto? Mille domande senza risposta”.
Mulder
si passò la lingua sulle labbra secche.
“Abbiamo
brancolato nel buio non so nemmeno io per quanto. L’agente Fowley
continuava a fare congetture, a cercare di capire dove poteste essere, ma tutte
le idee si rivelavano infruttuose. Ad un certo punto hanno chiamato dall’FBI,
dicendoci che avevano ricevuto una chiamata anonima, nella quale si diceva che
dall’altra parte della città, in un edificio fatiscente, avevano sentito
qualcuno gridare.
Poteva
essere qualunque cosa, due drogati, due barboni che litigavano, qualunque cosa,
ma pensammo che valeva comunque la pena andare a dare un’occhiata… e abbiamo
avuto fortuna… se così si può dire… Ci siamo resi conto di essere sulla strada
giusta quando abbiamo visto un’auto che risultava rubata davanti ad una
palazzina. Voi eravate nella cantina.”
Skinner
appariva stanco e provato e Mulder lo fissò per qualche istante, prima di posargli
una mano sulla spalla, in segno di comprensione.
“Non
me la sento di dirle che non fa niente, ma non si prenda colpe che non ha.
Nessuno poteva prevedere che tutto sarebbe andato a monte per un imprevisto
così stupido”.
Interruppero
la loro conversazione, perché l’infermiera e il dottore uscirono dalla stanza.
“Dottore!”,
lo bloccò Mulder, “Come sta?”.
“Le
sue condizioni sono stabili, il che, per la brutta ferita riportata, è un buon segno.
I valori del sangue sono nella norma e Dana mi sembra una donna forte, vedrà
che si sveglierà presto”, aggiunse con un sorriso rassicurante.
“Posso
rimanere con lei?”, chiese con fare remissivo, quasi volesse implorarlo di
dargli il permesso.
Il
dottore lo osservò per un attimo, soffermandosi sulle varie bende che gli
fasciavano il corpo.
“Sto
bene”, disse Mulder, anticipando la domanda del medico.
“Penso
che non ci siano problemi. Ma mi raccomando”, e sottolineò le parole on sguardo
severo, “Mi chiami se nota qualcosa di strano in Dana, e se lei si sente stanco
vada a riposare. E’ in buone mani!”.
Mulder
annuì secco. Si congedò in fretta da Skinner, che
declinò l’invito ad entrare, asserendo che doveva andare al dipartimento per
l’interrogatorio ai Fresty.
Mulder
varcò la porta, lasciandosi alle spalle il corridoio asettico e silenzioso.
Prese
una sedia e si sedette vicino al letto, prendendo le dita di Scully tra le sue.
I
polsi erano bendati, uno era stretto in una fascia elastica, e Mulder li accarezzò
dolcemente con il pollice.
La
guardò in viso e si sforzò di sorriderle, anche se lei non poteva vederlo.
La
guancia sinistra,già gonfia, aveva cominciato ad assumere un colorito violaceo.
L’occhio era già piuttosto nero e il labbro aveva un brutto taglio rimarginato
che la faceva apparire imbronciata.
Attorno
alla testa le girava una benda bianca, un’ombra più scura si stava allargando
nel punto dell’impatto con la spranga. Mulder rabbrividì leggermente al ricordo
del suo corpo che cadeva…
Mosse
l’altra mano ad accarezzarle i capelli umidi, evidentemente avevano ripulito il
sangue rappreso con una pezza bagnata.
Non
le parlò, non serviva. A lui bastava soltanto stare accanto a lei, farle
sentire la sua presenza, sperando di vederla riaprire gli splendidi occhi blu
al più presto.
Mulder
voltò il viso verso la finestra della stanza, quando sentì due piccoli colpi di
nocca contro il vetro.
Fowley
gli fece cenno di uscire.
Seppur
riluttante, Mulder lasciò la mano di Scully e andò nel corridoio, camminando
con le gambe leggermente aperte.
“Come
stai?”, gli chiese Fowley a bassa voce.
“Meglio,
grazie. Cosa ci fai qui, a quest’ora?”, le chiese incuriosito.
“Sono
stata fino a poco fa al dipartimento ad interrogare i Fresty,
ma ero in pensiero per te, così appena mi sono liberata, sono venuta qui”. Lo
osservò attentamente, nell’espressione una dolcezza che non ricordava di averle
visto in viso da molto tempo. “Sembri stanco”, aggiunse passandogli una mano
sulla guancia libera dalla garza.
“Non
così tanto”, replicò Mulder, dando una rapida occhiata al corpo immobile di
Scully.
Fowley
abbassò la mano e sospirò, un suono leggermente rassegnato.
“Come
sta Scully?”, chiese girandosi anche lei verso il vetro.
“Stabile…”,
rispose Mulder, “Dicono che dovrebbe svegliarsi presto e che la commozione
cerebrale dovrebbe ritirarsi nel giro di pochi giorni… ma ancora è
incosciente…”.
“Fox”,
disse allora Fowley, prendendogli una mano tra le
sue, “Abbi pazienza. Ha preso una bella botta, è già molto che dicano che sta
bene, lasciale il tempo di riprendere le forze”.
Mulder
osservò in silenzio la sua mano tra quelle di Diana, poi, lentamente, sciolse
il contatto. Non sapeva bene perché l’aveva fatto, in fondo lei stava solo cercando
di confortarlo, ma si era sentito a disagio, come se le mani che lo toccavano
fossero quelle sbagliate.
Fowley
assunse uno sguardo ferito.
Mulder,
per non dover dare troppe spiegazione al suo gesto – non aveva proprio voglia
di mettersi a discutere con lei di argomenti spinosi – le chiese
dell’interrogatorio ai Fresty.
“Hanno
confessato tutto senza problemi”, spiegò Diana. “Sono convinti di aver agito
nel migliore dei modi”, scosse la testa, “Dicono che sapevano che prima o poi
sarebbero stati arrestati, ma che hanno fatto del loro meglio per riuscire a
trovare l’amore nel mondo. Devo dire che hanno parlato in modo così cristallino
e sincero, che ti veniva voglia di credere che quello che hanno fatto fosse in
nome di qualcosa di superiore…”.
Mulder
rifletté un attimo sulle parole di Diana. Anche lui aveva avuto l’impressione
che la loro pazzia e il loro sadismo fossero mossi dalla profonda convinzione
di riuscire a salvare il mondo dall’odio.
“Ci
hanno raccontato che vi hanno drogati e poi portati in auto, girando per un po’
a vuoto, per la loro sicurezza e per essere certi che foste completamente
addormentati, prima di fermarsi davanti in quella zona abbandonata, dove c’era
un’altra auto che avevano rubato la notte precedente, una vecchia Ford nera.
Vi
hanno spogliati e trasportati nell’altra macchina. Poi Ronald si è messo alla
guida della Ford, e vi ha portati nell’edificio abbandonato dove poi vi abbiamo
trovati, mentre Annebeth ha girato a vuoto, fino a
quando Ronald non l’ha chiamata con un cellulare, sempre rubato, e le ha detto
che stava arrivando. Si sono dati appuntamento dove abbiamo trovato l’auto con
i vostri vestiti, poi sono venuti insieme da voi. Il resto… lo sai meglio tu…”,
accennò un sorrisetto, per sdrammatizzare, ma quello che le uscì fu più che
altro una smorfia di dolore. E posò nuovamente le mani sulle sue.
Mulder,
dopo la spiegazione, capì perché i Fresty li avevano
lasciati soli così tanto tempo: si stavano ricongiungendo, dopo aver sistemato
loro due per bene, a chissà quanti km di distanza.
Quello
che era successo non era stata una mancanza da parte di nessuno. Se
quell’orecchino non si fosse impigliato nel maglione, loro non avrebbero corso
alcun pericolo.
Eppure
non riusciva a non provare un fastidioso senso di colpa. I suoi sogni, le sue
paure, avevano cercato di avvertirlo, di fargli capire che sarebbe successo
qualcosa di spiacevole, ma, evidentemente, non aveva dato abbastanza peso alla
cosa. Probabilmente avrebbe dovuto intervenire in qualche modo, togliersi
dall’operazione, controllare meglio i dettagli, stare più attento a Scully. Si
era spaventato, aveva capito che quelle visioni non gli erano arrivate per
caso, ma non ne era stato abbastanza colpito. Non aveva creduto fino in fondo
alle loro previsioni.
Per
una volta in vita sua aveva dato poco credito ad un fenomeno di preveggenza, e
aveva dovuto pentirsene.
Sorrise
tra sé e sé. L’avrebbe detto a Scully appena si fosse svegliata: “Vedi? Credere conviene sempre!”.
Si
immaginò l’espressione scettica e divertita con cui l’avrebbe guardato.
“Che
cosa c’è da sorridere?”, gli chiese Fowley, sperando
che il suo sguardo, per un momento sereno, fosse dovuto al suo goffo tentativo
di rassicurarlo.
“Niente”,
rispose Mulder guardandola, l’ombra del sorriso che ancora aleggiava sulle sue
labbra, “pensavo a una cosa”.
“Posso
sapere anch’io?”, chiese lei, speranzosa, sorridendogli.
Mulder
scosse la testa. “Era una scemenza… Niente di che”.
Fowley
tolse le mani e assunse uno sguardo rassegnato.
Mulder
tornò a guardare al di là del vetro.
“Tieni
tanto a lei, vero?”, esordì Fowley dopo qualche
minuto di silenzio, in cui entrambi si erano persi nei propri pensieri.
Mulder
si voltò lentamente verso di lei, nello sguardo un’espressione stupita.
“Certo
che tengo a lei! E’ la mia collega, e amica, soprattutto”, disse con una nota
acida nella voce.
Fowley
scosse la testa. “Ma tu tieni a lei molto di più di quanto si tiene ad una
collega… o ad una amica”, sottolineò.
Mulder
la fissò con un’espressione assorta.
“Dove
vuoi andare a parare?”.
“Da
nessuna parte, Fox, sto solo dicendoti quello di cui tu non ti sei ancora reso
conto… o non vuoi accettare”.
Mulder
avvertì una stretta alla base dello stomaco, una sensazione strana, come se
fosse spaventato da quello che gli stava per essere rivelato, ma allo stesso
tempo ne fosse completamente consapevole… e felice.
Piegò
leggermente la testa di lato e fissò Diana, cercando di capire cosa gli stava
dicendo, ma vide solo due occhi scuri fissarlo di rimando, null’altro.
Fowley
si girò a guardare la sagoma immobile di Scully al di là del vetro.
“Vedo
come la guardi… sono gli stessi occhi con cui guardavi me una volta… anzi”,
aggiunse abbassando il capo, “… ammetto che sono molto più luminosi”.
Mulder
aggrottò le sopracciglia. Vide gli occhi di Diana diventare lucidi, ma non si
mosse. Si sentiva terribilmente a disagio, non voleva farla star male, ma non
capiva nemmeno perché lei stesse soffrendo.
Tra
loro era finita da un pezzo ma, dalle sue parole, trapelava una sofferenza
antica, una gelosia immotivata. Mulder sospirò.
Diana
lo guardò, gli occhi ancora lucidi.
“Tu
sei innamorato di lei…”. Le sue parole, seppur sussurrate, uscirono in maniera
dolorosamente diretta e Mulder ebbe un tuffo al cuore.
Quel
pensiero che aveva attecchito nel suo cervello quasi 24 ore prima, crebbe a
dismisura e occupò ogni suo pensiero razionale.
Ma
la paura esplose prepotente nelle sue viscere e gli fece scuotere la testa.
Fowley lo fissò intensamente, poi gli dette un bacio sulla guancia sana e se ne andò, lasciandolo, fermo immobile, nel corridoio.